Karl Marx nacque a Treviri, da una famiglia di origini ebraiche, il 5 maggio del 1818. Dal 1835 fu studente di Diritto alle università di Bonn e Berlino, ma ben presto il suo interesse principale si volse alla filosofia, in particolare a quella hegeliana allora dominante.
Nel 1841 fu promosso dottore in Filosofia all’Università di Jena, con una tesi sulla Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro . Un amico del tempo lo descriveva così: «immagina Rousseau, Voltaire, Holbach, Lessing, Heine e Hegel uniti in una persona (e dico uniti, non messi insieme alla rinfusa) e avrai Karl Marx».
Anche il suo aspetto esteriore non passava inosservato. La carnagione scura, accentuata dai peli neri e fittissimi che gli spuntavano dovunque, e la vistosa capigliatura corvina, gli valsero, infatti, il soprannome che lo accompagnò per tutta la vita: il Moro.
La partecipazione al movimento dei Giovani Hegeliani gl’impedì la carriera accademica cui aspirava. Così, nel 1842-43, le sue brillanti doti di polemista furono al servizio del liberalismo democratico della «Gazzetta Renana», della quale divenne, giovanissimo, redattore capo. Quando la censura colpì il quotidiano di Colonia, Marx scelse l’esilio, prima a Parigi e poi a Bruxelles.
In questo periodo, il suo pensiero compì un’importante maturazione. Egli si separò dalla filosofia che intendeva il cambiamento del mondo come mero compito teoretico: «I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo; si tratta di trasformarlo»; scoprì la potenzialità rivoluzionaria del proletariato; aderì al comunismo ed iniziò lo studio critico dell’economia politica. L’incontro con Friedrich Engels, infine, sancì un’amicizia e collaborazione che durarono quarant’anni. I lavori giovanili, tra i quali figurano i Manoscritti economico-filosofici e L’ideologia tedesca, rimasero incompleti e furono pubblicati soltanto nel 1932. Essi, tuttavia, permisero a Marx di elaborare il filo conduttore dei suoi studi, la concezione materialistica della storia, che in seguito definì così: «L’insieme dei rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita».
Nel 1847, in polemica col socialista francese Proudhon, diede alle stampeMiseria della filosofia. Nel 1848, scrisse insieme con Engels Il manifesto del partito comunista. Il suo incipit, «Uno spettro si aggira per l’Europa – lo spettro del comunismo», non è meno celebre della sua tesi di fondo: «la storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi». Dopo lo scoppio delle rivoluzioni, fu direttore della «Nuova Gazzetta Renana», ma nel 1849, con la sconfitta del movimento rivoluzionario, fu costretto a rifugiarsi a Londra, dove vivrà in esilio fino alla morte, che lo colpì nel 1883.
I primi anni Cinquanta furono il peggior periodo dell’esistenza di Marx. Egli visse in condizioni di profonda miseria, a causa della quale perse tre figli, e tormentato dalla malattia. Riuscì a sopravvivere soltanto grazie all’aiuto di Engels e con i ricavi della sua corrispondenza con il «New-York Tribune», all’epoca il quotidiano più venduto al mondo. Nonostante le terribili condizioni di vita, Marx riuscì a proseguire gli studi di economia politica. Sono gli anni trascorsi, in totale isolamento, nella biblioteca del British Museum. Dal 1857, pervaso da una rinnovata produttività intellettuale, riprese il progetto della sua «Economia» e nel 1859 ne pubblicò il primo fascicolo: Per la critica dell’economia politica. Tuttavia, il colossale piano della sua opera non fu portato a termine che per un’esigua parte. A complicare le già difficili circostanze fu l’impegno che egli assunse, dal 1864 al periodo successivo alla Comune di Parigi, a capo dell’«Associazione Internazionale dei Lavoratori», della quale redasse indirizzi, risoluzioni, programmi e ne fu la figura principale.
Il libro primo de Il capitale, uscì soltanto nel 1867 e Marx non riuscì a completarne il secondo ed il terzo volume, che furono, invece, dati alle stampe da Engels. Manoscritti non ultimati, abbozzi provvisori e progetti abbandonati. Contrariamente al carattere di sistematicità che gli è stato spesso attribuito, la gran parte dei suoi lavori è segnata dall’incompiutezza, caratteristica che non impedì, però, alle sue analisi, di mostrarsi meno geniali e feconde di straordinarie conseguenze. Marx trascorse gli ultimi anni di vita svolgendo ulteriori ricerche. Il metodo oltremodo rigoroso, l’autocritica più spietata, l’inestinguibile passione conoscitiva e la difficoltà di rinchiudere la complessità della storia in un progetto teorico, resero ancor più vera la descrizione che una volta diede di sé: «Sono una macchina condannata a trangugiare i libri per buttarli fuori in forma diversa sul letamaio della storia».
La sorte toccatagli è stata di tutt’altra natura. La sistematizzazione da parte degli epigoni della sua teoria critica, l’impoverimento che ne ha accompagnato la divulgazione, la manipolazione e la censura dei suoi scritti ed il loro utilizzo strumentale in funzione delle necessità politiche, lo hanno reso vittima di una profonda e reiterata incomprensione. «Tutto ciò che so è che io non sono marxista», disse poco prima di morire, quasi avesse potuto prevedere il futuro.
Liberato dall’odiosa funzione di instrumentum regni, cui in passato è stato destinato, e dalla fallacia di alcuni «marxismi», oggi Marx è riconsegnato ai liberi campi del sapere. Sottratto a sedicenti proprietari ed a costrittivi modi d’impiego, il pieno dispiegarsi della sua preziosa ed immensa eredità teorica è reso finalmente possibile.
La parola torni a lui, alla sua opera, alla sua critica della società capitalistica così tanto attuale.