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Massimiliano Tomba, Filosofia Politica

Il volume Sulle tracce di una Fantasma. L’opera di Marx tra filologia e filosofia, edito da manifestolibri e curato da Marcello Musto, raccoglie gli interventi di un omonimo convegno internazionale tenutosi a Napoli nell’aprile del 2004.

Un convegno importante perché ha offerto la possibilità di rilanciare una discussione su Marx a partire dal lavoro filologico intrapreso dai curatori e collaboratori dell’edizione critica delle opere di Marx ed Engels. È stato Manfred Neuhaus, nell’intervento di apertura, a delineare il piano completo della Marx-Engels-Gesamtausgabe, prevista in 114 volumi, ed il metodo filologico, orientato verso il moderno principio della genetica del testo, pienamente adottato solo dopo il 1989.

L’attenzione è rivolta a documentare il testo nel suo work in progress, dalle sue fasi iniziali, alle diverse stesure, fino alle diverse edizioni pubblicate. Un criterio che permette di mostrare come Marx riuscì solo lentamente e con molte difficoltà a fare chiarezza, sia terminologicamente sia concettualmente, su questioni importanti e ampiamente dibattute come la nozione di valore o di valore di scambio.

Ma il convegno è stato anche la proficua sede di confronto fra le più recenti interpretazioni marxiane. L’odierna ripresa di pubblicazioni e riedizioni di testi su Marx, non solo in Italia, ben testimonia una rinnovata curiosità da parte di giovani e meno giovani ricercatori verso i testi marxiani, in particolare verso quei manoscritti fino a poco tempo fa ancora inediti. Certamente i curatori dell’edizione critica hanno svolto un ruolo fecondo in tal senso.

Non essendo possibile rendere analiticamente conto di tutti gli interventi, possiamo limitarci solo a delineare alcuni degli assi portanti sui quali la discussione si è retta. Interessanti le osservazioni critiche svolte da Peter Thomas sulla giovanile Dissertazione marxiana su Democrito ed Epicuro: dopo aver mostrato come siano profondamente sbagliate tutte quelle interpretazioni che leggono già in questo scritto giovanile una tappa verso la maturazione del materialismo, Thomas sottolinea l’esigenza di rileggere la Dissertazione nella sua determinata congiuntura politica e filosofica, che ha più a che fare con la crisi dell’hegelismo che con il materialismo.

Interessanti anche le osservazioni svolte da Stathis Kouvélakis sui diversi concetti di rivoluzione maturati da Marx nel confronto politico con determinati eventi storici. È certamente, questa, la via più proficua per riflettere nuovamente su Marx, mettendo a confronto le diverse stesure degli scritti politici con la contingenza degli eventi storici. Ne emerge un Marx meno legato agli schematismi della filosofia della storia e maggiormente disponibile a lavorare con diversi concetti di storia.

La stessa attenzione potrebbe e dovrebbe essere rivolta agli scritti economici, che, al momento attuale, attraggano l’interesse maggiore degli interpreti. Anche perché solo nel 2004 è stata pubblicata l’edizione critica del terzo libro del Capitale, nel quale vengono segnalati i numerosissimi interventi di Engels. Ma l’interesse principale, quanto meno nella discussione napoletana, è stato nuovamente rivolto verso l’incipit del Capitale. Numerosi interventi – segnaliamo quelli di Roberto Finelli, Geert Reuten, Chris Arthur, Enrique Dussel, Riccardo Bellofiore, Fritz Haug e Michael Krätke – seppur con grandi differenze di accenti, hanno riportato l’analisi al problema della dialettica marxiana e del suo rapporto con Hegel, e, ancora di più, alla questione del lavoro astratto e del valore.

Il problema comune, attorno al quale emergono assensi e dissensi, può essere definito nei termini di un marxismo dell’astrazione, nel quale il vero soggetto del capitale sarebbe il capitale stesso che, come «soggetto automatico», impone la propria indifferenza verso ogni valore d’uso e la materialità dei processi. Geert Reuten parla di una «logica spettrale del capitale impadronitasi del mondo» (p. 234), e Finelli di una «totalizzazione del capitale» capace di penetrare, con la sua logica quantitativa, «in ogni sfera della vita» (p. 217); Chris Arthur, pur affermando la tendenza totalizzante e universalizzante del capitale, sottolinea come esso, a causa dell’irriducibile alterità del lavoro vivo, non possa essere un assoluto; ma non lo può essere nemmeno per Bellofiore, che sottolinea il carattere conflittuale del lavoro vivo.

Il problema investe in prima battuta il modo di comprendere il capitale: se inteso come totalità capace di sussumere nel processo di valorizzazione qualsiasi attività, rendendola con ciò capitalisticamente produttiva, abbiamo una visione onnipervasiva del capitale, che accomuna però i cantori della fine del valore a quanti, con gesto “primo francofortese”, ne sottolineano invece il dominio astratto e impersonale. Dall’altra parte il capitale viene invece pensato come rapporto: l’antagonismo di classe non è introdotto dall’esterno come corollario, ma è parte della sua analitica e va ritrovato fin nell’esposizione categoriale dei primi difficili capitoli del Capitale.

È questo un compito certamente difficile, ma che permetterebbe di abbandonare il terreno del confronto con la logica hegeliana per pensare marxianamente le conseguenze politiche di ogni singolo passaggio. A tale scopo, se è giusto tenersi lontani «dal fuorviante condizionamento dell’ideologia», non basta però solo evocare l’«inscindibile legame tra teoria e prassi» (p. 23); questo legame andrebbe riattraversato a partire dal grado di storia concreta presente nei passaggi più astratti dell’analisi marxiana.

In questa direzione nemmeno le integrazioni engelsiane dovrebbero essere accantonate come fraintendimenti e irrigidimenti della teoria da parte dell’amico meno raffinato di Marx in questioni teoretiche, ma dovrebbero essere comprese a partire da un preciso gesto politico, che cercava di piegare le scienze naturali dell’epoca in una direzione utile al movimento operaio. La storia dei marxismi è fatta anche di queste forzature; non tenerne conto significa riscriverla senza classe operaia.

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Frieder Otto Wolf, Das Argument, 2007

In sechs Abteilungen geht dieses Buch über Derridas These vom unvertreibbaren >Gespenst< hinaus, indem es dessen Spuren so kompetent nachgeht, dass es ein ^Heute für Marx^^ in Anspruch nehmen kann.

Nachdem herausgearbeitet wurde, was die MEGA² für ein zeitgenössisches Verständnis des Marxschen Werkes bedeutet (Manfred Neuhaus, Gerald Hubmann, Izumi Omura und Malcolm Sylvers, 31-115), stellt sich ein zweiter Abschnitt den beiden großen Lücken der marxistischen Tradition, der unausgearbeiteten ^Kritik der Philosophie^^ und dem für das Projekt eingreifender Theorie besonders gravierenden Fehlen einer ^Kritik der Politik^^ (Mario Cingoli, Peter Thomas, Giuseppe Cacciatore, Marcello Musto, Gianfranco Borrelli und Stathis Kouvelakis, 117-207).

Der folgende Abschnitt stellt wichtige Neulektüren zusammen, die das Kapital seit den 1960er Jahren erfahren hat (leider mit Ausnahme der sog. ^neuen Marxlektüre^^ im Gefolge der Frankfurter Schule in Deutschland, der Kapitallektüre der japanischen Uno-Schule und der ^überdeterministischen^^ Kapitallektüre um Rick Wolff in Amherst, Mass. — immerhin mit Beiträgen von Roberto Finelli, Geert Reuten, Christopher J. Arthur, Riccardo Bellofiore, Enrique Dussel, Jacques Bidet und Wolfgang Fritz Haug, 209-304). Der abschließende Abschnitt wird von einem fulminanten Beitrag von Michael Krätke über die Unersetzlichkeit von Marx bei der Erneuerung der politischen Ökonomie eröffnet (307-24); es folgen Beiträge von André Tosel (325-34) und Domenico Jervolino (335-46) zum Konzept eines >Kommunismus der Endlichkeit<. Domenico Losurdo (347-62) stellt sich der Problematik >der fehlenden Revolution im Westen< (347) und setzt — im Rückgriff auf Marx und Rosa Luxemburg — der etwa von Mill und Mises vertretenen >harmonistischen Sicht< der >Globalisierung< (353) eine Reflexion der mit ihr untrennbar verbundenen >geopolitischen Konflikte< entgegen (353f). Angesichts des >Menschenrechtsimperialismus< der USA, der an die Stelle des >britischen Freihandelsimperialismus< getreten sei (359), kritisiert er eine >imperiale Linke<, die etwa >im Namen der ^Menschenrechte^^ Sanktionen gegen China< fordert — Anzeichen einer >schrecklichen theoretischen und politischen Regression< (360).

Die hiermit umrissene Darstellung wird ergänzt durch mehrere ^Länderstudien^^: Gian Mario Bravo umreißt die ^sozialdemokratische^^ Frühgeschichte des Marxismus in Italien (97-115), Wei Xiaoping den Stand der Marxforschung in China (379-86), und Alex Callinicos gibt einen Überblick über den ^angelsächsischen Marxismus^^ seit den 1930er Jahren (363-78); im Zentrum stehen dabei der >Aufstieg und Fall des analytischen Marxismus< (369ff) sowie die seit den 1960er Jahren erfolgte Schwerpunktverlagerung in die USA (372ff). Die Frage, ob es gelingen wird, mit der ^dritten Welle^^ der Radikalisierung (nach den 1930er und den 1960er Jahren), die er durch die Proteste von Seattle und Genf im Jahre 1999 angezeigt sieht, wieder >einen produktiven Dialog zwischen marxistischer Theorie und antikapitalistischer Praxis< (376) anzuknüpfen, beantwortet er indirekt mit der Forderung, dem >Akademismus< zu entkommen (377). — Russland und Osteuropa kommen nicht vor. Eine westeuropäische Perspektive überwiegt — auch wenn Fenster auf die ^angelsächsisch^^ geprägte ^Weltphilosophie^^ und auf China als eine neu entstehende, auch wissenschaftliche und philosophische Weltmacht geöffnet werden.

Insgesamt vollzieht sich in diesem Band Marx’ Zurückmeldung als ^Klassiker neuen Typs^^, der zeitgenössisches, in erster Linie philosophisches und politisches Denken inspiriert. Den Beiträgen gelingt es, sich von dogmatischen Denklinien zu lösen und marxistisches Denken zu erneuern. Einige exemplarische offene Fragen können deutlich machen, dass hiermit ein theoretischer Neubeginn möglich geworden ist. Zunächst zur Reflexion des Stellenwertes der MEGA²: Können Philologische Gründlichkeit und prozessualer Werkbegriff, wie sie hier der neuen Marxforschung verordnet werden, wirklich als >ein neuer post-ideologischer Zugang< (65) begriffen werden? Wie hilfreich ist die Bezugnahme auf den Begriff des ^Klassikers^^ (59, 66) über pragmatische Zwecke hinaus? Lässt sich das Bild der ^Baustelle^^ sinnvoll für das Kapital reklamieren — reicht hier die Vorstellung aus, es handele sich >um das glänzende Handbuch einer Problematik mit großem analytischen Potenzial< (66)?

Zur Kritik der Philosophie und der Politik herrscht eine genetische Herangehensweise vor, welche die Frage provoziert, was uns die Auseinandersetzung des ^Marx vor Marx^^ mit dem Materialismus (119ff), das (bemerkenswerte) Konzept der >Fastnachtszeit der Philosophie< (133ff), Marx’ Bad Kreuznacher Demokratiekonzeption von 1843 (145ff), die >entscheidende Entwicklung< (170), die Marx in der damaligen >Hauptstadt der neuen Welt< genommen haben soll (161ff) oder auch seine Schriften zur Politik der Kommunisten zwischen 1843 und 1852 (179ff) nun genau helfen sollen, um Fragen etwa nach der ^Politik des Kapitals^^ bzw. der ^Politik gegen das Kapital^^ zu beantworten. Kouvélakis’ Diskussion des Bürgerkriegs in Frankreich hat dagegen nicht nur den Vorteil, dass hierzu eine bereits entwickelte Debatte vorliegt. Sie behandelt auch klassische Themen der Marxschen ^Revolutionstheorie^^: >permanente Revolution< (195f), die >Zertrümmerung der Staatsmaschinerie< (201) und die Frage nach den von Marx nach dem Scheitern der 48er-Revolution vorgenommenen >Berichtigungen< (206f u.ö.). Aber die Frage, welches Verhältnis sich zwischen seinen politischen Analysen und seiner Kritik der politischen Ökonomie herstellen lässt, erscheint nicht einmal am Horizont der Untersuchung.

Weiter zum Kapital als unvollendeter Kritik: Was bedeutet die ^dialektische Darstellung^^ im Kapital? Lässt sie sich mit dem Konstrukt einer ^Setzung der eigenen Voraussetzungen^^ (211) angemessen begreifen? Was bedeutet ^Begreifen^^, was ^Abstraktion^^ (213) für heutiges Wissenschaftsdenken? Was ist die Rolle des Geldes fürs Kapital (vgl. 234f)? Wie kann eine unvollendete Dialektik bzw. eine unvollendete ^Kritik^^ überhaupt funktionieren — können wir sie als >Rekonstruktion< eines >gegebenen Ganzen< begreifen (239), brauchen wir dafür eine >Ontologie< (242ff)? Was müssen wir heute abstreifen und was ^dazutun^^, um das Kapital wissenschaftlich eindeutig und politisch produktiv lesen zu können (vgl. 281ff)? Wie verhält sich Marx’ eigener Forschungs- und Lernprozess (293ff) zu einer ^systematischen^^ Darstellung seiner Theorie — auf dem damaligen und auf dem heutigen Stand epistemologischer Explikation?

Schließlich zur Frage der aktuellen Bedeutung von Marx: Was bedeutet — angesichts des apolitischen Charakters der Wirtschaftswissenschaften (307) — das epistemologische Konzept der Kritik der politischen Ökonomie (309ff)? Was verbirgt sich hinter dem Begriff eines Kommunismus der Endlichkeit, der >eine andere Idee des Kommunismus auf der Höhe der kapitalistischen Globalisierung< verspricht (325)? Was kann und muss theoretisch geleistet werden, damit neue, politisch bedeutsame Initiativen auf dem Felde der von Marx ausgehenden Theorie nicht in einer sterilen akademischen Betriebsamkeit versanden (377)?

Diese offenen Fragen verlangen nach neuen Untersuchungen, die zu einem anderen Marxismus oder auch zu einem anderen Kommunismus führen können. Aber in diesem Anfang liegt zugleich ein Ende: Eine Generation, die von der Krise des Marxismus gezeichnet ist und zu Zeugen des Zusammenbruchs der Staatenformation wurde, die sich als reale Verkörperung marxistischer Politik dargestellt hatte, legt hier Ergebnisse ihrer Anstrengungen vor, Pfade aus dieser Krise zu finden. Das gibt dieser Kongressdokumentation den Charakter eines Handbuchs, Ausgangsbasis für das weitere Arbeiten. Die Übersetzung in alle Weltsprachen ist zu wünschen (eine spanischsprachige Ausgabe erscheint demnächst in Mexiko).

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Marco Bertorello, Erre

1. Filologia e filosofia nella Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA²)

Ad oggi siamo ancora privi di un’edizione integrale e scientifico-critica delle opere di Marx e, tuttavia, è in corso da qualche anno un risveglio d’interesse per lo studio di questi scritti.

La persistente capacità critica delle contraddizioni dell’odierna società capitalista contenuta nella riflessione marxiana ripropone con forza al centro del dibattito contemporaneo il pensiero del “moro di Treviri”. E l’assenza d’una tale edizione critica dei suoi elaborati è tanto più grave se si considera che parte notevole dei suoi manoscritti, dell’immensa mole di estratti ed annotazioni dai libri e dell’imponente corrispondenza – 14.000 lettere rinvenute – rimane ancora inedita. Il volume curato da Marcello Musto Sulle tracce di un fantasma. L’opera di Karl Marx tra filologia e filosofia, ci presenta il significativo sforzo di sistematizzazione degli scritti marxiani: raccoglie le relazioni, spesso assai differenti, esposte durante la Conferenza Internazionale di studi sullo stesso tema, svoltasi a Napoli nell’aprile 2004. Questa prende vita da tale esigenza: presentare per la prima volta in Italia la nuova edizione storico-critica della Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA²), che dovrebbe dar conto delle nuove acquisizioni delle ricerche filologiche sul pensiero di Marx e della ripresa degli studi filosofici in merito, tanto in riferimento alle opere giovanili quanto a Il capitale. Il volume ci presenta 24 saggi, accompagnandoci nella disamina delle più recenti interpretazioni degli scritti di Marx in Italia e nel mondo, al fine di socializzare conoscenze e stabilire legami permanenti fra gruppi di ricerca e singoli studiosii. Tuttavia, nonostante gli sforzi del curatore, il volume presenta un aggregato d’elaborazioni eterogenee e nell’insieme non appare del tutto organico.

L’edizione storico-critica delle opere complete di Marx ed Engels (Marx-Engels Gesamtausgabe – MEGA), le cui pubblicazioni sono iniziate nel 1975, è stata interrotta in seguito alla sconfitta della transizione al socialismo nei paesi dell’est europeo dell 1989. Nel 1990, per iniziativa dell’Internationaal Instituut voor Sociale Geschiedenis (IISG) di Amsterdam, è nata la Internationale Marx Engels Stiftung (IMES), il cui fine è completarne l’impresa ii. Parrebbe pertanto giunto il momento di riprendere, usufruendo delle conquiste editoriali della MEGA², un confronto serio e rigoroso su Marx. Tuttavia il volume ci ripropone anzitutto una visione per cui, malgrado l’imponente raccolta di riflessioni, l’opera marxiana apparirebbe sostanzialmente incompiuta: dinanzi ad interpretazioni del passato tese a fare del pensiero di Marx una dottrina chiusa, il volume ne evidenzia il carattere di incompiutezza. Tuttavia, tale invito a tener conto della lettera dei testi marxiani, rischia di perder di vista la necessità di ricomprenderli anzitutto a partire dallo spirito unitario che li muove iii. Solo questa si dimostra, d’altra parte, chiave di lettura produttiva: per un verso consente si ricordare l’attualità della necessità d’un bilancio storico – più volte affrontato nel volume e non di rado con equilibrio antidogmatico nei confronti del pensiero marxiano da autori significativi come G. Bravo, S. Kouvélakis, R. Finelli e D. Losurdo; per l’altro permette d’evitare che l’esigenza di critica della riflessione marxiana prenda vita da giudizi viziati di antistoricismo, post-modernismo ed improduttivo empirismo – evidenti in diversi interventi. In particolare, nell’impostazione generale emergono i rischi di un simile filologismo, che potrebbe far perder di vista la complessità del concetto dovuta al suo radicale divenire nella determinatezza storica: l’approccio empirista, per dirla con la Scienza della Logica di Hegel, ci pone dinanzi alla separazione improduttiva di essere e pensiero, in ultima istanza si rivela rinuncia all’oggettività concreta e s’accontenta unicamente del valore soggettivo della conoscenza. In tal modo la feroce critica all’approccio dogmatico può condurre ad una visione sostanzialmente ingenua, quando non apertamente volta a mistificarne la complessità dialettica della realtà. Si giunge così alla perfetta unità di pensiero ed essere, testo scritto ed interpretazione contenutistica, unicamente attraverso un sapere immediato, ricadendo in tal modo in forme di misticismo e dogmatismo.

2. Un “ritorno” a Marx senza storia del marxismo?

I contributi contenuti nel volume dei diversi e noti marxisti nazionali ed internazionali, provenienti da dieci diversi paesi, hanno per un verso il fine di risvegliare l’interesse per l’opera di Marx, per l’altro sono essi stessi dimostrazione dello status della riflessione filosofica odierna in merito alle condizioni storico-sociali del nostro tempo. Se certamente meritevole è il tentativo di “restituire” l’elaborazione di Marx alla ricerca filologica, tuttavia esso conduce spesso ad una visione elitista ed accademica del sapere: Marx sarebbe stato «snaturato» nel processo di diffusione del suo pensiero, che avrebbe poi prodotto «effetti perversi» – scrive il curatore del volume, Marcello Musto –, fra cui un’«ortodossia» scaturita da «fini preordinati». La produzione marxiana sarebbe stata utilizzata per giustificare «a posteriori» teorie politiche che ne avrebbero «frainteso» la “purezza scientifica”. Tuttavia un simile approccio non ci pare renda pienamente giustizia ad un autore che ha costantemente tentato di intrecciare «prospettiva di lunga durata e compiti immediati» [p. 357], come ricorda Domenico Losurdo in un bel saggio dal titolo Marxismo, globalizzazione e bilancio storico del socialismo [pp. 347-357]. Se dunque può ritenersi vero per un verso che la nuova Marx Forschung ha innanzi a sé il compito «di un orientamento permanentemente critico», per l’altro bisogna intendersi sulla ricerca d’un tale marxismo «lontano dal fuorviante condizionamento dell’ideologia» [p. 23] e sul concetto stesso di ideologia. Questo ha una lunga e ben complessa storia dietro di sé, da cui ci pare impossibile prescindere iv. Da tali presupposti deriva l’interrogativo che attraversa il volume: è possibile un “ritorno” ad un pensiero “puro” di Marx? Se per un verso leggere Marx oggi vuol dire certamente affrontarne con pazienza i testi, d’altra parte l’esigenza di non pensarne una linea di sviluppo “predeterminata” rischia di far dimenticare che un testo s’interroga sempre a partire dalla determinatezza d’un punto di vista e nell’ottica d’un agire pratico – sebbene certo la sua lettura consenta di rivedere il proprio punto di vista e le modalità dell’azione. In tal senso Marx non pare davvero un classico sterile ed asettico: credere di poter circoscrivere Marx «alla funzione di classico mummificato con un interesse inoffensivo per l’oggi o di rinchiuderlo in specialismi meramente speculativi, si rivelerebbe impresa errata al pari di quella che lo ha trasformato nella sfinge del grigio socialismo reale del Novecento» [p. 24]. Per un verso si deve come possibile sfuggire dall’attribuzione di capacità profetico-utopiste all’autore o alle sue teorie; per l’altro nel volume più volte si invita a far astrazione dalla soggettività del filosofo – che Hegel avrebbe definito “punto di vista del cameriere” – e ad osservare il testo ed il contesto dello scritto, in uno sforzo di tensione interpretativa. Ma è poi tanto grigio quel panorama storico che in Europa Orientale ha tentato di dar voce al pensiero di quel vivace pesatore? Un “ritorno a Marx” privo degli oltre centocinquanta anni d’elaborazione e pratica marxista rischierebbe d’esser solamente l’esplicitazione d’un «culto formalistico dei martiri», quasi che vi fosse un «“autentico” messaggio di salvezza già consegnato, una volta per sempre, in testi sacri che si tratterebbe solo di riscoprire e rimeditare religiosamente!» v. Solamente una mera coscienza religiosa – ed in ultimo «profetica» –proclama e gode «narcisisticamente» della propria presunta immacolatezza vi: ricercare un Marx “puro” è sintomo d’arretratezza, quando non di vera subalternità nei confronti dell’ideologia dominante.

3. Alla riscoperta di lettere, annotazioni e d’una storia tutta politica

Dalla I sezione – dedicata all’esposizione della MEGA² – emergono i saggi di Manfred Neuhaus e di Gerald Hubmann. Il primo delinea i canoni filologico-editoriali della nuova MEGA²: genetica del testo, suddivisione di lavori preparatori da opere vere e proprie, ordine cronologico. Peraltro, dopo una contestualizzazione storica ed intellettuale dell’opera di Marx ed Engels, egli delinea i contenuti innovativi delle diverse sezioni della MEGA². Hubmann espone invece il lavoro per la rinnovata edizione dei testi di Marx ed illustra come accostarsi ad un testo classico è impegno che, avvalendosi della fatica filologica, è insieme un paziente rinvenimento d’un orizzonte ricco e problematico che il testo può offrirevii. Gian Mario Bravo ci conduce nella storia della ricezione della filosofia marxiana nella prima sinistra italiana, ripercorrendo le tappe d’un pensiero che «sia utile per concorrere a reinterpretare società in perenne evoluzione e cambiamento, dimensioni umane e culture affannate e incapaci di svecchiarsi anche sul piano etico, ingiustizie e differenze abissali fra gli uomini, del Sud e del Nord del pianeta» [p. 98]. Ricordiamo infine l’intervento del docente giapponese Izumi Omura – che tratta, fra l’altro, delle versioni digitali dei manoscritti di Marx, disponibili sul sito dell’Università di Sendai.

4. Il giovane Marx: Comune di Parigi, materialismo storico e questione democratica

Nella II sezione del volume – Critica della filosofia e critica della politica nel giovane Marx – troviamo interventi di autori significativi come Mario Cingoli, Giuseppe Cacciatore e Stathis Kouvélakis. Se è possibile affermare che Marx non adoperaun unico paradigma metodologico ma, al contrario, un approccio interdisciplinare che gli consente di comprendere e riconoscere nella dialettica stessa non un semplice metodo viii, Cingoli ripercorre nel corso del suo scritto le tappe mediante cui l’hegeliano automovimento dell’Idea diviene nel pensiero di Marx materiale «attività degli uomini reali, enti naturali che lavorando la restante natura producono ad un tempo la propria storia, attraverso lotte e opposizioni» [p. 125]. Se nell’Ideologia tedesca vediamo Marx affermare che «anche gli oggetti della più semplice “certezza sensibile” sono dati solo attraverso lo sviluppo sociale» [p. 128], si pone il problema: a) della configurazione materiale d’un tale sviluppo sociale, b) dei meriti della forma rappresentativa d’un contenuto materiale e, tuttavia c) della mancanza di democrazia propria di vincoli formali che non tengano conto della democrazia sostanziale necessaria ad una società progressista ed organizzata secondo ragione. Viene in tal modo alla luce l’attualità d’una riflessione che riapra un dibattito sul rapporto fra riflessione di Marx e questione democratica, affrontato diffusamente nelle pagine di Cacciatore. Egli, analizzando il commento analitico svolto da Marx nel 1843 ai §§ 261-313 dei Lineamenti di filosofia del diritto (1821) di Hegel, rileva come la critica a quest’ultimo sarebbe l’aver reso tendenzialmente autonomo il momento dell’universale da quello del particolare, cosicché lo Stato moderno hegeliano soffrirebbe d’astrazione nel senso d’una mancata rappresentanza della realtà che lo istituisce [p. 147 e ss] ed il fine di Marx in queste pagine giovanili è anzitutto «rendere plausibile la democrazia»ix. Kouvélakis ci propone una riflessione sulla teoria politica di Marx alla luce della rilettura di un suo testo celebre, La guerra civile in Francia (1871), sostenendo che «l’esperienza della Comune di Parigi consente a Marx di “ricreare” le rivoluzioni del 1848», cosicché Marx giunge ad una comprensione della politica nella sua doppia dimensione di a) «momento insurrezionale» e b) «processo di creazione di forme politiche adeguate all’emancipazione delle classi subalterne» [p. 195]. Marx giunge alla comprensione inoltre della «pratica rivoluzionaria come pratica politica specifica ed espansiva», processo di «distruzione creatrice» di istituzioni durevoli, che rivelino la rivoluzione proletaria non più «processo simmetrico alle rivoluzioni borghesi», ma «ripresa ed approfondimento della tendenza all’autogoverno popolare» [p. 207].

5. Marxismo oggi: presupposto-posto, autoapprendimento e bilancio del socialismo

La III sezione del volume ci pone il problema del Capitale quale «critica incompiuta». In merito si cimentano pensatori italiani come Roberto Finelli e l’economista Riccardo Bellofiore, ed internazionali come Jacques Bidet e Fritz Wofgang Haug. Finelli guarda alla pratica decostruzionista la quale «critica ogni narrazione che pretenda coerenza e sistematicità» e tenta di ricondurre la realtà a linguaggio [p. 211] e ci propone quattro tesi: la presenza della logica del presupposto-posto, di matrice hegeliana, nel Capitale di Marx [p. 212]; il concetto di astrazione reale da intendersi come passaggio del lavoro astratto «dal piano di un’astrazione solo mentale […] ad un’astrazione, come sostiene Marx nell’Introduzione del ‘57, “praticamente vera”» [p. 213]; la tesi del «circolo sincronico e del circolo diacronico», che vorrebbe porre in luce le divergenze fra filosofia hegeliana e marxiana [pp. 217-218]; la tesi infine «del postmoderno come svuotamento del concreto», che descrive il postmoderno come inveramento del moderno, ovvero «il tempo storico della piena diffusione, fino alla globalizzazione, di un’economia fondata sulla ricchezza astratta», cosicché non si dà comprensione del postmoderno senza la teoria marxiana dell’astrazione reale [p. 222]. Malgrado l’alto livello teoretico dell’analisi, il punto di vista assunto pare rischia di ricadere nell’empirismo e nell’esistente piuttosto che guardare al razionale: dello sfruttamento si prende atto ed il postmoderno, luogo dell’ipocondria dell’impolitico, viene sancito nella visione secondo cui l’astrazione reale è il nuovo «soggetto storico e impersonale, come l’accumulazione di ricchezza astratta attraverso l’uso e lo sfruttamento della forza-lavoro». Unica risposta possibile parrebbe un metafisico «agire di soggetti liberi e autonomamente responsabili» [223]. Ma non si intravede la conflittualità fra i capitali, la determinatezza storico-politica della lotta di classe ed infine alla «liquidazione della filosofia della storia» si sostituisce una «scienza della modernità che trova in sé la fondazione delle proprie categorie» [p. 220]. Bidet ci propone una ricostruzione “metastrutturale” del Capitale, tentando di svincolare il materialismo storico dalla dialettica e dall’impianto storicista, riproponendo l’elaborazione di nuovi concetti come quello di «moltitudine, di sistema del mondo, di altermondializzazione, di ultramodernità, di mondo e di Stato-mondo in gestazione» [pp. 281-2]. Tuttavia, l’analisi non si svincola del tutto dai limiti del postmoderno: l’eliminazione d’una concezione dialettica del divenire – fondata sul concetto di modo di produzione, in cui la contraddizione determinata dalla lotta fra le classi sia reale e non semplice proiezione metafisica di un’epoca barbara – espelle dal dialogo tollerante il progetto di emancipazione della classe proletaria in quanto sistemico e totalizzante; così anche i concetti d’analisi loro propri come la categoria d’ imperialismo. Haug rileva come dietro le critiche alla divulgazione del pensiero di Marx ed al presunto annacquamento del suo nucleo teorico che ne sarebbe scaturito si celi in realtà la liquidazione della «concezione dialettica» [p. 293]. Sebbene sia indubbio che sia avvenuto una sorta di cambiamento paradigmatico dalle Tesi su Feuerbach all’Ideologia tedesca a Per la critica dell’economia politica, d’altra parte ciò non è affatto «sintomo di decadimento né di volgarizzazione fuorviante», bensì di un mutamento che rivela un «processo di apprendimento» cui va il merito d’aver reso l’opera di Marx ancor oggi «contemporanea» e «contributo irrinunciabile alla comprensione teorica del capitalismo high-tech» transnazionale [p. 294].

La IV ed ultima sezione, Un oggi per Marx, si caratterizza per la presenza di tre saggi in particolare, due contigui nel merito ed il terzo di indubbio valore storico-teorico: si tratta degli scritti di André Tosel, Domenico Jervolino e Domenico Losurdo. Tosel e Jervolino ci reintroducono la proposta di un «comunismo della finitudine». A partire da una critica alla totalità “sistemica”, identificata con la «produzione post-capitalistica come produzione assoluta», Tosel ci delinea il rapporto fra filosofia hegeliana e marxiana nel senso che la seconda, dopo aver liquidato la prima, ci presenta come oggetto una «realtà sempre finita e definita» [p. 325]. E «la forma dell’associazione» in sostituzione della «forma capitale» rivelerebbe questo cambio di paradigma – per dirla con Kuhn, filosofo della scienza caro a Tosel – nell’individuazione del movimento di perpetua trasformazione di forme «fenomenali» della produzione. Tuttavia il limite più evidente è la miscomprensione del rapporto dialettico fra idealismo hegeliano e materialismo marxiano, da cui discende un’idea di comunismo evocativamente indeterminata: l’esigenza essenziale d’una «negazione determinata-finita» della forma-capitale – intesa astrattamente, senza comprensione del suo esser anzitutto rapporto sociale e dunque interdipendente con la forza-lavoro salariatax – si rovescia in utopismo xi. Non ci soffermiamo su riflessioni analoghe condotte da Jervolino, che ancor più esplicitamente ci propone il moralismo d’una «comune impresa etico-politica» [p. 343], una «forma di organizzazione sociale più complessiva in cui l’economico» non sia più determinante e prevalga il «comune» come «possibilità di essere se stessi per ciascuno e per tutti» [p. 344-5]. Losurdo tenta, al contrario, una lettura produttiva del farsi-storia della teoria marxista a partire dalla constatazione d’una mancata rivoluzione vittoriosa nei paesi a capitalismo avanzato – come da tesi marxiana. Egli ripercorre le proposte di forme di gestione del potere da parte della classe operaia nei paesi del “socialismo reale” in URSS con Trotski e Stalin ed in Cina. Una tale indicazione, presente peraltro nei testi di Marx a partire dal Manifesto, pone il problema dell’edificazione socialista a partire dal conflitto fra a) emergere d’uno strato borghese che prospera e b) settori non trascurabili della popolazione che «continuano a subire condizioni di vita e di lavoro propri del Terzo mondo». Losurdo richiama la lettura gramsciana di tale questione: il proletariato come non può conquistare, neppure può mantenere il potere se incapace di sacrificare interessi particolari e immediati «agli interessi generali e permanenti della classe» [p. 348] xii. L’agitazione della seducente bandiera dei diritti umani come forma egemonica del dominio imperialista attraversa un’esperienza storica in cui gli interessi particolari della classe borghese, dopo la sconfitta dell’esperienza di transizione al socialismo, hanno condotto a drammi esemplari, di cui poi quella stessa classe ha “ponzio-pilatescamente” rigettato le responsabilità – si pensi al Nicaragua sandinista, alla Jugoslavia, etc. [pp. 359-60]. Ricordiamo infine i contributi nel volume di Alex Callinicos e Wei Xiaoping, relativi alle vicende delle interpretazioni critiche dell’opera marxiana nel mondo anglosassone ed in Cina.

In conclusione il volume ha certamente il merito di riproporre all’ordine del giorno l’ineludibile attualità dell’opera di Karl Marx, che non è affatto un “moloch” indiscutibile di norme o precetti pratico-morali: esso è materia viva che pone in essere un rapporto proficuo con il mondo storico, con lo «stato di cose esistenti», di cui non solamente vuol tentare un’interpretazione, ma che essenzialmente si propone di trasformare in direzione maggiormente razionale. In tal senso la lettura dei testi di Marx può, oggi forse ancor più diieri, restituire un esempio pratico di libertà operante in campo filosofico nella misura in cui le sue idee potranno ancora «suscitare entusiasmi, stimolare ulteriori feconde riflessioni» [p. 24], ponendosi al servizio della causa dell’emancipazione umana, che ancora troppo ne abbisogna e che sempre più si trova ad invocare la Vecchia Talpa.

i I 24 saggi presentati nel volume suddivisi in IV sezioni, dedicate a: 1) nuova edizione storico-critica della MEGA²; 2) critica della filosofia e critica della politica nel giovane Marx; 3) Il Capitale: la critica incompiuta e 4) un oggi per Marx.

ii Dei 122 volumi previsti ne sono stati sinora editi 56. Dell’IMES fanno parte, accanto all’IISG, la Berlin-Brandenburgische Akademie der Wissenschaften (BBAW) ed il Rossiiskii gosudarstvennyi arkhiv sotsial’no-politicheskoi istorii (RGASPI) di Mosca. In questo momento partecipano ai suoi lavori studiosi che operano in Germania, Russia, Francia, Olanda, Danimarca, Italia, USA, Giappone.

iii Lo stesso Engels ci mette al corrente del preciso intento marxiano di realizzare nel Capitale «un’opera organica e il più possibile compiuta» [ Prefazione a K. Marx, Il Capitale, libro III, Editori Riuniti, Roma 1965, p. 10]. Non si comprende perché un tale metodo non dovrebbe valere per lo spirito dell’intera produzione di Marx.

iv Dalla riflessione gramsciana in poi il concetto di sovrastruttura ideologica assume accezione epistemologico-descrittiva e viene evidentemente ricondotto alla presa d’atto dell’esistenza oggettiva d’una storia delle classi dominanti in relazione a classi subalterne. Cfr. A. Gramsci, Quaderni del carcere, Edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, Q 4, 35, 453-4, testo A e Gramsci su Marx “ideologo” in A. Gramsci, Astrattismo intransigenza [11 maggio 1918], in id., Il nostro Marx 1918-1919, a cura di S. Caprioglio, Einaudi, Torino 1984, p. 17.

v D. Losurdo, Fuga dalla storia, La Città del Sole, Napoli 1999, p. 16.

vi Cfr. su ciò D. Losurdo, «Dopo il diluvio: ritorno a Marx?» in Utopia e stato d’eccezione. Sull’esperienza storica del «socialismo reale», Laboratorio politico, Napoli 1996, pp. 98-101.

vii Analizzando ad esempio gli studi-appunti marxiani di geologia si può notare che il concetto di «formazione sociale» pare trarre stimoli dall’idea di “formazione geologica” [p. 65]. Tuttavia il problema di Marx è lo studio scientifico d’una formazione sociale determinata e tale studio non può che svolgersi anzitutto nelle forme dell’elaborazione di costrutti teorici e della trattazione appropriata d’un dato materiale empirico, ovvero anzitutto sul piano di quello che Hegel definiva ‹‹pensiero riflettente››. D’altra parte, Marx pensa tale attività scientifica a partire da un’indagine generale riguardante la natura della società e della storia umana e le assegna un compito, altrettanto generale, riguardante la ricaduta dell’attività concettuale sul corso della società e della storia – di cui questa attività è, insieme, osservatorio critico e parte in causa. La storia pare dunque cominciare con il superamento della dimensione strettamente ‹‹riflettente›› (“accademica”) dell’indagine scientifica, con il suo divenire pensiero attivo o filosofia della prassi – per dirla con Gramsci – mediante cui la formazione sociale possa riconoscersi ed, in tale riconoscersi, acquisire una più alta consapevolezza di sé ed una nuova Weltanschauung che possa divenire senso comune della coscienza collettiva.

viii D’altra parte, nonostante la nota e dura critica di Marx in Miseria della filosofia alla forma della dialettica hegeliana ed alla dialettica come metodo, Marx è in realtà decisamente allievo di Hegel. Quest’ultimo infatti non intendeva affatto il metodo come qualcosa di meccanicistico. Al contrario il metodo «è la forza assoluta, unica, suprema, infinita, alla quale nessun oggetto può resistere; è la tendenza della ragione a ritrovarsi, a riconoscersi in ogni cosa» [G.W.F. Hegel, Scienza della Logica», vol. III, pp. 330-33]. Interessante anche la lettura leniniana della dialettica marxiana in V. I. Lenin, Karl Marx. A Brief Biographical Sketch With an Exposition of Marxism, Lenin Collected Works, Progress Publishers, Moscow 197(4), vol. XXI, p. 6.

ix Tuttavia Marx, allievo di Rousseau, intende porre in questione anzitutto il problema dei contenuti di democrazia che un popolo deve sistematizzare e del «rapporto fra la forma regolativi e giuridica e i contenuti cosiddetti sostanziali di emancipazione sociale e di uguaglianza» [p. 151]. Difatti «nella democrazia il principio formale è al tempo stesso il principio materiale» [K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del ’44, Einaudi, Torino 1968, p. 4].

x Marx intende sottolineare che il capitale non è solamente lavoro accumulato, ma lo è in modo storicamente determinato, entro un dato rapporto di produzione, quello della società borghese, fondato sullo sfruttamento della forza-lavoro del proletariato da parte della classe dei capitalisti. Cfr. K. Marx, Lavoro salariato e capitale, Collana “Il Milione”, Editori Riuniti, pp. 13-14.

xi Tosel invoca difatti una «soggettività politica del cittadino» e ben delineando (ma non esplicitandola) la formazione del sottoproletariato e della sua «violenza cieca», auspica la «formazione di una coscienza insurrezionale di massa»: di individui che si possano riconoscere nell’«Altro della legge» simbolico, di un «essere-in-comune di singolarità che debbono uscire da relazioni duali» e che si contrappongano al «panliberalismo consumatore» [p. 330-2].

xii A. Gramsci, Lettera dell’Ufficio politico del PCI al Comitato Centrale del Partito Comunista Sovietico (1926), in Id., La costruzione del partito comunista, Einaudi, Torino 1971, pp. 129-130; cfr. D. Losurdo, Antonio Gramsci dal liberalismo al «comunismo critico», Gamberetti, Roma 1997, pp. 249-50.

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Korunknak címzett bírálat

Mély teoretikus dimenziókban mozog a Marx kutató szerző tanulmánya: egyfelől az alapító atya hagyatékának szisztematizálását állítja szembe a dialektika nyitottságával, másfelől a mozgalmi szükségletek tudománnyal szembeni eluralkodását látja érvényre jutni az oroszországi recepció során. Amikor is a társadalmi lét sajátlagos objektivitását a természettudományos megismerés szükségszerűségei vették át, á la Kautsky – szemben Antonio Gramsci korabeli törekvéseivel.

Bevezetés
A világra kevesen gyakoroltak olyan megrendítő hatást, mint Karl Marx. Bár halálát nagy csend övezte, életművének jelentősége meglepően rövid idő elteltével a történelemben szinte példátlan elismertséget nyert. Rá hivatkoztak Detroit és Chicago munkásai éppúgy, mint az első indiai szocialisták Kalkuttában. A forradalom után Moszkvában összehívott bolsevik kongresszus alaphangját az ő szellemisége adta meg. Eszméi inspirálták a munkásság politikai és szakszervezeti mozgalmainak programját és szabályzatait Európától Sanghajig.

Gondolatai végérvényesen megváltoztatták a filozófia, a történelem és a közgazdaságtan irányát. Ám annak ellenére, hogy elméletét szerte a világon elismerik, mi több, munkája a XX. század folyamán az emberiség jelentős része számára domináns ideológiává és állami doktrínává is vált, és írásai széles körben hozzáférhetők, még mindig nem áll rendelkezésünkre műveinek korszerű, csonkítatlan és tudományos alaposságú kiadása. Az emberiség legjelentősebb gondolkodói közül Marx az egyetlen, akinek a művei erre a sorsra ítéltettek.

E sajátos helyzet legfőbb oka főképpen Marx oeuvre-jének alapvetően befejezetlen jellege. Az 1848 és 1862 között írt újságcikkektől eltekintve, melyek jórészt a New York Tribune című lapban – a korszak egyik legjelentősebb napilapjában – láttak napvilágot, az életében publikált munkáinak száma viszonylag alacsony volt, szemben a csak részben befejezett művekkel, illetve az óriási mennyiségű kutatási és jegyzetanyaggal. Jellemző, hogy amikor 1881-ben (tehát Marx életének vége felé) Karl Kautsky felvetette Marxnak, hogy szükség volna művei teljes kiadására, Marx így válaszolt: „Először is meg kéne írni őket.” 1

Marx jóval több kéziratot hagyott hátra, mint amennyit megjelentetett. Ellentétben a közkeletű elképzeléssel, oeuvre-je töredékes, időnként egymásnak ellentmondó elemekből áll, s életművének ez az aspektusa ékes bizonyítéka egyik sajátos vonásának: a befejezetlenségnek. A szélsőségesen rigorózus módszer és a könyörtelen önkritika szinte lehetetlenné tette, hogy elkezdett műveinek többségét befejezze; a mélységes nyomor, az állandó betegségek, melyek egész életében kínozták; csillapíthatatlan szomja az új ismeretek befogadására semmit sem csökkent az évek múlásával, újabb meg újabb kérdések tanulmányozásához vezetett; és végül az utolsó éveiben megerősödött felismerése, hogy a történelem komplexitását szinte lehetetlen az elméleti megközelítés keretei közé zárni, egész intellektuális művének, mi több, magának az életének is elválaszthatatlan társává és átkává tette a befejezetlenséget. Egy kis részt leszámítva életművének kolosszális terve nem vált kézzelfogható valósággá. Szüntelen intellektuális erőfeszítései a megformálás sikertelenségébe fulladtak.

Ám mindezek ellenére sem állíthatjuk, hogy életműve kevésbé volna zseniális, vagy hogy elképesztő szellemi hordereje kevésbé lenne termékenyítő hatású. 2 Annak ellenére, hogy Marx hagyatéka töredékes jellegű, s hogy a szerző ösztönösen idegenkedett egy szisztematikus társadalmi doktrína kidolgozásától, a befejezetlen művet később szétzilálták, és helyébe új rendszer, a „marxizmus” lépett.

Marx és a marxizmus: töredékesség versus rendszerezés
Marx halála után 1883-ban Friedrich Engels volt az első, aki annak az elképesztően nehéz feladatnak szentelte magát (hiszen az anyag rendezetlen volt, a megfogalmazás sokszor homályos, a kézírás olvashatatlan), hogy barátja hagyatékát rendszerezze és kiadja. Engels elsődlegesen az eredeti anyagok rekonstrukciójára és válogatására, illetve a publikálatlan és töredékes szövegek kiadására törekedett, és ezzel egyidejűleg a korábban már megjelent szövegeknek az újbóli kiadására és fordítására vállalkozott.

Még ha akadtak is kivételek – mint például aTézisek Feuerbachról című mű, mely 1888-ban a Ludwig Feuerbach és a klasszikus német filozófia vége című kötet függelékeként jelent meg, továbbá A g othai program kritikája, amelyet 1891-ben adtak ki -, Engels szinte kizárólag A tőke befejezésére koncentrálta kiadói erőfeszítéseit, mivel e nagy műből csak az első kötet látott napvilágot Marx életében. Engels e vállalkozásának, mely több mint egy évtizedig tartott, az volt a kimondott célja, hogy „összefüggő és a lehetőségekhez képest teljes művet” 3 hozzon létre. Így szerkesztői tevékenysége során Engels a távolról sem végleges és egymástól gyökeresen különböző szövegek válogatását végezte el, és attól a céltól vezérelve, hogy az egész anyagot egységesítse, nem pusztán rekonstruálta A tőke második és harmadik kötetének genezisét és fejlődését (melyek igen távol voltak a végleges formától), hanem a kiválogatott részleteket egységesítve befejezett, kész kötetekként adta át a kiadónak.

Ám Engels saját írásaival már korábban is közvetlenül hozzájárult a hagyaték elméleti rendszerezéséhez. Az 1879-ben megjelent Anti-Dühring, amely szerinte „a Marx által és általam képviselt dialektikus módszernek és kommunista világnézetnek többé-kevésbé összefüggő kifejtésébe csapott át”, 4 döntő hivatkozási pontja lett a „marxizmusnak” mint rendszernek a megteremtése során, valamint a világban akkorra már széles körben elterjedt eklektikus szocializmusról való leválasztásakor. A szocializmus fejlődése az utópiától a tudományig még nagyobb jelentőséggel bírt: az először 1880-ban publikált mű az Anti-Dühring három fejezetének átdolgozása volt, kimondottan népszerűsítő célokat szolgált, és A Kommunista Kiáltványhoz hasonló népszerűségre is tett szert a későbbiekben.

Még ha egyértelmű különbség volt is az ilyesfajta népszerűsítő munkák – melyeket az enciklopédikus szintézisnek a végtelenségig leegyszerűsítő rövidítéseivel szembeni nyílt polémia eszközeként használtak – és a német szociáldemokrácia következő generációja által elfogadott populáris művek között, Engelsnek a természettudományokra való hivatkozása utat nyitott a szociáldarwinizmus evolucionista elméletének, melyet a munkásmozgalom nem sokkal később magáévá is tett. Marx elmélete kétségtelenül kritikus és nyitott rendszer, mely néha enged bizonyos determinisztikus csábításoknak, ám a XIX. századi Európa kulturális klímájába került bele: ezt a kultúrát korábban soha nem tapasztalt mértékben hatotta át a szisztematikus elméletek iránti igény; az ilyen típusú elméletek között a darwinizmus volt a legnépszerűbb. Hogy megfelelő választ adjon erre a kihívásra, az újszülött marxizmus, mely a Kautsky szerkesztette Die Neue Zeit című folyóirat hasábjain koravén ortodoxiává érett, gyorsan alkalmazkodott ehhez a modellhez.

Meghatározó tényezőnek bizonyult, hogy ebben – a Marx műveit rendszerré alakító – folyamatban milyen módszereket alkalmaztak az elmélet terjesztésére. Előszeretettel jelentettek meg szintézisre törekvő könyvecskéket és tendenciózus, tömör kivonatokat, amint azt jól mutatják Marx művei korabeli kiadásainak adatai is. Mi több, néhány munkája egyre inkább a politika eszközévé vált; a szerkesztők mindig alakítottak rajtuk egy kicsit, úgyhogy valahányszor új kiadásban jelentek meg Marx művei, egyre jobban különböztek az első kiadástól.

Ez a gyakorlat, melyre Marx hagyatékának töredékessége adott lehetőséget, a továbbiakban egyre gyakrabban társult Marx néhány művének cenzúrázásával. Az a kézikönyv, amely Marx elméletét világszerte hatékonyan vitte közel az olvasókhoz, s amely egyben nagyon erőteljes propagandaeszköz is volt, elkerülhetetlenül vezetett oda, hogy Marx eredeti koncepciója lényegileg átalakult. Ezt a kompletté gyúrt és megcsonkított, a pozitivizmussal kacérkodó marxi művekből származtatott anyagot abból a célból terjesztették, hogy a proletár párt gyakorlati szükségleteit szolgálja; ez az átszabás azonban elméletileg olyannyira elszegényítette és vulgarizálta az eredeti anyagot, 5 hogy a végén már szinte nem is hasonlított eredeti önmagára, és Kritikből Weltansschauunggá (világszemléletté) alakult át.

Ezen folyamatok eredményeképpen egyfajta szisztematikus doktrína öltött testet, amolyan kezdetleges evolucionista világmagyarázat, megspékelve egy kis gazdasági determinizmussal: ez volt a II. Internacionálé (1888-1914) marxizmusa. A történelem automatikus előrehaladásába vetett szilárd, bár naiv meggyőződés vezette, és az az elvitathatatlan hit, hogy a kapitalizmust a szocializmus váltja fel; ebből logikusan következett, hogy ez az elmélet nem tudta értelmezni az aktuális fejleményeket, és miután elszakította a forradalmi gyakorlathoz fűződő szükségszerű kapcsokat, egyfajta fatalista kvietizmusban csúcsosodott ki, amely hozzájárult a fennálló rendszer stabilitásához. 6 Ilyenformán ez a doktrína Marx elméletétől fényévnyi távolságra került; ő ugyanis már első munkájában kijelentette, hogy „ a történelem semmit sem tesz […]; nem a »történelem« az, amely az embert eszközül használja fel a maga céljainak keresztülvitelére – mintha a történelem valamilyen különálló személy volna -, hanem a történelem nem egyéb, mint a maga céljait követő ember tevékenysége”. 7

A század vége felé a válságelméletet [Zusammenbruchstheorie] vagy a burzsoá-kapitalista társadalom küszöbönálló bukásáról szóló elméletet, melynek leglátványosabb kifejeződése az 1873 után kibontakozó, húsz éven át tartó nagy gazdasági válság volt, a tudományos szocializmus alapvető lényegének nyilvánították. Marx állításait, melyek a kapitalizmus dinamikus alapelveit, illetve még általánosabban a princípiumokon belül tapasztalható fejlődési tendenciákat 8 szándékoztak felvázolni, olyan örökkévaló történelmi törvényekké formálták át, melyekből le lehetett vezetni a történelmi események alakulását, mi több, egyes konkrét részleteket is.

Az ellentmondásos, végnapjait élő kapitalizmus eszméje, melynek sorsa az automatikus összeomlás, kitapinthatóan jelen volt egy politikai párt első, tisztán „marxista” platformjának, az erfurti programnak az elméleti alapjaiban és Kautsky kommentárjában, melyben bejelentette, hogy a „kérlelhetetlen gazdasági fejlődés a természeti törvények szükségszerűségével vezet el a kapitalista termelési mód összeomlásához. A jelenlegi helyett egy új társadalmi forma megteremtése többé már nem pusztán kívánatos, hanem mára elkerülhetetlenné vált.” 9 Ez a legtisztább és legszignifikánsabb kifejeződése volt a korszakban érvényesülő koncepció lényegi korlátainak, de annak is, hogy milyen messzire került ez a koncepció attól az embertől, akinek a gondolatait kiindulópontnak használták.

Még Eduard Bernstein is, aki a szocializmust nem mint szükségszerűséget, hanem mint lehetőséget fogta fel, vagyis aki szakított a kortárs marxi interpretációkkal, Marxot hasonlóan erőltetetten értelmezte, s ez a felfogás ténylegesen nem különbözött a korszakban tapasztalható többi interpretációtól. A széles körben ismertté vált Bernstein-vita révén hozzájárul egy olyasfajta Marx-kép kialakulásához, mely ugyancsak hamis és mesterséges volt. Az orosz marxizmus, mely a huszadik század folyamán meghatározó szerepet játszott Marx nézeteinek népszerűsítésében, a korábbinál is nagyobb hévvel követte a szisztematizálás és vulgarizálás eme pályáját.

S valóban, az orosz marxizmus legformátumosabb úttörője, Georgij Plehanov számára „a marxizmus teljes világkép”, 10 melyet egyszerűsítő monizmus jellemez, s melynek alapján a társadalom struktúrák feletti átalakulásai a gazdasági változásokkal egyidejűleg mennek végbe. V. I. Lenin 1909-es Materializmus és empiriokriticizmus című művében a materializmust úgy definiálja, mint ami „a természet objektív törvényszerűségének és e törvényszerűség az ember fejében való körülbelül hű visszatükrözésének felismerése”. 11 Az emberiség akaratának és tudatának „kétségtelenül és szükségképpen” 12 alkalmazkodnia kell a természet szükségszerűségeihez.

Az ekkoriban zajló durva ideológiai konfliktusok ellenére a II. Internacionáléra jellemző elméleti vonások többsége tovább élt a III. Internacionálé kulturális mátrixát meghatározó elemekben. Ez a kontinuitás egyértelmű kifejezést nyert Nyikolaj Buharin 1921-ben kiadott, A történelmi materializmus elmélete című művében, mely szerint „a természetben és a társadalomban meghatározott rendszeresség, állandó természeti törvény érvényesül. E természeti törvény meghatározása a tudomány elsődleges feladata.” 13 Ez a társadalmi determinizmus, mely egészében a termelőerők fejlődésére koncentrált, azt a doktrínát eredményezte, mely szerint „az okok sokszerűsége, melyek a társadalomban éreztetik hatásukat, a legkevésbé sem mondanak ellent annak, hogy a társadalmi fejlődésnek egyetlen törvénye létezik”. 14

Ezzel a nézettel fordult szembe Antonio Gramsci, aki szerint a „kérdésfelvetés[e] (törvények, állandó, szabályos, egyforma irányvonalak keresése) azzal a – kissé gyermekes és naiv módon értelmezett – következménnyel kapcsolatos, hogy végérvényesen megoldják a történelmi események előreláthatóságának gyakorlati problémáját”. 15 Gramsci egyértelműen elutasítja, hogy Marx praxisfilozófiáját puszta szociológiára csupaszítják le, hogy „egy világnézetet mechanikus formagyűjteményre redukálnak, amely azt a látszatot kelti, mintha az egész történelem a zsebében volna”, 16 s ez az egyértelmű elutasítás annál is fontosabb volt, mert túllépett Buharin szövegén, és elmarasztalta ezt az általános tendenciát, mely később -példátlan módon – uralkodóvá vált a Szovjetunióban.

A Marx gondolatait eltorzító folyamatra a koronát a marxizmus-leninizmus „megteremtése” tette fel. Megfosztva azon funkciójától, hogy a cselekvés vezérfonala legyen, az elmélet ilyenformán a posteriori igazolássá degradálódott. Amikor napvilágot látott a „dialmat” (Dialekticseszkij materializm), mint „a marxista-leninista párt világnézete”, 17 akkor már nem volt visszaút. Sztálinnak az 1938-ban kiadott, A dialektikus és a történelmi materializmusról című, számtalan kiadást megért brosúrája kijelölte ennek a doktrínának az alapvető elemeit: a közösségi lét jelenségei, a „társadalmi fejlődés szükségszerű törvényei” „tökéletesen felismerhetők”, és „a társadalom története szükségszerű társadalmi fejlődésként nyilvánul meg, és a társadalom történetének tanulmányozása tudománnyá lesz”. Ez „azt jelenti, hogy a társadalomtörténet tudománya a társadalmi élet minden bonyolult jelensége ellenére éppen olyan egzakt tudomány lehet, mint például a biológia”, 18 és hogy, a fentiek következtében, a proletariátus pártjának az a feladata, hogy tevékenységét ezen alapok ismeretében végezze.

Szembeszökő, ahogy a „tudományos” és a „tudomány” koncepciójának félremagyarázása eljutott egészen eddig a pontig. Marx végtelenül alapos és koherens elméleti kritériumokon nyugvó módszerének tudományossága helyébe a természettudományok módszerei léptek, melyek az ellentmondásnak mint olyannak nem adtak teret. Végül megfogalmazódott a történelmi törvények objektivitásának babonája, mely szerint ezek a törvények az emberi akarattól függetlenül működnek, akárcsak a természeti törvények.

A fentebb vázolt ideológiai katekizmus ugyanakkor tág teret biztosított a legmerevebb és legszigorúbb dogmatizmusnak. A marxista-leninista ortodoxia szigorú és merev monizmusra alapozott, s ennek elképesztően visszás hatása volt Marx műveire. Kétségtelen tény, hogy a szovjet forradalom révén a marxizmus mind társadalmilag, mind földrajzilag azokhoz a széles közegekhez is eljutott, ahonnan korábban ki volt rekesztve. Ám hangsúlyoznunk kell, hogy a marxizmus címén terjesztett szövegek többsége brosúra, párt-kézikönyv, különböző témájú „marxista” antológia volt, s kevésbé magának Marxnak az írásai.

Ráadásul egyre több szövegét cenzúrázták, illetve egyes írásait szétszedték és átalakították: divatba jött például az a módszer, hogy céltudatosan válogatott, a szövegösszefüggésekből kiemelt idézetgyűjteményeket szerkesztettek Marx szövegeiből. Ehhez az eljáráshoz azért folyamodtak, mert műveiben előre meghatározott következtetésekhez kerestek igazolást, és a kiválasztott szövegeket olyanformán kezelték, mint ahogy Prokrusztész bánt el az áldozataival: ha túl hosszúak voltak, akkor megcsonkították őket; ha meg túl rövidek, akkor hozzátoldottak egy keveset.

Persze, tudjuk, milyen nehéz megvalósítani egy gondolatkör népszerűsítését úgy, hogy közben elkerüljük a sematizálást, hogy úgy vigyük végbe egy bonyolult elmélet széles körű megismertetését, hogy közben elméletileg ne üresedjen ki, és azt is tudjuk, hogy Marx művei esetében ez a feladat még a szokásosnál is nehezebb. Ám ami vele és gondolataival történt, annál elképzelni sem lehet rosszabbat. A legkülönbözőbb szempontoknak megfelelően eltorzítva s az esetleges politikai céloknak alárendelve elméletét lezüllesztették és megmásították. A kritikai szemléletű eredeti művet a Bibliához hasonlóvá tették, és úgy is használták. Az így keletkezett szövegmagyarázatokból a legképtelenebb paradoxon született meg.

Elméletének ezek az átalakítói figyelmen kívül hagyták szavait, melyben óva intett attól, hogy elméletét úgy olvassák, mint „recepteket […] a jövendő lacikonyhája számára”. 19 A figyelmeztetést olyannyira nem fogadták meg, hogy Marxnak, mint afféle „törvénytelen apának”, a nyakába varrták az újonnan formálódott társadalmi rendszert. Ő, aki munkájával mindig rigorózusan kritikus volt, következtetéseivel viszont mindig elégedetlen, utóéletében a legmakacsabb doktrinerség forrásává torzult. Eszméit, melyek a történelem materialista koncepciójába vetett szilárd hiten alapulnak, minden más filozófus gondolatrendszerénél jobban kiszakították történelmi összefüggéseiből.

Azt a meggyőződését, hogy a „munkásosztály felszabadítását magának a munkásosztálynak kell kivívnia”, 20 teljesen kiforgatták, éppen ellenkezőjére változtatták, s olyan ideológiát varrtak Marx nyakába, amely a politikai élcsapatok és a párt vezető szerepét abban látták kifejeződni, hogy ők az osztálytudat elsődleges fenntartói és a forradalom vezetői. Marxot, aki annak az eszmének volt az elkötelezett képviselője, hogy az emberi teljesítmény kibontakozásának alapvető feltétele a munkaidő csökkentése, most a sztahanovista termelés mániákus krédójához igazították. Őt, aki meggyőződéssel hirdette az állam felszámolásának szükségességét, most az állam védőbástyájaként szerepeltették.

Azt a gondolkodót, aki olyan mély érdeklődést tanúsított az emberi személyiség szabad kibontakozása iránt, és aki tiltakozott a burzsoá jogrend ellen, mondván, az a puszta jogegyenlőség mögé rejti a társadalmi egyenlőtlenséget, és aki azt mondta, hogy „A jognak nem egyenlőnek, hanem ellenkezőleg, egyenlőtlennek kellene lennie”, 21 olyan koncepcióba erőltették bele, amely a társadalmi élet kollektív dimenzióinak végtelen gazdagságát a homogenizálás homályába taszította. Marx kritikai munkásságának eredeti befejezetlensége áldozatul esett az epigonok rendszerezési kényszerének, s ezek az epigonok kérlelhetetlenül addig lúgozták gondolatait, amíg azok teljesen feloldódtak és önnön ellentétükké váltak.

Marx és Engels művei kiadásának odüsszeiája
„Vajon Marx és Engels írásait […] a maguk teljességében elolvasta-e valaha akárki is, a közeli barátok és tanítványok szűk körén, valamint magukon a szerzőkön kívül?” – tette fel a kérdést Antonio Labriola 1897-ben Marxnak és Engelsnek azokkal a műveivel kapcsolatban, melyek akkoriban ismertek voltak. Következtetései egyértelműek voltak: „Szemmel látható, hogy mind ez idáig csak a beavatottak privilégiuma, hogy a tudományos szocializmus alapítóinak összes írását elolvassák”; „a történelmi materializmust egy sor mellébeszélés, félremagyarázás, groteszk torzítás, furcsa félreértelmezések és megalapozatlan kitalációk révén” 22 terjesztik. Valóban, mint később a historiográfiai kutatások igazolták, az a korabeli általános vélekedés, hogy Marxot és Engelst sokan olvassák, a legendák köré tartozó tévhit volt. 23 Éppen ellenkező volt a helyzet: sok szövegüket csak nagyon nehezen lehetett elérni, illetve nagyon ritkán adták ki őket még az eredeti nyelven is. Az olasz tudós javaslata, hogy szervezzék meg „Marx és Engels minden munkájának teljes és kritikai kiadását”, megkerülhetetlen szükségszerűség volt.

Labriola úgy gondolta, nem kell az antológiák összeállítása, mint ahogy nincs szükség a testamentum juxta canonem receptum felvázolására sem. Ehelyett „a kritikai szocializmus két alapítójának minden politikai és tudományos tevékenységét, minden irodalmi termékét, legyenek bár alkalmiak, az olvasók rendelkezésére kell bocsátani […], mert ezek közvetlenül szólnak azokhoz, akiknek igényük van a befogadásukra”. 24 Labriola terve több mint egy évszázaddal annak megfogalmazása után sem valósult még meg.

A filológiai értékelésen túl Labriola még egyéb, meglepő éleslátásról tanúskodó elméleti jellegű javaslatokat is tett – s éleslátása különösen meglepő, ha összevetjük véleményét a kortársaiéval. Szerinte Marx és Engels minden befejezetlenül maradt műve „töredéke annak a tudománynak és politikának, amely az állandó keletkezés állapotában van”. Annak érdekében, hogy ne keressünk a munkákban „olyasmit, ami nincs bennük, és nem is kellene hogy bennük legyen”, vagy éppen „a mindenkori történelem magyarázatának vulgáris változatát és szabálykönyvét”, csak akkor lehet e műveket teljes egészükben megérteni, ha keletkezésük pillanatába és helyére helyezzük őket vissza. Másrészt, mondta Labriola, azok, akik „a gondolatot és tudást nem folyamatában értelmezik”, „a doktrinerek és a legkülönfélébb öntelt emberek, akik nem tudnak bálványok nélkül létezni, az örökkévalóságig érvényes klasszikus rendszerek kiagyalói, a kézikönyvek és enciklopédiák összeállítói hiába keresik a marxizmusban azt, amit soha nem is szándékozott nyújtani senkinek sem”: 25 vagyis a történelmi problémák összefoglaló, pontos, egyértelmű megoldását.

Az opera omnia megvalósításának természetes végrehajtója csak és kizárólag a Sozialdemokratische Partei Deutschlands lehetett volna, a Nachlaß őrzője, hiszen e párt tagjai rendelkeztek a legjelentősebb elméleti és nyelvi kompetenciával. Ugyanakkor azonban a szociáldemokrácián belül mutatkozó konfliktusok nemcsak hogy megakadályozták a nagy tömegű, kiadatlan Marx-írások publikálását, hanem a kéziratok szétszóródásához vezettek, s ezzel a rendszeres kiadás lehetőségét is megakadályozták. 26 Hihetetlen, de igaz, hogy a német párt egyáltalán nem törődött ezzel, s irodalmi hagyatékukat a lehető legnagyobb gondatlansággal kezelték. 27 Egyetlen teoretikusuk nem akadt, aki leltárba vette volna a két alapító elméleti hagyatékát. De nem foglalkoztak a levelezés összegyűjtésével sem, mely annyira szétszórt, mint amennyire kiterjedt volt, pedig nyilvánvaló, hogy nagyon hasznos forrásai lehetnek sok kérdés tisztázásának, mi több, sok esetben maguknak a műveknek a folytatásai.

A teljes életmű első kiadására, a Marx-Engels Gesamtausgabe (MEGA) megjelentetésére csak az 1920-as években került sor a moszkvai Marx-Engels Intézet igazgatójának, David Boriszovics Rjazanovnak a kezdeményezésére. Ám ez a vállalkozás is megfeneklett a nemzetközi munkásmozgalom zűrzavaros eseményein; e mozgalom gyakrabban állított akadályokat a kiadás útjába, mint ahányszor támogatta. A Szovjetunióban zajló koncepciós perek, melyek sajnos érintették a kiadáson dolgozó tudósokat is, illetve Németországban a nácik hatalomra kerülése miatt a kiadás munkálatai korán megszakadtak. 28 Ilyen ellentmondásos produktumot eredményezett az a merev ideológia, mely ihletét egy részben még tulajdonképpen feltáratlan életműből merítette. A marxizmus megerősítése és kikristályosodása, mint egyfajta dogmatikus corpus, hamarabb végbement, mint azoknak a szövegeknek a megismerése, melyeket Marx eszméi kialakulásának és fejlődésének megértéséhez meg kellett volna ismerni. 29 A MEGA-ban a korai művek közül csak 1927-ben látott napvilágot például A hegeli jogfilozófia kritikájához, 1932-ben az 1844-ben íródott Gazdasági-filozófiai kéziratok és A német ideológia.

Ahogyan az korábban már A tőke második és harmadik kötetével megtörtént, ezeket az írásokat is úgy publikálták, mintha önálló művek volnának; s mint később kiderült, ez volt a forrása számos további interpretációs félreértésnek. Még később látott napvilágot néhány, A tőkét előkészítő fontos mű: 1933-ban jelent meg a vázlatos fejezet: A közvetlen termelési folyamat eredményei, illetve 1939 és 1941 között A politikai gazdaságtan bírálatának alapvonalai, ismertebb nevén a Grundrisse, de ezek is kimondottan alacsony példányszámban. Ráadásul ezek a korábban nem publikált írások, a többi, ezeket követő művekhez hasonlóan, amikor végre megjelenhettek – vagyis amikor nem tartottak attól, hogy a szövegek aláássák az uralkodó ideológiai kánont -, olyan interpretációs körítést kaptak, mely a közvetlen politikai szükségletet igyekezett kielégíteni. A predeterminált interpretációkhoz őket igazoló kiegészítéseket fűztek, és ezzel hosszú időre megakadályozták Marx műveinek komoly újraértékelését.

Marx és Engels összes műveinek első orosz kiadására 1928 és 1947 között került sor a Szovjetunióban: ez a Szocsinenija (összes művek). A cím ellenére a gyűjtemény csak az életmű részleteit tartalmazta, de ezzel együtt is a (33 kötetben) napvilágot látott 28 mű akkoriban a két szerző mennyiségi értelemben legteljesebb kiadása volt. A második Szocsinenija, melyet 1955 és 1966 között adtak ki, 39 művet ölelt fel (42 kötetben). 1956-tól 1968-ig a Német Demokratikus Köztársaságban a Szocialista Egységpárt Központi Bizottságának kezdeményezésére Marx Engels Werke (MEW) címen 41 mű jelent meg 43 kötetben. Egy ilyen kiadás azonban, mely távolról sem volt teljes, 30 s melynek köteteit alaposan megterhelték a bevezető fejezetek és a jegyzetapparátus, a szovjet modell mintájára a marxizmus-leninizmus ideológiai szellemében kézen fogva kalauzolták az olvasót.

Egy újabb, második MEGA kiadásának terve az 1960-as években merült fel, s célja a két gondolkodó minden munkájának szöveghű és kiterjedt kritikai apparátussal ellátott publikációja volt. Sajnos azonban az 1975-ben megkezdett kiadás szintén félben maradt az 1989-es történelmi változásokat követően. 1990-ben a kiadás folytatása érdekében az amszterdami Internationaal Instituut voor Sociale Geschiedenis és a trieri Karl Marx Haus együttesen létrehozták az Internationale Marx-Engels-Stiftung (IMES) nevű intézményt. Az újjáalakulás nehézkes korszakát követően, amikor is megállapodás született az új kiadói elvekről, és a Dietz Verlag helyébe az Akademie Verlag lépett, 1998-ban újraindult az ún. MEGA2 sorozata.

A pesszimista előrejelzésekkel ellentétben, melyek érdektelenséggel számoltak, Marx újra elnyerte a nemzetközi tudóstársadalom érdeklődését. Gondolatainak értékét sokan újra felismerték; az európai, az egyesült államokbeli és a japán könyvtárak polcain található írásairól újra lefújják a port. Ennek az újrafelfedezésnek az egyik legszámottevőbb példája éppen a MEGA2 kiadása. A teljes projekt, melyben a legkülönfélébb szaktudományos érdeklődésű, a világ számos országából érkezett tudósok vesznek részt, négy szekcióban zajlik: az első az összes művel, cikkel és vázlattal foglalkozik – A tőké t kivéve; a második A tőke és az 1857-tel kezdődött előtanulmányok kiadását készíti elő; a harmadik feladata a levelezés rendszerezése; míg a negyedik a szemelvényekkel, kommentárokkal és széljegyzetekkel foglalkozik.

A tervezett 114 kötetből már 53 napvilágot látott (13 az 1998-as újraindulás óta), melyek mindegyike két kötetből áll: a szövegből, illetve a hozzá tartozó kritikai apparátusból, mely tartalmazza a tárgymutatókat és jegyzeteket. 31 Akkor érthetjük meg, hogy ennek a vállalkozásnak milyen óriási a jelentősége, ha arra gondolunk, hogy Marx kéziratainak jó része, terjedelmes levelezése és azoknak a kivonatoknak és jegyzeteknek az elképesztő mennyisége, melyeket szokása szerint olvasás közben készített, korábban még soha nem voltak elérhetők az olvasók számára. 32

Joggal merül fel a kérdés: milyen új Marx-kép alakul ki az új történeti-kritikai kiadás nyomán. Kétségtelen, hogy ez a most megmutatkozó, valóságos Marx különbözik a legtöbb követője és ellenfele fejében kialakult Marx-képtől. Írásai megismertetésének bonyolult feladata és művei egységes kiadásának hiánya, melyhez társultak még az eddigi kiadások alapvető hiányosságai, az epigonok hitvány munkája, a tendenciózus olvasatok és az ennél is nagyobb számú hibás interpretációk: mindezek együttesen eredményezik az óriási paradoxont: Karl Marx félreértett szerző, aki mélységes és szinte általánosnak tekinthető hozzá nem értés áldozata lett. 33 A kőbe faragott istenként a korábbi, antiliberális kelet-európai rendszerek számos terén ott díszelgő, Marxot ábrázoló szobrok dogmatikus bizonyossággal a jövőbe mutató figuraként ábrázolták, ezzel szemben ma olyan szerzőnek látjuk, aki írásainak nagy részét nem fejezte be, mert egészen haláláig további tanulmányokat folytatott annak érdekében, hogy téziseinek minél alaposabb tudományos hátteret biztosítson.

Műveinek újrafelfedezése végtelenül gazdag, problematikus és polimorf gondolatrendszert és gondolati horizontot vetít elénk; tágas térségeinek feltárásához számtalan ösvényt kell még a Marx Forschungnak (Marx kutatásának) bejárnia.

Marx, az a „döglött oroszlán”
Elméleti viták vagy politikai események mindig is jelentősen befolyásolták a Marx művei iránt tanúsított érdeklődést, és már a kezdetektől kétségtelenül voltak olyan periódusok, amikor az irántuk mutatkozó érdeklődés megcsappant. A „marxizmus válságától” a II. Internacionálé feloszlatásáig, az értéktöbblet-elmélet korlátairól folytatott vitáktól a szovjet kommunizmus tragédiájáig Marx elméletének bírálata jól érzékelhetően mindig túlmegy a mű konceptuális horizontján. Ugyanakkor mindig tapasztalható volt egy másik tendencia is, melynek jelszava a „visszatérés Marxhoz”.

Mostanában, úgy tűnik, újra felfutóban van e jelenség; ismét jelentkezik az igény, hogy műveire hivatkozzanak, s a politikai gazdaságtan bírálatától az elidegenedés megfogalmazásáig vagy a briliáns stílusban megírt, szellemes politikai vitairatokig művei ellenállhatatlan varázserőt gyakorolnak követőire és ellenfeleire egyaránt. Mindazonáltal, a század végén, amikor már teljes egyetértés uralkodott abban a kérdésben, hogy Marx eltűnt a történelem süllyesztőjében, hirtelen újra a történelem színpadán termett.

Miután megszabadult az instrumentum regni gyűlöletes szerepétől, melynek a múltban ki volt szolgáltatva, s megszabadult a marxizmus-leninizmus láncaitól, melyhez bátran kijelenthetjük, nincs semmi köze, Marx elméleti munkája újabb területeket hódított meg, és újra olvassák szerte a világon. Értékes elméleti hagyatékának teljes, pontos megismerése, önhitt bitorlóktól való visszavétele és elmélete alkalmazási korlátainak felszámolása ismét lehetővé vált. Ám ezzel együtt is igaz: ha Marx már nem is azonosítható a huszadik századi szürke „létező szocializmus” kőbe vésett szfinxével, ugyancsak hiba volna azt hinni, hogy elméleti és politikai hagyatéka olyannyira csak a múlthoz kapcsolódik, hogy már nincs semmi mondanivalója a jelen konfliktusairól, és nagy hibát követnénk el, ha gondolatrendszerét mumifikálódott, a múltban ragadt klasszikus elméletnek tekintenénk, melynek ma semmi jelentősége nincs, illetve ha mégis, akkor kizárólag a tudomány specialistái profitálhatnak belőle.

A Marx iránt mutatkozó érdeklődés megújulása jócskán túlnyúlik a tudósok szűk körén, akárcsak azok a roppant jelentős filológiai kutatások, melyek a marxi életmű sokrétű jellegére mutatnak rá – tekintettel magyarázóinak nagy számára. Marx újrafelfedezésének alapot ad a nagy gondolkodó azon szívós és kitartó erőfeszítése, hogy megmagyarázza a jelent: ennek megértésében és a jelen megváltoztathatóságának felismerésében Marx elmélete mindig is nélkülözhetetlen eszközünk marad.

A kapitalista társadalom válságjelenségeinek és a mély ellentmondásoknak, melyek e válságot kiformálják, a számbavételekor újra vissza kell térni ahhoz a szerzőhöz, akit 1989-ben elhamarkodottan félresöpörtek. Így Jacques Derrida kijelentése, hogy „mindenkor hiba lesz nem olvasni, nem újraolvasni és vitatni Marxot”, 34 ami még néhány évvel ezelőtt is legfeljebb csak elszigetelt provokációnak tűnt, mára széles körben helyeslésre talált. Az 1990-es évek vége óta az újságok, folyóiratok, televíziós és rádióműsorok folyamatosan vitákat tartanak arról, hogyan magyarázható az a jelenség, hogy Marxot tekinthetjük korunk legjelentősebb gondolkodójának. 35 1998-ban, megjelenésének 150. évfordulóján a Kommunista Kiáltványt a világ minden táján tucatnyi nyelven adták újra közre, és a méltatások nemcsak azt az érdemét emelték ki, hogy az emberiség történetében mindmáig ez a legtöbbet forgatott politikai szöveg, hanem arra is rámutattak az elemzők, hogy ez a mű a kapitalizmus fejlődési tendenciáinak legpontosabb, legelőrelátóbb vázlata. 36

Mi több, a Marxszal foglalkozó irodalom, amely gyakorlatilag eltűnt 15 évvel korábban, sok országban van újjászületőben, és a tanulmányok sora 37 mellett egyre több nyelven látnak napvilágot olyan könyvek, melyek azzal a kérdéssel foglalkoznak: Miért is tanácsos ma Marxot olvasni? Hasonló konszenzust figyelhetünk meg azon folyóiratok esetében is, melyek helyet adnak a Marx életművéről folyó vitáknak és a különböző marxizmusértelmezéseknek, 38 de joggal említhetjük itt a marxi elmélet vizsgálatának szentelt nemzetközi konferenciákat, egyetemi kurzusokat és szemináriumokat is. Végül, ha mégoly bátortalanul és gyakran zavaros formában is, az alternatív globalizációs mozgalmak közvetítésével Latin-Amerikától Európáig politikai értelemben is megélénkül a Marx művei iránti érdeklődés.

Mi maradt mára a marxi életműből?; mennyiben hasznosíthatók gondolatai az emberiség felszabadulásért folyó harcában?; életművének mely része a legtermékenyítőbb korunk folyamatainak bírálata szempontjából?; hogy lehetséges „meghaladni Marxot Marxszal együtt”? – íme néhány azon kérdés azok közül, melyek válaszra várnak, s melyek megítélése távolról sem egyértelmű. Ha van a jelenkori Marx-reneszánsznak biztos pontja, akkor az éppen abban a diszkontinuitásban ragadható meg, mely az előző korszak monolit ortodoxiáit jellemezte, s mely ortodoxiák korábban meghatározták és alapvetően korlátozták ennek a filozófusnak a megítélését. Annak ellenére, hogy vitathatatlanul léteznek bizonyos korlátok, és kétségtelenül fennáll a szinkretizmus kockázata, mégis elmondhatjuk: beköszöntött az a korszak, amely már sokféle Marxot ismer, és valóban, a dogmatizmus korszakát követően nem is lehet ez másképp. Az elméleti és gyakorlati kérdésekkel foglalkozó kutatás, a tudósok új nemzedékének és a politikai aktivistáknak a közös feladata, hogy ezekre a kérdésekre megtaláljuk a választ.

Az emberiség számára nélkülözhetetlen Marx-imázsok közül legalább kettőt fel kell idéznünk. Az egyik a kapitalista termelési mód kritikusának képe: annak az analitikus, éles szemű és fáradhatatlan kutatónak a képe, aki ösztönösen megérezte és globális szempontból elemezte a kapitalista fejlődés tendenciáit, és aki a polgári társadalmat mindenki másnál pontosabban írta le. Ő az a gondolkodó, aki elutasította, hogy a kapitalizmusra és a magántulajdonra mint kőbe vésett, az emberi természetben gyökerező, elkerülhetetlen történeti jelenségre tekintsen, és aki ma is lényegi javaslatokkal segíti azokat, akik a neoliberális gazdasági, társadalmi és politikai szervezetekkel szemben alternatívát kívánnak állítani.

A másik Marx-kép, amelynek szintén óriási a jelentősége napjainkban, a szocializmus teoretikusáé: hiszen Marx volt az a gondolkodó, aki elutasította az államszocializmus eszméjét, melyet Lassalle és Rodbertus már akkoriban támogatott; és ő volt az a gondolkodó, aki a szocializmust a termelési viszonyok átalakulása egyik lehetséges formájának tekintette, nem pedig a társadalmi problémákra adott cukormázas nyugtatószernek. Marx nélkül politikai afáziára ítéltetünk, és egyértelműnek látszik, hogy az emberiség emancipációjának ügye nem mehet előre az ő segítsége nélkül. Marx „szelleme” arra ítéltetett, hogy még jó sokáig kísértse a világot, és újra felrázza az emberiséget az apátiából.

Fordította: Baráth Katalin

References
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17. Joszif V. Sztálin: A dialektikus és a történelmi materializmusról. Budapest, Szikra, 1945.
18. Sztálin: i. m. 13-15.
19. Karl Marx: A tőke I. Utószó a második kiadáshoz. Budapest, Magyar Helikon, 1967, 21.
20. A Nemzetközi Munkásszövetség ideiglenes szervezeti szabályzata MEM. Budapest, Kossuth 16. kötet 12.
21. A gothai program kritikája MEM. Budapest, Kossuth 19. kötet, 19.
22. Antonio Labriola: Discorrendo di socialismo e filosofia, Scritti filosofici e politici. Ed. Franco Sbarberi. Einaudi, Turin, 1973, 667-669.
23. Marx életrajzának írói, Borisz Nyikolajevszkij és Otto Maenchen-Helfen helyesen állítják könyvük bevezetőjében, hogy „a sok ezer szocialista közül legfeljebb ha egy olvasott Marxtól gazdasági tárgyú munkát; a sok ezer antimarxistából pedig még egy sem akad, aki Marxtól bármit olvasott volna”. Vö. Karl Marx. Eine Biographie. Dietz, Berlin, 1976, VII.
24. Labriola: i. m. 672.
25. Uo. 673-677.
26. Vö. Maximilien Rubel: Bibliographie des œuvres de Karl Marx. Rivière, Paris, 1956, 27.
27. Vö. David Ryazanov: Neueste Mitteilungen über den literarischen Nachlaß von Karl Marx und Friedrich Engels. In Archiv für die Geschichte des Sozialismus und der Arbeiterbewegung. Hirschfeld, Leipzig, 1925. Lásd különösen: 385-386.
28. Rjazanovot elbocsátották, 1931-ben deportálták, a művek kiadása pedig 1935-ben megszakadt. Az eredetileg tervezett 42 könyvből mindössze 12 látott napvilágot (13 kötetben). Vö. Marx-Engels: Historisch-kritische Gesamtausgabe. Werke, Schriften, Briefe. A Rjazanov vezette Marx-Engels Intézet (1933-tól Moszkvai Marx-Engels-Lenin Intézet), szerk. David Ryazanov (1932-től Vladimir Adoratskij), Frankfurt am Main – Berlin – Moskau – Leningrad, Marx-Engels-Verlag, 1927-1935.
29. Vö. Rubel: i. m. 81.
30. A kiadás például nem terjedt ki az 1844-ben íródott Gazdasági-filozófiai kéziratokra vagy a Grundrissére; ezeket a műveket csak később csatoltak a sorozathoz. Ugyanakkor a más nyelveken megjelent analóg kiadások, mint például a magyar nyelvű, a MEW kötetein alapultak. Ennek a kiadásnak 2006-ban indult meg a reprint megjelentetése.
31. Részletes információk a MEGA2-ről a következő honlapon találhatók: www.bbaw.de/vs/mega
32. Vö. Marcello Musto: Karl Marx: a befejezetlenség egyetemleges bája (Marx-Engels-Gesamtausgabe). Eszmélet, 72 (2006), 96-99.
33. Az itt vázolt „marxista” félreértésektől nem állnak távol a liberálisok és konzervatívok „antimarxista” félremagyarázásai, mert azokat meg az előítéletes ellenséges érzület hatja át éppilyen mélységesen.
34. Jacques Derrida: Marx kísértetei. Pécs, Jelenkor, 1995, 23.
35. Az első, ilyen szellemben íródott elemzés, melynek bizonyos visszhangja támadt, John Cassidynek a „The return of Karl Marx” című cikke volt ( The New Yorker, 1997. október 20., 248-259.). Aztán jött a BBC, amely az évezred legjelentősebb gondolkodójává Marxot választotta. Néhány évvel később a Nouvel Observateur című hetilap egy teljes számot szentelt a következő témának: „Karl Marx – le penseur du troisième millénaire?” (Karl Marx – a harmadik évezred gondolkodója?), 2003. október 1. Nem sokkal később Németország fejezte ki elismerését az előtt a férfi előtt, aki annak idején negyven évnyi száműzetésre kényszerült: 2004-ben a ZDF, az egyik országos televíziós csatorna több mint 500 000 nézője Marxot nevezte minden idők harmadik legmeghatározóbb német személyiségének (ugyanakkor első helyezett lett a „jelenkori relevancia” kategóriában), és a legutóbbi politikai választások során (2005. augusztus 22-i számában) a híres képes újság, a Der Spiegel címlapjára tette Marx arcképét, amint győzelmi jelet mutat, s a képaláírás így szólt: „Ein Gespenst kehrt zurück” (Egy kísértet visszatér). E különös sorozatra a BBC 4-es csatornája által kezdeményezett 2005-ös közvélemény-kutatás tette fel a koronát. A kutatás során véleményüket nyilvánítók Marxot nevezték meg az angol hallgatók által legjobban tisztelt filozófusként.
36. Különösen Eric Hobsbawm: „Introduction” to Karl Marx-Friedrich Engels. In The Communist Manifesto. Verso, London, 1998.
37. Lehetetlen volna felsorolni azt a sok könyvet, amely az utóbbi évek során látott napvilágot, de itt és most felsoroljuk azokat, amelyek a legszélesebb körű és kimondottan jó kritikai fogadtatásban részesültek. Két új és népszerű életrajz irányította a figyelmet a trieri gondolkodó élettörténetére: Francis Wheen: Karl Marx. Budapest, Napvilág Kiadó, 2004; Jacques Attali: Karl Marx ou l’esprit du monde. Fayard, Paris, 2005.
Moishe Poistone könyve, a Time, Labour and Social Domination (CUP, Cambridge) 1993-ban, megjelenésekor szinte észrevétlen maradt, azóta viszont számtalan utánnyomást ért meg; akárcsak az a szöveg, melyet Terrell Carver írt: The Postmodern Marx (Manchester University Press, Manchester, 1998); és Michael A. Lebowitz: Beyond Capital. Palgrave, London, 2003 (2. kiadás), amelyek ugyancsak Marx elméletének egészen eredeti interpretációi.
Marx korai munkáinak elemzését adja egy nemrégiben kiadott könyv: David Leopold: The Young Karl Marx: German Philosophy, Modern Politics, and Human Flourishing. CUP, Cambridge, 2007.
A Grundrisse megírásának 150. évfordulójára jelenik meg majd Marx jelentős kéziratainak gyűjteménye, melyeket a legfontosabb nemzetközi Marx-kutatók tanulmánygyűjteménye kísér: Marcello Musto (szerk.): Karl Marx’s Grundrisse: Foundations of the Critique of Political Economy. Routledge, London – New York (megjelenés 2008-ban).
Fontos továbbá John Bellamy Foster írása, a Marx’s Ecology. Monthly Review Press, New York, 2000; és Paul Burkett: Marxism and Ecological Economics. Brill, Boston, 2006. Mindkettő a környezeti probléma felől közelíti meg Marxot.
Végezetül, mint a világszerte megnyilvánuló érdeklődés bizonyítékát, mindenképp meg kell említenünk a latin-amerikai elméleti szakember, Enrique Dussel ezen kérdéssel foglalkozó, jelentősebb művekből készített angol nyelvű fordítását: Towards an unknown Marx. Routledge, London, 2001; valamint a Hiroshi Uchida szerkesztésében kiadott, japán kutatók által készített elemzéseket tartalmazó Marx for the 21st century című könyvet (Routledge, London, 2006); akárcsak a kínai kutatók újabb generációjának elméleti fejlődését, akik egyre otthonosabban mozognak a nyugati nyelveken közölt irodalomban, és messze távolodtak a hagyományos dogmatikus marxizmustól.
38. A legjelentősebb elméleti folyóiratok között meg kell említenünk a következőket: a Monthly Review, aScience & Society, a Historical Materialism, aRethinking Marxism az angol nyelvű világban; a Das Argument, a Marx-Engels-Jahrbuch Németországban; az Actuel Marx Franciaországban; a Critica Marxista Olaszországban; és a Herramienta Argentínában.

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Marx in Paris

I. PARIS: Hauptstadt der neuen Welt
Paris ist ein «wunderbare[s] Ungeheuer, eine erstaunliche Verschlingung von Regungen, Maschinen und Gedanken, die Stadt der hunderttausend Romane, das Haupt der Welt»[1]. So beschrieb Balzac in einer seiner Erzählungen die Wirkung der französischen Hauptstadt auf alle, die sie nicht genau kannten.

In den Jahren vor der 1848er-Revolution war die Stadt bewohnt von Handwerkern und Arbeitern in ständigem politischem Aufruhr, Emigrantenkolonien, Revolutionären, Schriftstellern und Künstlern aus verschiedenen Ländern, und die soziale Gärung hatte eine Intensität erreicht, wie sie in wenigen anderen historischen Zeiten begegnet. Frauen und Männer mit unterschiedlichster geistiger Begabung publizierten Bücher, Zeitschriften und Journale, schrieben Gedichte, ergriffen in Versammlungen das Wort, diskutierten pausenlos in Cafés, auf der Straße, bei öffentlichen Banketten. Sie lebten an demselben Ort und beeinflussten sich wechselseitig [2].

Bakunin hatte beschlossen, ‘den Fuß über den Rhein zu setzen’, um «mit Einem Schlage mitten in den neuen Elementen [zu stehn], die in Deutschland noch gar nicht geboren sind. [Darunter in erster Linie] die Ausbreitung des politischen Denkens in alle Kreise der Gesellschaft» [3]. Von Stein meinte: «im Peuple selbst hatte ein eigenthümliches Leben begonnen, das neue Verbindungen erzeugte, auf neue Revolutionen sann» [4]. Ruge stellte fest: «Unsre Siege und unsre Niederlagen erleben wir in Paris» [5].

Paris war mit anderen Worten der Ort, an dem man sich in jenem präzisen historischen Moment aufhalten musste. Balzac bemerkte weiter: «kurz, die Pariser Straßen haben menschliche Eigenschaften und erregen durch ihr Aussehen bestimmte Vorstellungen in uns, gegen die wir nicht ankönnen»[6]. Viele dieser Vorstellungen machten auch auf Karl Marx großen Eindruck, der, fünfundzwanzigjährig, im Oktober 1843 in die Stadt gelangt war. Sie prägten seine intellektuelle Entwicklung zutiefst, die gerade während des Paris-Aufenthalts eine entscheidende Reifung durchmachte.

In die theoretische Offenheit, mit der Marx nach der journalistischen Erfahrung bei der Rheinischen Zeitung und nach seiner Abkehr vom Begriffshorizont von Hegels vernünftigem Staat und vom demokratischen Radikalismus nach Paris kam [7], traf die konkrete Begegnung mit dem Proletariat. Die Ungewissheit, die aus der schwierigen Atmosphäre der Zeit erwuchs, in der sich rasch eine neue sozialökonomische Wirklichkeit konsolidierte, schwand im Kontakt mit der Pariser Arbeiterklasse und ihren Arbeits- und Lebensbedingungen, mit denen Marx auf theoretischer Ebene wie in der Lebenserfahrung in Berührung kam.

Die Entdeckung des Proletariats und somit der Revolution; die Bejahung des Kommunismus, wenngleich noch in unbestimmter, halbutopischer Form; die Kritik an Hegels spekulativer Philosophie und an der hegelschen Linken; der erste Entwurf der materialistischen Geschichtsauffassung und die Anfänge einer Kritik der politischen Ökonomie – dies sind die Grundthemen, die Marx in jener Zeit entwickelte. In den nachstehenden Ausführungen werden die [Ökonomisch-philosophischen Manuskripte] [8], die während seines Paris-Aufenthalts entstanden, mit Blick auf die mit ihnen verknüpften philologischen Fragen untersucht, während die kritische Interpretation seiner berühmten Jugendschrift gewollt ausgespart wird.

II. DER WEG ZUR POLITISCHEN ÖKONOMIE
Schon während der Mitarbeit an der «Rheinischen Zeitung» hatte Marx sich mit einzelnen ökonomischen Fragen befasst, wenngleich stets vom juristischen und politischen Standpunkt. Daraufhin gelangte er in den 1843 in Kreuznach entwickelten Gedanken, aus denen das Manuskript [Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie] hervorging, zur ersten Formulierung der Relevanz des ökonomischen Faktors in den gesellschaftlichen Verhältnissen, denn er hatte die bürgerliche Gesellschaft in der Schrift als reale Basis des politischen Staats konzipiert [9]. Doch erst in Paris nahm er ein «gewissenhaftes kritisches Studium der Nationalökonomie» [10] in Angriff, getrieben von der Widersprüchlichkeit des Rechts und der Politik, die in deren Bereich nicht lösbar waren, das heißt von der Unfähigkeit beider, Antworten auf die gesellschaftlichen Probleme zu geben. Entscheidenden Einfluss hatten dabei die Betrachtungen, die Engels in den Umrissen zu einer Kritik der Nationalökonomie, einem der beiden im ersten und einzigen Band der «Deutsch-französischen Jahrbücher» von ihm erschienenen Artikel, angestellt hatte. Von diesem Moment an richteten sich Marx’ vorwiegend philosophische, politische und historische Untersuchungen auf diese neue Disziplin, die der Brennpunkt seiner wissenschaftlichen Untersuchungen und Bemühungen wurde. Er steckte damit einen neuen Horizont ab, von dem er sich nie wieder abwenden wird [11].

Unter dem Einfluss von Über das Geldwesen von Hess, der den Begriff der Entfremdung von der spekulativen auf die sozioökonomische Ebene übertragen hatte, konzentrierten sich die entsprechenden Analysen in einer ersten Phase auf die Kritik der Vermittlung des Geldes, die der Verwirklichung des menschlichen Wesens entgegenstand. In der Polemik gegen Bruno Bauers Zur Judenfrage betrachtet Marx jene Vermittlung als gesellschaftliches Problem, das die philosophische und historisch-soziale Voraussetzung der gesamten kapitalistischen Zivilisation darstellt. Der Jude ist Metapher und historische Avantgarde der Beziehungen, die diese hervorbringt, seine weltliche Figur wird Synonym für den Kapitalisten tout court [12].

Kurz darauf weihte Marx das neue Studienfeld mit einer großen Menge von Lektüren und kritischen Aufzeichnungen ein, die er, wie wir weiter unten genauer ausführen werden, abwechselnd in den Manuskripten und Exzerptheften niederschrieb, die er gewöhnlich zu den von ihm gelesenen Texten angelegte. Den Leitfaden seiner Arbeit bildete das Bedürfnis, die größte Mystifizierung der politischen Ökonomie – die These, wonach ihre Kategorien allezeit und allerorts gültig seien – als solche sichtbar zu machen und anzufechten. Marx war zutiefst betroffen von der Blindheit der Ökonomen, ihrem Mangel an historischem Sinn, denn in Wahrheit suchten sie dergestalt die Unmenschlichkeit der ökonomischen Bedingungen der Zeit im Namen ihrer Natürlichkeit zu verhüllen und zu rechtfertigen. Im Kommentar zu einem Text von Say merkte er an:

«Privateigenthum ist ein factum, dessen Begründung die Nationalökonomie nichts angeht, welches aber ihre Grundlage bildet. […] Die ganze Nationalökonomie beruht also auf einem factum ohne Nothwendigkeit» [13]. Ähnlich äußerte er sich in den [Ökonomisch-philosophischen Manuskripten], in denen er unterstrich: «Die Nationalökonomie geht vom Faktum des Privateigentums aus. Sie erklärt uns dasselbe nicht» [14]. «Er [der Nationalökonom] unterstellt in der Form der Tatsache, des Ereignisses, was er deduzieren soll» [15].

Die politische Ökonomie betrachtet die Ordnung des Privateigentums, die mit ihr verknüpfte Produktionsweise und die entsprechenden ökonomischen Kategorien folglich als unwandelbar und ewig gültig. Der Mensch als Mitglied der bürgerlichen Gesellschaft erscheint als natürlicher Mensch. «Wenn man von Privateigentum spricht, so glaubt man es mit einer Sache außer dem Menschen zu tun zu haben» [16], kommentiert Marx, der diese Ontologie des Tausches mit aller denkbaren Schärfe ablehnte.

Gestützt auf mancherlei gründliche historische Untersuchungen, die ihm einen ersten Interpretationsschlüssel für die zeitliche Entwicklung der Gesellschaftsstrukturen geliefert hatten, und unter Aneignung derjenigen Einsichten Proudhons, die er für die treffendsten hielt, nämlich dessen Kritik an der Vorstellung vom Eigentum als Naturrecht, gewann Marx stattdessen die zentrale Einsicht von der Vorläufigkeit der Geschichte. Die bürgerlichen Ökonomen hatten die Gesetze der kapitalistischen Produktionsweise als ewige Gesetze der menschlichen Gesellschaft präsentiert. Marx dagegen machte die spezifische Natur der Verhältnisse seiner Zeit, «[d]ie zerrißne Wirklichkeit der Industrie» [17], zu seinem ausschließlichen und spezifischen Untersuchungsgegenstand, unterstrich deren Vorläufigkeit, ihren Charakter eines historisch gewordenen Stadiums und machte sich an die Suche nach den Widersprüchen, die der Kapitalismus hervorruft und die zu seiner Überwindung führen.

Diese andere Auffassungsweise der gesellschaftlichen Verhältnisse hatte wichtige Folgen, worunter die auf den Begriff der entfremdeten Arbeit bezogene fraglos die bedeutsamste war. Im Gegensatz zu den Ökonomen, wie auch zu Hegel, die sie als natürliche, unwandelbare Bedingung der Gesellschaft begriffen, ging Marx einen Weg, in dessen Verlauf er die anthropologische Dimension der Entfremdung zurückwies und eine sozialhistorisch begründete Auffassung an ihre Stelle setzte, welche das Phänomen auf eine bestimmte Struktur der gesellschaftlichen Produktionsverhältnisse zurückführte: auf die menschliche Entfremdung unter den Bedingungen der Industriearbeit.

Die begleitenden Aufzeichnungen zu den Exzerpten aus James Mill verdeutlichen, «wie die Nationalökonomie die entfremdete Form des geselligen Verkehrs als die wesentliche und ursprüngliche und der menschlichen Bestimmung entsprechende fixirt» [18]. Alles andere als eine konstante Bedingung der Vergegenständlichung, der Produktion des Arbeiters, ist die entfremdete Arbeit für Marx Ausdruck der Gesellschaftlichkeit der Arbeit innerhalb der bestehenden Ordnung, der Arbeitsteilung, die den Menschen als «eine Drehmaschine» betrachtet, ihn «bis zur geistigen und physischen Mißgeburt […] umwandelt» [19].

In der Arbeitstätigkeit tritt die Besonderheit des Individuums zutage, es ist die Verwirklichung eines notwendigen Bedürfnisses, indes: «Diese Verwirklichung der Arbeit erscheint in dem nationalökonomischen Zustand als Entwirklichung des Arbeiters» [20]. Eigentlich wäre die Arbeit Selbstverwirklichung des Menschen, freie schöpferische Tätigkeit, «unter der Voraussetzung des Privateigenthums ist meine Individualität bis zu dem Punkte entäussert, daß diese Thätigkeit mir verhaßt, eine Qual und vielmehr nur der Schein einer Thätigkeit, darum auch eine nur erzwungene Thätigkeit und nur durch eine äusserliche zufällige Noth […] auferlegt ist» [21].

Marx gelangte zu diesen Schlüssen, indem er die geltenden Theorien der Wirtschaftswissenschaft sammelte, sie in ihren Bestandteilen kritisierte und ihre Ergebnisse umkehrte. Er widmete sich dieser Aufgabe mit intensivem, rastlosem Einsatz. Der Marx der Pariser Zeit ist ein lesehungriger Marx, der den Lektüren Tag und Nacht widmete. Es ist ein Marx voller Enthusiasmus und Projekte, der so umfängliche Arbeitspläne entwarf, dass er sie nie zu Ende führen konnte, der jedes seine jeweilige Frage betreffende Dokument studierte, um dann vom raschen Fortschritt seiner Erkenntnisse und den sich ändernden Interessen absorbiert zu werden, die ihn regelmäßig zu neuen Horizonten, neuen Vorsätzen und weiteren Untersuchungen führten [22].

Am linken Seine-Ufer plante er, eine Kritik der hegelschen Rechtsphilosophie zu verfassen, führte Studien zur Französischen Revolution durch, um eine Geschichte des Konvents zu schreiben, fasste eine Kritik der bestehenden sozialistischen und kommunistischen Lehren ins Auge. Dann stürzte er sich wie besessen ins Studium der politischen Ökonomie, das er plötzlich unterbrach, gepackt von dem vorrangigen Anliegen, das Terrain in Deutschland endgültig von der transzendenten Kritik von Bauer und Konsorten zu befreien, und schrieb sein erstes Werk:Die heilige Familie. Weitere tausend Vorsätze schlossen sich an.

Was immer es zu kritisieren gab, es ging durch seinen Kopf und seine Feder. Und doch war der schaffensfreudigste junge Mann der hegelschen Linken auch derjenige, der weniger publiziert hat, als viele andere. Die Unvollendetheit, die sein gesamtes Werk kennzeichnen wird, prägte bereits seine Arbeiten in dem Jahr in Paris. Seine Gewissenhaftigkeit war schier unglaublich. Er weigerte sich, einen Satz zu schreiben, wenn er ihn nicht auf zehn verschiedene Arten beweisen konnte [23]. Die Überzeugung, seine Informationen seien unzureichend, seine Bewertungen verfrüht, hinderte ihn in den meisten Fällen daran, seine Arbeiten in Druck zu geben, die somit Entwürfe, Fragmente blieben [24]. Seine Aufzeichnungen sind deshalb von unschätzbarem Wert. Sie lassen die Weitläufigkeit seiner Untersuchungen ermessen, geben einige seiner Reflexionen wieder und sind als integraler Bestandteil seines Werkes zu werten. Dies gilt auch für die Pariser Zeit, deren Manuskripte und Lektüreaufzeichnungen von der untrennbaren Verbindung zwischen Schriften und Notizen zeugen [25].

III. MANUSKRIPTE UND EXZERPTHEFTE: DIE PAPIERE VON 1844
Ihrer Unvollendetheit und der sie kennzeichnenden fragmentarischen Form zum Trotz wurden die [Ökonomisch-philosophischen Manuskripte] aus dem Jahre 1844 fast immer unter weitgehender Missachtung der mit ihnen verknüpften philologischen Probleme gelesen, die man entweder ganz übersah oder für wenig wichtig hielt [26]. Erst 1932 wurden sie erstmals integral veröffentlicht, und obendrein in zwei verschiedenen Ausgaben. In dem von den sozialdemokratischen Wissenschaftlern Landshut und Mayer besorgten Sammelband Der historische Materialismus erschienen sie unter dem Titel «Nationalökonomie und Philosophie»[27], in derMarx Engels Gesamtausgabe dagegen als «Ökonomisch-philosophische Manuskripte aus dem Jahre 1844» [28]. Nicht nur dem Titel nach unterschieden sich die beiden Publikationen, sondern auch inhaltlich und hinsichtlich der Reihenfolge der verschiedenen Teile, die sogar sehr große Differenzen aufwies. In der erstgenannten Ausgabe, die aufgrund der ungenauen Entzifferung des Originals von Fehlern strotzte, fehlte die erste Gruppe von Blättern, das sogenannte erste Manuskript, und irrtümlicherweise wurde ein viertes Manuskript, bei dem es sich in Wahrheit um eine Zusammenfassung des Schlusskapitels von Hegels Phänomenologie des Geistes handelt, Marx selber zugeschrieben [29].

Doch wurde bislang zu wenig beachtet, dass auch die Herausgeber der ersten MEGA dadurch, dass sie den Manuskripten einen Namen gaben, das Vorwort an den Anfang stellten – in Wirklichkeit steht es im dritten Manuskript – und sie insgesamt neu ordneten, glauben machten, Marx habe von Anfang an beabsichtigt, eine Kritik der politischen Ökonomie zu schreiben, und das Ganze sei ursprünglich in Kapitel unterteilt gewesen [30].

Außerdem war man allgemein von der unzutreffenden Vorstellung ausgegangen, Marx habe jene Texte erst geschrieben, nachdem er die Werke der politischen Ökonomie gelesen und zusammengefasst hatte [31], während sich im Schreibprozess in Wahrheit Manuskripte und Exzerpte abwechselten und letztere sogar die gesamte Pariser Produktion, von den Beiträgen für die «Deutsch-französischen Jahrbücher» bis zur Heiligen Familie, begleiteten.

Trotz ihrer offensichtlich problematischen Form, der Verwirrung, die die verschiedenen in Druck gegebenen Versionen gestiftet hatten, und des Bewusstseins, dass ein Großteil des zweiten, wichtigsten und leider verloren gegangenen Manuskripts fehlte, widmete sich keiner der Interpreten, Kritiker und Herausgeber neuer Editionen der erneuten Prüfung der Originale, die doch dringend notwendig war für einen Text, der in der Debatte zwischen den unterschiedlichen kritischen Marx-Interpretationen so schwer wog.

Die [Ökonomisch-philosophischen Manuskripte] entstanden zwischen Mai und August und können nicht als kohärentes, vorherbestimmtes und systematisch verfasstes Werk gelten. Die zahlreichen Interpretationen, die ihnen den Charakter einer fertigen Einstellung zuschrieben, sei es, dass sie die Vollendetheit von Marx’ Denken an ihnen hervorhoben, sei es, dass sie sie als Ausdruck einer bestimmten Auffassung im Gegensatz zu derjenigen der wissenschaftlichen Reife begriffen [32], werden durch die philologische Analyse widerlegt. Heterogen und weit davon entfernt, einen engen Zusammenhang zwischen den Teilen aufzuweisen, sind sie der offenkundige Ausdruck einer in Bewegung begriffenen Position. Die Art der Aneignung und Verwendung der Lektüren, aus denen Marx’ Denken sich speiste, lässt sich anhand der neun überlieferten Hefte mit über 200 Seiten Exzerpten und Kommentaren zeigen [33].

Die Pariser Hefte bewahren die Spuren von Marx’ Begegnung mit der politischen Ökonomie, ebenso wie die Entstehungsspuren seiner frühesten Ausarbeitungen einer ökonomischen Theorie. Aus dem Vergleich dieser Hefte mit den zeitgleichen veröffentlichten und unveröffentlichten Schriften geht die Bedeutung der Lektüren für die Entwicklung seiner Gedanken deutlich hervor [34]. Marx fertigte – um die Aufzählung auf die Autoren der politischen Ökonomie zu beschränken – Exzerpte aus Texten von Say, Schütz, List, Osiander, Smith, Skarbek, Ricardo, James Mill, MacCulloch, Prevost, Destutt de Tracy, Buret, de Boisguillebert, Law und Lauderdale an [35]. Außerdem nahm er in den [Ökonomisch-philosophischen Manuskripten], in den Artikeln und der Korrespondenz der Zeit auf Proudhon, Schulz, Pecquer, Loudon, Sismondi, Ganihl, Chevalier, Malthus, de Pompery und Bentham Bezug.

Die ersten Exzerpte aus dem Traité d’économie politique von Say, aus dem er ganze Teile herausschrieb, machte Marx, während er sich Grundkenntnisse der Ökonomie aneignete. Die einzige eigene Betrachtung wurde nachträglich hinzugefügt und steht auf der rechten Seite des Blattes, der er diese Funktion gewöhnlich vorbehielt. Auch mit den Zusammenfassungen aus den Recherches sur la nature et les causes de la richesse des nations von Smith, die zeitlich später entstanden, verfolgte er dasselbe Ziel, sich ökonomische Grundbegriffe zu erarbeiten. Obwohl es sich um die längsten Exzerpte handelt, findet sich in der Tat darin kaum ein Kommentar. Dennoch wird Marx’ Denken durch die Montage der Passagen und die oft auch andernorts von ihm angewandte Technik der Gegenüberstellung von divergierenden Thesen verschiedener Ökonomen klar. Von anderer Art sind dagegen die Exzerpte aus Des principes de l’économie politique et de l’impôt von Ricardo, in denen seine ersten Betrachtungen auftauchen.

Sie konzentrieren sich auf die Begriffe Wert und Preis, die er damals noch als gleichbedeutend fasste. Diese Gleichsetzung von Warenwert und Preisen entsprang der ursprünglichen Konzeption von Marx, wonach nur der durch den Wettbewerb erzeugte Tauschwert Wirklichkeit besaß, während er den natürlichen Preis als bloßes Hirngespinst ins Reich der Abstraktion verwies. Mit dem Fortgang seiner Studien tauchen derlei kritische Anmerkungen nicht mehr sporadisch auf, sondern wechseln mit den Zusammenfassungen der Werke ab, und mit fortschreitender Kenntnis, von Autor zu Autor, werden es immer mehr. Einzelne Sätze, dann breitere Ausführungen, bis sich das Verhältnis schließlich umkehrt, nachdem er sich im Zusammenhang mit den Éléments d’économie politique von James Mill auf die Kritik der Vermittlung des Geldes als völlige Herrschaft des entfremdeten Gegenstands über den Menschen konzentriert hat, und seine Texte nicht mehr die Exzerpte durchsetzen, sondern das genaue Gegenteil geschieht.

Auch ein Hinweis auf die weitere Verwendung jener Aufzeichnungen – zum Zeitpunkt ihrer Entstehung wie in späterer Zeit – erscheint nützlich, um die Bedeutung der Exzerpte zu veranschaulichen. Ein Teil von ihnen wurde 1844 im «Vorwärts!», der Zweiwochenschrift der deutschen Emigranten in Paris, publiziert, um zur intellektuellen Bildung der Leser beizutragen [36]. Da sie sehr erschöpfend waren, wurden sie aber von Marx, der die Gewohnheit besaß, seine Aufzeichnungen nach einiger Zeit erneut durchzulesen, vor allem in den ökonomischen Manuskripten von 1857-58, besser bekannt als [Grundrisse], in denen von 1861-63 und im ersten Buch des Kapitals weiterverwendet.

Marx entwickelte seine Gedanken also sowohl in den [Ökonomisch-philosophischen Manuskripten] wie in den Exzerptheften zu seinen Lektüren. Die Manuskripte sind voller Zitate, das erste ist fast eine Zitatsammlung, und die Hefte mit seinen Zusammenfassungen sind, obgleich stärker auf die gelesenen Texte konzentriert, mit seinen Kommentaren versehen. Der Inhalt beider, ebenso wie die Schreibmodalitäten – gekennzeichnet durch die Unterteilung der Blätter in Spalten –, die Seitennumerierung und der Zeitpunkt der Abfassung belegen, dass die [Ökonomisch-philosophischen Manuskripte] kein für sich stehendes Werk [37], sondern Teil seiner kritischen Produktion sind, welche in jener Zeit Exzerpte aus den von ihm studierten Texten, diesbezügliche kritische Überlegungen und Ausarbeitungen umfasst, die er ad hoc oder in durchdachterer Form zu Papier brachte. Die Manuskripte vom Rest zu trennen, sie aus ihrem Zusammenhang zu reißen, kann somit zu Interpretationsfehlern führen.

Nur die Gesamtheit all dieser Aufzeichnungen, zusammen mit der historischen Rekonstruktion ihrer Entstehung, verdeutlicht tatsächlich den Weg und die Komplexität seines kritischen Denkens während des intensiven Arbeitsjahrs in Paris [38].

IV. KRITIK DER PHILOSOPHIE UND KRITIK DER POLITIK
Der äußere Rahmen, in dem Marxens Ideen fortschritten, und der Einfluss, den er in theoretischer wie praktischer Hinsicht auf ihn hatte, verdienen eine weitere kurze Überlegung. Geprägt war er durch eine tief greifende sozioökonomische Transformation und vor allem durch die große Expansion des Proletariats. Mit der Entdeckung des Proletariats konnte Marx den hegelschen Begriff des bürgerlichen Staats in Klassenbegriffen zerlegen. Er erlangte zudem das Bewusstsein, dass das Proletariat eine neue Klasse war, die sich von den Armen unterschied, weil ihr Elend aus ihren Arbeitsbedingungen entsprang. Es handelte sich um die Demonstration eines Hauptwiderspruchs der bürgerlichen Gesellschaft: «Der Arbeiter wird um so ärmer, je mehr Reichtum er produziert, je mehr seine Produktion an Macht und Umfang zunimmt» [39].

Der schlesische Weberaufstand im Juni jenes Jahres bot Marx eine weitere Gelegenheit für die Entwicklung seiner Orientierung. In den Kritischen Randglossen zu dem Artikel “Der König von Preußen und die Sozialreform. Von einem Preußen“, die im «Vorwärts!» erschienen, ging er über die Kritik an Ruge und an einem vorher publizierten Artikel von ihm, worin jenem Kampf Mangel an politischem Geist angelastet wird, auf Distanz zur hegelschen Auffassung, die im Staat den einzigen Vertreter des allgemeinen Interesses sah und jede Bewegung der bürgerlichen Gesellschaft in den Bereich der Partialität und der Privatsphäre verwies [40]. Für Marx dagegen befindet sich «eine sociale Revolution […] auf dem Standpunkt des Ganzen» [41], und unter dem Eindruck jenes ausdrücklich revolutionären Ereignisses unterstrich er die Verblendung jener, die den Grund der sozialen Probleme «nicht im Wesen des Staats, sondern in einer bestimmten Staatsform» [42] suchten.

Überhaupt hielt er das Ziel der sozialistischen Lehren, die Reform der Gesellschaft, Lohngleichheit und eine neue Arbeitsorganisation innerhalb der kapitalistischen Ordnung für Vorschläge von Leuten, die noch Gefangene der von ihnen selbst bekämpften Voraussetzungen blieben (Proudhon) und die vor allem die wahre Beziehung zwischen Privateigentum und entäußerter Arbeit nicht verstanden. Es zeige sich, dass, «wenn das Privateigentum als Grund, als Ursache der entäußerten Arbeit erscheint, es vielmehr eine Konsequenz derselben ist» [43]. «Das Privateigentum ist also das Produkt, das Resultat, die notwendige Konsequenz der entäußerten Arbeit» [44]. Den sozialistischen Theorien setzte Marx den Plan zu einer radikalen Transformation des Wirtschaftssystems entgegen, demzufolge «das Kapital, […] “als solches” aufzuheben ist» [45].

Je näher jene Lehren seinem Denken standen, desto schärfer wurde seine Kritik, gestärkt durch das Bedürfnis, Klarheit zu schaffen. Die Ausarbeitung seiner Konzeption trieb ihn zum fortwährenden Vergleich zwischen den Ideen, die ihn umgaben, und den Ergebnissen seiner voranschreitenden Studien. Es war der rasche Gang seiner geistigen Reifung, der ihn dazu zwang. Das gleiche Los wie andere Lehren traf auch die hegelsche Linke. Die Urteile über ihre Vertreter waren sogar besonders streng, weil sie auch Selbstkritik an der eigenen Vergangenheit waren. In der «Allgemeinen Literatur-Zeitung», der von Bruno Bauer herausgegebenen Monatsschrift, wurde ein für alle Mal gefordert: «So entbehrt der Kritiker aller Freuden der Gesellschaft; aber auch ihre Leiden bleiben ihm fern […] er throne in der Einsamkeit» [46]. Für Marx dagegen ist «die Kritik keine Leidenschaft des Kopfs […]. Sie ist kein anatomisches Messer, sie ist eine Waffe. Ihr Gegenstand ist ihr Feind, den sie nicht widerlegen, sondern vernichten will. […] Sie gibt sich nicht mehr als Selbstzweck, sondern nur noch als Mittel» [47].

Entgegen dem Solipsismus der «kritischen Kritik» [48], die von der abstrakten Überzeugung ausging, wonach eine Entfremdung allein dadurch, dass man sie erkannte, auch schon überwunden sei, stand ihm klar vor Augen, dass «die materielle Gewalt […] gestürzt werden [muß] durch materielle Gewalt» [49] und das gesellschaftliche Sein nur durch die menschliche Praxis verändert werden kann. Die Entfremdung des Menschen zu entdecken, sich ihrer bewusst zu werden, musste gleichzeitig bedeuten, für ihre tatsächliche Aufhebung zu wirken. Es lässt sich kein größerer Abstand denken als der zwischen einer Philosophie, die sich in der spekulativen Isolierung verschloss und bloß fruchtlose Begriffsschlachten hervorbrachte, und seiner Kritik, die «im Handgemenge» ist [50]. Es ist derselbe Abstand, der die Suche nach der Freiheit des Selbstbewusstseins von der Suche nach der Freiheit der Arbeit trennt.

V. SCHLUSSFOLGERUNGEN
Marx’ Denken machte in dem zentralen Jahr in Paris eine entscheidende Entwicklung durch. Er war sich nunmehr gewiss, dass die Transformation der Welt eine praktische Frage war, «welche die Philosophie nicht lösen konnte, eben weil sie dieselbe als nur theoretische Aufgabe faßte» [51]. Von einer Philosophie, die dieses Bewusstsein nicht erlangt und sich nicht in die notwendige Philosophie der Praxis verwandelt hat, nahm er endgültig Abschied. Seine Analyse setzte fortan nicht mehr bei der Kategorie der entfremdeten Arbeit, sondern bei der Realität des Arbeiterelends an. Seine Schlüsse waren nicht spekulativer Art, sondern richteten sich auf das revolutionäre Tun [52].

Auch seine politische Auffassung wandelte sich zutiefst. Er übernahm keine der bestehenden, engstirnigen sozialistischen und kommunistischen Lehren, ging vielmehr zu ihnen auf Abstand und bildete das Bewusstsein heran, dass die ökonomischen Verhältnisse das Bindegewebe der Gesellschaft ausmachen. «Religion, Familie, Staat, Recht, Moral, Wissenschaft, Kunst etc. sind nur besondre Weisen der Produktion und fallen unter ihr allgemeines Gesetz» [53]. So büßte der Staat den Vorrang ein, den er in Hegels politischer Philosophie besaß, und wurde, von der Gesellschaft absorbiert, als bestimmte und nicht als bestimmende Sphäre der zwischenmenschlichen Beziehungen gedacht: «Nur der politische Aberglaube bildet sich noch heutzutage ein, daß das bürgerliche Leben vom Staat zusammengehalten werden müsse, während umgekehrt in der Wirklichkeit der Staat von dem bürgerlichen Leben zusammengehalten wird» [54].

Radikal veränderte sich auch seine Begrifflichkeit im Hinblick auf das revolutionäre Subjekt. Vom anfänglichen Hinweis auf die «leidende Menschheit» [55] gelangte Marx zur Ermittlung des Proletariats. Es wurde zunächst als abstrakter, auf dialektischen Antithesen fußender Begriff, als «passive[s] Element» [56] der Theorie betrachtet, um dann auf der Basis einer ersten sozialökonomischen Analyse zum aktiven Element seiner eigenen Befreiung zu werden, die einzige Klasse, die in der kapitalistischen Gesellschaftsordnung über revolutionäres Potenzial verfügt.

Schließlich trat an die Stelle der noch vagen Kritik der politischen Vermittlung des Staates und der ökonomischen des Geldes – Hindernissen für die Verwirklichung des Gemeinwesens des Menschen Feuerbach’scher Prägung – die Kritik eines historischen Verhältnisses, die in der materiellen Produktion die Basis für jede Analyse und Transformation der Gegenwart zu skizzieren begann, «weil die ganze menschliche Knechtschaft in dem Verhältnis des Arbeiters zur Produktion involviert ist und alle Knechtschaftsverhältnisse nur Modifikationen und Konsequenzen dieses Verhältnisses sind» [57]. Marx erhob also keine generische Emanzipationsforderung mehr, sondern forderte die radikale Transformation des realen Produktionsprozesses.

Während er zu diesen Schlüssen gelangte, plante er weitere Arbeiten. Nach der Heiligen Familie setzte er seine Studien und Exzerpte zur politischen Ökonomie fort, umriss eine Kritik Stirners, entwarf [Die Entstehungsgeschichte des modernen Staats oder die französische Revolution] [58], machte Notizen zu Hegel, plante eine Kritik des deutschen Ökonomen List, die er kurz darauf realisierte. Er war unermüdlich. Engels drängte ihn, der Welt sein Material zur Verfügung zu stellen, denn «es ist verflucht hohe Zeit» [59], und Marx unterzeichnete vor seiner Ausweisung aus Paris [60] einen Vertrag mit dem Verleger Leske über die Veröffentlichung eines Bandes mit dem Titel «Kritik der Politik und Nationalökonomie» [61]. Doch wird man weitere 15 Jahre warten müssen, bis 1859 ein erster Teil seines Werks Zur Kritik der politischen Ökonomie in Druck gehen wird.

Die [Ökonomisch-philosophischen Manuskripte] und die Exzerpthefte geben den Sinn der ersten Schritte des Unterfangens wieder. Seine Schriften sind voll theoretischer Elemente, die von Vorläufern und Zeitgenossen herrühren. Keiner der Entwürfe und kein Werk jener Zeit lässt sich in eine bestimmte Disziplin einordnen. Es gibt keine rein philosophischen noch wesentlich ökonomische noch ausschließlich politische Schriften. Was aus all dem entspringt, ist kein neues System, kein homogenes Ganzes, sondern eine kritische Theorie.

Der Marx von 1844 besitzt die Fähigkeit, die Erfahrungen der Pariser Proletarierinnen und Proletarier mit Studien zur Französischen Revolution, die Lektüre von Smith mit den Einsichten Proudhons, den schlesischen Weberaufstand mit der Kritik der hegelschen Staatsauffassung, die Analyse des Elends von Buret mit dem Kommunismus zu verbinden. Es ist ein Marx, der diese unterschiedlichen Erkenntnisse und Erfahrungen aufzunehmen weiß und durch ihre Verknüpfung eine revolutionäre Theorie ins Leben ruft.

Sein Denken, namentlich die ökonomischen Überlegungen, die sich während des Paris-Aufenthalts herauszukristallisieren beginnen, sind nicht die Frucht einer plötzlichen Eingebung, sondern das Ergebnis eines Prozesses. Indem die lange Zeit herrschende marxistisch-leninistische Hagiografie dieses Denken mit unvertretbarer Unmittelbarkeit präsentiert und ein instrumentelles Endergebnis vorausbestimmt hat, hat sie seinen Erkenntnisweg entstellt und seine armseligste Reflexion wiedergegeben. Es geht dagegen darum, Entstehung, Einflüsse und Errungenschaften seiner Arbeiten zu rekonstruieren, um die Komplexität und den Reichtum eines Werks zu verdeutlichen, das dem kritischen Denken der Gegenwart noch immer etwas zu sagen hat.

ANHANG: CHRONOLOGISCHE TABELLE DER IN PARIS VON MARX VERFASSTEN EXZERPTHEFTE UND MANUSKRIPTE

ABfassungs-

Zeitraum

Inhalt der Hefte NACH-LASS Merkmale der Hefte
Zwischen Ende 1843 und Anfang 1844 R. Levasseur, Mémoires MH Die Seiten mit den Exzerpten sind in zwei Spalten unterteilt.
Zwischen Ende 1843 und Anfang 1844 J. B. Say, Traité d’économie politique B 19 Das großformatige Heft umfasst Seiten mit in zwei Spalten unterteilten Exzerpten: in der linken aus dem Traité von Say und in der rechten (die nach Abfassung von B 24 geschrieben wurde) aus Skarbek und dem Cours complet von Say.
Zwischen Ende 1843 und Anfang 1844 C. W. C. Schüz, Grundsätze der National-Ökonomie B 24 Großformatiges Heft, Seiten in zwei Spalten unterteilt.
Zwischen Ende 1843 und Anfang 1844 F. List, Das nationale System der politischen Ökonomie B 24
Zwischen Ende 1843 und Anfang 1844 H. F. Osiander, Enttäuschung des Publikums über die Interessen des Handels, der Industrie und der Landwirtschaft B 24
Zwischen Ende 1843 und Anfang 1844 H. F. Osiander, Über den Handelsverkehr der Völker B 24
Frühjahr 1844 F. Skarbek, Theorie des richesses sociales B 19
Frühjahr 1844 J. B. Say, Cours complet d’économie politique pratique B 19
Mai-Juni 1844 A. Smith, Recherches sur la nature et les causes de la richesse des nations B 20 Kleinformatiges Heft mit normaler Seitengestaltung.
Ende Mai-Juni 1844 K. Marx, Arbeitslohn; Gewinn des Capitals; Grundrente; [Entfremdete Arbeit und Privateigentum] A 7 Großformatiges Heft, Seiten in zwei bzw. drei Spalten unterteilt. Der Text umfasst Zitate aus Say, Smith, aus Die Bewegung der Production von Schulz, aus der Théorie nouvelle d’économie sociale et politique von Pecqueur, aus Solution du problème de la population et de la substance von Loudon und aus Buret.
Juni-Juli 1844 J. R. MacCulloch, Discours sur l’origine, les progrès, les objets particuliers, et l’importance de l’économie politique B 21 Kleinformatiges Heft, Seiten in zwei Spalten unterteilt, mit Ausnahme der Seite 11, die einen Abriss von Engels’ Artikel enthält.
Juni-Juli 1844 G. Prevost, Réflexions du traducteur sur le système de Ricardo B 21
Juni-Juli 1844 G. Prevost, Réflexions du traducteur sur le système de Ricardo B 21
Juni-Juli 1844 F. Engels, Umrisse zu einer Kritik der Nationalökonomie B 21
Juni-Juli 1844 A. L. C. Destutt de Tracy, Éléments d’Idéologie B 21
Spätestens Juli 1844 K. Marx, [Das Verhältnis des Privateigentums] A 8 Auf großformatige, in zwei Spalten unterteilte Blätter geschriebener Text.
Zwischen Juli und August 1844 G. W. F. Hegel, Phänomenologie des Geistes A 9 (Hegel) Später in A 9 eingenähtes Blatt.
August 1844

K. Marx, [Privateigentum und Arbeit]; [Privateigentum und Kommunismus];[Kritik der Hegelschen Dialektik und Philosophie überhaupt]; [Privateigentum und Bedürfnisse]; [Zusätze]; [Teilung der Arbeit]; [Vorrede]; [Geld].

 

A 9 Großformatiges Heft. Der Text umfasst Zitate aus: Das entdeckte Christentum von Bauer, aus Smith, Destutt de Tracy, Skarbek, J. Mill, aus Goethes Faust, aus dem Timon von Athen von Shakespeare,sowie aus verschiedenen in der «Allgemeinen Literatur-Zeitung» erschienenen Artikeln von Bauer. Indirekt wird außerdem Bezug genommen auf: Engels, Say, Ricardo, Quesnay, Proudhon, Cabet, Villegardelle, Owen, Hess, Lauderdale, Malthus, Chevalier, Strauss, Feuerbach, Hegel und Weitling.
September 1844 D. Ricardo, Des principes de l’économie politique et de l’impôt B 23 Großformatiges Heft, Seiten in zwei, selten auch in drei Spalten unterteilt. Die ersten beiden Seiten mit Exzerpten aus Xenophon sind nicht in Spalten unterteilt.
September 1844 J. Mill, Éléments d’économie politique B 23
Zwischen Sommer 1844 und Januar 1845 E. Buret, De la misère des classes laborieuses en Angleterre et en France B 25 Kleinformatiges Heft mit normaler Seitengestaltung.
Zwischen Mitte September 1844 und Januar 1845 P. de Boisguillebert, Le détail de la France B 26 Großformatiges Heft mit Exzerpten aus Boisguillebert. Normale Seitengestaltung, mit Ausnahme weniger Seiten, die in zwei Spalten unterteilt sind.
Zwischen Mitte September 1844 und Januar 1845 P. de Boisguillebert, Dissertation sur la nature des richesses, de l’argent et des tributs B 26
Zwischen Mitte September 1844 und Januar 1845 P. de Boisguillebert, Traité de la nature, culture, commerce et intérêt des grains B 26
Zwischen Mitte September 1844 und Januar 1845 J. Law, Considération sur le numéraire et le commerce B 26
Zwischen Mitte September 1844 und Januar 1845 J. Lauderdale, Recherches sur la nature et l’origine de la richesse publique B 22 Großformatiges Heft, Seiten in zwei Spalten unterteilt.

References
1. Honoré de Balzac, Ferragus, das Haupt der Verschworenen, in: Geschichte der Dreizehn (Die großen Romane und Erzählungen, Bd. 7), Insel Verlag, Frankfurt/Main, Leipzig 1996, S. 21.
2. Vgl. Isaiah Berlin, Karl Marx. Sein Leben und sein Werk, Piper & Co Verlag, München 1959, S. 94 f.
3. Michail Bakunin, Ein Briefwechsel von 1843, MEGA², Dietz Verlag, Berlin 1982, I/2, S. 482.
4. Lorenz von Stein, Der Socialismus und Communismus des heutigen Frankreichs. Ein Beitrag zur Zeitgeschichte, Otto Wigand Verlag, Leipzig 1848, S. 509.
5. Arnold Ruge, Zwei Jahre in Paris. Etudien und Erinnerungen, Zentralantiquariat der DDR, Leipzig 1975, S. 59.
6. Honoré de Balzac, Ferragus, das Haupt der Verschworenen, a.a.O., S. 19.
7. «Nicht nur, daß eine allgemeine Anarchie unter den Reformern ausgebrochen ist, so wird jeder sich selbst gestehen müssen, daß er keine exacte Anschauung von dem hat, was werden soll», in Karl Marx, Ein Briefwechsel von 1843, MEGA² I/2, S. 486.
8. Im vorliegenden Beitrag stehen die unvollständigen Manuskripte von Marx, die von späteren Herausgebern veröffentlicht wurden, in eckigen Klammern.
9. «[D]er politische Staat kann nicht sein ohne die natürliche Basis der Familie und die künstliche Basis der bürgerlichen Gesellschaft; sie sind für ihn eine conditio sine qua non» (Karl Marx, Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie, MEGA² I/2, S. 9); «Familie und bürgerliche Gesellschaft sind die Voraussetzungen des Staats; sie sind die eigentlich Tätigen; aber in der Spekulation wird es umgekehrt» (ebd., S. 8). Genau hier steckt Hegels Fehler, der will, dass «der politische Staat nicht von der bürgerlichen Gesellschaft bestimmt wird, sondern umgekehrt sie bestimmt» (ebd., S. 100). Vgl. dazu Walter Tuchscheerer, Bevor „Das Kapital“ entstand, Akademie Verlag, Berlin 1968, S. 68.
10. Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, MEGA² I/2, S. 325.
11. Vgl. Maximilien Rubel, Introduction zu Karl Marx Œuvres. Economie II, Gallimard, Paris 1968, S. LIV-LV, der den Beginn des langen Alptraums von Marx’ ganzem Leben, die theoretische Besessenheit, von der er nie wieder lassen wird – die Kritik der Nationalökonomie – auf genau diesen Moment datiert.
12. Vgl. Walter Tuchscheerer, a.a.O, S. 76.
13. Karl Marx, Exzerpte aus Jean Baptiste Say: Traité d’economie politique, MEGA² IV/2, Dietz Verlag, Berlin 1981, S. 316-7.
14. Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, MEGA² I/2, S. 363.
15. Ebd., S. 364.
16. Ebd., S. 374.
17. Ebd., S. 384.
18. Karl Marx, Exzerpte aus James Mill: Élémens d’économie politique, MEGA² IV/2, S. 453.
19. Ebd., S. 456.
20. Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, MEGA I/2, S. 365.
21. Karl Marx, Exzerpte aus James Mill: Éléments d’économie politique, MEGA² IV/2, S. 466.
22. Vgl. diesbezüglich die Zeugnisse von Arnold Ruge: «Er liest sehr viel; er arbeitet mit ungemeiner Intensivität […] aber er vollendet nichts, er bricht überall ab und stürzt sich immer von neuem in ein endloses Büchermeer», «…wenn er sich krank gearbeitet und drei, ja vier Nächte hintereinander nicht ins Bett gekommen ist», A. Ruge an L. Feuerbach, Paris, 15. Mai 1844, in Hans Magnus Enzensberger (Hg.), Gespräche mit Marx und Engels, Insel Verlag, Frankfurt/Main 1973, S. 23-24. «Wenn Marx sich nicht durch Wüstheit, Hochmut und tolles Arbeiten umbringt und in kommunistischer Originalität nicht allen Sinn für einfache, noble Form verliert, so ist von seiner großen Belesenheit und selbst von seiner gewissenlosen Dialektik noch etwas zu erwarten […]. Er will immer das schreiben, was er zuletzt gelesen, liest dann aber immer wieder weiter und macht neue Exzerpte. Noch halte ich es für möglich, daß er ein recht großes und recht abstruses Buch fertigbringt, in das er alles hineinpropft, was er aufgehäuft hat». A. Ruge an M. Duncker, 29. August 1844, ebd., S. 31.
23. Vgl. das Zeugnis von Paul Lafargue, der Engels’ Erzählung über den Herbst 1844 wiedergibt: «Engels und Marx hatten die Gewohnheit angenommen, zusammen zu arbeiten; Engels, der doch die Genauigkeit bis zum Äußersten trieb, konnte dennoch manchmal über die Skrupulosität von Marx ungeduldig werden, der keinen Satz aufstellen wollte, den er nicht auf zehn verschiedene Arten beweisen konnte». P. Lafargue [1904], Herbst 1844, ebd., S. 32.
24. Vgl. Heinrich Bürgers: «Indessen, die scharfe Selbstkritik, die er gegen sich selbst zu üben gewohnt war, ließ ihn nicht zu dem größeren Werk kommen». H. Bürgers [1876], Herbst 1844/Winter 1845, ebd., S. 46-47.
25. Zu dieser komplizierten Beziehung vgl. David Rjazanov, Einleitung zu MEGA I/1.2, Marx-Engels-Verlag, Berlin 1929, S. XIX, der als erster auf die große Schwierigkeit einer klaren Grenzziehung zwischen bloßen Exzerptheften und als wahren Vorarbeiten zu betrachtenden Texten hingewiesen hat.
26. Vgl. Jürgen Rojahn, Marxismus – Marx – Geschichtswissenschaft. Der Fall der sog. „Ökonomisch-philosopischen Manuskripte aus dem Jahre 1844“, in International Review of Social History, Jg. XXVIII, 1983, Part 1, S. 20.
27. Karl Marx, Der historische Materialismus. Die Frühschriften, hg. von Siegfried Landshut und Jacob Peter Mayer, Alfred Kröner Verlag, Leipzig 1932, S. 283-375.
28. Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte aus dem Jahre 1844, MEGA I/3, Marx-Engels-Verlag, Berlin 1932, S. 29-172.
29. Zum Beweis der Einordnungsschwierigkeiten erscheinen diese Seiten in der MEGA² sowohl in der ersten als auch in der vierten Abteilung. Vgl. MEGA² I/2, S. 439-444, und MEGA² IV/2, S. 493-500.
30. Vgl. Jürgen Rojahn, The emergence of a theory: the importance of Marx’s notebooks exemplified by those from 1844, «Rethinking Marxism», Bd. 14, Nr. 4 (2002), S. 33.
31. Diesem Irrtum erliegt beispielsweise David McLellan, Marx before marxism, Reprint Macmillan, London 1970, S. 163.
32. Ohne im Geringsten die endlose Debatte über diese Schrift von Marx nachzeichnen zu wollen, seien hier zwei der wichtigsten Arbeiten angeführt, in denen die genannten Positionen vertreten werden. Der erstgenannten Richtung gehören Landshut und Meyer an, die als erste in den [Ökonomisch-philosophischen Manuskripten] «in gewissem Sinne die zentralste Arbeit von Marx [erblickt haben, die…] den Knotenpunkt seiner ganzen Gedankenentfaltung bildet» und «im Kern das Kapital vorwegnimmt». Vgl. Karl Marx,Der historische Materialismus. Die Frühschriften, a.a.O., S. XIII und V. Der zweitgenannten ist dagegen Althussers berühmte These von der coupure épistémologique zuzurechnen; vgl. Louis Althusser, Für Marx, Suhrkamp, Frankfurt/Main 1968, S. 15.
33. Abgedruckt in MEGA², IV/2, S. 279-579, und MEGA², IV/3, Akademie Verlag, Berlin 1998, S. 31-110.
34. «Seine Manuskripte aus dem Jahr 1844 gingen geradewegs aus den Exzerpten jener Zeit hervor», in Jürgen Rojahn, The emergence of a theory: the importance of Marx’s notebooks exemplified by those from 1844, a.a.O, S. 33.
35. Marx las die englischen Ökonomen zu jener Zeit noch in französischer Übersetzung.
36. Vgl. Jacques Grandjonc, Marx et les communistes allemands à Paris 1844, Maspero, Paris 1974, S. 61-62, sowie den spätestens im November 1844 verfassten Brief von K. Marx an H. Börnstein, MEGA² III/I, Dietz Verlag, Berlin 1975, S. 248.
37. «Es besteht daher kein Anlaß, davon auszugehen, daß die “Manuskripte” einen eigenen Komplex für sich darstellen» (Jürgen Rojahn, Marxismus – Marx – Geschichtswissenschaft. Der Fall der sog. „Ökonomisch-philosopischen Manuskripte aus dem Jahre 1844“, a.a.O., S. 20).
38. Vgl. Jürgen Rojahn, The emergence of a theory: the importance of Marx’s notebooks exemplified by those from 1844, a.a.O., S. 45.
39. Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, MEGA² I/2, S. 364.
40. Vgl. Michael Löwy, La théorie de la révolution chez le jeune Marx, Maspero, Paris 1970, S. 41, Anm. 22.
41. Karl Marx, Kritische Randglossen zu dem Artikel “Der König von Preußen und die Sozialreform. Von einem Preußen“, MEGA² I/2, S. 462.
42. Ebd., S. 455.
43. Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, MEGA² I/2, S. 372-373.
44. Ebd., S. 372.
45. Ebd., S. 387.
46. Bruno Bauer (Hg.), «Allgemeine Literatur-Zeitung», Heft 6, Verlag von Egbert Bauer, Charlottenburg 1844, S. 32. Marx führt das Zitat, wenngleich nicht wörtlich, in seinem Brief an Ludwig Feuerbach vom 11. August 1844 an. Vgl. MEGA² III/1, Dietz Verlag, Berlin 1975, S. 65.
47. Karl Marx, Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie. Einleitung, MEGA ² I/2, S. 172.
48. Marx verwendet den Ausdruck in Die Heilige Familie zur Bezeichnung und Verspottung von Bruno Bauer und den anderen Junghegelianern, die an der «Allgemeinen Literatur-Zeitung» mitarbeiteten.
49. Ebd., S. 177.
50. Karl Marx, Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie. Einleitung, MEGA² I/2, S. 173.
51. Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, MEGA² I/2, S. 395.
52. Vgl. Ernest Mandel, Entstehung und Entwicklung der ökonomischen Lehre von Karl Marx (1843-1863), Europäische Verlagsanstalt/Europa Verlag, Frankfurt/Wien 1982, S. 156.
53. Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, MEGA² I/2, S. 390.
54. Friedrich Engels-Karl Marx, Die heilige Familie, Marx Engels Werke, Band 2, Dietz Verlag, Berlin 1962, S. 128.
55. Karl Marx, Ein Briefwechsel von 1843, MEGA² I/2, S. 479.
56. Karl Marx, Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie. Einleitung, MEGA² I/2, S. 178.
57. Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, MEGA² I/2, S. 373-374.
58. Vgl. MEGA² IV/3, a.a.O, S. 11.
59. F. Engels an K. Marx, Anfang Oktober 1844, MEGA² III/I, Dietz Verlag, Berlin 1975, S. 245; vgl. außerdem F. Engels an K. Marx, um den 20. Januar 1845: «Mach daß Du mit Deinem nationalökonomischen Buch fertig wirst, wenn Du selbst auch mit Vielem unzufrieden bleiben solltest, es ist einerlei, die Gemüther sind reif und wir müssen das Eisen schmieden weil es warm ist», ebd., S. 260.
60. Auf Druck der preußischen Regierung erließen die französischen Behörden einen Ausweisungsbefehl gegen verschiedene Mitarbeiter des «Vorwärts!». Marx musste Paris am 1. Februar 1845 verlassen.
61. Marx Engels Werke, Band 27, Dietz Verlag, Berlin 1963, S. 669.
62. Die Chronologie umfasst alle von Marx während seines Paris-Aufenthalts von 1843-1845 verfassten Studienhefte (nicht berücksichtigt wurde daher das in der MEGA² IV/3, S. 5-30, erschienene [Notizbuch aus den Jahren 1844-1847], auch wenn es die höchst wichtigen [Thesen über Feuerbach] enthält). Da das Abfassungsdatum der Hefte oft ungewiss ist, wurde in vielen Fällen der Zeitraum angegeben, in dem sie vermutlich entstanden. Maßgeblich für die chronologische Ordnung ist das jeweilige Anfangsdatum der betreffenden Zeiträume. Außerdem hat Marx die Hefte nicht nacheinander verfasst, sondern bisweilen abwechselnd an ihnen geschrieben (s. B 19 und B 24). Aus diesem Grund wurde der Stoff entsprechend den verschiedenen Heftteilen geordnet. Für die Hefte mit den sogenannten [Ökonomisch-Philosophischen Manuskripten] von 1844 (A 7, A 8 und A 9) wird Marx als Autor genannt, während die Paragraphenüberschriften, die nicht von ihm stammen, sondern von den Herausgebern des Textes eingefügt wurden, in eckigen Klammern stehen. Werden in der vierten Spalte (Merkmale der Hefte) von den Autoren, die Marx zitiert, keine Werktitel genannt, so entsprechen sie stets den schon in der zweiten Spalte (Inhalt der Hefte) angeführten Titeln. Mit Ausnahme von MH, das sich imRossiiskii gosudarstvennyi arkhiv sotsial’no-politicheskoi istorii (RGASPI) Moskau befindet, werden sämtliche Hefte aus dieser Zeit im Internationaal Instituut voor Sociale Geschiedenis (IISG) Amsterdam unter den in der dritten Spalte (Nachlass) angegebenen Siglen aufbewahrt.

Ich möchte Jürgen Rojahn meinen Dank aussprechen, der sich freundlicherweise der Durchsicht der chronologischen Tabelle angenommen und mir wertvolle Verbesserungsvorschläge geliefert hat. Für eventuelle Fehler zeichne ich selbstverständlich allein verantwortlich.

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Diffusione e recezione del Manifesto in Italia dal 1889 al 1945

I. Prologo
A causa di conflitti teorici o di vicende politiche, l’interesse per l’opera di Marx non è mai stato costante e, sin da quando si è manifestato, ha vissuto indiscutibili momenti di declino. Dalla «crisi del marxismo» alla dissoluzione della «Seconda Internazionale», dalle discussioni sui limiti della teoria del plusvalore alle tragedie del comunismo sovietico, le critiche alle idee di Marx sembrarono, ogni volta, superarne in maniera definitiva l’orizzonte concettuale. Sempre, però, vi fu un «ritorno a Marx» [1]. Costantemente, si sviluppò un nuovo bisogno di richiamarsi alla sua opera che, attraverso la critica dell’economia politica, le formulazioni sull’alienazione o le brillanti pagine dei pamphlet politici, continuò a esercitare un irresistibile fascino su seguaci e oppositori.

Nonostante, col finir del secolo, ne fosse stato decretato all’unanimità l’oblio, del tutto inatteso, da qualche anno a questa parte, Marx si è ripresentato sul palcoscenico della storia. Nei suoi riguardi, infatti, è in corso un vero e proprio ritorno di interesse e sugli scaffali delle biblioteche di Europa, Stati Uniti e Giappone, i suoi scritti vengono rispolverati sempre più frequentemente. La riscoperta di Marx si basa sulla sua persistente capacità esplicativa del presente, del quale egli rimane strumento indispensabile per poterlo comprendere e trasformare.

Davanti alla crisi della società capitalistica, e alle profonde contraddizioni che la attraversano, si ritorna a interrogare quell’autore messo da parte, troppo frettolosamente, dopo il 1989. Così, l’affermazione di Jacques Derida: «sarà sempre un errore non leggere, rileggere e discutere Marx»[2], che soltanto pochi anni fa sembrava una provocazione isolata, è divenuta sempre più condivisa. Dalla fine degli anni Novanta, infatti, quotidiani, periodici, emittenti televisive e radiofoniche non fanno che discutere del pensatore più attuale per i nostri tempi: Karl Marx. Il primo articolo che produsse una certa eco in questa direzione fu The return of Karl Marx, apparso sulla rivista statunitense «The New Yorker» [3]. Venne poi il turno della BBC, che nel 1999 conferiva a Marx lo scettro di più grande pensatore del millennio.

Qualche anno più tardi, il bimestrale del «Nouvel Observateur» fu interamente dedicato al tema Karl Marx – le penseur du troisième millénaire? [4] e poco dopo anche la Germania pagò il suo tributo a colui che aveva costretto all’esilio per quarant’anni: nel 2004, oltre 500.000 telespettatori della televisione nazionale ZDF indicarono Marx quale terza personalità tedesca di tutti i tempi (prima, invece, nella categoria ‘attualità’) e, durante le ultime elezioni politiche, la nota rivista «Der Spiegel» lo ritraeva in copertina, dal titolo Ein Gespenst kehrt zurück (Un fantasma è tornato), con le dita, in segno di vittoria[5]. A completare questa curiosa rassegna, vi è il sondaggio condotto nel 2005 del canale radiofonico BBC 4, che ha assegnato a Marx la palma di filosofo più amato dagli ascoltatori inglesi.

Anche la letteratura su Marx, quasi del tutto tralasciata quindici anni fa, dà diffusi segnali di ripresa e, accanto al fiorire di nuovi significativi studi, spuntano, in più lingue, opuscoli dal titolo Why read Marx today? Analogo consenso riscuotono le riviste internazionali aperte ai contributi riguardanti Marx e i marxismi, così come sono tornati di moda convegni, corsi e seminari universitari dedicati a questo autore. Infine, seppure timidamente o in forme piuttosto confuse, dall’America latina al movimento alter-mondialista, una nuova domanda di Marx giunge anche dal versante politico.

Ancora una volta, il testo marxiano che più di ogni altro ha suscitato il maggiore coinvolgimento di lettori e studiosi è stato il Manifesto del partito comunista. Nel 1998, infatti, in occasione del centocinquantesimo anniversario della pubblicazione, il Manifesto di Marx ed Engels è stato stampato in decine di nuove edizioni in ogni angolo del pianeta e celebrato non solo quale la più formidabile previsione dello sviluppo del capitalismo su scala mondiale, ma anche come il testo politico più letto della storia dell’umanità [6]. Per questo motivo, può risultare di qualche interesse ripercorrere le vicende che ne accompagnarono la prima propagazione nel nostro paese.

II. Karl Marx: Il misconoscimento italiano
In Italia, le teorie di Marx hanno goduto di una popolarità straordinaria. Ispirando partiti, organizzazioni sindacali e movimenti sociali hanno influito, come nessun’altra, alla trasformazione della vita politica nazionale. Diffusesi in ogni campo della scienza e della cultura ne hanno mutato, irreversibilmente, l’indirizzo e lo stesso lessico. Concorrendo alla presa di coscienza della propria condizione delle classi subalterne, sono state il principale strumento teorico nel processo di emancipazione di milioni di donne ed uomini.

Il livello di diffusione che raggiunsero può essere paragonato a quello di pochi altri paesi. È d’obbligo interrogarsi, pertanto, sull’origine di questa notorietà. Ovvero, quando si parlò per la prima volta di «Carlo Marx»? Quando apparve sui giornali questo nome in calce ai primi scritti tradotti? Quando la fama si propagò nell’immaginario collettivo di operai e militanti socialisti? E, soprattutto, in che modo e attraverso quali circostanze si dispiegò l’affermazione del suo pensiero?

Le primissime traduzioni degli scritti di Marx, quasi del tutto sconosciuto durante i moti rivoluzionari del 1848, comparvero soltanto nella seconda metà degli anni Sessanta. Esse, tuttavia, furono poco numerose e relative soltanto all’Indirizzo e agli Statuti della «International Working Men’s Association»[7]. A questo ritardo concorse senz’altro l’isolamento di Marx ed Engels dall’Italia, con la quale, nonostante il fascino che nutrirono per la sua storia e cultura e la partecipazione dimostrata per la sua realtà, non ebbero corrispondenti epistolari fino al 1860 ed effettive relazioni politiche prima del 1870 [8].

Un primo interesse intorno alla figura di Marx fiorì solo in coincidenza dell’esperienza rivoluzionaria della Comune di Parigi. Al «fondatore e capo generale dell’Internazionale» [9], infatti, la stampa nazionale, così come la miriade di fogli operai esistenti, dedicarono, in poche settimane, schizzi biografici e la pubblicazione di estratti di lettere e di risoluzioni politiche (tra queste La guerra civile in Francia). Anche in questa circostanza, gli scritti stampati – che compresi quelli di Engels raggiunsero il numero di 85 nel solo biennio 1871-72 – riguardarono esclusivamente documenti dell’«Internazionale», a testimonianza di un’attenzione inizialmente politica e solo successivamente di carattere teorico [10]. Inoltre, su alcuni giornali comparvero fantasiose descrizioni che concorsero a conferire alla sua immagine un’aureola leggendaria: «Carlo Marx è un uomo astuto e coraggioso a tutta prova. Gite veloci da uno Stato all’altro, continui travestimenti, fanno sì che eluda la sorveglianza di tutti gli spioni polizieschi d’Europa»[11].

L’autorevolezza che cominciò a circondarne il nome fu tanto grande quanto generica [12]. Durante questo periodo, infatti, manuali di propaganda diffusero le concezioni di Marx – o perlomeno quelle presunte tali – insieme a quelle di Darwin e Spencer [13]. Il suo pensiero venne considerato sinonimo di legaritarismo[14] o di positivismo [15]. Le sue teorie furono inverosimilmente sintetizzate con quelle agli antipodi di Fourier, Mazzini e Bastiat [16]. La sua figura accostata – secondo gli equivoci – a quella di Garibaldi[17] o di Schäffle [18].

L’interesse rivolto a Marx, oltre che restare così approssimativo, non si tradusse neanche in adesione alle sue posizioni politiche. Tra gli internazionalisti italiani – che nello scontro tra Marx e Bakunin presero parte in maniera pressoché compatta per quest’ultimo –, infatti, la sua elaborazione rimase pressoché sconosciuta ed il conflitto in seno all’«Internazionale» fu percepito più come scontro personale tra i due che come contesa teorica[19].

Ciò nonostante, nel decennio seguente segnato dall’egemonia del pensiero anarchico – che ebbe facile gioco ad imporsi nella realtà italiana caratterizzata dall’assenza di un moderno capitalismo industriale, dalla conseguente ancora limitata consistenza operaia, nonché dalla viva tradizione cospirativa mutuata dalla recente rivoluzione nel paese [20] –, gli elementi teorici di Marx andarono lentamente affermandosi nelle file del movimento operaio [21]. Anzi, paradossalmente, conobbero una prima divulgazione proprio tramite gli anarchici, che condividevano completamente le teorie dell’autoemancipazione operaia e della lotta di classe, contenute negli Statuti e negli Indirizzi dell’«Internazionale» [22]. Essi, in seguito, continuarono a pubblicare Marx, spesso in polemica con il socialismo che fu verbosamente rivoluzionario, ma, nella pratica, legalitario e revisionista. La più importante iniziativa realizzata fu, senz’altro, la pubblicazione, nel 1879, del compendio del primo libro de Il capitale, a cura di Carlo Cafiero. Fu questa la prima occasione nella quale, seppure in forma popolarizzata, i principali concetti teorici di Marx poterono cominciare a circolare in Italia.

III. Gli anni ottanta e il «marxismo» senza Marx
Gli scritti di Marx non furono tradotti neanche durante gli anni Ottanta. Eccetto pochissimi articoli comparsi sulla stampa socialista, le uniche opere pubblicate furono entrambe di Engels (Il socialismo utopico e il socialismo scientifico nel 1883 e L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato nel 1885) e videro la luce – in edizioni di scarsissima diffusione – solo grazie alla caparbia quanto virtuosa iniziativa del socialista beneventano Pasquale Martignetti. Al contrario, cominciarono ad occuparsi di Marx importanti settori della cultura ufficiale, che nutrirono nei suoi confronti minori preclusioni di quelle manifestate, invece, in ambito tedesco.

Così, per iniziativa dei più importanti livelli editoriali ed accademici, la prestigiosissima «Biblioteca dell’economista», la stessa che Marx aveva consultato più volte nel corso delle sue ricerche al British Museum, pubblicò, tra il 1882 ed il 1884 in dispense separate e nel 1886 in unico volume, il libro primo de Il capitale. A dimostrazione della vacuità del movimento italiano, Marx venne a conoscenza di quest’iniziativa, che fu l’unica traduzione dell’opera realizzata in Italia fino a dopo la seconda guerra mondiale, solo casualmente e due mesi prima della morte [23]. Engels, invece, soltanto nel 1893[24]!

Pur se in una realtà ancor piena di limiti, come quella che si è tentato sin qui brevemente di descrivere, la prima circolazione del «marxismo» può datarsi proprio a questo periodo. Tuttavia, a causa del numero ridottissimo di traduzioni degli scritti di Marx e della loro così difficile reperibilità, questa diffusione non avvenne quasi mai tramite le fonti originali, ma attraverso riferimenti indiretti, citazioni di seconda mano, compendi ad opera della miriade di epigoni o presunti continuatori, sorti in poco tempo [25].

Durante questi anni si sviluppò un vero e proprio processo di osmosi culturale, che investì non solo le diverse concezioni socialiste presenti sul territorio, ma anche ideologie che con il socialismo non avevano nulla a che fare. Studiosi, agitatori politici e giornalisti formarono le proprie idee ibridando il socialismo con tutti gli altri strumenti teorici di cui disponevano [26]. E se il «marxismo» riuscì rapidamente ad affermarsi sulle altre dottrine, ciò anche in ragione dell’assenza di un socialismo italiano autoctono, l’esito di questa omogeinizzazione culturale fu la nascita di un «marxismo» impoverito e contraffatto[27]. Un «marxismo» passe-partout. Soprattutto, un «marxismo» senza conoscenza di Marx, visto che i socialisti italiani che lo avevano letto dai suoi testi originali potevano contarsi, ancora, sulle dita [28].

Pur se elementare ed impuro, determinista ed in funzione delle contingenze politiche, questo «marxismo» fu comunque capace di conferire identità al movimento dei lavoratori, ad affermarsi nel Partito dei Lavoratori Italiani costituitosi nel 1892 e, finanche, a dispiegare la propria egemonia nella cultura e nella scienza italiana [29]. Del Manifesto del partito comunista, fino alla fine degli anni Ottanta, non ve n’è ancora alcuna traccia. Ciò nonostante, esso eserciterà, insieme con il suo principale interprete, Antonio Labriola, un ruolo importante nella rottura di quel «marxismo» adulterato che aveva, fino ad allora, caratterizzato la realtà italiana. Prima di parlarne, però, è necessario fare un passo indietro.

IV. Le prime pubblicazioni del Manifesto in Italia
Il prologo alla prima stampa del Manifesto del partito comunista ne annunciava la pubblicazione «in inglese, francese, tedesco, italiano, fiammingo e danese» [30]. In realtà, questo proposito non fu realizzato. O, come sarebbe meglio affermare, il Manifesto divenne uno degli scritti più diffusi della storia dell’umanità, ma non secondo i piani dei suoi due autori.

Il primo tentativo di traduzione de «il Manifesto in italiano e in spagnolo» fu intrapreso a Parigi da Hermann Ewerbeck, membro dirigente della Lega dei Comunisti della capitale francese [31]. Tuttavia, nonostante a distanza di anni, nello Herr Vogt, Marx segnalasse erroneamente l’esistenza di un’edizione italiana [32], questa impresa non fu mai realizzata. Del progetto iniziale, l’unica traduzione eseguita fu quella inglese del 1850, preceduta da quella svedese del 1848. Successivamente, in seguito alla sconfitta delle rivoluzioni del biennio 1848-49, il Manifesto fu dimenticato. Le uniche ristampe, due negli anni Cinquanta e tre negli anni Sessanta, apparvero in lingua tedesca e per la comparsa di nuove traduzioni bisognerà attendere un ventennio. Nel 1869, infatti, venne data alle stampe l’edizione russa e nel 1871 quella serba. Nello stesso periodo, a New York, videro la luce la prima versione inglese pubblicata negli Stati Uniti (1871) e la prima traduzione francese (1872). Sempre nel 1872 uscì a Madrid la prima traduzione spagnola, seguita, l’anno successivo, da quella portoghese condotta su quest’ultima [33].

Al tempo, in Italia, il Manifesto era ancora sconosciuto. La sua prima breve esposizione, composta da riassunti ed estratti dal testo, comparve solo nel 1875, nell’opera di Vito Cusumano, Le scuole economiche della Germania in rapporto alla questione sociale. In essa si poteva leggere che: «dal punto di vista del proletariato questo programma è tanto importante quanto la Déclaration des droits des hommes per la borghesia: esso è uno dei fatti più importanti del XIX secolo, uno di quei fatti che caratterizzano, che danno nome e indirizzo ad un secolo» [34]. In seguito, i riferimenti al Manifesto furono poco frequenti. Tuttavia, lo scritto venne citato, nel 1883, negli articoli che diedero notizia della scomparsa di Marx. Il foglio socialista «La Plebe» ne parlava come di uno «dei documenti fondamentali del socialismo contemporaneo (…) simbolo della maggioranza del proletariato socialista dell’occidente e dell’America del Nord» [35].

Il quotidiano borghese la «Gazzetta Piemontese», invece, presentava Marx come l’autore del «famoso Manifesto dei Comunisti, che divenne il labaro del socialismo militante, il catechismo dei diseredati, il vangelo sul quale votano, giurano, combattono gli operai tedeschi e la maggior parte degli operai inglesi» [36]. A dispetto di questi apprezzamenti, la sua stampa dovette, però, ancora attendere. Nel 1885, dopo aver ricevuto una copia del Manifesto da Engels, Martignetti ne realizzò la traduzione. Tuttavia, per mancanza di danaro, l’edizione non fu mai pubblicata. La prima traduzione italiana apparve, con oltre quarant’anni di ritardo, soltanto nel 1889, anno nel quale erano già state pubblicate 21 edizioni in tedesco, 12 in russo, 11 in francese, 8 in inglese, 4 in spagnolo, 3 in danese (la prima nel 1884), 2 in svedese, ed 1 rispettivamente in lingua portoghese, ceka (1882), polacca (1883), norvegese (1886) e yiddish (1889).

Il testo italiano fu dato alle stampe con il titolo di Manifesto dei socialisti redatto da Marx e Engels, in dieci puntate tra l’agosto ed il novembre, sul giornale democratico di Cremona «L’Eco del popolo». Questa versione, però, si distinse per la pessima qualità, risultando priva delle prefazioni di Marx ed Engels, della terza sezione («Letteratura socialista e comunista») e di diverse altre parti che furono omesse o riassunte. Inoltre, la traduzione di Leonida Bissolati, eseguita dall’edizione tedesca del 1883 e confrontata con quella francese del 1885 curata da Laura Lafargue, semplificava le espressioni maggiormente complicate. Dunque, più che di una traduzione, si trattò di un popolarizzazione dello scritto, con un certo numero di passaggi testualmente tradotti [37].

La seconda edizione italiana, che fu la prima ad uscire in brochure, giunse nel 1891. La traduzione, condotta dalla versione francese del 1885 del giornale parigino «Le Socialiste», e la prefazione furono opera dell’anarchico Pietro Gori. Il testo si segnala per l’assenza del preambolo e per i diversi errori presenti. L’editore Flaminio Fantuzzi, anche egli vicino alle posizioni anarchiche, avvisò Engels solo a cose fatte e questi, in una lettera a Martignetti, espresse il suo particolare fastidio per le «prefazioni di sconosciuti tipo Gori» [38].

La terza traduzione italiana uscì nel 1892, in feuilletton sul periodico «Lotta di classe» di Milano. Questa versione, che si presentava come la «prima e sola traduzione italiana del Manifesto, che non sia un tradimento» [39], fu condotta da Pompeo Bettini sull’edizione tedesca del 1883. Seppure presentava anch’essa errori e semplificazioni di alcuni passaggi, si affermò decisamente sulle altre, ebbe numerose riedizioni fino al 1926 e diede avvio al processo di formazione della terminologia marxista in Italia [40].

L’anno seguente, con alcune correzioni e miglioramenti di stile e con l’indicazione che «la versione completa [era stata] eseguita sulla 5.a edizione tedesca (Berlino 1891)»[41], questa traduzione apparve in brochure, in mille copie. Nel 1896 la ristampa in duemila copie. Il testo conteneva le prefazioni del 1872, 1883 e 1890, tradotte da Filippo Turati, direttore di «Critica Sociale» al tempo la principale rivista del socialismo italiano, e l’apposito proemio Al lettore italiano che questi era riuscito ad ottenere da Engels per l’occasione, al fine di poter distinguere la nuova edizione da quelle che l’avevano preceduta. La prefazione italiana fu l’ultima scritta per il Manifesto da uno dei suoi autori.

Negli anni seguenti vennero pubblicate altre due edizioni che, seppur prive dell’indicazione del traduttore, riprendevano decisamente la versione di Bettini. La prima, alla quale mancavano, però, la prefazione e la terza sezione, venne realizzata per dare al Manifesto un’edizione popolare ed a buon mercato. Essa fu promossa, in occasione del 1° Maggio del 1897, dalla rivista «Era Nuova» ed apparve a Diano Marina (in Liguria) in ottomila copie. La seconda, senza le prefazioni, a Firenze, presso l’editore Nerbini, nel 1901.

V. Il Manifesto tra la fine dell’ottocento e il fascismo
Negli anni Novanta, il processo di diffusione degli scritti di Marx ed Engels compì un grande progresso. Il consolidamento delle strutture editoriali di quello che era divenuto il Partito Socialista Italiano, l’opera svolta dai numerosi giornali ed editori minori e la collaborazione di Engels alla «Critica Sociale», furono tutte circostanze che concorsero a determinare una maggiore conoscenza dell’opera di Marx. Ciò non bastò, però, ad arginare il processo di alterazione che ne accompagnava la divulgazione. La scelta di combinare le concezioni di Marx con le teorie più disparate fu tanto opera di quel fenomeno denominato «socialismo della cattedra» che del movimento operaio, i cui contributi teorici, pur se divenuti di una certa mole, si caratterizzavano ancora per una stentatissima conoscenza degli scritti marxiani.

Marx aveva ormai assunto un’indiscussa notorietà, ma era ancora considerato come un primus inter pares nella moltitudine dei socialisti esistenti [42]. Soprattutto, fu messo in circolazione da pessimi interpreti del suo pensiero. Per tutti, valga l’esempio di colui che fu considerato «il più socialista, il più marxista (…) degli economisti italiani» [43]: Achille Loria; correttore e perfezionatore di quel Marx che nessuno conosceva abbastanza per dire in cosa fosse stato corretto o perfezionato. Poiché è nota la sua descrizione dipinta da Engels nella Prefazione al Libro Terzo de Il capitale – «improntitudine illimitata, agilità da anguilla per sgusciare da situazioni insostenibili, eroico disdegno delle pedate ricevute, prontezza nell’appropriarsi prodotti altrui…» [44] –, per meglio descrivere la falsificazione subita da Marx, può essere utile ricordare un aneddoto raccontato, nel 1896, da Benedetto Croce.

Nel 1867, a Napoli, in occasione della costituzione della prima sezione italiana dell’«Internazionale», uno sconosciuto personaggio straniero, «molto alto e molto biondo, dai modi dei vecchi cospiratori e dal parlare misterioso», intervenne per convalidare la nascita del circolo. Ancora a distanza di molti anni, un avvocato napoletano, presente all’incontro, era convinto che «quell’uomo alto e biondo fosse stato Carlo Marx» [45] e ci volle una grande fatica per riuscire a convincerlo del contrario. Poiché in Italia molti concetti marxiani sono stati introdotti dall’«illustre Loria» [46], si può concludere che quello che è stato inizialmente divulgato sia stato un Marx snaturato, un Marx, anche questo, «alto e biondo!» [47]

Tale realtà mutò soltanto grazie all’opera di Labriola, che per primo introdusse in Italia il pensiero marxiano in maniera autentica. Più che essere interpretato, attualizzato o «completato» con altri autori, si può affermare che, grazie a lui, Marx venne svelato per la prima volta [48]. Questa impresa avvenne tramite i Saggi sulla concezione materialistica della storia, pubblicati da Labriola tra il 1895 ed il 1897. Il primo di questi, In memoria del Manifesto dei comunisti, consisteva proprio in uno studio sulla genesi del Manifesto che, a seguito dell’approvazione giunta da Engels poco prima della sua morte [49], ne divenne il più importante commento e l’interpretazione ufficiale di parte «marxista».

Molti dei limiti della realtà italiana poterono essere così affrontati. Secondo Labriola, la rivoluzione «non può procedere da una sommossa di una turba guidata da alcuni, ma deve essere e sarà il risultato dei proletari stessi» [50]. «Il comunismo critico – che per il filosofo napoletano era il nome più adatto per descrivere le teorie di Marx ed Engels – non fabbrica le rivoluzioni, non prepara le insurrezioni, non arma le sommosse (…) non è in somma, un seminario in cui si formi lo stato maggiore dei capitani della rivoluzione proletaria; ma è solo la coscienza di tale rivoluzione»[51]. IlManifesto, dunque, non è «il vademecum della rivoluzione proletaria» [52], ma lo strumento per smascherare l’ingenuità del socialismo che si pensa possibile «senza rivoluzione, ossia senza fondamentale mutazione della struttura elementare e generale della società» [53].

Con Labriola il movimento operaio italiano ebbe, finalmente, un teorico capace, al contempo, di conferire dignità scientifica al socialismo, di compenetrare e rinvigorire la cultura nazionale, di misurarsi con i massimi livelli della filosofia e del marxismo europei. Tuttavia, il rigore del suo marxismo, problematico per le immediate circostanze politiche e critico verso i compromessi teorici, ne decretò anche l’inattualità [54].

A cavallo tra i due secoli, infatti, la pubblicazione de La filosofia di Marx di Giovanni Gentile (libro segnalato in seguito da Lenin come «degno di attenzione»[55]), degli scritti di Croce che proclamavano la «morte del socialismo» [56] e – sul versante militante – dei lavori di Francesco Saverio Merlino [57] e di Antonio Graziadei[58], fecero spirare anche in Italia il vento della «crisi del marxismo». Nel Partito Socialista Italiano, tuttavia, non vi era – come in Germania – un «marxismo» ortodosso e, in realtà, lo scontro fu combattuto tra due «revisionismi», uno riformista e l’altro sindacal-rivoluzionario [59].

In questo stesso periodo, a partire dal 1899 e fino al 1902, ci fu un proliferare di traduzioni di Marx ed Engels che fornirono al lettore italiano buona parte delle opere al tempo disponibili. Fu in questo contesto che, nel 1902, in appendice alla terza edizione dello scritto di Labriola In memoria del Manifesto dei comunisti, apparve una nuova traduzione del Manifesto, l’ultima eseguita in Italia fino alla fine della seconda guerra mondiale. Questa, la cui paternità fu assegnata da alcuni a Labriola e da altri a sua moglie Rosalia Carolina De Sprenger, conteneva alcune inesattezze ed omissioni e venne ripresa in poche altre riedizioni dello scritto.

La versione più utilizzata fino al secondo dopoguerra fu, dunque, quella di Bettini, riprodotta in numerose ristampe. Ad una prima nel 1910, ne seguirono diverse a cura della «Società editrice Avanti», divenuta il principale veicolo di propaganda del Partito Socialista. In particolare, due nel 1914, la seconda delle quali includeva I fondamenti del comunismo di Engels. Ancora tra il 1914 ed il 1916 (ristampa nel biennio 1921-22) venne inserita nel primo tomo dell’edizione delle Opere di Marx ed Engels che, a riprova della confusione generale dominante, in Italia – come in Germania – furono raccolte insieme con quelle di Lassalle. Poi nel 1917, per due volte nel 1918 con in appendice i 14 punti della Conferenza di Kienthal ed il manifesto della Conferenza di Zimmerwald, nel 1920 (con due ristampe nel 1922) in una traduzione rivista da Gustavo Sacerdote e, infine, nel 1925.

A queste edizioni «Avanti», vanno aggiunte altre sette ristampe che apparvero, presso case editrici minori, tra il 1920 ed il 1926. Durante la prima decade del secolo, il «marxismo» fu congedato dalla pratica politica quotidiana del Partito Socialista Italiano. In un famoso dibattito parlamentare del 1911, infatti, il presidente del consiglio Giovanni Giolitti poteva affermare: «il Partito Socialista ha moderato assai il suo programma. Carlo Marx è stato mandato in soffitta» [60]. I commenti ai testi di Marx, che solo poco tempo prima avevano inondato il mercato librario, si arrestarono. E, se si escludono il «ritorno a Marx» degli studi filosofici di Rodolfo Mondolfo [61] e poche altre eccezioni, lo stesso si verificò durante gli anni Dieci. Quanto alle iniziative ad opera di altre realtà, il campo borghese aveva da tempo celebrato la «dissoluzione del marxismo», mentre nella chiesa cattolica le condanne pregiudiziali prevalsero di gran lunga sui tentativi di analisi.

Nel 1922 l’irrompere della barbarie fascista. Dal 1923, tutti gli esemplari del Manifesto furono ritirati dalle biblioteche pubbliche e universitarie. Nel 1924 tutte le pubblicazioni di Marx e quelle legate al movimento operaio furono date al fuoco [62]. Le leggi «fascistissime» del 1926, infine, decretarono lo scioglimento dei partiti di opposizione e diedero inizio al periodo più tragico della storia italiana moderna.

Se si escludono alcune edizioni illegali dattilografate o ciclostilate, i pochi scritti di Marx pubblicati in lingua italiana tra il 1926 ed il 1943 apparvero all’estero (tra questi si segnalano due versioni del Manifesto stampate in Francia, nel 1931 e nel 1939, e un’altra pubblicata a Mosca nel 1944, con una nuova traduzione di Palmiro Togliatti). Uniche eccezioni a questa congiura del silenzio furono tre diverse edizioni del Manifesto del partito comunista. Due di queste apparvero, «a uso degli studiosi» e con diritto di consultazione solo tramite richiesta preventiva, nel 1934. La prima nel volume collettaneo Politica ed economia, che raccolse, accanto a quello di Marx, testi di Labriola, Loria, Pareto, Weber e Rimmel; la traduzione era quella di Bettini rivisitata dal curatore Robert Michels [63].

La seconda a Firenze nella versione di Labriola, in un altro volume collettivo, Le carte dei diritti, primo tomo della collana «Classici del liberalismo e del socialismo». E poi da ultimo, nel 1938, stavolta a cura di Croce, in appendice ad una raccolta di saggi di Labriola, dal titolo La concezione materialistica della storia, nella traduzione da lui stesso eseguita. Il volume comprendeva anche un saggio di Croce, divenuto poi famoso, dal titolo quanto mai esplicito: Come nacque e come morì il marxismo teorico in Italia (1895-1900). Il filosofo idealista, però, si sbagliava. Il «marxismo» italiano non era morto, ma soltanto imprigionato nei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci [64] che avrebbero presto dispiegato tutto il loro valore teorico e politico.

Con la liberazione dal fascismo, il Manifesto ricominciò ad apparire in diverse edizioni. Federazioni provinciali del «Partito Comunista Italiano», iniziative di singoli e piccole case editrici nell’Italia meridionale già liberata, diedero al testo di Marx ed Engels una nuova linfa. Tre edizioni apparvero nel 1943 e otto nel 1944. E così di seguito negli anni successivi: dalle nove edizioni pubblicate alla fine della guerra, nel 1945, all’exploit del 1948, in occasione del centenario.

VI. Conclusione
Ripercorrendo la storia dell’edizione italiana del Manifesto del partito comunista risalta, con evidenza, l’enorme ritardo con il quale esso venne pubblicato. Contrariamente a molti paesi dove il Manifesto fu il primo scritto di Marx ed Engels ad essere tradotto, in Italia apparve solo dopo altre opere[65]. Anche la sua influenza politica fu modesta e esso non incise mai direttamente sui principali documenti del movimento operaio. Tanto meno fu determinante nella formazione della coscienza politica dei dirigenti socialisti. Tuttavia, fu di grande rilevanza per gli studiosi (si è visto il caso di Labriola) e, attraverso le sue edizioni, svolse un ruolo importante tra i militanti, fino a divenirne il riferimento teorico privilegiato.

Ad oltre centocinquant’anni dalla sua pubblicazione, preso in esame da un numero ormai incalcolabile di esegeti, oppositori e seguaci di Marx, ilManifesto ha attraversato le più svariate stagioni ed è stato letto nei modi più diversi. Pietra miliare del «socialismo scientifico» o plagio del Manifeste de la démocratie di Victor Considerant; testo incendiario colpevole di aver fomentato l’odio tra le classi nel mondo o simbolo di liberazione del movimento operaio internazionale; classico del passato o opera anticipatrice della realtà odierna della «globalizzazione capitalistica». Quale che sia l’interpretazione per la quale si propenda, una cosa è certa: pochissimi altri scritti nella storia possono vantare analoga vitalità e diffusione. Ancora oggi, infatti, il Manifesto continua ad essere stampato ed a far parlare di sé in America latina come in Cina, negli Stati Uniti come in Italia e nell’intera Europa.

Se la perpetua giovinezza di uno scritto sta nella sua capacità di sapere invecchiare, ovvero di essere sempre capace di stimolare nuovi pensieri, si può allora affermare che il Manifesto possiede senz’altro questa virtù.

References
1. Cfr. Gian Mario Bravo, Marx e il marxismo nella prima sinistra italiana, in Marcello Musto (a cura di), Sulle tracce di un fantasma. L’opera di Karl Marx tra filologia e filosofia, Manifestolibri, Roma 2006 (2005), p. 97.
2. Jacques Derrida, Spettri di Marx, Raffaello Cortina Editore, Milano 1994, p. 22.
3. Cfr. John Cassidy, The return of Karl Marx, in «The New Yorker», October 20/27 1997, pp. 248-259.
4. Cfr. «Le Nouvel Observateur», Octobre/Novembre 2003.
5. Cfr. «Der Spiegel», 22/08/2005.
6. In particolare cfr. Eric Hobsbawm, Introduction a Karl Marx-Friedrich Engels, The communist Manifesto, Verso, London 1998.
7. Per un indice completo degli scritti di Marx ed Engels pubblicati in lingua italiana dal 1848 al 1926 si veda Emilio Gianni, Diffusione, popolarizzazione e volgarizzazione del marxismo in Italia, Pantarei, Milano 2004. Per una ricostruzione storiografica della prima diffusione delle opere di Marx in Italia si rimanda alla raccolta di saggi di Gian Mario Bravo, Marx ed Engels in Italia, Editori Riuniti, Roma 1992. Di notevole interesse, inoltre, Gerhard Kuck (a cura di), Karl Marx, Friedrich Engels und Italien: Teil I, Herausgabe und Verbreitung der Werke von Karl Marx und Friedrich Engels in Italien, e Teil II, Die Entwicklung des Marxismus in Italien: Wege, Verbreitung, Besonderheiten. Il primo dei due tomi comprende una completa «Auswahlbibliographie zur italienischen Marx/Engels-Forschung», dagli anni Settanta dell’Ottocento al 1943, pp. 131-148.
8. Cfr. Giuseppe Del Bo (a cura di), La corrispondenza di Marx e Engels con italiani (1848-1895), Feltrinelli, Milano 1964, pp. IX-XXI.
9. Carlo Marx capo supremo dell’Internazionale , in «Il proletario Italiano», Torino, 27-VII-1871.
10. Cfr. Roberto Michels, Storia del marxismo in Italia, Luigi Mongini Editore, Roma 1909, p. 15, che sottolinea come “dapprima fu il Marx politico, che spinse a poco a poco gli Italiani ad occuparsi anche del Marx scienziato”.
11. Carlo Marx capo supremo dell’Internazionale , op. cit.
12. Cfr. Renato Zangheri, Storia del socialismo italiano, Volume I, Einaudi, Torino 1993, p. 338.
13. Quale esempio in proposito si rimanda al manuale di Oddino Morgari, L’arte della propaganda socialista, Libr. Editr. Luigi Contigli, Firenze 1908 (2ª ediz.), p. 15. Esso proponeva ai propagandisti del partito di utilizzare questo modo di apprendimento: leggere anzitutto un riassunto qualsiasi di Darwin e di Spencer che darà allo studioso la direzione generale del pensiero moderno; poi verrà Marx a completare la “formidabile triade” che rinchiuderà degnamente il “vangelo dei socialisti contemporanei”. In proposito cfr. Roberto Michels, Storia del marxismo in Italia, op. cit., p. 102.
14. Ivi, p. 101.
15. Si veda lo scritto molto diffuso di Enrico Ferri, Socialismo e scienza positiva. Darwin, Spencer, Marx, Casa Editrice Italiana, Roma 1894. Nella sua prefazione l’autore italiano affermava: “io intendo provare come il socialismo Marxista (…) non sia che il completamento pratico e fecondo, nella vita sociale, di quella moderna rivoluzione scientifica (…) decisa e disciplinata dalle opere di Carlo Darwin e Erberto Spencer”.
16. Cfr. Gnocchi Viani, Il socialismo moderno, Casa di pubblicità Luigi Pugni, Milano 1886. In proposito si veda la critica a Gnocchi Viani di Roberto Michels, Storia critica del movimento socialista italiano. Dagli inizi fino al 1911, Società An. Editrice “La voce”, Firenze 1926, p. 136.
17. A mo’ di esempio si veda la lettera della «Associazione democratica di Macerata» a Marx del 22-XII-1871. Questa organizzazione propose Marx come “triunviro onorario insieme ai cittadini Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini”, in Del Bo (a cura di), op. cit., p. 166. Nel riportare la notizia a Wilhelm Liebknecht, il 2-I-1872, Engels scrisse: “Una società di Macerata nella Romagna ha nominato come suoi 3 presidenti onorari: Garibaldi, Marx e Mazzini. Questa confusione rispecchia fedelmente lo stato dell’opinione pubblica tra gli operai italiani. Manca solo Bakunin per completare il quadro”, MEW 33, Dietz Verlag, Berlin 1966, p. 368.
18. Cfr. Roberto Michels, Storia del marxismo in Italia, op. cit., p. 101, che afferma come “agli occhi di molti lo Schäffle passò per il più autentico di tutti i marxisti”.
19. Cfr. Paolo Favilli, Storia del marxismo italiano. Dalle origini alla grande guerra, FrancoAngeli, Milano 2000 (1996), p. 50. Sui congressi della «Internazionale» italiana si veda Gastone Manacorda, Il movimento operaio italiano attraverso i suoi congressi, Editori Riuniti, Roma 1992 (1963), in particolare pp. 51-95.
20. Cfr. Paolo Favilli, Storia del marxismo italiano. Dalle origini alla grande guerra, op. cit., p. 45.
21. Ivi, p. 42.
22. Ivi, pp. 59-61.
23. Cfr. Tullio Martello a Karl Marx, 5-I-1883, in Giuseppe del Bo (a cura di), Corrispondenze con italiani, op. cit., p. 294.
24. Cfr. Filippo Turati a Friedrich Engels, 1-VI-1893, Ivi, pp. 479-480.
25. Cfr. Roberto Michels, Storia critica del movimento socialista italiano. Dagli inizi fino al 1911, op. cit., p. 135, che afferma come, in Italia, il marxismo non scaturì, “nella quasi totalità dei suoi adepti, da una profonda conoscenza delle opere scientifiche del maestro, ma da contatti presi lì per lì con qualche suo scrittarello politico e qualche (non suo) riassunto d’economia e spesso, quel che era peggio, attraverso i suoi epigoni della socialdemocrazia tedesca”.
26. Cfr. Antonio Labriola, Discorrendo di socialismo e filosofia, in Scritti filosofici e politici, (a cura di Franco Sbarberi), Einaudi, Torino 1973, p. 731, che affermava come “molti di quelli che in Italia si danno al socialismo, e non da semplici agitatori, conferenzieri e candidati, sentono che è impossibile di farsene una persuasione scientifica, se non riallacciandolo per qualche via o tramite alla rimanente concezione genetica delle cose, che sta più o meno in fondo a tutte le scienze. Di qui la manía che è in molti, di cacciar dentro al socialismo tutta quella rimanente scienza di cui più o meno essi dispongono”.
27. Cfr. Gian Mario Bravo, Marx e il marxismo nella prima sinistra italiana, op. cit., p. 103.
28. Cfr. Roberto Michels, Storia del marxismo in Italia, op. cit., p. 99.
29. Cfr. Benedetto Croce, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Laterza, Bari 1967, pp. 146 e 148.
30. Friedrich Engels – Karl Marx, Manifesto del partito comunista, MEW 4, p. 461.
31. Cfr. Friedrich Engels a Karl Marx, 25-IV-1848, MEGA² III/2, p. 153.
32. Cfr. Karl Marx, Herr Vogt, MEGA² I/18, p. 107.
33. Per la bibliografia e la storia delle edizioni del Manifesto del partito comunista si veda l’indispensabile Bert Andréas, Le Manifeste Communiste de Marx et Engels, Feltrinelli, Milano 1963 e la pregevole pubblicazione del Manifesto a cura delle Edizioni Lotta Comunista, Milano 1998, ricchissima di notizie a riguardo.
34. Vito Cusumano, Le scuole economiche della Germania in rapporto alla questione sociale, Giuseppe Marghieri Editore, Prato 1875, p. 278.
35. In «La Plebe», Milano, Aprile 1883, Nr. 4.
36. Dall’Enza: Carlo Marx e il socialismo scientifico e razionale, in «Gazzetta Piemontese», Torino, 22-III-1883.
37. Cfr. Bert Andréas, op. cit., p. 145.
38. Friedrich Engels a Pasquale Martignetti, 2-IV-1891, in MEW 38, Dietz Verlag, Berlin 1964, p. 72.
39. In «Lotta di classe», Milano, Anno I, Nr. 8, 17/18-IX-1892.
40. Cfr. Michele A. Cortellazzo, La diffusione del Manifesto in Italia alla fine dell’Ottocento e la traduzione di Labriola, in «Cultura Neolatina», 1981, Nr. 1-2, p. 98, che afferma: «il 1892 è lo spartiacque che divide l’insieme delle traduzioni ottocentesche del Manifesto in due campi ben distinti: al di là di quell’anno stanno le traduzioni approssimative, lacunose e largamente debitrici alle versioni straniere, più importanti per il loro valore di primi documenti della diffusione del testo in Italia che per la qualità della traduzione; al di qua la traduzioni complete e scrupolose che, anche per la loro tiratura, influirono decisamente sulla diffusione del marxismo in Italia».
41. Carlo Marx – Friedrich Engels, Il Manifesto del Partito Comunista, Uffici della Critica Sociale, Milano 1893, p. 2.
42. Cfr. Gaetano Arfé, Storia del socialismo italiano (1892-1926), Mondadori, Milano 1977, p. 70.
43. Filippo Turati ad Achille Loria, 26-XII-1890, in «Appendice» a Paolo Favilli, Il socialismo italiano e la teoria economica di Marx (1892-1902), Bibliopolis, Napoli 1980, pp. 181-182.
44. Friedrich Engels, Vorwort a Karl Marx, Das Kapital. Dritter Band, MEGA II/15, p. 21.
45. Benedetto Croce, Materialismo storico ed economia marxistica, Bibliopolis, Napoli 2001, p. 65.
46. Friedrich Engels, op. cit., p. 21.
47. Benedetto Croce, Materialismo storico ed economia marxistica, op. cit., p. 65.
48. Cfr. Antonio Labriola a Benedetto Croce, 25-V-1895, in Benedetto Croce, Materialismo storico ed economia marxistica, op. cit., p. 269. In proposito si veda anche Mario Tronti, Tra materialismo dialettico e filosofia della prassi – Gramsci e Labriola, in Alberto Caracciolo – Gianni Scalia (a cura di), La città futura. Saggi sulla figura e il pensiero di Antonio Gramsci, Feltrinelli, Milano 1959, p. 148.
49. “Tutto molto bene, solo qualche piccolo errore di fatto e all’inizio uno stile un pò troppo erudito. Sono molto curioso di vedere il resto”, in Friedrich Engels a Antonio Labriola, 8-VII-1895, MEW 39, Dietz Verlag, Berlin 1968, p. 498.
50. Cfr. Antonio Labriola, In memoria del Manifesto dei comunisti, in Scritti filosofici e politici, op. cit.,p. 507.
51. Ivi, p. 503.
52. Ivi, p. 493.
53. Ivi, pp. 524-525.
54. Cfr. Eugenio Garin, Antonio Labriola e i saggi sul materialismo storico, in Antonio Labriola, La concezione materialistica della storia, Laterza, Bari 1965, p. XLVI.
55. Vladimir Illich Lenin, Karl Marx, in Opere, Volume XXI, p. 76.
56. In proposito si veda il saggio di Benedetto Croce, Come nacque e come morì il marxismo teorico in Italia (1895-1900), in Benedetto Croce, Materialismo storico ed economia marxistica, op. cit., pp. 265-305.
57. Cfr. Francesco Saverio Merlino, L’utopia collettivista e la crisi del socialismo scientifico, Treves, Milano 1897; Francesco Saverio Merlino, Pro e contro il socialismo. Esposizione critica dei principi e dei sistemi socialisti, Treves, Milano 1897.
58. Cfr. Antonio Graziadei, La produzione capitalistica, Bocca, Torino 1899.
59. Cfr. Roberto Michels, Storia del marxismo in Italia, op. cit., p. 120.
60. La frase fu pronunciata da Giolitti in parlamento l’8 aprile del 1911. Si vedano gli Atti parlamentari, Camera dei Deputati, Sessione 1909-1913, Vol. XI, p. 13717. In proposito si veda Enzo Santarelli, La revisione del marxismo in Italia. Studi di critica storica, Feltrinelli, Milano 1964, pp. 131-132.
61. Cfr. Rodolfo Mondolfo, Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, Einaudi, Torino 1968.
62. Cfr. Antonio Gramsci, La costruzione del partito comunista (1923-1926), Einaudi, Torino, 1978, pp. 475-476.
63. Le modifiche alla versione di Bettini contenute in questa nuova edizione furono un vero e proprio tentativo di deformazione e soppressione di alcune parti del testo, per renderlo meno pericolo e più consono all’ideologia fascista. In proposito cfr. Franco Cagnetta, Le traduzioni italiane del «Manifesto del partito comunista», in «Quaderni di Rinascita», N. 1, Il 1848, Rinascita, Roma 1949, pp. 28-29.
64. Cfr. Enzo Santarelli, La revisione del marxismo in Italia, op. cit., p. 23.
65. La cronologia delle edizioni degli scritti maggiori di Marx ed Engels fino alla pubblicazione del Manifesto del partito comunista è la seguente:1871. Karl Marx, La guerra civile in Francia; 1873. Friedrich Engels, Dell’autorità; 1873. Karl Marx, Dell’indifferenza in materia politica; 1879. Carlo Cafiero, Il capitale di Carlo Marx brevemente compendiato da Carlo Cafiero; 1882-84. Karl Marx, Il capitale; 1883. Friedrich Engels, L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza; 1885. Friedrich Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato; 1889. Karl Marx-Friedrich Engels, Manifesto del partito comunista (traduzione Bissolati); 1891. Karl Marx-Friedrich Engels, Manifesto del partito comunista (traduzione Gori); 1892. Karl Marx-Friedrich Engels, Manifesto del partito comunista (traduzione Bettini).