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I primi 190 anni di Karl Marx

Il 5 maggio di 190 anni fa nacque Karl Marx. Cresciuto in una famiglia di origini ebraiche, trascorse a Treviri, in Germania, la sua prima giovinezza. Dal 1835 fu studente di Diritto alle università di Bonn e Berlino, ma ben presto il suo interesse principale si volse alla filosofia, in particolare a quella hegeliana allora dominante.

Nel 1841 fu promosso dottore in Filosofia all’Università di Jena, con una tesi sulla Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro. Un amico del tempo lo descrisse così: «immagina Rousseau, Voltaire, Holbach, Lessing, Heine e Hegel uniti in una persona (e dico uniti, non messi insieme alla rinfusa) e avrai Karl Marx». Anche il suo aspetto esteriore non passava inosservato. La carnagione scura, accentuata dai peli neri e fittissimi che gli spuntavano dovunque, e la vistosa capigliatura corvina, gli valsero, infatti, il soprannome che lo accompagnò per tutta la vita: il Moro.

La partecipazione al movimento dei Giovani Hegeliani gli impedì la carriera accademica cui aspirava. Così, nel 1842-43, le sue brillanti doti di polemista furono al servizio del liberalismo democratico della «Gazzetta Renana», della quale divenne giovanissimo redattore capo. Quando la censura colpì il quotidiano di Colonia, Marx scelse l’esilio, e riparò prima a Parigi e poi a Bruxelles.

In questo periodo, il suo pensiero compì un’importante maturazione. Egli si separò dalla filosofia che intendeva il cambiamento del mondo come mero compito teoretico: «i filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo; si tratta di trasformarlo»; scoprì la potenzialità rivoluzionaria del proletariato; aderì al comunismo e iniziò lo studio dell’economia politica. L’incontro con Friedrich Engels, avvenuto nel 1844, sancì, inoltre, un’amicizia e una collaborazione che durarono quarant’anni. I lavori giovanili, tra i quali figurano i Manoscritti economico-filosofici del 1844 e L’ideologia tedesca, rimasero incompleti e furono pubblicati soltanto nel 1932. Tuttavia, essi permisero a Marx di cominciare a elaborare la concezione materialistica della storia, che in seguito, distante però dal determinismo di molti suoi epigoni, definì così: «l’insieme dei rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita».

Nel 1847, in polemica col socialista francese Proudhon, diede alle stampe la sua prima opera di economia: Miseria della filosofia. Nel 1848, scrisse insieme con Engels Il manifesto del partito comunista. Il suo incipit, «uno spettro si aggira per l’Europa – lo spettro del comunismo», è celebre quanto la sua tesi di fondo: «la storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi». Dopo lo scoppio delle rivoluzioni del 1848, fu direttore della «Nuova Gazzetta Renana», ma nel 1849, con la sconfitta del movimento rivoluzionario, fu costretto a rifugiarsi a Londra, dove rimase in esilio fino alla morte, che giunse nel 1883.

Gli anni Cinquanta furono il periodo peggiore dell’esistenza di Marx. Egli visse in condizioni di profonda miseria, a causa della quale perse quattro figli, e tormentato da diverse malattie. Riuscì a sopravvivere soltanto grazie all’aiuto di Engels e con i ricavi della prestigiosa corrispondenza che Marx avviò con il «New-York Daily Tribune», all’epoca il quotidiano più venduto al mondo. Nonostante le terribili condizioni di vita, egli riuscì a proseguire gli studi di economia politica nel totale isolamento in cui si chiuse nella biblioteca del British Museum. Dal 1857, convinto che la crisi finanziaria internazionale, scoppiata quell’anno, avrebbe creato le condizioni per una nuova fase rivoluzionaria, riprese il progetto della sua «Economia». Nel 1857-58 redasse gli importantissimi Grundrisse, i manoscritti in cui riepilogò i lineamenti fondamentali dell’opera che aveva da tanto tempo in cantiere, e nel 1859 pubblicò il fascicolo intitolato Per la critica dell’economia politica. Tuttavia, il colossale piano di questo lavoro fu portato a termine solo per un’esigua parte. A complicare le già difficili circostanze fu l’impegno politico che egli assunse, dal 1864 al periodo successivo alla Comune di Parigi, a capo dell’«Associazione Internazionale dei Lavoratori», della quale redasse indirizzi, risoluzioni, programmi e ne fu la figura principale.

Il libro primo de Il capitale, uscì soltanto nel 1867 e Marx non riuscì a completarne il secondo e il terzo volume, che furono, invece, dati alle stampe da Engels. Manoscritti non ultimati, abbozzi provvisori e progetti abbandonati. Contrariamente al carattere di sistematicità che gli è stato spesso attribuito, la gran parte dei suoi lavori è segnata dall’incompiutezza, caratteristica che non impedì, però, alle sue analisi, di mostrarsi meno geniali e feconde di straordinarie conseguenze teoriche. Marx trascorse i suoi ultimi anni svolgendo ulteriori ricerche. Il metodo oltremodo rigoroso, l’autocritica più spietata, l’inestinguibile passione conoscitiva e la difficoltà di rinchiudere la complessità della società nell’opera che aveva progettato per una vita intera, rendono verosimile l’amara descrizione che una volta diede di sé: «sono una macchina condannata a divorare libri per buttarli fuori in forma diversa sul letamaio della storia».

La sorte toccatagli dopo la morte è stata di tutt’altra natura. La cattiva sistematizzazione subita dalla sua opera da parte dei seguaci, l’impoverimento teorico che ne ha accompagnato la divulgazione, la manipolazione dei suoi scritti e il loro utilizzo strumentale in funzione delle necessità politiche, hanno fatto si che il suo pensiero sia stato spesso travisato o confuso con quello dei tanti che si sono professati marxisti nonostante abbiano avuto ben poco in comune con Marx.

A distanza di due decenni dal 1989, quando fu messo troppo frettolosamente da parte e ne fu dichiarato in maniera definitiva l’oblio, Karl Marx è ritornato alla ribalta. La sua persistente potenzialità esplicativa della realtà odierna ripropone il valore del suo pensiero e sugli scaffali delle biblioteche i suoi scritti vengono rispolverati sempre più frequentemente.

Marx fu un ricercatore instancabile, analitico e perspicace del capitalismo e, meglio di ogni suo altro contemporaneo, ne intuì e ne analizzò lo sviluppo su scala mondiale. Egli capì che la nascita di una economia globalizzata era insita nel modo di produzione capitalistico e previde anche che questo processo non avrebbe generato solo crescita e benessere, tanto sbandierati da parte liberale, ma anche violenti conflitti, crisi economiche e ingiustizia sociale diffusa.

Il ritorno d’interesse nei confronti di Marx si fonda sulla crisi della società contemporanea e sulla ancora così tanto attuale capacità, da parte sua, di spiegare il mondo d’oggi e le profonde contraddizioni che lo percorrono. Rinunciare al patrimonio critico contenuto nei suoi scritti significherebbe per la sinistra deporre una delle armi più preziose per la trasformazione del presente.