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Roberto Ciccarelli, Il Manifesto

Un teorico ribelle alla gabbia della realtà

Il volume di Marcello Musto da poco pubblicato da Carocci è una cartografia puntuale sulla riflessione e il progetto di ripubblicare tutte le opere di Karl Marx. Con l’obiettivo di sottrarre l’autore del «Capitale» a una lettura accademica

Praticare la chirurgia dei tagli su Marx – ha scritto Maximilien Rubel – significa effettuare l’ablazione di ciò che nel suo pensiero si oppone a ogni marxismo inquisitorio e a ogni comodo liberalismo. In questo assunto, collocato da Marcello Musto in esergo al suo volume Ripensare Marx e i marxismi (Carocci, pp. 373, euro 33), possono essere riassunte le vicende editoriali, filologiche e politiche che hanno visto protagoniste – per oltre un secolo – le pagine parzialmente edite, o del tutto inedite, dell’opera marxiana. Finalmente sottratto alla conoscenza approssimativa di un testo, di cui a lungo si è conosciuto solo il mito ma non la lettera, oggi Marx sembra tornare a parlare in prima persona.

Musto ne ripercorre l’avventurosa genesi alla luce della nuova edizione delle opere complete – la cosiddetta «Mega 2» che prevede la pubblicazione di 114 volumi. Tra i molti Marx che continuano ad essere indispensabili, ne segnala almeno tre. Quello ossessionato dalla miseria economica, dalle tragedie familiari e dalle tumultuose vicende politiche che videro la nascita della Prima internazionale, insomma il vissuto storico che molti anni fa nutrì un’enorme quantità di biografie e storie politiche. Oggi questi libri è difficile trovarli persino sulle bancarelle dell’usato.

Musto si sofferma anche sul Marx critico del modo di produzione capitalistico, ricercatore enciclopedico che ne intuì la capacità di sviluppo a livello mondiale, meglio di qualunque altro studioso della sua epoca. E, infine, c’è il Marx teorico del socialismo che, sopresa, aveva tempestivamente ripudiato la possibilità di un «socialismo di Stato» propugnata da Lassalle e da Rodbertus. Alla luce di questo schema, che riporta Marx alla sua lettera e scuote la sua immagine anchilosata da un punto di vista, si direbbe, «libertario», Musto ricostruisce la storia delle «ablazioni» del testo originario di Marx, insieme ad una corretta prospettiva sulla sua opera. Così facendo egli ristabilisce le responsabilità «scientifiche» di Friedrich Engels, co-autore e primo editor di Marx, e non solo dei due volumi inediti del Capitale, diciamo pure le sue intrusioni e incomprensioni praticate sul corpo vivo della lettera marxiana che, in gran parte, il filosofo aveva lasciato in bozze al momento della morte. È a partire dalle responsabilità di Engels che Musto ricostruisce l’ordito di un giallo editoriale e politico.

Già nel 1897 Antonio Labriola scriveva: «Il leggere tutti gli scritti dei fondatori del socialismo scientifico è parso fino ad ora come un privilegio da iniziati». È come la storia della «lettera rubata» di Edgar Allan Poe: tutti ne parlano, nessuno l’ha letta. E così è stato con Marx. Lo scarso interesse, o la vera incoscienza, del partito socialdemocratico tedesco, i conflitti interni, condannarono i suoi scritti all’oblìo. Furono pubblicati manoscritti, frammenti, opere edite parzialmente, o reinventate all’insegna di un determinismo che poco assomigliava al metodo marxiano. Tutto il resto fu messo nei cassetti.

Non diversamente accadde dopo la rivoluzione sovietica quando a Mosca venne progettata l’edizione completa delle opere, un periplo infinito mai concluso e poi travolto dal crollo del Muro. Nel turbine di queste vicende, la lettura marxiana ha resistito alle purghe staliniane, rimbalzando in tutto il mondo nelle lotte operaie, scomponendosi nelle trame dei «marxismi occidentali», orientali, eretici o umanistici, confluendo in percorsi originali come ad esempio quelli dei Grundrisse «scoperti» prima da Rjazanov negli anni Venti, poi nel 1948 quando Roman Rosdolsky incappò in una copia rarissima di quelli che sono stati anche, ma non solo, i materiali preparatori del Capitale. Nei «Lineamenti fondamentali», Vitalij Vygoskij nel 1965 scoprì le potenzialità inesplorate dell’ultima stagione marxiana: il metodo dell’astrazione reale, della tendenza, il general intellect o l’individuo sociale. Ciò che colpisce in queste vicende è l’approssimarsi ad una verità che sfugge, ma che lascia dietro di sé tracce ponderose, poi tradotte in tutto il mondo. È stato così per i Grundrisse e, prima, per i Manoscritti economici-filosofici.

Pur incompleto, tradotto male, o occultato, Marx è sempre stato uno e molteplice, pensiero in azione e in conflitto con se stesso, opera in corso di definizione, anche editoriale. Restituirlo, come intende fare Musto, alla sua lettera non significa imprigionarne il pensiero in una filologia, come se la lettera rubata di Poe potesse tornare al suo posto. Ed è proprio questa, in fondo, la «verità» che il «marxismo» – quello «ufficiale», terzinternazionalista da Comintern, oppure quello declinato nei vari comitati centrali «occidentali» e «orientali» – non è mai riuscito a rubare a Marx: l’invenzione di un metodo aperto ad alleanze analitiche e politiche, capace di affermare solo una verità storica, geneticamente costituita a partire dalle potenzialità del reale.

Per questa ragione non esiste una sola lettera in Marx, né una sola lettura di Marx, sebbene oggi sia possibile ricostruire il percorso erratico del suo pensiero in volumi curati in maniera impeccabile. La ricostituzione di questo patrimonio permette di spiegare come il marxismo abbia da subito moltiplicato fonti, destinazioni e specificità del suo messaggio e non possa essere riducibile alla storia di un’opera da mettere in un museo. Il fatto che Marx abbia raramente terminato un libro, dedicandosi all’apertura di nuovi cantieri, esplorando infinite connessioni dalle scienze naturali all’economia politica, dalla matematica alla filosofia, dimostra l’eclatante modernità di un’opera-mondo, come anche la sua molteplicità al di là di ogni perimetro «marxista». Non si spiegherebbero altrimenti le alleanze che, nel corso del Novecento, sono state siglate tra i marxismi e le scienze umane, gli strutturalismi, o le teorie critiche, i postcolonial studies, e soprattutto le lotte operaie, anti-coloniali, quelle per la «soggettività» (il femminismo o il queer, ad esempio).

Ci vorranno anni per completare la «Mega 2», ma anche questa è un’occasione per ribadire il gesto di Marx: dislocare l’analisi del capitalismo, e la necessità del superamento di questo sistema polimorfo, al di là di un’unica lettura marxista. Secondo Rubel le disiecta membra dell’opera marxiana ieri hanno autorizzato i deliri stalinisti, e oggi restano esposte alle banalità del liberalismo: il marxismo come sociologia della globalizzazione. A parte il fatto che c’è sempre la libertà di opinione, anche quella di dire idiozie, ma questi sono rischi innocui. Ciò che è più importante è che la morte del comunismo in un solo paese, e il suicidio del neo-liberismo, hanno liberato i marxismi da molti equivoci. E tuttavia aspettiamo ancora le prove che dimostrino la loro capacità di ricavarsi un posto nel mondo per trasformarlo, non per rimpiangere ciò che non è ancora stato.

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Interviews

Le ragioni della crisi? Interrogate Marx

1. Le misure del governo Monti disegnano un quadro da “ultimi giorni di Pompei” del capitalismo europeo e italiano?

Per “ristabilire la fiducia dei mercati” occorre procedere spediti sulla strada delle “riforme strutturali”. È questa la litania che da mesi ci viene riproposta. Ma negli ultimi anni l’espressione “riforme strutturali” ha subito una radicale trasformazione semantica.

È divenuta sinonimo di scempio sociale: riduzione salariale, revisione dei diritti dei lavoratori circa le norme che regolano l’assunzione e il licenziamento, aumento dell’età pensionabile e privatizzazioni su larga scala. Non riforme (termine che appartiene al lessico socialista), dunque, ma nient’altro che la realizzazione dei diktat della Banca Centrale Europea. Ritorno al capitalismo selvaggio dell’Ottocento. Un’altra impostura terminologica si nasconde dietro le parole “governo tecnico”. Dietro la maschera ideologica dell’apoliticità si nasconde, al contrario, un progetto eminentemente politico e dal contenuto assolutamente reazionario. Il trasferimento del potere decisionale dalla sfera politica a quella economica; la trasformazione di possibili decisioni politiche in incontestabili imperativi economici. La ridislocazione di una parte della sfera politica nell’economia, come ambito separato e immodificabile, il passaggio di potere dai parlamenti (già svuotati del loro valore rappresentativo da sistemi elettorali maggioritari e da revisioni autoritarie del rapporto tra il potere governativo e quello legislativo) al mercato e alle sue istituzioni e oligarchie, costituisce il più grave impedimento democratico del nostro tempo. I governi non discutono più quali indirizzi economici adottare, ma sono gli indirizzi economici a generare la nascita dei governi.

2. Quale potrebbe essere lo scenario economico del Sud nei prossimi anni? Da area depressa a sottosviluppo?

I piani di rilancio economico annunciati nell’ultimo ventennio per il Mezzogiorno sono tutti tragicamente falliti. Disoccupazione strutturale, potere delle mafie, distruzione ambientale: è uno scenario di guerra sociale che, purtroppo, è destinato a durare. E nell’agenda politica (tantomeno del governo Monti) non vi è alcun progetto credibile per tentare di invertire questa rotta. Il destino del Sud Italia appare sempre più comune a quello degli altri paesi del Mediterraneo. È uno scenario di povertà, precarietà e sfruttamento.

3. Il 30% in Italia è senza lavoro, il 50% al Sud. In questo contesto quale prospettiva può dare una rilettura di Marx?

Sono dati drammatici e il Meridione non è un’eccezione. Le statistiche fornite dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro parlano chiaro: il numero dei disoccupati nel mondo ha raggiunto i 200 milioni, 27 milioni in più di quelli esistenti prima dello scoppio della crisi nel 2008. Marx, frettolosamente considerato “morto” dopo la caduta del muro di Berlino, è ritornato oggi di grande attualità e la sua analisi critica del capitalismo è stata magnificata da giornalisti e analisti finanziari di tutti i principali quotidiani e settimanali del mondo, progressisti e conservatori. Vi è un abisso tra la sua elaborazione e quella degli economisti che, ai nostri giorni come al suo tempo, individuano le cause della crisi nella speculazione e in un’eccessiva avidità per il profitto. Marx li paragonava a quei filosofi della natura che consideravano la febbre come la causa di tutte le malattie. Le crisi sono, invece, una parte essenziale del capitalismo, non incidenti di percorso. Ma il Marx di cui c’è oggi più bisogno è quello politico. La realtà in cui viviamo parla di un fallimento senza appelli del capitalismo. E davanti a noi c’è il pericolo di una spirale della guerra e della xenofobia. È necessario ripensare un’alternativa e il pensiero di Marx offre ancora le basi per farlo. Un cambiamento di progresso ed emancipazione sociale non avverrà, però, grazie agli Obama (che – va ricordato – in questa tornata elettorale ha perso oltre 3 milioni e mezzo di voti rispetto a quattro anni fa) o ad altri leader carismatici, ma soltanto attraverso una nuova stagione di amplia e radicale partecipazione democratica.

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Reviews

Francesca Izzo, L’Unità

Riscoprire Marx ostile al socialismo di stato

«Mega2» è il titolo della prima edizione critica che raccoglie tutti gli scritti editi e inediti del filosofo di Treviri. A partire dalla sua lettura Musto scrive un importante contributo sul profilo teorico e umano del pensatore.

Sull’inserto domenicale della Repubblica dell’8 gennaio ben tre pagine sono state dedicate a Karl Marx, al suo pensiero di nuovo al centro di un crescente interesse mondiale e all’enorme mole di inediti che stanno progressivamente vedendo la luce.

Per i lettori italiani che ne volessero sapere di più è appena giunto in libreria un volume (Marcello Musto, Ripensare Marx e i marxismi, Carocci, novembre 2011) che dà un importante contributo all’inconsueto profilo teorico ed umano del pensatore di Treviri offerta dalla nuova edizione critica dei suoi scritti editi ed inediti.

“Nonostante l’affermazione delle sue teorie, trasformate nel XX secolo in ideologia dominante e dottrina di Stato per una gran parte del genere umano, e l’enorme diffusione dei suoi scritti, egli rimane, ancor oggi, privo di un’edizione integrale e scientifica delle proprie opere” (p. 189).

L’autore, attualmente docente presso la York University di Toronto (data la ormai ben nota incapacità della nostra università di dare prospettive a valenti studiosi pur formatisi al suo interno) ha seguito il lavoro dell’équipe di studiosi che sta approntando a Berlino la Mega2, ovvero la prima vera edizione critica della sterminata produzione di Marx, formata sia dagli inediti che dagli scritti ordinati e pubblicati postumi da Engels, a cominciare dal secondo e dal terzo libro del Capitale.

Unendo alle competenze filologiche solide conoscenze teoriche e della storia delle interpretazioni, Musto in questo lavoro illumina un’immagine di Marx lontana sia dalla monumentalità irrigidita del fondatore di un’ortodossia che dal frammentarismo accademico. Quella che emerge dalle pagine di Musto è la figura del pensatore geniale che ha svelato le radici storiche, quindi modificabili, del suo e del nostro presente spiegando i meccanismi di sviluppo a scala mondiale del modo di produzione capitalistico; ma anche del ricercatore frenetico, mai pago dei risultati del proprio lavoro, sempre pronto a seguire nuove piste di studio, ad aprire nuovi orizzonti di ricerca, lasciando di fatto incompiuto il progetto della sua vita.

Attraverso alcune analisi esemplari, come quella condotta sui cosiddetti Manoscritti economico- filosofici – scritto giovanile dove compare per la prima volta il concetto di lavoro alienato che ha tanto animato le polemiche tra gli interpreti – Musto ci introduce in quel laboratorio, ribollente di idee originali, riassunti o commenti di opere altrui, che sono gli scritti marxiani. Il lettore può verificare lo scarto che si apre tra la presunta opera compiuta, come le precedenti edizioni ce l’avevano consegnata e l’effettivo stato dello scritto che così ci consente di penetrare nel processo del lavoro creativo di Marx, nella sua officina di pensiero.

Ai saggi di impianto biografico e filologico, accompagnati da appendici di utilissime tabelle cronologiche , si intrecciano nel volume studi dedicati alla “odissea della pubblicazione” degli scritti marxiani e alla storia delle interpretazione, in particolare dei Manoscritti, dei Grundisse e del Manifesto del Partito comunista. Mentre è di rilievo teorico il saggio sull’Introduzione del 1857. Si tratta di un testo assai noto, di carattere metodologico nel quale sono delineati i tratti generali del metodo di esposizione e della concezione materialistica della storia, che ha attirato l’attenzione di innumerevoli interpreti e critici. Musto lo analizza con grande puntualità mettendone in luce la complessa architettura, la struttura aperta e il suo straordinario valore teorico.

“Nelle opere successive all’[Introduzione]…Marx scrisse delle questioni di metodo non più nella forma aperta e problematica che aveva caratterizzato lo scritto del 1857, bensì in modo compiuto e senza lasciar trasparire la complessa genesi della sua elaborazione. Anche per questa ragione, le pagine dell’[Introduzione] sono straordinariamente rilevanti” (p. 149).

Sostenuta dalla rete di queste robuste conoscenze c’è una forte passione che guida la ricerca di Musto, la passione per il suo autore, per Marx che ciclicamente si vuole trattare come un “cane morto”, al pari del suo amato Spinoza e che ciclicamente viene riscoperto come indispensabile a comprendere i fenomeni del mondo globalizzato.

“Si è aperta una stagione contraddistinta dai molti Marx. Dopo il tempo dei dogmatismi, non sarebbe potuto accadere altrimenti… Tra i molti Marx che continuano ad essere indispensabili, se ne segnalano almeno due… quello critico del modo di produzione capitalistico. L’analitico, perspicace e instancabile ricercatore che ne intuì e analizzò lo sviluppo su scala mondiale e, meglio di ogni altro, ha descritto la società borghese… L’altro Marx… è il teorico del socialismo. L’autore che ripudiò l’idea di “socialismo di Stato”, al tempo già propugnata da Lassalle e Rodbertus” (pp. 218-9).

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Undergraduate Courses

Political Thought Capstone

Having been wrongly identified with the Soviet Union and ‘actually existing socialism’, Marx was almost unanimously written off after the fall of the Berlin Wall and consigned to oblivion. Yet, since the outbreak of the current international economic crisis, his thought has again been attracting major attention: the study of his work is reviving almost everywhere, and university courses on Marx are again in vogue.

This course will centre on the critical interpretation of some of Marx’s main writings. It will examine various phases of his intellectual output: early philosophical and political writings, studies of political economy, historical and political works from 1848-1852, journalistic pieces from the 1850s, the drafting of Capital, political activity in the International Workingmen’s Association, the last decade of his life and work. The study of his intellectual biography will, it is hoped, bring out the theoretical gains that were decisive for the development of his thought. Reconstruction of the period and of his personal circumstances will always place the texts in their historical context, and a close examination of the drafts and preparatory materials will show the influence of certain predecessors and contemporaries in the formation of his own ideas. Close attention will also be paid to philological insights contained in recent German volumes of the historical-critical Marx-Engels-Gesamtausgabe (many of which are still unknown in the English-speaking world), and the resulting new interpretations of Marx’s unfinished manuscripts (for example, the Economic-Philosophical Manuscripts of 1844, The German Ideology and Volumes Two and Three of Capital) will be compared with the erroneous readings of these texts by the main twentieth-century variants of Marxism.

The final part of the course will look critically at some characteristics of the main schools of Marxism in the nineteenth and twentieth centuries, and consider the most important works published in recent years on the continuing relevance of Marx’s thought for an understanding of the contemporary world and its problems.

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Graduate Courses

From Hegel to Marx

The course will examine some of the most important writings of the major German authors of the first half of the Nineteenth Century, who transformed irreversibly the philosophical and the political thought. The first part of the seminar will focus on two of Georg Wilhelm Friedrich Hegel’s main works: the Phenomenology of the Spirit and the Elements of the Philosophy of Right, which will also be considered in relation to the most important Marxist secondary literature on Hegel written in German (Herbert Marcuse, György Lukács and Ernst Bloch) and writings that played a big role in the French controversy on the relation between Hegel and Karl Marx ( Alexandre Kojève and Jean Hyppolite).

The course will then concentrate on some of the key members of the Left Hegelian school, in particular Bruno Bauer, Ludwig Feuerbach, Marx and Max Stirner, through the analysis of their most influential works (among them Feuerbach’s The Essence of Christianity and Principles of Philosophy of the Future; Marx’s Economic-Philosophical Manuscripts of 1844 and The German Ideology – written with Engels; and Stirner’s The Ego and Its Own). In addition one will take up some of the debates of the time, like those on the critique of Christianity, the critique of the speculative thought, the overturning of Hegelian philosophy, materialism, atheism, and the role of the individual.

The main aim of the seminar will be reconstructing the elaboration of Marx’s thought in its early stages. The path “from Hegel to Marx” will be investigated not solely philosophically but through an inter-disciplinary approach, i.e., analyzing the philosophical writings of the time, but vis-à-vis with Marx’s discovery of political economy and Socialism. Therefore, besides philosophical and political themes like species-being, human emancipation, and the relation between State and civil society, one will discuss other significant theoretical acquisitions by Marx, like the critique of alienated labour, the understanding of the revolutionary role of the proletariat, the adhesion to Communism, and the development of a materialist conception of history. This will be facilitated by highlighting Marx’s decisive encounter with political economy – first through the writings of Friedrich Engels, Moses Hess and Pierre-Joseph Proudhon, and then Adam Smith and David Ricardo -, and by examining the influence that the early Socialists Henri de Saint Simon, Charles Fourier and Robert Owen had on the development of his ideas.

The final class of the course will look critically at the most influential Marxist writings published in the 1960s and 1970s on the “young Marx” versus “mature Marx” debate, revealing some of their textual limitations and interpretative mystifications. This will be pursued by through attention to the latest philological acquisitions related to Marx’s works (the Economic-Philosophical Manuscripts of 1844 and The German Ideology will be reconsidered on the basis of their new editions) and the most recent secondary literature on the Left Hegelians.

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Undergraduate Courses

History of Political Thought

The course will centre on the principal European conceptions of Socialism between 1789 and 1989. Its first part will be dedicated to some of the most important Socialist thinkers of the Nineteenth Century (Saint-Simon, Fourier, Owen, Proudhon, Lassalle, Marx, Bakunin, and the Fabians), while the second part will focus on the analysis of the main Marxist controversies and Socialist political experiences of the Twentieth Century (especially the Bernstein Debate of the Second International, and the so-called “actually existing socialism” in Soviet Union expressed in the works of Lenin and Stalin).

Goal of the course is to examine the characteristics and distinguishing features of the varied Socialisms articulated by the authors above. The selection of readings will focus on the writings in which these thinkers developed their theories of how a Socialist society should be economically and politically organized.

Special attention will be dedicated to Marx’s Socialism and to his critique of other Socialisms, including Anarchism. Though he never composed a single text specifically on Socialism and post-capitalist society, through his critique of capitalism Marx pointed to some of the key social features and relations of production in the “society of free producers” which would replace the capitalist social formation. The course will explore the originality of Marx’s theories in comparison with those of his socialist predecessors, as well as the differences between his ideas and the historical record of “actually existing Socialism”.

The last class will review the course and examine the most relevant contemporary Socialist theoretical and political interventions (such as those offered by Latin American socialist governments, the European Communist parties, the Socialist International, the so-called ‘Socialism of the XXI Century’, and the Alter-globalization movement).

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Journal Articles

Marx e o caso Vogt

No último volume da Marx-Engels Gesamtausgabe (MEGA2) está publicada a correspondência completa de Karl Marx entre 1860-61: um capítulo pouco explorado de sua biografia intelectual. Este período abrange a redação do polêmico escrito O Senhor Vogt, os esboços de O Capital, os artigos jornalísticos para o “New York Tribune” e para o “Die Presse”, além de estudos realizados através de minuciosas leituras, as vicissitudes de sua saúde e a incerteza de sua existência decorrente da profunda miséria que o acometia.

I. As vicissitudes editoriais da obra de Marx e Engels
Apesar da grande difusão dos escritos e da ampla afirmação de suas teorias, Marx e Engels ainda não dispõem de uma edição integral e científica de sua própria obra. A primeira razão deste paradoxo decorre do caráter fragmentário e incompleto da obra de Marx, da qual, excluindo os artigos jornalísticos editados entre 1848-1862, os trabalhos publicados foram relativamente poucos se comparados aos inúmeros trabalhos parcialmente concluídos ou ao imponente conjunto de investigações desenvolvidas. O próprio Marx confirma tal fato, quando em 1881, um de seus últimos anos de vida, ao ser consultado por Karl Kautsky sobre a possibilidade de uma edição completa de suas obras, responde: ”antes de tudo, estas deveriam primeiro ser escritas”. Em segundo lugar, as vicissitudes do movimento operário influenciaram a publicação dos trabalhos dos dois autores, que com muita freqüência, mais dificultaram do que favoreceram a edição de seus textos.

A primeira tentativa de publicação de todos os escritos de Marx e Engels remonta aos anos vinte, quando David Borissovitch Riazanov, reconhecido estudioso e conhecedor da obra de Marx, além de diretor do Instituto Marx-Engels da recém-criada república dos Soviets, iniciou a publicação em língua original através da Marx-Engels Gesamtausgabe (Mega). No entanto, em decorrência dos expurgos estalinistas exercidos sobre os estudiosos do Instituto – o próprio Riazanov foi destituído e condenado à deportação em 1931 – o projeto foi interrompido em 1935, e dos 42 volumes inicialmente previstos só foram publicados 12 volumes (em 13 tomos). Ainda na União Soviética, de 1928 a 1946, foi publicada a primeira edição em russo: a Sochineniya (Obras Completas). Apesar do nome, essa reproduzia apenas um número parcial de escritos; mas, com os seus 28 volumes (em 33 tomos), constituiu para a época a coleção quantitativamente mais consistente da obra dos dois autores. A segunda Sochineniya, por outro lado, apareceu entre 1955 e 1966 em 39 volumes (42 tomos).

De 1956 a 1968, na República Democrática Alemã, por iniciativa do Comitê Central do SED, foram impressos os 41 volumes (em 43 tomos) da Marx Engels Werke (Mew). Tal edição, porém, longe de ser completa, era ainda tediosa em decorrência das introduções e notas que, concebidas sob o modelo da edição soviética, orientavam a leitura segundo a concepção do “marxismo-leninismo”. Apesar disto, ela constituiu a base de numerosas edições análogas em outras línguas, entre as quais também se inclui a edição italiana das Opere, que não foi publicada na íntegra, aparecendo apenas em 32 dos 50 volumes previstos.

O projeto de uma “segunda” MEGA, que se propunha a reproduzir de maneira fiel e com um amplo aparato crítico todos os escritos dos dois pensadores, renasceu durante os anos sessenta. No entanto, as publicações, iniciadas em 1975, foram também interrompidas, desta feita em decorrência da queda do bloco dos “países socialistas”.

Em 1990, com o objetivo de completar a edição histórico-crítica, diversos institutos na Holanda, Alemanha e Rússia constituíram a “ Internationale Marx-Engels-Stiftung” (IMES). Após uma meticulosa fase de reorganização, na qual se estabeleceu novos princípios editoriais e após a substituição da editora Dietz Verlag pela Akademie Verlag, a partir de 1998 é retomada a publicação da Marx-Engels Gesamtausgabe, denominada MEGA2. Esta iniciativa se reveste de grande importância já que uma parte considerável dos manuscritos, da imponente correspondência e da imensa quantidade de resumos e anotações elaborados por Marx de suas leituras continua ainda inédita. O projeto integral, do qual participam estudiosos que trabalham na Alemanha, Rússia, Japão, Estados Unidos, Holanda, França e Dinamarca se divide em quatro seções: a primeira compreende todas as obras, artigos e esboços, excluído O Capital; a segunda O Capital e todos os seus trabalhos preparatórios a partir de 1857; a terceira o epistolário; a quarta os resumos, as anotações e as notas à margem. Até hoje, dos 114 volumes previstos já foram publicados 52 (12 dos quais após a retomada do projeto em 1998), cada um dos quais consta de dois tomos: o texto e o aparato crítico, que contém os índices e muitos outros dados adicionais (informações detalhadas em www.bbaw.de/vs/mega).

II. A correspondência de Marx e Engels
O volume que aqui se apresenta – Marx-Engels Gesamtausgabe (MEGA2), Dritte Abteilung, Band 11: Briefwechsel Juni 1860 bis Dezember 1861, organizado por Rolf Dlubek e Vera Morozova, com a participação de Galina Golovina e Elena Vassenko, Akademie Verlag, Berlin 2005, 02 volumes, 1467 pp. – é o último publicado. Este inclui uma parte da correspondência trocada entre Marx e Engels no curso de suas vidas e ainda aquela que mantiveram com numerosos correspondentes com os quais estiveram em contato. O número total das cartas deste epistolário é enorme. De fato, foram encontradas mais de 4000 cartas escritas por Marx e Engels, das quais 2500 foram trocadas entre si e 10000 endereçadas por eles a terceiros. Alem destas, outras 6000 cartas, mesmo não sendo efetivamente enviadas aos seus destinatários, deixaram testemunho concreto de sua existência. Em consonância com a nova linha editorial adotada na MEGA2, todas as cartas seguem rigorosamente o critério de sucessão cronológica e os volumes não são mais divididos, como no passado, em duas partes distintas, umas das quais continha as cartas enviadas por Marx e Engels e a outra, aquelas recebidas por eles.

O texto em exame apresenta a correspondência mantida entre junho de 1860 e dezembro de 1861, período que, em essência, abarca as vicissitudes relativas à publicação de O Senhor Vogt e ao violento confronto estabelecido entre este e Marx. Das 386 cartas conservadas, 133 foram escritas por Marx e Engels e 253 recebidas por eles – entre as quais 204 são publicadas pela primeira vez. Das primeiras 133 cartas, 95 foram trocadas entre si (73 foram escritas por Marx a Engels e 22 por Engels a Marx – porém, através da reconstrução da correspondência entre ambos, fica evidente que pelo menos 17 das cartas escritas por Engels a Marx não foram enviadas). Finalmente, 11 cartas foram escritas por Ferdinand Lassalle a Marx.

III. O Senhor Vogt
Representante da esquerda na Assembléia nacional de Frankfurt entre 1848-1849, Carl Vogt era, além disto, professor de ciências naturais em Genebra, onde vivia exilado. Na primavera de 1859, publicou o panfleto Studien zur gegenwärtige Large Europas, no qual defende o ponto de vista bonapartista em política externa. Em junho do mesmo ano, apareceu em Londres um folheto anônimo que denunciava as intrigas de Vogt em favor de Napoleão III, especialmente as tentativas feitas para corromper alguns jornalistas no sentido de produzir versões pró-bonapartistas sobre os acontecimentos políticos em curso. A acusação – que como logo se demonstrou foi obra de Karl Blind, jornalista e escritor alemão emigrado em Londres – foi retomada pelo semanário “Das Volk”, no qual colaboravam também Marx e Engels, e pela “Allgemeine Zeitung” de Augusta.

Isto levou Vogt a entrar com uma ação legal contra o periódico alemão, que não pôde refutar a denúncia em função do anonimato exigido por Blind. Embora a queixa tenha sido judicialmente rejeitada, Vogt apareceu como o vencedor moral de toda aquela querela. Assim, ao publicar a sua versão dos acontecimentos ( Mein Prozess gegen die Allgemeine Zeitung), acusou Marx de ser o inspirador de um complô contra ele, além de ser o chefe de um bando que chantageava os participantes dos movimentos revolucionários de 1848, em particular ameaçando revelar os nomes daqueles que não estivessem dispostos a pagar o preço do silêncio [2].

Além de ter eco na França e Inglaterra, o escrito de Vogt teve um significativo sucesso na Alemanha, causando grande clamor nos jornais liberais: ”naturalmente o júbilo da imprensa burguesa não tem limites” [3]. Em janeiro de 1860 o “National-Zeitung” de Berlim publicou um resumo em dois longos artigos de fundo e, em conseqüência, Marx processou o jornal por difamação. Porém, o “Supremo Tribunal Real Prussiano” rejeitou a petição, alegando que os artigos não ultrapassavam os limites permitidos da crítica e não tinham a intenção de ofender. O sarcástico comentário de Marx à sentença foi: “é como aquele turco que feriu a cabeça de um grego, porém sem ter a intenção de lhe fazer mal” [4].

O texto de Vogt misturava, com hábil maestria, acontecimentos verdadeiros e outros inteiramente inventados, procurando levantar dúvidas sobre a história real da emigração entre aqueles que não estavam a par dos fatos. Assim, para salvaguardar a sua reputação, Marx se sente obrigado a organizar a sua defesa e, em função disto, em fins de fevereiro de 1860, começou a recolher material para um livro contra Vogt. Isto é feito através de duas formas. Antes de tudo, escreveu dezenas de cartas aos militantes com os quais havia mantido relações políticas durante e depois de 1848, a fim de obter deles todos os documentos possíveis referentes à Vogt [5]. Além disto, para ilustrar da melhor maneira possível a política dos principais Estados europeus e revelar o papel reacionário de Bonaparte, ele desenvolveu vastos estudos sobre a história política e diplomática dos séculos XVII, XVIII e XIX [6]. Sem dúvida, esta última parte é a mais interessante do escrito, além de que – juntamente com aquela que contém a reconstrução da história da “Liga dos Comunistas” – é a única a conservar valor para o leitor contemporâneo.

De qualquer maneira, como sempre acontecia com Marx, o seus estudos aumentaram muito as dimensões do livro, que lhe “crescia sob as mãos” [7]. E o prazo para o término do trabalho era constantemente postergado. Na realidade, apesar da exortação de Engels – “seja, pois, pelo menos uma vez um pouco superficial para cumprir o prazo estabelecido” [8] – e de ter escrito a Jenny Marx: “fazemos sempre as coisas mais estupendas, mas fazemos sempre de modo que não fiquem prontas no tempo adequado, e assim todas se perdem (…) lhe peço fazer o possível para que algo seja feito, mas imediatamente, para encontrar o editor e para que o opúsculo fique finalmente pronto” [9], Marx só se decidiu a terminá-lo em novembro. Ele quis intitular o livro “Da-Da-Vogt” [10], para evocar a semelhança de opinião entre Vogt e o jornalista bonapartista árabe contemporâneo a ele, Da-Da-Roschaid. Este, ao traduzir o panfleto bonapartista para o árabe por ordem das autoridades da Argélia, havia definido o imperador Napoleão III como “o sol de beneficência, a glória do firmamento” [11], e a Marx nada parecia mais apropriado para Vogt do que o epíteto de “Da-Da alemão” [12]. Todavia, Engels o convenceu a optar por um mais compreensível Herr Vogt (O Senhor Vogt).

Problemas posteriores surgiram com relação ao local de publicação do livro. A propósito, Engels recomendou veementemente a publicação do livro na Alemanha: “é preciso evitar a todo custo imprimir seu opúsculo em Londres (…). Já fizemos centenas de experiências com a literatura da emigração, sempre sem nenhum resultado, sempre dinheiro e trabalho jogados fora, sem contar a raiva” [13]. Porém, já que nenhum editor alemão se disponibilizou, Marx publicou o livro em Londres com o editor Petsch e assim mesmo, graças a uma coleta de dinheiro feita para bancar as despesas. Engels comentou que teria sido “preferível imprimir na Alemanha e era absolutamente necessário providenciar tal impressão [:] um editor alemão (…) tem melhores condições para romper a conspiração do silêncio” [14].

A refutação das acusações de Vogt manteve Marx ocupado durante um ano inteiro, obrigando-o a abandonar completamente os seus estudos econômicos que, segundo o contrato firmado com o editor berlinense Duncker, deveria aprofundar as investigações presentes em Para a crítica da economia política, publicada em 1859. Aparentemente, o frenesi que o invadiu durante este episódio acabou contagiando também aqueles que lhe eram mais próximos. A esposa Jenny achava O Senhor Vogt uma fonte de “prazer e deleite sem fim”; Engels afirmou que a obra era “certamente o melhor trabalho polêmico que [ele tinha] escrito até agora” [15]; Lassalle saudou o texto como “algo magistral em todos os sentidos” [16]; Wilhelm Wolff, em suma, disse: “é uma obra-prima do início ao fim” [17].

Na realidade, para ser compreendido hoje em todas as suas referências e alusões, O Senhor Vogt requereria um amplo comentário. Além disto, todos os principais biógrafos de Marx têm sido unânimes em considerar esta obra como uma notável perda de tempo e energia. Ao recordar como diversos conhecidos de Marx tentaram dissuadi-lo de empreender esta tarefa, Franz Mehring afirmou como “seria tentador desejar que ele tivesse dado ouvido a estes conselhos [uma vez que] esta obstaculizou (…) a grande obra de sua vida (…) em função do precioso dispêndio de força e tempo gastos sem qualquer ganho real” [18]. Com parecer semelhante, Karl Vorländer escreveu em 1929: “hoje, depois de duas gerações, se pode com razão duvidar se valia à pena desperdiçar nesta desprezível contenda, que durou quase um ano, tanto trabalho espiritual e tantas despesas financeiras para escrever um opúsculo de 191 páginas, redigido com brilhante argúcia, com máximas e citações de toda a literatura mundial (Fischart, Calderon, Shakespeare, Dante, Pope, Cícero, Boiardo, Sterne e da literatura médio-alta alemã), no qual ele se arremetia contra o odiado adversário” [19]. Nikolaevsky e Maenchen-Helfen também condenaram o fato de que “Marx tenha gasto mais de um ano se defendendo contra a tentativa de acabar com sua vida política com as denúncias [e que] somente a partir da metade de 1861 pôde retomar a sua obra de economia” [20].

Ainda, segundo David MacLellan, a polêmica contra Carl Vogt “foi um claro exemplo da singular capacidade [de Marx] em direcionar uma grande quantidade de energia para questões absolutamente insignificantes e de seu talento para a invectiva” [21]. Em suma, Francis Wheen se interroga da seguinte forma: “para responder às calúnias publicadas na imprensa suíça por um obscuro político chamado Carl Vogt, era realmente necessário escrever um livro de duzentas páginas?”. E, em seguida, assinala que: “os cadernos de economia permaneceram fechados sobre sua escrivaninha, enquanto o seu proprietário se distraía com uma disputa, tão espetacular quanto supérflua (…) uma violenta réplica que, seja pela sua prolixidade, seja pelo seu tom furibundo, superava em grande medida o panfleto originário ao qual buscava responder” [22].

O que mais surpreende neste escrito é o uso excessivo de referências literárias na argumentação de Marx. Além dos autores já mencionados por Vorländer, comparecem sobre o palco desta obra, entre outros, Virgílio, vários personagens da Bíblia na tradução feita por Lutero, Schiller, Byron, Hugo e, naturalmente, os apreciadíssimos Cervantes, Voltaire, Goethe, Heine e Balzac [23]. No entanto, estas citações – e, pois, o precioso tempo gasto para inseri-las no texto – não respondiam somente ao desejo de Marx de demonstrar a superioridade de sua cultura diante de Vogt ou de tornar o panfleto mais agradável através da utilização de comentários satíricos. Elas refletem duas características essenciais da personalidade de Marx. A primeira é a grande importância que ele atribuiu, ao longo de toda a sua existência, ao estilo e à estrutura de suas obras, mesmo aquelas menores ou meramente polêmicas como O Senhor Vogt. A forma vulgar, a construção incerta e com erros gramaticais, a falta de lógica nas formulações, a presença de erros e a mediocridade de grande parte dos escritos que, em suas inúmeras batalhas, ele combateu, sempre suscitaram grande desdém em Marx [24]. Assim, ao lado do conflito de natureza teórica, ele também se voltou contra a vulgaridade intrínseca, a falta de qualidade das obras de seus adversários e quis mostrar- lhes não só a exatidão do que escrevia, mas também a forma mais adequada de fazê-lo.

A segunda característica tipicamente marxiana, que se entrevê ao longo do imponente trabalho de preparação de O Senhor Vogt, é a agressividade e a irrefreável virulência com as quais ele se lançava contra os seus adversários diretos. Quer fossem filósofos, economistas ou militantes políticos e se chamassem Bauer, Stirner, Proudhon, Vogt, Lassalle ou Bakunin, Marx queria aniquilá-los, demonstrar de todas as formas possíveis a falta de fundamento de suas concepções, forçando-os à rendição impedindo-lhes de contestar as suas asserções. Assim, guiado por este ímpeto, tentava sepultar os seus antagonistas sob montanhas de argumentações críticas e, quando esta fúria se apoderava dele, a ponto de fazê-lo esquecer até de seu projeto de crítica da economia política, eis que não lhe bastava mais “somente” Hegel, Ricardo ou a utilização dos acontecimentos históricos, mas se utilizava também de Ésquilo, Dante, Shakespeare e Lessing. O Senhor Vogt foi como um encontro nefasto entre estes dois componentes de seu caráter. Um curto-circuito causado por um dos exemplos mais evidentes de picardia literária (tão odiada por Marx) e pela vontade de destruir o inimigo que, através da mentira, ameaçara a credibilidade e tentara manchar a sua história política.

Com este livro Marx esperava suscitar polêmica e tentou o quanto pôde atrair a atenção da imprensa alemã. No entanto, os jornais e o próprio Vogt não lhe deram nenhuma atenção: “os cães (…) querem ignorar a questão através do silêncio” [25]. Também “a publicação de uma reelaboração francesa, muito abreviada, que se encontrava em curso de impressão” [26], foi frustrada pois o volume foi censurado e incluído na lista de livros proibidos. Durante a vida de Marx e Engels não apareceu nenhuma outra edição de O Senhor Vogt e só foram reeditadas breves passagens escolhidas. Em tradução italiana o livro só foi publicado cinqüenta anos depois, em 1910, através de Luigi Mongini Editore.

IV. Contra a miséria e a doença
Os dois inimigos jurados de sempre, a miséria e a doença, contribuíram para retardar o trabalho de Marx e para complicar terrivelmente a sua situação pessoal. De fato, a situação econômica de Marx neste período foi verdadeiramente desesperante. Acuado pelas cobranças de inúmeros credores e com o espectro constante das imposições do broker (o oficial judiciário) rondando a sua casa, ele se lamentava a Engels afirmando: “não sei como me livrar desta, porque os impostos, as escolas, a casa, as drogarias, o açougueiro, deus e o diabo não querem mais me dar trégua” [27]. Em fins de 1861 a situação se torna ainda mais desesperada e para resistir, juntamente com a ajuda constante do amigo – para o qual demonstrava uma imensa gratidão “pelas extraordinárias provas de amizade” [28] -, Marx foi obrigado a empenhar “tudo exceto as paredes da casa” [29]. Sempre ao amigo, ele escreve: “de que júbilo não me acometeria o ânimo a falência do sistema financeiro dezembrista, prognosticado por mim amplamente e com freqüência no “Tribune”, se me livrasse destas mesquinharias e não visse minha família oprimida por estas angústias infames” [30]. Além disto, em fins de dezembro, ao envidar os votos de augúrio para o novo ano que se iniciava, se expressou assim: “se este tivesse que ser igual ao passado, pelo que me concerne, preferiria muito mais o inferno” [31].

Ao lado dos desanimadores problemas de ordem financeira, apareceram os problemas de saúde, que os primeiros contribuíram para determinar. O estado de profunda depressão que acometeu por muitas semanas a esposa de Marx, Jenny, acabou predispondo-a a contrair varíola, o que ocorreu em fins de 1860, colocando a sua vida seriamente em risco. Durante todo o período de enfermidade e convalescença de sua companheira, Marx esteve constantemente à sua cabeceira e só retomou a sua atividade quando Jenny estava fora de perigo. Como ele escreveu a Engels, durante o tempo transcorrido, trabalhar esteve completamente fora de questão: “a única ocupação com a qual posso conservar a tranqüilidade de ânimo necessária é a matemática” [32], uma das maiores paixões intelectuais de sua existência. Além do mais, poucos dias depois, acrescentava que uma circunstância que o havia “ajudado muito [tinha] sido uma terrível dor de dente”. Dirigindo-se ao dentista para extrair um dente, por imperícia, este deixou um fragmento, fazendo com que ficasse com a face “inchada e dolorida e a garganta obstruída”. Porém, onde está a ajuda? Bem, a ajuda era exatamente aquela. De fato, estoicamente, Marx afirmava: “este mal-estar físico estimula muito as faculdades do pensamento e, portanto, a capacidade de abstração; pois, como disse Hegel, o pensamento puro ou o puro ser ou ainda o nada são a mesma coisa” [33]. Apesar dos problemas, no curso destas semanas ele teve oportunidade de ler muitos livros, entre estes Sobre a origem das espécies através da seleção natural, de Charles Darwin, publicado no ano anterior. O comentário que Marx enviou por carta à Engels estava destinado a provocar discussões entre um grande número de estudiosos e militantes socialistas: “embora expresso grosseiramente em inglês, eis aqui o livro que contém os fundamentos histórico-naturais de nosso modo de ver” [34].

Em seguida a este período, em princípios de 1861, as condições de Marx se agravam em decorrência de uma inflamação do fígado que já o havia acometido no verão passado: “estou atribulado como Jó, embora não tão temeroso de Deus” [35]. Em particular, o fato de ficar encurvado lhe provocava enorme sofrimento e lhe impossibilitava de escrever. Assim, para superar a “repugnante condição que [o] impossibilitava de trabalhar” [36], uma vez mais ele se refugia na leitura: “à tarde, para aliviar-me [leio] as guerras civis romanas de Appiano no texto grego original. É um livro de grande valor (…), Espártaco aparece como o tipo mais inteligente de toda a história antiga. Foi um grande general (não um Garibaldi), de caráter nobre,verdadeiro representante do antigo proletariado” [37].

V. Enquanto isso, a “economia” espera…
Recuperado da doença em fins de fevereiro de 1861, Marx dirigiu-se à Zalt-Bomme, na Holanda, buscando uma solução para as suas dificuldades financeiras. Lá recebeu ajuda do tio Lion Philips, empresário e irmão do pai do futuro fundador da fábrica de lâmpadas da qual se originou uma das mais importantes fábricas de produtos eletrônicos do mundo, que concordou em lhe antecipar 160 libras esterlinas da futura herança materna. De lá, Marx dirigiu-se clandestinamente a Alemanha, ficando como hóspede de Lassalle por quatro semanas em Berlim. Este já havia lhe proposto, por diversas vezes, promoverem conjuntamente a criação de um órgão de ‘partido’ e agora, após restabelecerem a amizade em janeiro de 1861, também se apresentavam as condições para que Marx recuperasse a cidadania prussiana suspensa após a expulsão de 1849, e pudesse se transferir para Berlim. No entanto, a desconfiança de Marx em relação à Lassalle impediu que o projeto fosse realmente levado a sério [38].

Ao retornar de sua viagem, ele descreveu a Engels o intelectual e militante alemão da seguinte forma: “Lassalle, deslumbrado pela consideração de que goza em certos círculos cultos graças ao seu Heráclito e em outro círculo de aproveitadores, pelo bom vinho e pela boa comida, naturalmente desconhece que é desacreditado entre o grande público. Para completar, existe a sua prepotência, o seu encantamento com o ‘conceito especulativo’ (o jovenzinho até mesmo sonha em escrever uma nova filosofia hegeliana potencializada), a extrema influência que padece do velho liberalismo francês, a sua pena prolixa, a sua chatice, a sua falta de tato, etc. Lassalle, mantido sob uma rígida disciplina, poderia prestar serviços como um dos redatores. De outro modo, só comprometeria as coisas” [39]. A avaliação de Engels não era diferente, pois escrevia lapidarmente: “este homem não tem correção” [40]. De todo modo, o pedido de cidadania feito por Marx foi rapidamente negado e, como ele não se naturalizou na Inglaterra, permaneceu apátrida pelo resto da vida.

Desta estadia na Alemanha, a correspondência de Marx oferece relatos divertidos que facilitam a compreensão de seu caráter. Os seus hóspedes, Lassalle e a sua companheira, a condessa Sophie von Hatzfeldt, se esmeraram em organizar para ele uma série de atividades que só as suas cartas mostram o quão profundamente detestava. Em um breve relato dos primeiros dias passados na cidade, o vemos em apuros com a frivolidade mundana. Na terça-feira à tarde estava entre os espectadores de “uma comédia berlinense plena de autocomplacência prussiana: definitivamente uma coisa desagradável”. Na quarta-feira foi obrigado a assistir a três horas de balé na Ópera – “algo realmente entediante” – e, para completar, “horrível dictu” [41], “em um palco muito próximo àquele do ‘belo Guilherme’” [42], o rei em pessoa. Na quinta-feira, Lassalle ofereceu um almoço em sua honra, do qual fizeram parte algumas ‘celebridades’. No final das contas, ao invés de se alegrar com a situação, como exemplo da consideração que sentia pelos seus comensais, Marx deu esta descrição de sua vizinha de mesa, a redatora literária Ludmilla Assing: “é a criatura mais feia que já vi em minha vida, com uma fisionomia hebraica repulsiva, um nariz fino bastante saliente, com um eterno sorriso irônico, sempre utilizando uma prosa poética, num esforço contínuo de dizer algo brilhante, fingindo entusiasmo e aspergindo saliva sobre os seus ouvintes durante os espasmos de seu êxtase” [43].

Para Carl Siebel, poeta renano e parente distante de Engels, escreveu: “aqui me aborreço mortalmente. Sou tratado como uma espécie de leão de salão e sou obrigado a ver muitos senhores e senhoras ‘de engenho’. É terrível” [44]. Em seguida, escreveu a Engels: “Berlim também não é mais do que uma província”; enquanto a Lassalle não pôde negar que a cosmopolita Londres exercia sobre ele “uma atração extraordinária”, se bem que admitisse viver “como um eremita neste gigantesco buraco” [45]. E assim, após passar por Elberfeld, Bremen, Colônia, a sua Trier e depois novamente pela Holanda, retornou em 29 de abril.

Esperando por ele estava a sua “economia”. Como salientado, em junho de 1859 Marx havia publicado o primeiro fascículo de Para a crítica da economia política que, como programado, seria seguido por outro o mais rápido possível. Não obstante as constantes previsões otimistas feitas por ele a propósito – em novembro de 1860, escreveu a Lassalle: “penso que até a páscoa sairá a segunda parte” [46] -, em virtude das vicissitudes até aqui enumeradas, transcorreram em vão mais de dois anos até que ele pudesse retornar aos seus estudos. Por outro lado, estava profundamente tolhido pelas circunstâncias e em julho se lamentou com Engels: “não avanço tão rápido como pretendia porque tenho muitos problemas domésticos” [47]; e novamente em dezembro: “o meu escrito avança, porém, lentamente. De fato, não era possível resolver rapidamente tais questões teóricas em meio a semelhantes circunstâncias. E, portanto, será muito mais popular e o método muito mais dissimulado do que na primeira parte” [48].

De todo modo, em agosto de 1861 retorna a trabalhar com assiduidade em sua obra. Até junho de 1863 redige os 23 cadernos – de 1472 páginas em quarto – que compreendem as Teorias sobre a mais-valia. A primeira das três fases desta nova redação da “economia”, aquela relativa aos primeiros cinco cadernos deste grupo, se estendeu de agosto de 1861 a março de 1862. Estes abordam a transformação do dinheiro em capital – tema tratado no primeiro livro de O Capital – e constituem a primeira redação existente sobre este assunto. Diferentemente de Teorias sobre a mais-valia, publicado por Kautsky entre 1905 e 1910, se bem que numa edição modificada e frequentemente pouco conforme aos originais, estes cadernos foram ignorados por mais de cem anos. E só foram publicados pela primeira vez em 1973, na tradução russa, como suplemento (número 47) da Sochineniya. A versão em língua original só foi publicada em 1976, na ‘segunda’ MEGA [49].

VI. Jornalismo e política internacional
A última fase de 1861 é também aquela durante a qual Marx retoma a sua colaboração com o “New York Tribune” e escreve para o jornal liberal de Viena “Die Presse”. A maior parte de sua correspondência deste período foi dedicada à guerra civil nos Estados Unidos. Segundo Marx, nela “a luta era travada entre a mais alta forma de autogoverno popular jamais realizada até agora e a mais abjeta forma de escravidão humana que a história conhece” [50]. Esta avaliação evidencia, mais do que qualquer outra possível, o abismo que o separava de Garibaldi, que recusara a oferta do governo do norte de assumir um posto de comando no exército, porque considerava que esta guerra fosse apenas um conflito de poder e não concernisse à emancipação dos escravos.

Com relação a esta posição e a uma iniciativa de pacificação entre as partes proposta pelo italiano, Marx comentou com Engels: “aquele burro do Garibaldi se tornou ridículo com a carta sobre a concórdia aos yankees” [51]. Além disto, em seus artigos, Marx analisou as repercussões econômicas do conflito americano para a Inglaterra, considerando o desenvolvimento do comércio, a situação financeira e as opiniões difusas na sociedade. Com relação a este ponto, uma referência interessante também se encontra numa carta endereçada a Lassalle: “naturalmente, toda a imprensa oficial inglesa é favorável aos slave-holders (senhores de escravos). São exatamente os mesmos personagens que cansaram o mundo com o seu filantropismo contra o comércio de escravos. Todavia: algodão, algodão!” [52].

Enfim, em suas cartas a Lassalle, Marx sempre desenvolveu diversas reflexões relativas a um dos temas políticos que, naqueles anos, vinha se dedicando com mais afinco: a violenta oposição à Rússia e aos seus aliados Henry Palmerston e Luis Bonaparte. Em particular, Marx se dedicou a esclarecer a Lassalle a legitimidade da convergência nesta batalha entre seu ‘partido’ e o de David Urquhart, um político tory de perspectiva romântica. Sobre este, que no início dos anos cinqüenta teve a audácia de reeditar, com objetivos anti-russos e anti-whig, os artigos de Marx contra Palmerston publicados no órgão oficial dos cartistas ingleses, ele escreveu: “é certamente um reacionário do ponto de vista subjetivo (…) isto não impede, absolutamente, que o movimento que ele lidera em política externa seja objetivamente revolucionário (…) a questão é indiferente para mim como seria para você se, por exemplo, em uma guerra contra a Rússia, seu vizinho disparasse contra os russos por motivos nacionais ou revolucionários” [53]. E ainda: ”além do mais, é sabido que em política externa frases como ‘reacionário’ e ‘revolucionário’ não servem para nada” [54].

Finalmente, remonta também a 1861 a primeira fotografia conhecida de Marx [55]. A imagem o retrata enquanto posa de pé, com as mãos apoiadas sobre uma cadeira diante de si. Os cabelos espessos aparecem já brancos, enquanto a barba densa é de um negro intenso. O olhar decidido não deixa transparecer a amargura pelas derrotas sofridas e pelas inúmeras dificuldades que enfrentava; antes, pelo contrário, transmite a firmeza de ânimo que o distinguiu por toda a sua existência. No entanto, a inquietude e a melancolia também o atingiam, já que no mesmo período em que esta foto foi registrada, escreveu: “para mitigar o profundo mal-humor causado pela incerteza de minha situação em todos os sentidos, leio Tucídides. Pelo menos estes antigos permanecem sempre novos” [56]. Mesmo limitando-se somente à leitura de suas cartas, como não afirmar o mesmo, ainda hoje, do grande clássico da modernidade que é Karl Marx?

Traduzido por Geraldo Magella Neres

References
1. Marcello Musto é professor da Universidade de Nápoles. Para maiores informações sobre estas questões, consultar: MUSTO, M. Sulle tracce di um fantasma. L’opera di Karl Marx tra filologia e filosofia. Roma: Manifestolibri, 2006.
2. Em 1870, nas cartas dos arquivos franceses publicadas pelo governo republicano após o fim do Segundo Império, encontraram-se os documentos que comprovam que Vogt esteve à soldo de Napoleão III. De fato, em agosto de 1859, Napoleão havia lhe destinado 40.000 de seus fundos secretos. Cfr. Papiers et correspondance de la famille impériale. Édition collationnées sur le texte de l’imprimerie nationale, Vol. II, Paris, 1871, p. 161.
3. Karl Marx à Friedrich Engels, 31 de janeiro de 1860. In: MARX-ENGELS Opere, Vol. XLI. Roma: Editori Riuniti, 1973, p. 17.
4. Karl Marx, Herrr Vogt, In: MARX-ENGELS Opere. Vol. XVII, Editori Riuniti, Roma, 1986, p. 271.
5. Sobre a importância destas cartas como instrumento de comunicação política entre os militantes das revoluções de 1848-1849, e para analisar de uma perspectiva geral o conflito entre Marx e Vogt – não só do ponto de vista de Marx, como faz também o presente escrito – consultar CHRISTIAN JANSEN, Politischer Streit mit harten Bandagen. Zur brieflichen Kommunkation unter den emgrierten Achtundvierzigern – unterbesoderer Berücksichtigung der Controverse zwischen Marx und Vogt, In: JÜRGEN HERRES-MANFRED NEUHAUS (org.), Politische Netzerke durch Briefkommunikation, Akademie Verlag, Berlin 2002, pp. 49-100, que analisa as motivações políticas que teriam induzido Vogt a apoiar Bonaparte. O ensaio contém também um apêndice de cartas escritas por Vogt e outras recebidas por ele. São também interessantes, já que isentos da superada e freqüentemente doutrinária interpretação marxista, os textos de JACQUES GRANDJONC – HANS PELGER, Gengen die “Agentur Fazy/Vogt. Karl Marx’ “Herr Vogt” (1860) e GEORG LOMMELS, “Die Wahrheit über Genf” (1865). Quellen- und textgeschichtliche Anmerkungen, ambos em “Marx-Engels-Forchungs-berichte”, 1990 (Nr. 6), pp. 37-86 e ainda do mesmo LOMMELS, Les implications del’affaire Marx-Vogt, In: JEAN-CLAUDE PONT-DANIELE BUI-FRANÇOISE DUBOSSON-JAN LACKI (org.), Carl Vogt (1817-1895). Science, philosophie et politique, Georg, Chêne-Bourg 1998, pgs. 67-92.
6. Fruto destas pesquisas foram os seis cadernos de resumos de livros, revistas e jornais das mais diferentes orientações. Este material – denominado Vogtiana -, que mostra o modo como Marx utilizava os resultados de seus estudos para as obras que escrevia, encontra-se ainda inédito e será publicado no volume IV/16 da MEGA2.
7. Karl Marx a Friedrich Engels, 6 de dezembro de 1860, em MEGA2 III/11, Aksdemie Verlag, Berlin 2005, p. 250; trad. Ital. MARX-ENGELS Opere, vol. XLI, op. Cit., p. 135.
8. Friedrich Engels a Karl Marx, no mais tardar com data de 29 de junho de 1860, Ivi, p. 72; trad. Ital. Ivi, p. 83.
9. Friedrich Engels a Jenny Marx, 15 de agosto, Ivi, p. 113; trad. Ital. Ivi, p. 604.
10. Karl Marx a Friedrich Engels, 25 de setembro de 1860, Ivi, p. 180; trad. Ital. Ivi, p. 108.
11. Cfr. KARL MARX, Herr Vogt, op. cit., p. 180.
12. Ibidem.
13. Friedrich Engels a Karl Marx, 15 de setembro de 1860, In: MEGA2 III/11. op. Cit., p. 158; trad. Ital. MARX-ENGELS Opere, vol. XLI, op. cit., p. 103.
14. Friedrich Engels a Karl Marx, 5 de outubro de 1860, Ivi, p. 196; trad. Ital. Ivi, p. 114.
15. Friedrich Engels a Karl Marx, 19 de dezembro de 1860, Ivi, p. 268; trad. Ital. Ivi, p. 143.
16. Ferdinand Lassalle a Karl Marx, 19 de janeiro de 1861, Ivi, p. 321.
17. Wilhelm Wolff a Karl Marx, 27 de dezembro de 1860, Ivi, p. 283.
18. Franz mehring, Vita di Marx, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 295.
19. Karl Vorländer, karl Marx, Sansoni, Firenze 1948, pp. 209-210.
20. BORIS NIKOLAEVSKY – OTTO MAENCHEN-HELFEN, Karl Marx. La vita e l’opera, Einaudi, Torino 1969, p. 284.
21. David MsLellan, Karl Marx, Rizzoli, Milano 1976, p. 317.
22. Francis Wheen, Marx. Vita publica e privata, Mondadori, Milano 2000, pp. 145, 204 e 207.
23. A propósito, remete-se às considerações do fundamental S. S. PRAWER, La biblioteca di Marx, Milano: Garzanti, 1978, que afirma: “em O Senhor Vogt parece que Marx seja incapaz de considerar qualquer fenômeno político ou social sem associá-lo a alguma referência da literatura mundial”, p. 263. Assinalando também que este texto pode ser estudado “como uma antologia dos vários métodos que Marx utilizava para incorporar alusões e citações literárias às suas polêmicas”, p. 260. Por outro lado, a considerável importância da influência literária nas obras de Marx e do erudito background cultural de sua teoria crítica suscitam uma atenção sempre crescente. A propósito, conferir o recente trabalho de FRANCIS WHEEN, Marx’s Das Kapital. A biography, London: Atlantic Books, 2006.
24. Sobre esta questão, conferir novamente as brilhantes considerações de S. S. PRAWER, op. cit., p. 264.
25. Karl Marx a Friedrich Engels, 22 de janeiro de 1861, em MEGA2 III/11, op. cit., p. 325; trad. ital. MARX-ENGELS Opere, vol. XLI, op. cit., p. 162.
26. Karl Marx a Friedrich Engels, 16 de maio de 1861, Ivi, p. 476; trad. ital. Ivi, p. 188.
27. Karl Marx a Friedrich Engels, 29 de janeiro de 1861, Ivi, p. 333; trad. ital. Ivi, p. 164.
28. Karl Marx a Friedrich Engels, 27 de fevereiro de 1861, Ivi, p. 380; trad. ital. Ivi, p. 177.
29. Karl Marx a Friedrich Engels, 30 de outubro de 1861, Ivi, p. 583; trad. ital. Ivi, p. 217.
30. Karl Marx a Friedrich Engels, 18 de novembro de 1861, Ivi, p. 599; trad. ital. Ivi, p. 222.
31. Karl Marx a Friedrich Engels, 27 de dezembro de 1861, Ivi, p. 636; trad. ital. Ivi, p. 237.
32. Karl Marx a Friedrich Engels, 23 de novembro de 1860, Ivi, p. 229; trad. ital. Ivi, p. 124.
33. Karl Marx a Friedrich Engels, 28 de novembro de 1860, Ivi, p. 236; trad. ital. Ivi, p. 128.
34. Karl Marx a Friedrich Engels, 19 de dezembro de 1860, Ivi, p. 271; trad. ital. Ivi, p. 145.
35. Karl Marx a Friedrich Engels, 18 de janeiro de 1861, Ivi, p. 319; trad. ital. Ivi, p. 160.
36. Karl Marx a Friedrich Engels, 22 de janeiro de 1861, Ivi, p. 325; trad. ital. Ivi, p. 162.
37. Karl Marx a Friedrich Engels, 27 de fevereiro de 1861, Ivi, p. 380; trad. ital. Ivi, p. 176.
38. Para maiores informações sobre este período que Marx permaneceu em Berlim, consultar o recente artigo de ROLF DLUBEK, Auf der Suche nach neuen politischen Wirkungsmöglichkeiten. Marx 1861 in Berlin, em “MARX-ENGELS JAHBUCH”, 2004, Akaemie Verlag, Berlin 2005, pp. 142-175.
39. Karl Marx a Friedrich Engels, 7 de maio de 1861, em MEGA2 III/11, op. cit., p. 460; trad. ital. MARX-ENGELS Opere, vol. XLI, op. cit. , pp. 180-181.
40. Friedrich Engels a Karl Marx, 6 de fevereiro de 1861, Ivi, p. 347; trad. Ital. Ivi, p. 171.
41. Karl Marx a Antoinette Philips, 24 de março de 1861, Ivi, p. 404; trad. ital. Ivi, p. 642.
42. Karl Marx a Friedrich Engels, 10 de maio de 1861, Ivi, p. 470; trad. ital. Ivi, p. 186.
43. Karl Marx a Antoinette Philips, 24 de março de 1861, Ivi, p. 404; trad. ital. Ivi, p. 642.
44. Karl Marx a Carl Siebel, 2 de abril de 1861, Ivi, p. 419; trad. ital. Ivi, p. 646.
45. Karl Marx a Ferdinand Lassalle, 8 de maio de 1861, Ivi, p. 464; trad. ital. Ivi, p. 656.
46. Karl Marx a Ferdinand Lassalle, 15 de setembro de 1860, Ivi, p. 161; trad. ital. Ivi, p. 615.
47. Karl Marx a Friedrich Engels, 20 de julho de 1861, Ivi, p. 542; trad. ital. Ivi, p. 212.
48. Karl Marx a Ferdinand Lassalle, 9 de dezembro de 1861, Ivi, p. 616; trad. ital. Ivi, p. 230.
49. MEGA2 II/3.1, Dietz Verlag, Berlim 1976. A tradução italiana aparece logo em seguida, sob a organização de Lorenzo Calabri: KARL MARX, Manoscritti del 1861-1863, Roma: Editori Riuniti, 1980, mas não chegou a ser incluída nos volumes das Opere.
50. Karl Marx, Die Londoner “Times” über die Prinzen von Orleans in Amerika, 7-XI-1861, em MEW 15, Dietz Verlag, Berlim, 1961, p. 327.
51. Karl Marx a Friedrich Engels, 10 de junho de 1861, em MEGA2 III/11, op. cit., p. 493; trad. ital. MARX-ENGELS Opere, vol. XLI, op. cit., p. 190.
52. Karl Marx a Ferdinand Lassalle, 29 de maio de 1861, Ivi, p. 480; trad. ital. Ivi, p. 658.
53. Karl Marx a Ferdinand Lassalle, 1º ou 2 de junho de 1860, Ivi, p. 19; trad. ital. Ivi, p. 596.
54. Karl Marx a Ferdinand Lassalle, 1º ou 2 de junho de 1860, Ivi, p. 20; trad. ital. Ivi, p. 597.
55. A foto é datada como sendo do mês de abril, cf. MEGA2 III/11, op. cit., p. 465.
56. Karl Marx a Ferdinand Lassalle, 29 de maio de 1861, Ivi, p. 481; trad. ital. MARX-ENGELS Opere, vol. XLI, op. cit., p. 659.

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Introduction

Dominant Marxisms of the XIX and XX century
Few men have shaken the world as Karl Marx did. His death, almost unnoticed in the mainstream press, was followed by echoes of fame in such a short period of time that few comparisons can be found in history. His name was soon on the lips of the workers of Detroit and Chicago, as on those of the first Indian socialists in Calcutta. His banner image formed the backdrop at the first Bolshevik congress in Moscow after the revolution. His thought inspired the programmes and statutes of all the political and union organizations of the workers’ movement, from continental Europe to Shanghai. His ideas changed philosophy, history and economics irreversibly.

Yet it was not long before attempts were made to turn his theories into a rigid ideology. Marx’s thought, indisputably critical and open, even if sometimes tempted by determinism, fell foul of the cultural climate in late nineteenth-century Europe. It was a culture pervaded by systematic conceptions – above all by Darwinism. In order to respond to it, the ‘Orthodox Marxism’ newly born in the pages of Karl Kautsky’s review Die Neue Zeit rapidly conformed to this model.

A decisive factor that helped to consolidate this transformation of Marx’s œuvre was the forms in which it reached the reading public. Abridgements, summaries and truncated compendia were given priority, as we can see from the small print of his major works. Some bore marks of ideological instrumentalization, and some texts were recast by those to whose care they had been entrusted. This practice, encouraged by the incomplete state of many manuscripts at the time of Marx’s death, was in some cases compounded by a kind of censorship. The form of the manual, though certainly an effective means of worldwide diffusion, also led to considerable distortions of his complex thought; the influence of positivism, in particular, translated it into a theoretically impoverished version of the original. [1]

These processes gave rise to a schematic doctrine, an elementary evolutionist interpretation soaked in economic determinism: the Marxism of the Second International (1889–1914). Guided by a firm though naive belief in the automatic forward march of history, and therefore in the inevitable replacement of capitalism by socialism, it proved incapable of comprehending actual developments, and, breaking the necessary link with revolutionary praxis, it produced a sort of fatalistic passivity that contributed to the stabilization of the existing order. [2]

The theory of the impending collapse of bourgeois-capitalist society [Zusammenbruchstheorie], which found fertile soil in the great twenty-year depression after 1873, was proclaimed to be the fundamental essence of ‘scientific socialism’. Marx’s analyses, which had aimed to delineate the dynamic principles of capitalism and to describe its general tendencies of development, [3] were transformed into universally valid  historical laws from which it was possible to deduce the course of events, even particular details.

The idea of a capitalism in its death agony, destined to founder on its own contradictions, was also present in the theoretical framework of the first entirely Marxist platform of a political party, The Erfurt Programme of 1891 of German Social Democracy. According to Kautsky’s expository commentary on it, ‘inexorable economic development leads to the bankruptcy of the capitalist mode of production with the necessity of a law of nature. The creation of a new form of society in place of the current one is no longer something merely desirable but has become inevitable.’ [4] This clearly demonstrated the limits of the prevailing conceptions, as well as their vast distance from the man who had inspired them.

Russian Marxism, which in the course of the XX century played a fundamental role in the popularization of Marx’s thought, followed this trajectory of systematization and vulgarization with even greater rigidity. Indeed, for its most important pioneer, Georgii Plekhanov, ‘Marxism is an integral world outlook’, [5] imbued with a simplistic monism according to which the super-structural transformations of society proceed simultaneously with economic modifications. Despite the harsh ideological conflicts of these years, many of the theoretical elements characteristic of the Second International were carried over into those that would mark the cultural matrix of the Third International. This continuity was clearly manifest in the Theory of Historical Materialism, published in 1921 by Nikolai Bukharin, according to which ‘in nature and society there is a definite regularity, a fixed natural law. The determination of this natural law is the first task of science.’ [6] The outcome of this social determinism, completely focused on the development of the productive forces, generated a doctrine in which ‘the multiplicity of causes that make their action felt in society does not contradict in the least the existence of a single law of social evolution’. [7]

The degradation of Marx’s thought reached its climax in the construal of Marxism-Leninism, given definitive form in Soviet-style ‘Diamat’ (dialekticheskii materializm), ‘the world outlook of the Marxist-Leninist party’. [8],. Deprived of its function as a guide to action, theory here became its a posteriori justification. J. V. Stalin’s booklet of 1938, On Dialectical Materialism and Historical Materialism, which had a wide distribution, fixed the essential elements of this doctrine: the phenomena of collective life are regulated by ‘necessary laws of social development” that are ‘perfectly recognisable”, and ‘the history of society appears as a necessary development of society, and the study of the history of society becomes a science’. This ‘means that the science of the history of society, despite all the complexity of the phenomena of social life, can become a science just as exact as, for example, biology, capable of utilising the laws of development of society in order to make use of them in practice’; [9] consequently, the task of the party of the proletariat is to base its activity on these laws. The concepts of ‘scientific’ and ‘science’ here involve an evident misunderstanding. The scientific character of Marx’s method, grounded upon scrupulous and coherent theoretical criteria, is replaced with a methodology in which there is no room for contradiction and objective historical laws are supposed to operate like laws of nature independently of human will.

The most rigid and stringent dogmatism was able to find ample space alongside this ideological catechism. Marxist-Leninist orthodoxy imposed an inflexible monism that also produced perverse effects in the interpretation of Marx’s writings. Unquestionably, with the Soviet revolution Marxism enjoyed a significant moment of expansion and circulation in geographical zones and social classes from which it had, until then, been excluded. Nevertheless, this process of dissemination consisted far more of Party manuals, handbooks and specific anthologies than of complete texts by Marx himself.

The crystallization of a dogmatic corpus preceded an identification of the texts that it would have been necessary to read in order to understand the formation and evolution of Marx’s thought. [10] The early writings, in fact, were published in the MEGA only in 1927 (Critique of Hegel’s Philosophy of Right) and 1932 ( Economic and Philosophical Manuscripts of 1844 and The German Ideology), in editions which – as already in the case of the second and third volumes of Capital – made them appear as completed works; the choice would be the source of many false interpretative paths. [11] Later still, some of the important preparatory works for Capital (in 1933 the draft chapter 6 of Capital on the ‘Results of the Immediate Process of Production’, and between 1939 and 1941 the Foundations of the Critique of Political Economy, better known as the Grundrisse) were published in print runs that secured only a very limited circulation [12]. Moreover, when they were not concealed for fear that they might erode the dominant ideological canon, these and other previously unpublished texts were subject to politically motivated exegesis along lines that were largely laid down in advance; they never resulted in a serious comprehensive revaluation of Marx’s work.

While the selective exclusion of texts became common practice, others were dismembered and manipulated: for example, through insertion into collections of quotations for a particular purpose. Often these were treated in the same way that the bandit Procrustes reserved for his victims: if they were too long, they were amputated, if too short, lengthened.

Distorted to serve contingent political necessities, Marx became identified with them in many people’s minds and was often reviled as a result. His theory passed into a set of bible-like verses that gave birth to the most unthinkable paradox. Far from heeding his warning against ‘recipes for the cook-shops of the future’, [13] those responsible transformed him into the progenitor of a new social system. A most rigorous critic who had never been complacent with his conclusions, he turned into the source of the most obstinate doctrinarism. A firm champion of a materialist conception of history, he was removed more than any other author from his historical context. From being certain that ‘the emancipation of the working class must be the work of the workers themselves’, [14] he was entrapped in an ideology that gave primacy to political vanguards and parties in their role as proponents of class consciousness and leaders of the revolution. An advocate of the idea that a shorter working day was essential to the blossoming of human capacities, he was assimilated to the productivist creed of Stakhanovism. Convinced of the need for the withering away of the State, he found himself identified with it and used to shore it up. Interested like few other thinkers in the free development of human individuality, arguing against bourgeois right (which hides social disparity behind mere legal equality) that ‘right would have to be unequal rather than equal’, [15] he was fitted into a conception that neutralized the richness of the collective dimension of social life into the indistinctness of homogenization.

II. Returns to Marx
Owing to theoretical disputes or political events, interest in Marx’s work has fluctuated over time and gone through indisputable periods of decline. From the early XX century ‘crisis of Marxism’ to the dissolution of the Second International, and from debates on the contradictions of Marx’s economic theory to the tragedy of ‘actually existing socialism’, criticism of the ideas of Marx seemed persistently to point beyond the conceptual horizon of Marxism. Yet there has always been a ‘return to Marx’. A new need develops to refer to his work – whether the critique of political economy, the formulations on alienation, or the brilliant pages of political polemic – and it has continued to exercise an irresistible fascination for both followers and opponents.

Pronounced dead after the fall of the Berlin Wall, Marx has again become the focus of widespread interest. His ‘renaissance’ is based on his continuing capacity to explain the present; indeed, his thought remains an indispensable instrument with which to understand and transform it. In face of the crisis of capitalist society and the profound contradictions that traverse it, this author who was over-hastily dismissed after 1989 is once more being taken up and interrogated. Thus, Jacques Derrida’s assertion that ‘it will always be a mistake not to read and reread and discuss Marx’ [16] – which only a few years ago seemed an isolated provocation – has found increasing approval. [17]

Furthermore, the secondary literature on Marx, which all but dried up twenty years ago, is showing signs of revival in many countries, both in the form of new studies and in booklets in various languages with titles such as Why Read Marx Today? [18] Journals are increasingly open to contributions on Marx and Marxisms, just as there are now many international conferences, university courses and seminars on the theme. In particular, since the onset of the international economic crisis in mid-2007, academics and economic theorists from various political and cultural backgrounds have again been drawn to Marx’s analysis of the inherent instability of capitalism, whose self-generated cyclical crises have grave effects on political and social life. Finally, although timid and often confused in form, a new demand for Marx is also making itself felt in politics – from Latin America to the alternative globalization movement.

III. Marx and the First World Financial Crisis
Following the defeat of the revolutionary movement that rose up throughout Europe in 1848, Marx convinced himself that a new revolution would emerge only after the outbreak of a fresh crisis. Settled in London in March 1850, having received expulsion orders from Belgium, Prussia and France, he ran the Neue Rheinische Zeitung. Politisch-ökonomische Revue, a monthly that he planned as the locus for ‘comprehensive and scientific investigation of the economic conditions which form the foundation of the whole political movement’.[19] In The Class Struggles in France, which appeared as a series of articles in that journal, he asserted that ‘a real revolution … is only possible in periods when … the modern forces of production and the bourgeois forms of production come into collision with each other. … A new revolution is possible only in consequence of a new crisis.’ [20]

During the same summer of 1850 Marx deepened the economic analysis he had begun before 1848, and in the May-October 1850 issue of the Neue Rheinische Zeitung. Politisch-okonomische Revue he reached the important conclusion that ‘the commercial crisis contributed infinitely more to the revolutions of 1848 than the revolution to the commercial crisis’. [21] From now on economic crisis would be fundamental to his thought, not only economically but also sociologically and politically. Moreover, in analysing the processes of rampant speculation and overproduction, he ventured to predict that, ‘if the new cycle of industrial development which began in 1848 follows the same course as that of 1843-47, the crisis will break out in 1852’. The future crisis, he stressed, would also erupt in the countryside, and ‘for the first time the industrial and commercial crisis [would] coincide with a crisis in agriculture’. [22] Marx’s forecasts over this period of more than a year proved to be mistaken.

Yet, even at moments when he was most convinced that a revolutionary wave was imminent, his ideas were very different from those of other European political leaders exiled in London. Although he was wrong about how the economic situation would shape up, he considered it indispensable to study the current state of economic and political relations for the purposes of political activity. By contrast, most of the democratic and communist leaders of the time, whom he characterized as ‘alchemists of the revolution’, thought that the only prerequisite for a victorious revolution was ‘adequate preparation of their conspiracy’. [23]

In this period, Marx also deepened his studies of political economy and concentrated, in particular, on the history and theories of economic crises, paying close attention to the money-form and credit in his attempt to understand their origins. Unlike other socialists of the time such as Proudhon – who were convinced that economic crises could be avoided through a reform of the money and credit system – Marx came to the conclusion that, since the credit system was one of the underlying conditions, crises could at most be aggravated or mitigated by the correct or incorrect use of monetary circulation; the true causes of crises were to be sought, rather, in the contradictions of production. [24]

Despite the economic prosperity, Marx did not lose his optimism concerning the imminence of an economic crisis, and at the end of 1851 he wrote to the famous poet Ferdinand Freiligrath, an old friend of his: ‘The crisis, held in check by all kinds of factors…, must blow up at the latest next autumn. And, after the most recent events, I am more convinced than ever that there will not be a serious revolution without a commercial crisis.’ [25] Marx did not keep such assessments only for his correspondence but also wrote of them in the New-York Tribune. Between 1852 and 1858, economic crisis was a constant theme in his articles for the North American newspaper. Marx did not look upon the revolutionary process in a determinist manner, but he was sure that crisis was an indispensable prerequisite for its fulfilment. In an article of June 1853 on ‘Revolution in China and Europe’, he wrote: ‘Since the commencement of the eighteenth century there has been no serious revolution in Europe which has not been preceded by a commercial and financial crisis. This applies no less to the revolution of 1789 than to that of 1848.’. [26] The point was underlined in late September 1853, in the article ‘Political Movements: Scarcity of Bread in Europe’:

neither the declamation of the demagogues, nor the twaddle of the diplomats will drive matters to a crisis, but … there are approaching economical disasters and social convulsions which must be the sure forerunners of European revolution. Since 1849 commercial and industrial prosperity has stretched the lounge on which the counter-revolution has slept in safety. [27]

Traces of the optimism with which Marx awaited events may be also found in the correspondence with Engels. In one letter, for example, from September 1853, he wrote: ‘Things are going wonderfully. All h[ell] will be let loose in France when the financial bubble bursts.’ [28] But still the crisis did not come.

Without losing his hopes, Marx wrote again on the crisis for the New-York Tribune in 1855 and 1856. In March 1855, in the article ‘The Crisis in England’, he argued:

A few months more and the crisis will be at a height which it has not reached in England since 1846, perhaps not since 1842. When its effects begin to be fully felt among the working classes, then will that political movement begin again, which has been dormant for six years. … Then will the two real contending parties in that country stand face to face – the middle class and the working classes, the Bourgeoisie and the Proletariat. [29]

And in ‘The European Crisis’, which appeared in November 1856, at a time when all the columnists were confidently predicting that the worst was over, he maintained:

The indications brought from Europe … certainly seem to postpone to a future day the final collapse of speculation and stock-jobbing, which men on both sides of the sea instinctively anticipate as with a fearful looking forward to some inevitable doom. That collapse is none the less sure from this postponement; indeed, the chronic character assumed by the existing financial crisis only forebodes for it a more violent and destructive end. The longer the crisis lasts the worse the ultimate reckoning. [30]

During the first few months of 1857, the New York banks stepped up their volume of loans, despite the decline in deposits. The resulting growth in speculative activity worsened the general economic conditions, and, after the New York branch of the Ohio Life Insurance and Trust Company became insolvent, the prevailing panic led to numerous bankruptcies. Loss of confidence in the banking system then produced a contraction of credit, a drying up of deposits and the suspension of money payments. From New York the crisis rapidly spread to the rest of the United States of America and, within a few weeks, to all the centres of the world market in Europe, South America and the East, becoming the first international financial crisis in history.

After the defeat of 1848, Marx had faced a whole decade of political setbacks and deep personal isolation. But, with the outbreak of the crisis, he glimpsed the possibility of taking part in a new round of social revolts and considered that his most urgent task was to analyse the economic phenomena that would be so important for the beginning of a revolution. In that period, Marx’s work was remarkable and wide-ranging. From August 1857 to May 1858 he filled the eight notebooks known as the Grundrisse, while as New-York Tribune correspondent, he wrote many articles on the development of the crisis in Europe. Lastly, from October 1857 to February 1858, he compiled three books of extracts, called the Books of Crisis. [31]

In reality, however, there was no sign of the long-awaited revolutionary movement that was supposed to spring up along with the crisis, and this time, too, another reason for Marx’s failure to complete the manuscript was his awareness that he was still far from a full critical mastery of the material. TheGrundrisse therefore remained only a rough draft. He published in 1859 a short book that had no public resonance: A Contribution to the Critique of Political Economy. Another eight years of feverish study and enormous intellectual efforts would pass before the publication of Capital, Volume One.

IV. Capitalism as an historical mode of production
The writings that Marx composed a century and a half ago do not contain, of course, a precise description of the world today. It should be stressed, however, that the focus of Capital was not on XIX century capitalism either, but rather – as Marx put it in the third volume of his magnum opus – on the ‘organization of the capitalist mode of production, in its ideal average’[32] , and hence on its most complete and most general form.

When he was writing Capital, capitalism had developed only in England and a few other European industrial centres. Yet he foresaw that it would expand on a global scale, and formulated his theories on that basis. This is why Capital is not only a great classic of economic and political thought, but still provides today, despite all the profound transformations that have intervened since the time it was written, a rich array of tools with which to understand the nature of capitalist development. This has become more apparent since the collapse of the Soviet Union and the spread of the capitalist mode of production to new areas of the planet like China. Capitalism has become a truly worldwide system, and some of Marx ’s insights have revealed their significance even more clearly than in his own time. [33] He probed the logic of the system more deeply than any other modern thinker, and his work, if updated and applied to the most recent developments, can help to explain many problems that did not manifest themselves fully during his lifetime. Finally, Ma rx’s analysis of capitalism was not merely an economic investigation but was also relevant to the understanding of power structures and social relations. With the extension of capitalism into most aspects of human life, his thought turns out to have been extraordinarily prescient in many fields not addressed by XX century orthodox Marxism. One of these is certainly the transformations brought about by so-called globalization.

In his critique of the capitalist mode of production, one of Marx’s permanent polemical targets was ‘the eighteenth-century Robinsonades’, the myth of Robinson Crusoe as the paradigm of homo oeconomicus, or the projection of phenomena typical of the bourgeois era onto every other society that has existed since the earliest times. Such a conception presented the social character of production as a constant in any labour process, not as a peculiarity of capitalist relations. In the same way, civil society [ bürgerliche Gesellschaft] – whose emergence in the eighteenth century had created the conditions through which ‘the individual appears detached from the natural bonds etc. which in earlier historical periods make him the accessory of a definite and limited human conglomerate’ – was portrayed as having always existed.[34] In Capital, Volume One, in speaking of ‘the European Middle Ages, shrouded in darkness’, Marx argues that ‘instead of the independent man, we find everyone dependent, serfs and lords, vassals and suzerains, laymen and clergy. Personal dependence here characterizes the social relations of production just as much as it does the other spheres of life organized on the basis of that production.’ [35] And, when he examined the genesis of product exchange, he recalled that it began with contacts among different families, tribes or communities, ‘for, in the beginning of civilization, it is not private individuals but families, tribes, etc., that meet on an independent footing’. [36]
The classical economists had inverted this reality, on the basis of what Marx regarded as fantasies with an inspiration in natural law. In particular, Adam Smith had described a primal condition where individuals not only existed but were capable of producing outside society. A division of labour within tribes of hunters and shepherds had supposedly achieved the specialization of trades: one person’s greater dexterity in fashioning bows and arrows, for example, or in building wooden huts, had made him a kind of armourer or carpenter, and the assurance of being able to exchange the unconsumed part of one’s labour product for the surplus of others ‘encourage[d] every man to apply himself to a particular occupation’. [37] David Ricardo was guilty of a similar anachronism when he conceived of the relationship between hunters and fishermen in the early stages of society as an exchange between owners of commodities on the basis of the labour-time objectified in them [38].

In this way, Smith and Ricardo depicted a highly developed product of the society in which they lived – the isolated bourgeois individual – as if he were a spontaneous manifestation of nature. What emerged from the pages of their works was a mythological, timeless individual, one ‘posited by nature’ [39], whose social relations were always the same and whose economic behaviour had a historyless anthropological character. According to Marx, the interpreters of each new historical epoch have regularly deluded themselves that the most distinctive features of their own age have been present since time immemorial.

Against those who portrayed the isolated individual of the eighteenth century as the archetype of human nature, ‘not as a historical result but as history’s point of departure’, Marx maintained that such an individual emerged only with the most highly developed social relations. Thus, since civil society had arisen only with the modern world, the free wage-labourer of the capitalist epoch had appeared only after a long historical process. He was, in fact, ‘the product on one side of the dissolution of the feudal forms of society, on the other side of the new forces of production developed since the sixteenth century’. [40]

The mystification practised by economists regarded also the concept of production in general. In the 1857 ‘Introduction’, Marx argued that, although the definition of the general elements of production is ‘segmented many times over and split into different determinations’, some of which ‘belong to all epochs, others to only a few’, [41] there are certainly, among its universal components, human labour and material provided by nature. For, without a producing subject and a worked-upon object, there could be no production at all. But the economists introduced a third general prerequisite of production: ‘a stock, previously accumulated, of the products of former labour’, that is, capital. [42] The critique of this last element was essential for Marx, in order to reveal what he considered to be a fundamental limitation of the economists. It also seemed evident to him that no production was possible without an instrument of labour, if only the human hand, or without accumulated past labour, if only in the form of primitive man’s repetitive exercises. However, while agreeing that capital was past labour and an instrument of production, he did not, like Smith, Ricardo and John Stuart Mill, conclude that it had always existed.

The point is made in greater detail in a section of the Grundrisse, where the conception of capital as ‘eternal’ is seen as a way of treating it only as matter, without regard for its essential ‘formal determination’ (Formbestimmung). According to this,
capital would have existed in all forms of society, and is something altogether unhistorical. … The arm, and especially the hand, are then capital. Capital would be only a new name for a thing as old as the human race, since every form of labour, including the least developed, hunting, fishing, etc., presupposes that the product of prior labour is used as means for direct, living labour. … If, then, the specific form of capital is abstracted away, and only the content is emphasized, … of course nothing is easier than to demonstrate that capital is a necessary condition for all human production. The proof of this proceeds precisely by abstraction from the specific aspects which make it the moment of a specifically developed historical stage of human production. [43]

If the error is made of ‘conceiving capital in its physical attribute only as instrument of production, while entirely ignoring the economic form [ökonomischen Form] which makes the instrument of production into capital’, [44] one falls into the ‘crude inability to grasp the real distinctions’ and a belief that ‘there exists only one single economic relation which takes on different names’. [45] To ignore the differences expressed in the social relation means to abstract from the differentia specifica, that is the nodal point of everything. [46] Thus, in the ‘Introduction’, Marx writes that ‘capital is a general [allgemeines], eternal relation of nature’, ‘that is, if I leave out just the specific quality which alone makes “instrument of production” and “stored-up labour” into capital’. [47]
In fact, Marx had already criticized the economists’ lack of historical sense in The Poverty of Philosophy:

Economists have a singular method of procedure. There are only two kinds of institutions for them, artificial and natural. The institutions of feudalism are artificial institutions, those of the bourgeoisie are natural institutions. In this they resemble the theologians, who likewise establish two kinds of religion. Every religion which is not theirs is an invention of men, while their own is an emanation from God. When the economists say that present-day relations – the relations of bourgeois production – are natural, they imply that these are the relations in which wealth is created and productive forces developed in conformity with the laws of nature. These relations therefore are themselves natural laws independent of the influence of time. They are eternal laws which must always govern society. Thus there has been history, but there is no longer any. [48]

For this to be plausible, economists depicted the historical circumstances prior to the birth of the capitalist mode of production as ‘results of its presence’ [49] with its very own features. As Marx puts it in the Grundrisse:

The bourgeois economists who regard capital as an eternal and natural (not historical) form of production then attempt … to legitimize it again by formulating the conditions of its becoming as the conditions of its contemporary realization; i.e. presenting the moments in which the capitalist still appropriates as not-capitalist – because he is still becoming – as the very conditions in which he appropriates as capitalist. [50]

From a historical point of view, the profound difference between Marx and the classical economists is that, in his view, ‘capital did not begin the world from the beginning, but rather encountered production and products already present, before it subjugated them beneath its process’ [51]. Similarly, the circumstance whereby producing subjects are separated from the means of production – which allows the capitalist to find propertyless workers capable of performing abstract labour (the necessary requirement for the exchange between capital and living labour) – is the result of a process that the economists cover with silence, which ‘forms the history of the origins of capital and wage labour’. [52]

A number of passages in the Grundrisse criticize the way in which economists portray historical as natural realities. It is self-evident to Marx, for example, that money is a product of history: ‘to be money is not a natural attribute of gold and silver’, [53] but only a determination they first acquire at a precise moment of social development. The same is true of credit. According to Marx, lending and borrowing was a phenomenon common to many civilizations, as was usury, but they ‘no more constitute credit than working constitutes industrial labour or free wage labour. And credit as an essential, developed relation of production appears historically only in circulation based on capital.’ [54] Prices and exchange also existed in ancient society, ‘but the increasing determination of the former by costs of production, as well as the increasing dominance of the latter over all relations of production, only develops fully … in bourgeois society, the society of free competition’; or ‘what Adam Smith, in the true eighteenth-century manner, puts in the prehistoric period, the period preceding history, is rather a product of history.’ [55] Furthermore, just as he criticized the economists for their lack of historical sense, Marx mocked Proudhon and all the socialists who thought that labour productive of exchange value could exist without developing into wage labour, that exchange value could exist without turning into capital, or that there could be capital without capitalists. [56] Marx’s aim was therefore to assert the historical specificity of the capitalist mode of production: to demonstrate, as he would again affirm in Capital, Volume Three, that it ‘is not an absolute mode of production’ but ‘merely historical, transitory’. [57]

This viewpoint implies a different way of seeing many questions, including the labour process and its various characteristics. In the Grundrisse Marx wrote that ‘the bourgeois economists are so much cooped up within the notions belonging to a specific historic stage of social development that the necessity of the objectification of the powers of social labour appears to them as inseparable from the necessity of their alienation’. [58] Marx repeatedly took issue with this presentation of the specific forms of the capitalist mode of production as if they were constants of the production process as such. To portray wage labour not as a distinctive relation of a particular historical form of production but as a universal reality of man’s economic existence was to imply that exploitation and alienation had always existed and would always continue to exist.
Evasion of the specificity of capitalist production therefore had both epistemological and political consequences. On the one hand, it impeded understanding of the concrete historical levels of production; on the other hand, in defining present conditions as unchanged and unchangeable, it presented capitalist production as production in general and bourgeois social relations as natural human relations. Accordingly, Marx’s critique of the theories of economists had a twofold value. As well as underlining that a historical characterization was indispensable for an understanding of reality, it had the precise political aim of countering the dogma of the immutability of the capitalist mode of production. A demonstration of the historicity of the capitalist order would also be proof of its transitory character and of the possibility of its elimination. Capitalism is not the only stage in human history, nor is it the final one. Marx foresees that it will be succeeded by an ‘an association of free men, working with the means of production held in common, and expending their many different forms of labour-power in full self-awareness as one single social labour force’. [59]

V. Why Marx again?
Liberated from the abhorrent function of instrumentum regni, to which it had been consigned in the past, and from the chains of Marxism-Leninism from which it is certainly separate, Marx’s work has been redeployed to fresh fields of knowledge and is being read again all over the world. The full unfolding of his precious theoretical legacy, wrested from presumptuous proprietors and constricting modes of use, has become possible once more. However, if Marx no longer stands as a carved sphinx protecting the grey ‘actually existing socialism’ of the XX century, it would be equally mistaken to believe that his theoretical and political legacy can be confined to a past that has nothing more to give to current conflicts. The rediscovery of Marx is based on his persistent capacity to explain the present: he remains an indispensable instrument for understanding it and transforming it.

After years of postmodern manifestoes, solemn talk of the ‘end of history’ and infatuation with vacuous ‘biopolitical’ ideas, the value of Marx’s theories is again more and more extensively recognized. What remains of Marx today? How useful is his thought to the workers’ struggle for freedom? What part of his work is most fertile for stimulating the critique of our times? These are some of the questions that receive a wide range of answers. If one thing is certain about the contemporary Marx revival, it is a rejection of the orthodoxies that have dominated and profoundly conditioned the interpretation of his thought. Although marked by evident limits and the risk of syncretism, this new period is characterized by the multiplicity of theoretical approaches. [60] After the age of dogmatisms, perhaps it could not have been otherwise. The task of responding to the challenge, through researches both theoretical and practical, lies with an emerging generation of scholars and political activists.

Among the ‘Marxes’ that remain indispensable, at least two may be mentioned here. One is the critic of the capitalist mode of production: the tireless researcher who studied its development on a global scale and left an unrivalled account of bourgeois society; the thinker who, refusing to conceive of capitalism and the regime of private property as immutable scenarios intrinsic to human nature, still offers crucial suggestions for those seeking alternatives. The other is the theoretician of socialism: the author who repudiated the idea of state socialism, already propagated in his time by Lassalle and Rodbertus, and envisaged the possibility of a complete transformation of productive and social relations, not just a set of bland palliatives for the problems of capitalist society.
Without Marx we will be condemned to critical aphasia. The cause of human emancipation will therefore continue to need him. His ‘spectre’ is destined to haunt the world and shake humanity for a good while to come.

VI. Appendix: Chronological Table of Marx’s Writings
Given the size of Marx’s intellectual output, the following chronology can only include his most important writings; its aim is to highlight the unfinished character of many of Marx’s texts and the chequered history of their publication. In relation to the first point, the titles of manuscripts that he did not send to press are placed between square brackets, as a way of differentiating them from finished books and articles. The greater weight of the former in comparison with the latter emerges as a result. The column relating to the second point contains the year of first publication, the bibliographical reference and, where relevant, the name of the editor or editors. Any changes that these made to the originals are also indicated here. When a published work or manuscript was not written in German, the original language is specified. Finally, the following abbreviations have been used in the table: MEGA ( Marx-Engels-Gesamtausgabe, 1927-1935); SOC (K. Marks i F. Engel’s Sochineniia, 1928-1946); MEW (Marx-Engels-Werke, 1956-1968); MECW (Marx-Engels Collected Works, 1975-2005); MEGA² (Marx-Engels-Gesamtausgabe, 1975-…).

Year Title Information about Editions
1841 [Difference Between the Democritean and Epicurean Philosophy of Nature]

1902: in Aus dem literarischen Nachlass von Karl Marx, Friedrich Engels und Ferdinand Lassalle, ed. by Mehring (partial version).

1927: in MEGA I/1.1, ed. by Ryazanov.

1842-43 Articles for the Rheinische Zeitung Daily published in Cologne
1843 [Critique of Hegel’s Doctrine of the State] 1927: in MEGA I/1.1, ed. by Ryazanov
1844 Essays for the Deutsch-Französische Jahrbücher Including On the Jewish Question and A Contribution to the Critique of Hegel’s Philosophy of Right. Only one issue, published in Paris. The majority of copies were confiscated by the police.
1844 [Economic-Philosophical Manuscripts of 1844] 1932: in Der historische Materialismus, ed. by Landshut and Mayer, and in MEGA I/3, ed. by Adoratskii (the editions differ in content and order of the parts). The text was omitted from the numbered volumes of MEW and published separately.
1845 The Holy Family (with Engels) Published in Frankfurt-am-Main.
1845 [Theses on Feuerbach] 1888: appendix to republication of Ludwig Feuerbach and the End of German Classical Philosophy by Engels.
1845-46 [The German Ideology] (with Engels)

1903-1904: in Dokumente des Sozialismus, ed. by Bernstein (partial version with editorial revisions).

1932: in Der historische Materialismus, ed. by Landshut and Mayer, and in MEGA I/3, ed. by Adoratskii (the editions differ in content and order of the parts).

1847 Poverty of Philosophy Printed in Brussels and Paris. Text in French.
1848 Speech on the Question of Free Trade. Published in Brussels. Text in French.
1848 Manifesto of the Communist Party (with Engels) Printed in London. Began to circulate widely in the 1880s.
1848-49 Articles for the Neue Rheinische Zeitung. Organ der Demokratie Daily appearing in Cologne. Includes Wage Labour and Capital.
1850 Articles for the Neue Rheinische Zeitung. Politisch-ökonomische Revue. Monthly printed in Hamburg in small run. Includes The Class Struggles in France from 1848 to 1850.
1852 The Eighteenth Brumaire of Louis Bonaparte Published in New York in the first issue of Die Revolution. Most of the copies were not collected from the printers for financial reasons. Only a small number reached Europe. The second edition – revised by Marx – appeared only in 1869.
1851-62 Articles for the New-York Tribune Many of the articles were written by Engels.
1852 [Great Men of the Exile] (with Engels) 1930: in Arkhiv Marksa i Engel’sa (Russian edition). The manuscript had previously been hidden by Bernstein.
1853 Revelations concerning the Communist Trial in Cologne Published as an anonymous pamphlet in Basle (nearly all two thousand copies were confiscated by the police) and in Boston. Republished in 1874 in Volksstaat (with Marx identified as the author) and in 1875 in book form.
1853-54 Lord Palmerston Text in English. Originally published as articles in the New-York Tribune and The People’s Paper, and subsequently in booklet form.
1854 The Knight of the Noble Consciousness Published in New York in booklet form.
1856-57 Revelations of the Diplomatic History of the 18th Century Text in English. Though already published by Marx, it was subsequently omitted from his works and published in the “socialist” countries only in 1986, in MECW.
1857 [Introduction] 1903: in Die Neue Zeit, ed. by Kautsky, with various discrepancies from the original.
1857-58 [Outlines of the Critique of Political Economy]

1939-1941: edition with small print run.

1953: republication allowing wide circulation.

1859 Contribution to the Critique of Political Economy Published in Berlin in a thousand copies.
1860 Herr Vogt Published in London with little resonance.
1861-63 [Contribution to the Critique of Political Economy (manuscript of 1861-1863)

1905-1910: Theories of Surplus-Value, ed. by Kautsky (in revised version). A text conforming to the original appeared only in 1954 (Russian edition) and 1956 (German edition).

1976-1982: manuscript published in full in MEGA² II/3.1-3.6.

1863-64 [On the Polish Question] 1961: Manuskripte über die polnische Frage, ed. by the IISG.
1863-67 [Economic manuscripts of 1863–1867]

1894: Capital. Volume Three. The Process of Capitalist Production as a Whole, ed. by Engels (who also used later manuscripts published in MEGA² II/14 and the forthcoming MEGA² II/4.3).

1933: Volume One. Unpublished Chapter VI, in Arkhiv Marksa i Engel’sa.

1988: publication of manuscripts of Volume One and Volume Two, in MEGA² II/4.1.

1992: publication of manuscripts of Volume Three, in MEGA² II/4.2.

1864-72 Addresses, resolutions, circulars, manifestos, programmes, statutes of the International Workingmen’s Association. Texts mostly in English, including Inaugural Address of the International Working Men’s Association and The Fictitious Splits in the International (with Engels).
1865 [Wages, Price and Profit] 1898: ed. by Eleanor Marx. Text in English.
1867 Capital. Volume One. The Process of Production of Capital Published in a thousand copies in Hamburg. Second edition in 1873 in 3,000 copies. Russian translation in 1872.
1870 [Manuscript of Volume Two of Capital] 1885: Capital. Volume Two. The Process of Circulation of Capital, ed. by Engels (who also used the manuscript of 1880-1881 and the shorter ones of 1867-1868 and 1877-1878, published in MEGA² II/11).
1871 The Civil War in France Text in English. Numerous editions and translations in a short space of time.
1872-75 Capital. Volume One. The Process of Production of Capital (French edition) Text reworked for the French edition, which appeared in instalments. According to Marx, it had a “scientific value independent of the original”.
1874-75 [Notes on Bakunin’s Statehood and Anarchy] 1928: in Letopisi marxisma, with a preface by Ryazanov (Russian edition). Manuscript with excerpts in Russian and comments in German.
1875 [Critique of the Gotha Programme] 1891: in Die Neue Zeit, ed. by Engels, who altered a few passages from the original.
1875 [Relationship between Rate of Surplus-Value and Rate of Profit Developed Mathematically] 2003: in MEGA² II/14.
1877 “From Kritische Geschichte” (a chapter in Anti-Dühring by Engels) Published in part in Vorwärts and then in full in the book edition.
1879-80 [Notes on Kovalevskii’s Rural Communal Property] 1977: in Karl Marx über Formen vorkapitalistischer Produktion, ed. by IISG.
1879-80 [Marginal Notes on Adolph Wagner’s Lehrbuch der politischen Ökonomie]

1932: in Das Kapital (partial version).

1933: in SOC XV (Russian edition).

1880-81 [Excerpts from Morgan’s Ancient Society] 1972: in The Ethnological Notebooks of Karl Marx, ed. by the IISG. Manuscript with excerpts in English.
1881-82 [Chronological excerpts 90 BC to approx. 1648]

1938-1939: in Arkhiv Marksa i Engel’sa (partial version, Russian edition).

1953: in Marx – Engels – Lenin – Stalin, Zur deutschen Geschichte (partial version).

References
1. Cf. Franco Andreucci, La diffusione e la volgarizzazione del marxismo, in Eric J. Hobsbawm et al. (eds ), Storia del marxismo, vol. 2, Einaudi, Turin (1979), p. 15.
2. Cf. Erich Matthias, “Kautsky und der Kautskyanismus”, Marxismusstudien, Vol. II (1957), p. 197.
3. Cf. Paul M. Sweezy, The Theory of Capitalist Development, Monthly Review: New York/London 1942, pp. 19 and 191.
4. Karl Kautsky, Das Erfurter Programm, in seinem grundsätzlichen Teil erläutert, J.H.W. Dietz: Hannover 1964, pp. 131f. Cf. the English translation by William E. Bohn first published in 1911: Karl Kautsky, The Class Struggle (Erfurt Program), W. W. Norton & Co.: New York 1971, p. 117.
5. George V. Plekhanov, Fundamental Problems of Marxism, Lawrence & Wishart: London 1969, p. 21.
6. Nikolai I. Bukharin, Theory of Historical Materialism, International Publishers: Moscow 1921, p. 18.
7. Ibid., p. 248. Opposing this conception was Antonio Gramsci, for whom “the posing of the problem as a research into laws, of constant, regular and uniform lines, is linked to a need, conceived in a puerile and naive way, to resolve peremptorily the practical problem of the predictability of historical events’. His clear refusal to reduce Marx’s philosophy of praxis to a crude sociology, to ‘a mechanical formula which gives the impression of holding the whole of history in the palm of its hand’, (Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Valentino Gerratana (ed.), Einaudi: Turin 1975, pp. 1403 and 1428; Selections from the Prison Notebooks, Lawrence & Wishart: London 1973, p. 428) took aim beyond Bukharin’s text at the general orientation that later predominated in the Soviet Union.
8. Josef V. Stalin, Dialectical and Historical Materialism, Lawrence & Wishart: London 1941, p. 5.
9. Ibid., pp. 13-15.
10. Cf. Maximilien Rubel, Marx critique du marxisme, Payot: Paris 1974, p. 81.
11. Cf., for example, Marcello Musto, ‘Marx in Paris. Manuscripts and notebooks of 1844’, Science & Society, vol. 73, no. 3 (July 2009), pp. 386-402; and Terrell Carver ‘ The German Ideology Never Took Place”, History of Political Thought , vol. 31, no. 1, pp. 107-127.
12. See Marcello Musto (ed.), Karl Marx’s Grundrisse. Foundations of the Critique of Political Economy 150 years Later, Routledge: London/New York 2008, esp. pp. 179-212.
13. Karl Marx, ‘Postface to the Second Edition’, in Capital, Volume One, Vintage: New York 1977, p. 99.
14. Karl Marx, ‘Provisional Rules of the International Working Men’s Association’, Marx-Engels Collected Works (hereafter MECW) vol. 20, New York: International Publishers, 1985, p. 14.
15. Karl Marx, Critique of the Gotha Programme, MECW vol. 24, Lawrence & Wishart: London 1989, p. 87.
16. Jacques Derrida, Spectres of Marx, Routledge: London, 1994, p. 13.
17. In recent years, newspapers, periodicals and TV or radio programs have repeatedly discussed the current relevance of Marx. In 2003, the weekly Nouvel Observateur devoted a whole issue to the theme Karl Marx – le penseur du troisième millénaire? Soon after, Germany paid its tribute to the man it once forced into a 40-year exile: in 2004, more than 500,000 viewers of the national television station ZDF voted Marx the third most important German personality of all time (he was first in the category of ‘contemporary relevance’), and during the national elections of 2005 the mass-circulation magazine Der Spiegel carried his image on the cover, giving the victory sign, under the title Ein Gespenst kehrt zurück. The same year, a poll conducted by BBC Radio Four gave Marx the accolade of the philosopher most admired by its listeners. And, after the outbreak of the recent economic crisis, in all parts of the world, leading daily and weekly papers have been discussing the contemporary relevance of Marx’s thought.
18. For a full survey, see Part Two of this volume: ‘Marx’s Global Reception Today’. One of the significant scholarly examples of this new interest is the continuation of the Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA2), the historico-critical edition of the complete works, which resumed in 1998 after the interruption that followed the collapse of the socialist countries. See Marcello Musto, ‘The rediscovery of Karl Marx’, International Review of Social History, vol. 52, n. 3 (2007), pp. 477-98.
19. Karl Marx and Friedrich Engels, ‘Announcement of the Neue Rheinische Zeitung. Politisch-ökonomische Revue’, MECW 10, p. 5.
20. Karl Marx, The Class Struggles in France, MECW 10, p. 135.
21. Karl Marx and Friedrich Engels, ‘Review: May-October 1850’, MECW 10, p. 497.
22. Ibid., p. 503.
23. Karl Marx, ‘Reviews from the Neue Rheinische Zeitung Revue No.4’, MECW 10, p. 318. One example of this was the manifesto ‘To the Nations’, issued by the ‘European Democratic Central Committee’, which Giuseppe Mazzini, Alexandre Ledru-Rollin and Arnold Ruge had founded in London in 1850. According to Marx, this group were implying ‘that the revolution failed because of the ambition and jealousy of the individual leaders and the mutually hostile views of the various popular educators’. Also ‘stupefying’ was the way in which these leaders conceived of ‘social organization’: ‘a mass gathering in the streets, a riot, a hand-clasp, and it’s all over. In their view indeed revolution consists merely in the overthrow of the existing government; once this aim has been achieved, “the victory” has been won.’ (Karl Marx and Friedrich Engels, ‘Review: May-October 1850’, MECW 10, pp. 529-30).
24. See Karl Marx to Friedrich Engels, 3 February 1851, MECW 38, p. 275.
25. Karl Marx to Ferdinand Freiligrath, 27 December 1851, MECW 38, p. 520.
26. Karl Marx, ‘Revolution in China and Europe’, MECW 12, p. 99.
27. Karl Marx, ‘Political Movements. – Scarcity of Bread in Europe’, MECW 12, p. 308.
28. Karl Marx to Friedrich Engels, 28 September 1853, MECW 39, p. 372.
29. Karl Marx, ‘The Crisis in England’, MECW 14, p. 61.
30. Karl Marx, ‘The European Crisis’, MECW 15, p. 136.
31. These notebooks have not yet been published. Cf. Michael Krätke, ‘Marx’s “Books of Crisis” of 1857-8’, in Marcello Musto (ed.), Karl Marx’s Grundrisse. Foundations of the Critique of Political Economy 150 Years Later, cit., pp. 169-75.
32. Karl Marx, Capital, vol. III, International Publishers: New York [n.d.], p. 577.
33. See Ellen Meiksins Wood, Democracy against Capitalism, London: Cambridge University Press 1995.
34. Karl Marx, Grundrisse, cit., p. 83.
35. Karl Marx, Capital, Volume One, cit., p. 88.
36. Ibid., p. 357. This mutual dependence should not be confused with that which establishes itself among individuals in the capitalist mode of production: the former is the product of nature, the latter of history. In capitalism, individual independence is combined with a social dependence expressed in the division of labour (see Karl Marx, ‘Original Text of the Second and the Beginning of the Third Chapter of A Contribution to the Critique of Political Economy’, MECW 29, Moscow: Progress Publishers, p. 465). At this stage of production, the social character of activity presents itself not as a simple relationship of individuals to one another ‘but as their subordination to relations which subsist independently of them and which arise out of collisions between mutually indifferent individuals. The general exchange of activities and products, which has become a vital condition for each individual – their mutual interconnection – here appears as something alien to them, autonomous, as a thing’ (Karl Marx, Grundrisse, cit. p. 157).
37. Adam Smith, The Wealth of Nations, vol. 1, London: Methuen 1961, p. 19.
38. See David Ricardo, The Principles of Political Economy and Taxation, London: J. M. Dent & Sons. 1973: 15; cf. Karl Marx, ‘A Contribution to the Critique of Political Economy’, in MECW 29, Moscow: Progress Publishers, p. 300.
39. Karl Marx, Grundrisse, Penguin: New York 1973, p. 83.
40. Ibid.
41. Ibid., p. 85.
42. John Stuart Mill Principles of Political Economy, vol. I, Routledge & Kegan Paul: London 1965, pp. 55f.
43. Karl Marx, Grundrisse, cit., pp. 257-8.
44. Ibid., p. 591.
45. Ibid., p. 249.
46. Ibid., p. 265.
47. Ibid., p. 86.
48. Karl Marx, The Poverty of Philosophy, in MECW 6, Progress: Moscow 1976, p. 174.
49. Karl Marx, Grundrisse, cit., p. 460.
50. Ibid.
51. Ibid., p. 675.
52. Ibid., p. 489.
53. Ibid., p. 239.
54. Ibid., p. 535.
55. Ibid., p. 156.
56. See ibid., p. 248.
57. Karl Marx, Capital, volume III, cit., p. 240.
58. Karl Marx, Grundrisse, cit., p. 832.
59. Karl Marx, Capital, volume one, cit. p. 171.
60. Cf. André Tosel, Le marxisme du 20 ͤ siècle, Paris: Syllepse 2009, pp. 79f.

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Book chapter

Introduzione

I. I Grundrisse e l’appuntamento con la rivoluzione
Il 1857 fu segnato dallo scoppio della prima crisi finanziaria internazionale della storia. Negli anni che avevano preceduto questo episodio, Marx aveva costantemente seguito tutti i principali avvenimenti economici e si era convinto cha l’avvento di una crisi avrebbe determinato le condizioni per una nuova stagione di rivolgimenti sociali in tutta l’Europa.

Dopo la sconfitta delle insurrezioni popolari del 1848, egli aveva atteso a lungo quel momento e non volle farsi cogliere impreparato quando esso finalmente giunse. A suo giudizio, infatti, il suo primo compito avrebbe dovuto essere quello di scrivere e pubblicare, il più in fretta possibile, l’opera di economia politica da tempo programmata. Le notizie della crisi, che dagli Stati Uniti d’America raggiunse rapidamente tutti i centri del mercato mondiale in Europa, Sudamerica ed Oriente, generarono grande euforia in Marx, alimentando in lui una straordinaria produttività intellettuale. Egli riprese, dunque, gli studi di economia, iniziati alla fine del 1843 e condotti, con risultati altalenanti, per un quindicennio, e tentò di dare loro forma compiuta.

Per dedicarsi alla sua opera, Marx avrebbe avuto bisogno di un po’ di tranquillità, ma la precarietà della sua situazione personale non gli concesse alcuna tregua. Infatti, le sue uniche entrate, oltre il costante aiuto garantitogli da Friedrich Engels, consistevano soltanto nei compensi derivanti dai suoi articoli per la New-York Tribune, il quotidiano in lingua inglese più diffuso dell’epoca, e per The New American Cyclopædia, un progetto editoriale, avviato proprio nel 1857, dal direttore della New-York Tribune Charles Dana. La povertà non era il solo spettro ad assillare Marx. Come per gran parte della sua travagliata esistenza, egli fu affetto, anche durante questo periodo, da diversi malanni e colpito dai drammi familiari, ultimo dei quali la morte del suo ultimo figlio subito dopo il parto.

Miseria, problemi di salute e stenti di ogni tipo: i Grundrisse furono scritti in questo tragico contesto. Essi non furono il prodotto dello studio di un pensatore protetto dalle agiatezze della vita borghese, ma, l’opera di un autore costretto a scrivere in condizioni molto difficili e, sorretto unicamente dalla convinzione che il suo lavoro, stante l’incedere della crisi economica, fosse divenuto una necessità dell’epoca, trovò le forze per portarlo avanti.

Il periodo compreso tra l’estate del 1857 e la primavera del 1858 fu uno dei più prolifici dell’esistenza di Marx poiché, in pochi mesi, riuscì a scrivere di economia politica più di quanto non avesse fatto negli anni precedenti. Nel dicembre del 1857, comunicò infatti ad Engels: “lavoro come un pazzo le notti intere al riepilogo dei miei studi economici, per metterne in chiaro almeno le grandi linee (Grundrisse) prima del diluvio” .

Il lavoro realizzato fu notevole e ramificato. Dall’agosto del 1857 al maggio 1858, Marx riempì gli otto corposi quaderni che divennero poi i Grundrisse. Nello stesso periodo, tra le corrispondenze realizzate per il New-York Tribune su argomenti vari, scrisse una dozzina di articoli sull’andamento della crisi in Europa. Infine, dall’ottobre del 1857 al febbraio del 1858, redasse anche tre quaderni di estratti, denominati I quaderni della crisi. Questi quaderni, ad oggi ancora inediti, forniscono nuova luce sulla genesi dei Grundrisse. Grazie ad essi, è possibile mutare l’immagine convenzionale di un Marx che studia la Scienza della logica di Hegel per cercare ispirazione durante la stesura dei manoscritti del 1857-58. A quel tempo, infatti, egli era molto più preoccupato degli eventi empirici legati a quella grande crisi a lungo prevista ed auspicata. In questi taccuini Marx, diversamente dagli altri suoi estratti realizzati in precedenza, non eseguì i compendi dalle opere degli economisti, ma raccolse una grande quantità di notizie, desunte da svariati quotidiani, sui principali avvenimenti della crisi, sulle variazioni delle quotazioni in borsa, sui mutamenti intervenuti negli scambi commerciali e sui più grandi fallimenti verificatisi in Europa, negli Stati Uniti d’America e nel resto del mondo. Insomma, come dimostra una lettera del dicembre del 1857 indirizzata ad Engels, la sua attività fu intensissima:

“lavoro moltissimo quasi sempre fino alle quattro del mattino. Perché si tratta di un doppio lavoro: 1) elaborazione delle linee fondamentali dell’economia. (È assolutamente necessario andare al fondo della questione per il pubblico e per me, personalmente, liberarmi da questo incubo); 2) La crisi attuale. Su di essa, oltre agli articoli per il New-York Tribune, mi limito a prendere appunti, cosa che però richiede un tempo notevole. Penso che in primavera potremo scrivere insieme un pamphlet sulla faccenda, a mo’ di riapparizione davanti al pubblico tedesco, per dire che siamo di nuovo e ancora qui, sempre gli stessi”.

Per quel che concerne i Grundrisse, dopo aver abbozzato durante l’ultima settimana di agosto, in un quaderno denominato «M», un testo che sarebbe dovuto servire come Introduzione alla sua opera, alla metà di ottobre, Marx proseguì il lavoro con altri sette quaderni (I – VII). Nel primo e in una parte del secondo di essi, egli scrisse il cosiddetto Capitolo sul denaro, primissima bozza in cui espose le sue teorie su denaro e valore; mentre negli altri redasse il cosiddetto Capitolo sul capitale, in cui dedicò centinaia di pagine al processo di produzione e di circolazione del capitale e trattò alcune delle tematiche più rilevanti dell’intero manoscritto, quali l’elaborazione del concetto di plusvalore e le riflessioni sulle formazioni economiche che avevano preceduto il modo di produzione capitalistico. Questo straordinario impegno non gli consentì, comunque, di completare la sua opera e alla fine del febbraio del 1858 scrisse a Ferdinand Lassalle:

“in effetti da alcuni mesi sto lavorando alla elaborazione finale. La cosa procede però molto lentamente, perché argomenti dei quali si è fatto l’oggetto principale dei propri studi da molti anni, mostrano continuamente aspetti nuovi e suscitano nuovi dubbi non appena si deve venire a una resa dei conti finale. […] Il lavoro di cui si tratta in primo luogo è la Critica delle categorie economiche ovvero, se preferisci, la descrizione critica del sistema dell’economia borghese. È contemporaneamente descrizione del sistema e, attraverso la descrizione, critica del medesimo. […] Dopo tutto, ho il vago presentimento che proprio ora, nel momento in cui dopo 15 anni di studio sono arrivato al punto di por mano alla cosa, movimenti tempestosi dall’esterno probabilmente sopravverranno a interrompermi”.

In realtà, però, del tanto atteso movimento rivoluzionario, che egli riteneva sarebbe dovuto nascere in seguito alla crisi, non vi fu alcun segnale e la ragione del mancato completamento dello scritto fu, invece, la consapevolezza, sopraggiunta in Marx, di essere ancora lontano dalla piena padronanza critica degli argomenti affrontati. I Grundrisse rimasero, pertanto, solo una bozza dalla quale, dopo un’accurata rielaborazione del Capitolo sul denaro, avvenuta tra l’agosto e l’ottobre del 1858 durante la stesura del manoscritto Per la critica dell’economia politica. Testo originale (Urtext), egli pubblicò, nel 1859, un piccolo libro che non ebbe alcuna risonanza intitolato Per la critica dell’economia politica. Da quella data trascorsero altri otto anni di studi febbrili e di enormi fatiche intellettuali, prima della pubblicazione, nel 1867, del libro primo de Il capitale.

II. 1858-1953: Cent’anni di solitudine
Tralasciati nel maggio del 1858 per fare posto alla stesura di Per la critica dell’economia politica, dopo essere stati adoperati per la redazione di questo testo, i Grundrisse non furono quasi più riutilizzati da Marx. Nonostante fosse sua consuetudine richiamarsi agli studi precedentemente svolti, trascrivendone talvolta interi passaggi, ad eccezione di quelli del 1861-63, nessun manoscritto preparatorio de Il capitale contiene, infatti, alcun riferimento ad essi. I Grundrisse giacquero tra le tante bozze provvisorie di Marx che, dopo averli redatti, sempre più assorbito dalla soluzione di questioni più specifiche di quelle che essi racchiudevano, non ebbe dunque più modo di servirsene.

Sebbene non vi sia alcuna certezza in proposito, è probabile che i Grundrisse non siano stati letti dallo stesso Friedrich Engels. Com’è noto, al momento della sua morte, Marx era riuscito a completare soltanto il libro primo de Il capitale, ed i manoscritti incompiuti dei libri secondo e terzo furono ricostruiti, selezionati e dati alle stampe da Engels. Nel corso della sua attività editoriale, quest’ultimo dovette prendere in esame decine di quaderni contenenti abbozzi de Il capitale ed è plausibile ipotizzare che quando, in fase di sistemazione della montagna di carte ereditate, sfogliò i Grundrisse, dovette ritenerli una versione troppo prematura dell’opera dell’amico – precedente persino alla pubblicazione di Per la critica dell’economia politica del 1859 – e, a ragione, inutilizzabile per il suo proposito. D’altronde, Engels non menzionò mai i Grundrisse, né nelle prefazioni ai due volumi de Il capitale dati alle stampe, né in alcuna lettera del suo vasto carteggio.

Dopo la sua scomparsa, gran parte degli originali di Marx venne custodita nell’archivio del Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD) di Berlino, ma fu trattata con la massima negligenza. I conflitti politici in seno alla Socialdemocrazia impedirono la pubblicazione dei rilevanti e voluminosi inediti di Marx e produssero anche la dispersione dei suoi manoscritti, così da compromettere, per lungo tempo, la possibilità di un’edizione completa delle sue opere. Nessuno, inoltre, si occupò di stilare un elenco del lascito intellettuale di Marx ed i Grundrisse restarono sepolti assieme alle altre sue carte.

L’unico brano dato alle stampe durante quel periodo fu l’Introduzione. Essa fu pubblicata nel 1903, sulla rivista Die Neue Zeit, da Karl Kautsky, il quale nella breve nota che accompagnò il testo, la presentò come un “abbozzo frammentario” datato 23 agosto 1857. Kautsky sostenne che si trattava dell’introduzione dell’opera principale di Marx e, per questo motivo, le diede il titolo di Introduzione a una critica dell’economia politica. Aggiunse inoltre che: “nonostante il suo carattere frammentario, anche il presente lavoro offre una grande quantità di nuovi punti di vista”. Intorno a essa, infatti, si manifestò un notevole interesse. Tradotta, inizialmente, in francese (1903) ed inglese (1904), prese a circolare rapidamente dopo che Kautsky l’ebbe pubblicata, nel 1907, in appendice a Per la critica dell’economia politica e apparve anche in russo (1922), giapponese (1926), greco (1927), cinese (1930), fino a divenire poi uno degli scritti più commentati dell’intera produzione teorica di Marx.

Nonostante la fortuna dell’Introduzione, i Grundrisse rimasero ancora a lungo sconosciuti. È difficile credere che, insieme con l’Introduzione, Kautsky non abbia ritrovato anche l’intero manoscritto. Egli, comunque, non vi fece mai riferimento e, quando poco dopo decise di pubblicare alcuni inediti di Marx, si concentrò solo su quelli del 1861-63, che diede alle stampe parzialmente, dal 1905 al 1910, con il titolo di Teorie sul plusvalore.

La scoperta “ufficiale” dei Grundrisse avvenne, invece, nel 1923 grazie a David Rjazanov, direttore dell’Istituto Marx-Engels (IME) di Mosca e promotore della Marx-Engels Gesamtausgabe (MEGA), l’edizione delle opere complete di Marx ed Engels. Dopo aver esaminato il Nachlaß di Berlino, egli rese pubblica l’esistenza dei Grundrisse in una comunicazione sul lascito letterario di Marx ed Engels, tenuta all’Accademia Socialista di Mosca:

“ho ritrovato tra le carte di Marx altri otto quaderni di studi di economia. (…) Il manoscritto è databile alla metà degli anni Cinquanta e contiene la prima stesura dell’opera di Marx [Il capitale], della quale, al tempo, egli non aveva ancora stabilito il titolo, e che rappresenta [anche] la prima elaborazione del suo scritto Per la critica dell’economia politica” .

In quella stessa sede affermò inoltre: “in uno di questi quaderni (…) Kautsky ha trovato l’Introduzione a Per la critica dell’economia politica” e riconobbe al complesso dei manoscritti preparatori de Il capitale “straordinario interesse per conoscere la storia dello sviluppo intellettuale di Marx, così come la peculiarità del suo metodo di lavoro e di ricerca”.

Grazie all’accordo di collaborazione per la pubblicazione della MEGA, stipulato tra l’IME, l’Istituto per la Ricerca Sociale di Francoforte e lo SPD, detentore del Nachlaß di Marx ed Engels, i Grundrisse furono fotografati assieme a molti altri inediti e gli specialisti di Mosca cominciarono a studiarli su esemplari in copia. Tra il 1925 e il 1927, Pavel Veller, collaboratore dell’IME, catalogò tutti i manoscritti preparatori de Il capitale, il primo dei quali erano proprio i Grundrisse. Sino al 1931, essi furono completamente decifrati e dattilografati e nel 1933 ne fu dato alle stampe, in lingua russa, il Capitolo sul denaro, cui fece seguito, due anni dopo, l’edizione tedesca. Nel 1936, infine, l’Istituto Marx-Engels-Lenin (IMEL), subentrato all’IME, riuscì ad acquistare sei degli otto quaderni dei Grundrisse, circostanza che rese possibile la soluzione dei problemi editoriali ancora irrisolti.

Poco dopo, dunque, i Grundrisse poterono essere finalmente pubblicati: furono l’ultimo importante manoscritto di Marx, per giunta molto esteso e risalente a una delle fasi più feconde della sua elaborazione, ad essere reso noto al pubblico. Essi apparvero a Mosca nel 1939, a cura di Veller, che ne scelse il titolo: Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie (Rohentwurf) 1857–1858. Due anni dopo, seguì la stampa di un’appendice (Anhang), che comprese gli appunti di Marx del 1850-51 dai Principi di economia politica e dell’imposta di David Ricardo, le note su Bastiat e Carey, gli indici sul contenuto dei Grundrisse da lui stesso redatti e, infine, il materiale preparatorio (Urtext) a Per la critica dell’economia politica del 1859. La prefazione al libro del 1939, siglata dall’IMEL, evidenziò decisamente il valore del testo: “il manoscritto del 1857-1858, pubblicato per la prima volta ed integralmente in questo volume, costituisce una tappa decisiva dell’opera economica di Marx”.

Tuttavia, seppure principi editoriali e formato fossero analoghi, i Grundrisse non furono inclusi tra i volumi della MEGA, ma uscirono, invece, in edizione singola. Inoltre, la loro pubblicazione a ridosso della Seconda Guerra Mondiale fece sì che l’opera restasse praticamente sconosciuta. Le 3.000 copie realizzate divennero ben presto molto rare e solo pochissime di esse riuscirono a oltrepassare i confini sovietici. Successivamente, i Grundrisse non furono inseriti nella Sočinenija (Opere Complete) (1928-47), la prima edizione russa degli scritti di Marx ed Engels e per la loro ristampa in tedesco si dovette attendere sino al 1953. Se desta grande stupore che un testo come i Grunrisse, sicuramente eretico rispetto agli allora indiscutibili cànoni del Diamat (Dialekticeskij Materializm), sia stato pubblicato durante l’era staliniana, bisogna altresì considerare che essi costituivano lo scritto più rilevante di Marx non ancora diffuso in Germania. Così, in occasione della celebrazione del Karl-Marx-Jahr (Anno di Karl Marx), che coincideva con il settantesimo anniversario della sua morte e il centotrentacinquesimo della nascita, i Grundrisse furono dati alle stampe a Berlino in 30.000 copie. Redatti nel 1857-58, essi cominciarono a essere letti e scoperti in tutto il mondo soltanto nel 1953. Dopo cent’anni di solitudine.

III. La diffusione dei Grundrisse
Nonostante la risonanza suscitata dalla pubblicazione di un nuovo e consistente manoscritto preparatorio de Il capitale e il valore teorico che ad essi fu attribuito, i Grundrisse furono tradotti molto lentamente.

Come già accaduto con l’Introduzione, fu un altro estratto dei Grundrisse a generare interesse prima dell’intero manoscritto: le Forme che precedono la produzione capitalistica. Esso fu infatti tradotto nel 1939 in russo e, nel 1947-48, dal russo in giapponese. Successivamente, l’edizione singola tedesca e la traduzione inglese ne favorirono un’ampia diffusione. Dalla prima, stampata nel 1952 nella serie “Piccola biblioteca del marxismo-leninismo” furono eseguite la traduzione in ungherese (1953) ed in italiano (1954). La seconda, pubblicata nel 1964, ne permise la circolazione nel mondo anglosassone e, tradotta in Argentina (1966) e Spagna (1967), in quello di lingua spagnola. La prefazione del curatore di questa edizione, Eric Hobsbawm, contribuì a evidenziare l’importanza del loro contenuto: le Forme che precedono la produzione capitalistica costituiscono “il tentativo più sistematico di affrontare la questione dell’evoluzione storica” mai realizzato da Marx e “si può affermare, senza esitazione, che qualsiasi discussione storica marxista che non tenga conto di quest’opera (…) deve essere riesaminata alla luce di essa” . Infatti, sempre più studiosi internazionali si occuparono di questo testo, che seguì ad essere pubblicato in tanti altri paesi ed a stimolare ovunque significative discussioni storiografiche.

Le traduzioni dei Grundrisse nel loro insieme cominciarono alla fine degli anni Cinquanta. La diffusione dello scritto di Marx fu un processo lento ma inesorabile e, quando ultimato, rese possibile una più completa e, per alcuni aspetti, differente percezione dell’intera sua opera. I maggiori interpreti dei Grundrisse vi si cimentarono in lingua originale, ma la loro lettura estesa, quella compiuta dagli studiosi che non erano in grado di leggerli in tedesco, e, soprattutto, quella dei militanti politici e degli studenti, avvenne solo in seguito alle traduzioni nelle varie lingue.

Le prime di esse avvennero in oriente, dove i Grundrisse apparvero prima in Giappone (1958-65) e poi in Cina (1962-78). In Unione Sovietica uscirono in lingua russa soltanto nel 1968-69, quando dopo essere stati esclusi anche dalla seconda ed ampliata edizione della Sočinenija (1955-66), vi furono incorporati quali volumi aggiuntivi. L’estromissione dalla Sočinenija fu tanto più grave perché determinò, a sua volta, quella dalla Marx Engels Werke (MEW) (1956-68), che riprodusse la selezione sovietica. La MEW, ovvero l’edizione più utilizzata delle opere di Marx ed Engels, nonché la fonte delle loro traduzioni nella maggior parte delle lingue, fu dunque privata dei Grundrisse che vennero pubblicati come volume supplementare soltanto nel 1983.

Alla fine degli anni Sessanta, i Grundrisse cominciarono a circolare anche in Europa. La prima traduzione fu quella francese (1967-68), ma la sua qualità era scadente ed una versione fedele dello scritto uscì solo nel 1980. Quella italiana apparve tra il 1968 e il 1970 e, così come quella francese, circostanza molto singolare, essa fu realizzata per iniziativa di una casa editrice indipendente dal Partito Comunista.

In lingua spagnola, il testo fu pubblicato negli anni Settanta. Se si esclude la versione stampata a Cuba nel 1970-71, di scarso pregio perché tradotta da quella francese e la cui circolazione rimase circoscritta nell’ambito di quel paese, la prima vera traduzione fu compiuta in Argentina tra il 1971 e il 1976. A essa seguirono ancora altre tre, effettuate tra Spagna, Argentina e Messico, che fecero dello spagnolo la lingua con il maggior numero di versioni dei Grundrisse.

La traduzione in lingua inglese fu anticipata, nel 1971, dalla pubblicazione di una scelta di alcuni suoi brani. L’introduzione del curatore di questo volume, David McLellan, aumentò le aspettative nei confronti dello scritto: “i Grundrisse sono molto più di una grezza stesura de Il capitale” e, anzi, più di ogni altro suo testo, “contengono una sintesi dei vari lidi del pensiero di Marx. (…) In un certo senso, nessuna tra le opere di Marx è completa, ma tra loro la più completa sono i Grundrisse” . La traduzione integrale giunse nel 1973, ovvero soltanto venti anni dopo l’edizione stampata in Germania. Essa fu eseguita da Martin Nicolaus, che nella premessa al libro scrisse: “oltre al loro grande valore biografico e storico, essi (…) sono il solo abbozzo dell’intero progetto economico-politico di Marx. (…) I Grundrisse mettono in discussione e alla prova ogni seria interpretazione di Marx finora concepita”.

Gli anni Settanta furono il decennio decisivo anche per le traduzioni nell’Europa dell’est. Dopo l’edizione russa, infatti, non vi era più alcun ostacolo affinché il testo potesse circolare anche nei paesi ‘satelliti’ dell’Unione Sovietica e, così, esso comparve in Ungheria (1972), Cecoslovacchia (in ceco tra il 1971 e il 1977 e in slovacco tra il 1974 e il 1975), Romania (1972-74) e Jugoslavia (1979).

Nello stesso periodo, i Grundrisse giunsero anche in Danimarca, pubblicati contemporaneamente in due traduzioni tra loro contrastanti: una a cura della casa editrice legata al partito comunista (1974-78) e l’altra, invece, di una vicina alla nuova sinistra (1975-77).

Negli anni Ottanta, i Grundrisse furono tradotti anche in Iran (1985-87), ove rappresentarono la prima traduzione rigorosa di un’opera economica di Marx in persiano, e in altre lingue europee: l’edizione slovena è del 1985 e dell’anno successivo sono la polacca e quella finlandese, quest’ultima effettuata grazie al sostegno sovietico.

Col dissolversi dell’Unione Sovietica e la fine del cosiddetto ‘socialismo reale’, la stampa degli scritti di Marx subì una battuta d’arresto. Ciò nonostante, anche negli anni nei quali il silenzio intorno al loro autore fu interrotto soltanto da quanti ne andavano decretando con assoluta certezza l’oblio, i Grundrisse hanno continuato ad essere tradotti in altre lingue. Pubblicati in Grecia (1989-92), Turchia (1999-2003), Corea del sud (2000) ed in uscita nel 2011, in Brasile, in lingua portoghese, essi sono stati l’opera di Marx che ha ricevuto il maggior numero di nuove traduzioni negli ultimi venti anni.

Complessivamente, i Grundrisse sono stati pubblicati integralmente in 22 lingue e tradotti in 32 differenti versioni. Senza fare riferimento alle tante traduzioni parziali, essi sono stati stampati in oltre 500.000 copie : un numero che sorprenderebbe molto colui che li redasse col solo fine di riepilogare, per giunta in tutta fretta, gli studi di economia svolti fino al momento della loro stesura.

IV. Lettori ed interpreti
La storia della recezione dei Grundrisse, così come quella della loro diffusione, è stata caratterizzata da un avvio alquanto tardivo. Alle vicissitudini legate al ritrovamento del manoscritto, si aggiunse, e fu di certo determinante, la complessità del testo frammentario ed appena abbozzato, tanto problematico da rendere in altre lingue quanto difficile da interpretare. In proposito, Roman Rosdolsky, autorevole studioso dei Grundrisse, affermò che:

“quando, nel 1948, (…) ebbe la fortuna di esaminar[ne] uno degli allora rarissimi esemplari (…), intuì subito che si trattava di un’opera fondamentale per la comprensione della teoria marxiana, che però a causa della sua forma particolare e del suo linguaggio spesso difficile, poco si addiceva ad un’ampia cerchia di lettori”.

Queste motivazioni lo indussero a tentare di illustrarne meglio il testo e ad esaminarne criticamente il contenuto. Il risultato di tale impresa fu l’opera Genesi e struttura del ‘Capitale’ di Marx che, pubblicata nel 1968, fu la prima, ed anche la principale mai scritta, monografia dedicata ai Grundrisse. Tradotta in molti paesi, favorì la loro divulgazione e circolazione ed ebbe un notevole influsso su tutti i successivi interpreti.

Il 1968 fu un anno significativo per i Grundrisse. Oltre al libro di Rosdolsky, infatti, apparve sulla New Left Review il primo saggio in lingua inglese interamente dedicato ad essi: Il Marx sconosciuto, di Martin Nicolaus, che ebbe il merito di attirare l’attenzione sui Grundrisse anche nel mondo anglosassone e di segnalare la necessità di una loro traduzione. Intanto, in Germania ed in Italia, i Grundrisse conquistarono i protagonisti delle rivolte studentesche, che cominciarono a leggerli entusiasmati dalla dirompente radicalità delle loro pagine. Per lo più, essi esercitarono un irresistibile fascino tra quanti, soprattutto nelle file della nuova sinistra, erano impegnati a rovesciare l’interpretazione di Marx fornita dal marxismo-leninismo.

D’altronde, i tempi erano mutati anche a est. Dopo una prima fase nella quale i Grundrisse erano stati quasi del tutto ignorati o guardati con diffidenza, il libro di Vitalij Vygodskij, Introduzione ai Grundrisse di Marx, pubblicato in Unione Sovietica nel 1965 e nella Repubblica Democratica Tedesca nel 1967, impresse una svolta di segno opposto. I Grundrisse furono definiti infatti un’opera “geniale”, che “ci guidano nel laboratorio creativo di Marx e ci danno l’occasione di seguire passo dopo passo il processo di elaborazione della sua teoria economica” .

In pochi anni, i Grundrisse diventarono un testo fondamentale per tanti influenti marxisti. Accanto agli autori già menzionati, vi si dedicarono con particolare attenzione: Walter Tuchscheerer nella Repubblica Democratica Tedesca, Alfred Schmidt nella Repubblica Federale Tedesca, gli studiosi della Scuola di Budapest in Ungheria, Lucien Sève in Francia, Kiyoaki Hirata in Giappone, Gajo Petrovic in Jugoslavia, Antonio Negri in Italia, Adam Schaff in Polonia, Allen Oakley in Australia e divennero, in generale, uno scritto col quale ogni serio studioso dell’opera di Marx doveva misurarsi.

Pur se con diverse sfumature, i vari interpreti si divisero tra quanti considerarono i Grundrisse un testo autonomo cui potere attribuire piena compiutezza concettuale e coloro che li giudicarono, invece, come un manoscritto prematuro e meramente preparatorio de Il capitale. Il retroterra ideologico delle discussioni sui Grundrisse – cuore della contesa era la fondatezza o meno della stessa interpretazione di Marx, con le conseguenti ed enormi ricadute politiche – favorì lo sviluppo di tesi interpretative inadeguate ed oggi risibili. Tra i commentatori più entusiasti di questo scritto, vi fu, infatti, chi ne sostenne la superiorità teorica rispetto a Il capitale, nonostante questo comprendesse i risultati di un ulteriore decennio di intensissimi studi. Allo stesso modo, tra i principali detrattori dei Grundrisse, non mancarono quanti affermarono che, nonostante le parti utili per ricostruire il rapporto con Georg W. F. Hegel ed i significativi brani sull’alienazione, essi non aggiungevano nulla a quanto già noto di Marx.

Accanto alle contrastanti letture dei Grundrisse, risaltano anche le non letture, il cui caso più eclatante è rappresentato da Louis Althusser. Impegnato finanche nel tentativo di far parlare i presunti silenzi di Marx e di leggere Il capitale “in modo da rendere visibile ciò che ancora in esso poteva sussistere di invisibile” , egli si concesse però il lusso di trascurare la cospicua mole delle centinaia di pagine già scritte dei Gundrisse e realizzò la suddivisione del pensiero di Marx in opere giovanili e opere della maturità, poi così tanto dibattuta, senza aver mai conosciuto il contenuto e la portata dei manoscritti del 1857-58 .

Comunque, a partire dalla metà degli anni Settanta, i Grundrisse conquistarono un numero sempre maggiore di lettori e interpreti. Accanto alla pubblicazione di due commentari, uno in giapponese del 1974 e l’altro in tedesco del 1978 , molti autori scrissero di questo testo. Diversi studiosi videro nei Grundrisse il luogo privilegiato per approfondire una delle questioni più dibattute del pensiero di Marx: il suo debito intellettuale nei confronti di Hegel. Altri, ancora, furono affascinati dalle enunciazioni quasi profetiche racchiuse nei frammenti dedicati alle macchine e alla loro automazione e, anche in Giappone, i Grundrisse furono letti come un testo di grande attualità per comprendere la modernità. Negli anni Ottanta, inoltre, primi particolareggiati studi apparvero anche in Cina, ove i Grundrisse divennero oggetto di studio per meglio intendere la genesi de Il capitale, ed in Unione Sovietica, dove fu pubblicato un volume collettivo esclusivamente dedicato ad essi.

Nel corso degli ultimi anni, ed in particolare in seguito ad un’altra crisi finanziaria, quella esplosa nel 2008, la persistente capacità esplicativa e critica del modo di produzione capitalistico, contenuta nelle opere di Marx, ha originato un ritorno d’interesse nei suoi riguardi in quasi ogni parte del pianeta. Da questo punto di vista, i Grundrisse rientrano certamente tra i suoi testi più densi e stimolanti. In essi, infatti, l’importante ruolo storico riconosciuto al capitalismo, ovvero la funzione che esso svolge per lo sviluppo delle forze produttive, per la socializzazione della produzione e per la creazione di una società cosmopolita, è perspicacemente delineato assieme alla critica radicale delle sue caratteristiche intrinseche, che costituiscono ostacoli insormontabili per una più compiuta emancipazione umana. Inoltre, i Grundrisse hanno un valore straordinario perché racchiudono numerose osservazioni su tematiche che il loro autore non ebbe più modo di sviluppare in nessuna altra parte della sua opera incompiuta. Tra queste sono particolarmente rilevanti quelle relative alla descrizione dei rapporti produttivi e sociali della società comunista, che egli riteneva avrebbe seguito quella capitalistica.

Se la riscoperta di Marx continuerà ad avere un serio seguito tra quanti hanno cominciato o ripreso a leggerlo, e, anche dal versante politico, avanzerà l’esigenza di confrontarsi nuovamente con il suo pensiero, i Grundrisse, anche se frammentari e, per tanti versi, ancora molto carenti rispetto ad Il capitale, potrebbero riproporsi come uno degli scritti di Marx in grado di attirare l’attenzione maggiore di studiosi e militanti.

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Fausto Proietti, Il Pensiero Politico

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História, produção e método na “Introdução” de 1857

Em 1857, Marx estava convencido de que a crise financeira que se desenvolvia em nível internacional tinha criado as condições para um novo período revolucionário em toda a Europa. Ele havia esperado por esse momento desde os levantes populares de 1848 e agora, que ele parecia haver finalmente chegado, Marx não queria que os acontecimentos o apanhassem despreparado. Por isso, decidiu retomar seus estudos econômicos e dar-lhes uma forma acabada.

Por onde começar? Como principiar a crítica da economia política, aquele projeto ambicioso e árduo já tantas vezes iniciado e interrompido? Essa foi a primeira pergunta que Marx fez a si mesmo quando retomou o trabalho. Duas circunstâncias tiveram um papel crucial na formulação da resposta: a primeira foi que ele considerava que, apesar da validade de algumas teorias, a ciência econômica ainda não dispunha de um procedimento cognitivo para captar e explicar corretamente a realidade; e a segunda foi que ele sentiu a necessidade de fundamentar os argumentos e a ordem da exposição antes de iniciar a tarefa da composição. Essas considerações o levaram a aprofundar-se em problemas de método e a formular os princípios norteadores de sua pesquisa. O resultado foi um dos manuscritos mais debatidos de toda a sua obra: a chamada Introdução de 1857.

A intenção de Marx certamente não era escrever um sofisticado tratado metodológico, mas sim deixar claro para si mesmo, perante seus leitores, que orientação ele deveria seguir na longa e rica jornada crítica que tinha pela frente. Isso era também necessário para revisar a enorme massa de estudos econômicos que ele tinha acumulado desde meados da década de 1840 . Assim, juntamente com as observações sobre o emprego e a articulação de categorias teóricas, essas páginas contêm um número de formulações essenciais para seu pensamento que ele julgou indispensável resumir de novo – especialmente aquelas relativas à sua concepção da história –, bem como uma lista muito pouco sistemática de questões para as quais as soluções permaneciam problemáticas.

Essa mistura de demandas e objetivos, o curto período para sua elaboração (menos de uma semana) e, acima de tudo, o caráter provisório dessas notas as torna extremamente complexas e controvertidas. Não obstante, como contém o pronunciamento mais extenso e detalhado feito por Marx sobre questões epistemológicas, a “Introdução” é um elemento importante para a compreensão de seu pensamento e uma chave para a interpretação dos Grundisse em sua totalidade.

A história e o indivíduo social
Seguindo seu estilo habitual, Marx alterna na “Introdução” a exposição de suas próprias ideias com a crítica de seus opositores teóricos. O texto é dividido em quatro seções:

  1. “A produção em geral;
  2. A relação geral entre produção, distribuição, troca e consumo;
  3. O método da economia política;
  4. Meios (forças) de produção e relações de produção, relações de produção e relações de intercâmbio etc.” [2].

A primeira seção inicia com uma declaração de intenções, que imediatamente precisa o campo de estudo e assinala o critério histórico: “o objeto nesse caso é, primeiramente, a produção material. Indivíduos produzindo na sociedade – por isso, o ponto de partida é, naturalmente, a produção dos indivíduos socialmente determinada”. O alvo polêmico de Marx eram as robinsonadas do século XVIII [3], o mito de Robinson Crusoé como paradigma do homo oeconomicus, ou a projeção de fenômenos típicos da era burguesa sobre todas as outras sociedades que existiram desde tempos imemoriais.

Na realidade, o indivíduo em isolamento simplesmente não existiu antes da época capitalista. Conforme afirmou Marx em outra passagem dosGrundrisse: “Ele aparece originalmente como umser genérico, ser tribal, animal gregário” [4]. Essa dimensão coletiva é a condição para a apropriação da terra, “o grande laboratório, o arsenal, que fornece tanto o meio de trabalho quanto o material de trabalho, bem como a sede, a base da comunidade”[5] [ Basis der Gemeinwesens]. Na presença dessas relações primais, a atividade dos seres humanos é diretamente vinculada à terra; existe uma “unidade natural do trabalho com seus pressupostos objetivos” e o indivíduo vive em simbiose com outros como ele (seus semelhantes) [6]. A esse respeito, Marx escreve na Introdução: “quanto mais fundo voltamos na história, mais o indivíduo, e por isso também o indivíduo que produz, aparece como dependente [unselbstständig], como membro de um todo maior”[7].

Os economistas clássicos tinham invertido essa realidade, com base no que Marx considerava uma fantasia inspirada no direito natural. Adam Smith e David Ricardo descreviam um produto altamente desenvolvido da sociedade em que viviam – o indivíduo burguês isolado – como se ele fosse uma manifestação espontânea da natureza. O que surgia das páginas de seus escritos era um indivíduo mitólogico, atemporal, postulado pela natureza, cujas relações sociais eram sempre as mesmas e cujo comportamento econômico tinha um caráter antropológico desprovido de história [8]. Segundo Marx, os intérpretes de cada perído histórico têm regularmente caído na ilusão de que os aspectos mais marcantes de sua época estiveram presentes desde tempos imemoriais.

Depois de esboçar a gênese do indivíduo capitalista e demonstrar que a produção moderna se ajusta somente a “um determinado estágio de desenvolvimento social – da produção de indivíduos sociais”, Marx assinala um segundo requerimento teórico, a saber, denunciar a mistificação praticada por economistas com relação ao conceito de “produção em geral” [ Production im Allgemeinem]. Isso é uma abstração, uma categoria que não existe em qualquer estágio concreto da realidade. Entretanto, como todas as épocas de produção têm certos traços comuns, características comuns [gemeinsame Bestimmungen], Marx reconhece que “produção em geral é uma abstração, mas uma abstração razoável, na medida em que efetivamente destaca e fixa o elemento comum”, dispensando assim repetições inúteis para o acadêmico que procura reproduzir a realidade pelo pensamento [9].

Os economistas burgueses pretendiam mostrar “a eternidade e a harmonia das relações sociais existentes” [10]. Em contrapartida, Marx afirmava que eram as características específicas de cada formação socioeconômica que tornava possível distingui-la das demais, davam impulso ao seu desenvolvimento e permitiam aos acadêmicos entender as verdadeiras mudanças históricas.
Embora a definição dos elementos gerais de produção seja “cindido em diferentes determinações. Algumas determinações pertencem a todas as épocas; outras são comuns apenas a algumas”, mas certamente há entre seus componentes universais, o trabalho humano e o material fornecido pela natureza[11], uma vez que, sem um sujeito produtor e um objeto trabalhado, não poderia haver produção de qualquer tipo. Contudo, os economistas introduziram um terceiro pré-requisito da produção: “um estoque, previamente acumulado, de produtos de trabalho anterior, ou seja, capital” [12]. Para Marx, a crítica desse último elemento era essencial para revelar o que ele considerava uma limitação fundamental dos economistas. Também lhe parecia evidente que nenhuma produção seria possível sem um instrumento de trabalho, ainda que fosse apenas a mão humana, ou sem trabalho anterior acumulado, ainda que fosse apenas sob a forma dos movimentos repetitivos do homem primitivo. Embora concordando que o capital era trabalho acumulado e um instrumento de produção, diferentemente de Smith, Ricardo e John Stuart Mill, ele não concluía que tivesse sempre existido.

Interpreta “a concepção do capital simplesmente sob seu aspecto material, como instrumento de produção, prescindindo inteiramente da forma econômica [ ökonomischen Form] que faz do instrumento de produção capital, enreda os economistas em todo tipo de dificuldades” [13] e na crença de “que existe uma única relação econômica que recebe diversos nomes” [14]. Ignorar as diferenças expressas na relação social significa abstrair a diferença específica, que é o ponto nodal de tudo. Assim, na “Introdução”, Marx escreve que o capital é uma relação geral [allgemeines], eterna, da natureza, isto é, se eu puser de lado apenas a qualidade específica que por si só transforma “instrumento de produção” e trabalho acumulado em capital [15].

Para que isso fosse plausível, os economistas descreviam as circunstâncias históricas anteriores ao aparecimento do modo de produção capitalista como “resultado de sua presença”, com suas próprias características exclusivas[16]. Como Marx coloca nos Grundrisse:

Os economistas burgueses, que consideram o capital como uma forma de produção eterna e natural (não histórica), tentam então justificá-lo novamente expressando as condições de seu devir como as condições de sua efetivação atual, i.e., expressando os momentos em que o capitalista ainda se apropria como não capitalista – porque ele só está devindo capitalista – como as verdadeiras condições em que apropria como capitalista.[17]

De um ponto de vista histórico, a profunda diferença entre Marx e os economistas clássicos é que, em sua visão, “o capital não participou da criação do mundo, mas encontrou a produção e os produtos já prontos antes de submetê-los ao seu processo” [18]. Pois “as novas forças produtivas e relações de produção não se desenvolvem do nada, nem do ar nem do ventre da ideia que se põe a si mesma; mas o fazem no interior do desenvolvimento da produção existente e das relações de produção tradicionais herdadas, e em contradição com elas” [19]. De modo semelhante, as circunstâncias pelas quais sujeitos produtores são separados dos meios de produção – o que permite ao capitalista encontrar trabalhadores sem propriedade capazes de executar trabalho abstrato (o requerimento necessário para o intercâmbio entre capital e o trabalho vivo) – resultam de um processo que sobre o qual os economistas silenciam, e que “constitui a história da gênese do capital e do trabalho assalariado” [20].

Diversas passagens nos Grundrisse criticam a maneira como os economistas apresentam realidades históricas como naturais. Por exemplo, para Marx é evidente que o dinheiro é produto da história: “ser dinheiro não é uma qualidade natural do ouro e da prata”, mas apenas uma característica (determinação?) que adquirem pela primeira vez num momento preciso do desenvolvimento social [21]. Preços e trocas também existiram na antiguidade, “mas a crescente determinação dos primeiros pelos custos de produção, assim como a predominância da última sobre todas as relações de produção, só se desenvolvem completamente, e continuam a desenvolver-se cada vez mais completamente, na sociedade burguesa, a sociedade da livre concorrência”, ou “aquilo que Adam Smith, em autêntico estilo do século XVIII, situa no período pré-histórico, no período que antecede a história, é, ao contrário, um produto da história” [22]. Ademais, da mesma forma que criticava os economistas por sua falta de senso histórico, Marx ridicularizava Proudhon e todos os socialistas que pensavam que o trabalho que produzia valor de troca podia existir sem se transformar em trabalho assalariado, que o valor de troca podia existir sem se tornar capital, ou que podia haver capital sem capitalistas [23].

O principal objetivo de Marx nas páginas iniciais da “Introdução” é, portanto, afirmar a especificidade histórica do modo de produção capitalista, demonstar, como ele voltaria a afirmar no volume III de O capital, que “ele não é um modo de produção absoluto”, mas “meramernte, histórico, transitório” [24].

Esse ponto de vista implica uma maneira diferente de enfocar muitas questões, inclusive o processo do trabalho e suas várias características. Nos Grundrisse, Marx escreveu que “os economistas burgueses estão tão encerrados nas representações de um determinado nível de desenvolvimento histórico da sociedade que a necessidade da objetivação das forças sociais do trabalho aparece-lhes inseparável da necessidade do estranhamento dessas forças frente ao trabalho vivo”[25]. Marx, questionou repetidas vezes essa apresentação das formas específicas do modo de produção capitalista como se fossem constantes do processo de produção como tal. Apresentar o trabalho assalariado não como uma relação específica de uma forma de produção histórica determinada, mas como uma realidade universal da existência econômica do homem significava considerar que a exploração e a alienação sempre haviam existido e sempre continuariam a existir.

Ignorar a especificidade da produção capitalista tinha, portanto, consequências tanto epistemológicas quanto políticas. Por um lado, impedia a compreensão dos níveis históricos concretos da produção; por outro, ao definir as condições atuais como não alteradas e inalteráveis, apresentava a produção capitalista como identificada com a produção em geral e as relações sociais burguesas como relações humanas naturais. Assim, a crítica de Marx das teorias dos economistas tinha um duplo valor. Além de sublinhar que uma caracterização histórica era indispensável para a compreensão da realidade, tinha o objetivo político preciso de se opor ao dogma da imutabilidade do modo de produção capitalista. A demonstração da historicidade da ordem capitalista seria também prova de seu caráter transitório e da possibilidade de sua eliminação.

O capitalismo não é o único estágio da história da humanidade, nem é o final. Marx prevê que ele será sucedido por uma organização da sociedade baseada na “produção universal” [gemeinschaftliche Production], na qual o produto do trabalho é “posto desde o início como elemento daprodução universal” [26].

A produção como totalidade
Na segunda seção da “Introdução” Marx examina a relação geral da produção com a distribuição, a troca e o consumo. Ele reconstrói a interconexão entre os quatro itens em termos lógicos, de acordo com o esquema de Hegel de universalidade-particularidade-individualidade [27]: “produção, distribuição, troca e consumo constituem assim um autêntico silogismo; a produção é a universalidade, a distribuição e a troca, a particularidade, e o consumo, a singularidade na qual o todo se unifica” [28].

Seu primeiro objeto de investigação foi a relação entre produção e consumo, que ele explicou como sendo de imediata identidade: “produção é consumo” e “consumo é produção”. Ocorre um processo de identidade sem intermediação entre a produção e o consumo; estes também se intermedeiam um ao outro e criam um ao outro à medida que se realizam. Não obstante, Marx achava um erro considerar ambos como idênticos – como pensavam Jean Baptiste Say e Pierre-Joseph Proudhon. Pois, em última análise, “o próprio consumo, como carência vital, como necessidade, é um momento interno da atividade produtiva”.

Marx se volta então para a análise da relação entre produção e distribuição. A distribuição, ele escreve, é o vínculo entre a produção e o consumo e “por meio de leis sociais” determina que parcela dos produtos é devida aos produtores[29]. Os economistas a apresentam como uma esfera autônoma da produção, de modo que em seus tratados as categorias econômicas são sempre colocadas de uma forma dual. A terra, o trabalho e o capital figuram na produção como agentes da distribuição, enquanto na distribuição, na forma de arrendamento do solo, salários e lucro eles aparecem como fontes de ingresso. Marx se opõe a essa divisão, que considera ilusória e errônea, pois a forma de distribuição “não é um arranjo facultativo, de modo que poderia ser distinto; ao contrário, ela é posta pela própria forma da produção; é apenas um de seus próprios momentos, considerado em outra determinação” [30].

A concepção de Marx do vínculo entre produção e distribuição esclarece não apenas sua aversão ao modo como John Stuart Mill separava rigidamente os dois, mas também sua apreciação por Ricardo pelo fato de ele ter postulado a necessidade de “compreender a produção moderna em sua articulação social determinada”[31]. O economista inglês sustentava, de fato, que “determinar as leis que regulam essa distribuição é o principal problema da Economia Política” [32], e, em consequência, fez da distribuição um de seus principais temas de estudo, pois ele concebia “as formas de distribuição como a expressão mais determinada na qual se fixam os agentes de produção em uma dada sociedade” [33]. Para Marx também, a distribuição não era redutível ao ato pelo qual as parcelas do produto agregado eram distribuídas entre os membros da sociedade; era um elemento decisivo do ciclo produtivo completo.

Quando Marx, por fim, examinou a relação entre produção e troca, ele também considerou esta última como parte daquela. A troca se torna autônoma da produção somente na fase em que o produto é trocado diretamente para consumo. Ainda assim, entretanto, sua intensidade, escala e características são determinadas pelo desenvolvimento e estrutura da produção, de modo que “a troca aparece em todos os seus momentos ou diretamente contida na produção, ou determinada por ela” [34].

Ao final de sua análise sobre a relação da produção com a distribuição, a troca e o consumo, Marx chega a duas conclusões: (1) a produção deve ser considerada como uma totalidade; e (2) a produção com um ramo particular dentro da totalidade predomina sobre os outros elementos. A segunda conclusão de Marx fez da produção o “momento predominante” [ übergreifende Moment] sobre as outras partes da totalidade da produção [Totalität der Production] [35], o “ponto de partida efetivo” [Ausgangspunkt] [36], ao qual “todo o processo transcorre novamente”, e assim “uma produção determinada, portanto, determina um consumo, uma troca e uma distribuição determinados, bem como relações determinadas desses diferentes momentos entre si ”[37]. Contudo, essa predominância não cancela a importância dos outros momentos, nem sua influência sobre a produção. A dimensão do consumo, as transformações da distribuição e o tamanho do âmbito da troca – ou do mercado – eram todos fatores que em conjunto impactam e definem a produção.

Aqui mais uma vez as percepções de Marx tinham um valor tanto teórico quanto político. Em oposição a outros socialistas de seu tempo, que sustentavam que era possível revolucionar as relações de produção existentes pela transformação do instrumento de circulação, ele defendia que isso demonstrava claramente a “incompreensão” deles da “conexão interna entre as relações de produção, distribuição e circulação” [38]. Uma mudança no formato do dinheiro não só deixaria inalteradas as relações de produção e as outras relações sociais determinadas por elas, mas também resultaria em algo sem sentido, pois a circulação só poderia se modificar juntamente com uma mudança nas relações de produção. Marx estava convencido de que “o mal da sociedade burguesa não pode[ria] ser remediado por meio de ‘transformações’ dos bancos ou da fundação de um ‘sistema monetário’ racional” ou de paliativos modestos como a concessão de crédito gratuito, nem pela quimera de transformar trabalhadores em capitalistas [39]. A questão central permanecia a superação do trabalho assalariado e, acima de tudo, isso tinha a ver com a produção.

Em busca do método
Nesse ponto de sua análise, Marx tratou da principal questão metodológica: como reproduzir a realidade no pensamento? Como construir um modelo categórico abstrato capaz de representar a sociedade?

A terceira, e mais importante, seção da “Introdução” é dedicada à “relação que a apresentação científica tem com o movimento real [reellen]” [40]. Entretanto, não é um relato ou uma descrição definitiva, oferece vias insuficientemente desenvolvidas de teorizar sobre o problema e apenas esboça um número de pontos. Algumas passagens contêm afirmações obscuras, que às vezes se contradizem, e a utilização de uma linguagem influenciada pela terminologia hegeliana em certos momentos acrescenta ambiguidades ao texto. Marx estava elaborando seu método quando escreveu essas páginas e elas mostram os vestígios e trajetórias dessa pesquisa.

Como outros grandes pensadores que o precederam, Marx partiu da questão de onde começar – ou, em seu caso, o que a economia política deveria tomar como seu ponto de partida analítico. A primeira hipótese que examinou foi a de começar “pelo real e pelo concreto, pelo pressuposto efetivo […] o fundamento e o sujeito do ato social de produção como um todo”: a população [41]. Marx considerava esse caminho, tomado pelos fundadores da economia política William Petty e Pierre Boisguillebert, inadequado e errôneo. Começar com uma entidade indeterminada como a população implicaria uma imagem demasiado genérica do todo, impossibilitando a demonstração da divisão em classes, burguesia, proprietários de terras e proletariado, pois estes somente poderiam ser diferenciados com base em seus respectivos fundamentos: capital, propriedade da terra e trabalho. Com tal enfoque empírico, elementos concretos como o Estado se dissolveriam em determinações abstratas como a divisão do trabalho, moeda ou valor.

Tão logo os economistas do século XVIII terminaram de definir suas categorias abstratas, “começaram os sistemas econômicos, que se elevaram do simples, como trabalho, divisão do trabalho, necessidade, valor de troca, até o Estado, a troca entre as nações e o mercado mundial”. Esse procedimento, empregado por Smith e Ricardo em economia, bem com por Hegel em filosofia, pode ser resumido como “as determinações abstratas levam à reprodução do concreto por meio do pensamento”; isso é o que Marx descreveu como “o método cientificamente correto” [ wissenschaftlich richtige Methode]. Com as categorias corretas, era possível “dar início à viagem de retorno até que finalmente chegasse de novo à população, mas desta vez não como a representação caótica de um todo, mas como uma rica totalidade de muitas determinações e relações” [42].

Contudo, contrariamente ao que certos comentaristas da “Introdução” argumentaram, o fato de Marx ter definido “o método cientificamente correto” não significa absolutamente que ele próprio o tenha empregado [43]. Em primeiro lugar, ele não compartilhava a convicção dos economistas de que a reconstrução lógica do concreto em nível de ideias levada a efeito por eles fosse uma reprodução fiel da realidade. Em verdade, o procedimento apresentado sinteticamente na “Introdução” tomou emprestados vários elementos do método de Hegel, mas também tinha diferenças radicais. Como Hegel, Marx estava convencido de que “o método de ascender do abstrato ao concreto é […] o modo do pensamento de apropriar-se do concreto, de reproduzi-lo como um concreto mental”, a recomposição da realidade no pensamento deveria começar nas determinações mais simples e mais gerais. Ademais, para ambos o concreto era “a síntese de múltiplas determinações, portanto, unidade da diversidade. Por essa razão, o concreto aparece no pensamento como processo da síntese, como resultado, não como ponto de partida”, embora para Marx fosse sempre necessário ter em mente que o concreto era “o ponto de partida da intuição [Anschauung] e da representação” [44].

Entretanto, apesar dessa base comum, há uma diferença de concepção entre os pensadores: “Hegel caiu na ilusão de conceber o real como resultado do pensamento”, ao passo que para Marx este “de forma alguma é o processo de gênese do próprio concreto”. No idealismo hegeliano, argumenta Marx, o movimento das categorias aparece como o verdadeiro ato de produção cujo produto é o mundo; o pensar conceitual é o ser humano real e “somente o mundo conceituado enquanto tal é o mundo efetivo”, não apenas representando o mundo real nas ideias, mas também operando como seu processo constitutivo. Em contraste, para Marx as categorias econômicas existem como “relação abstrata, unilateral, de um todo vivente, concreto, já dado” [45]; elas “expressam formas de ser, determinações de existência [Daseinsformen, Existenzbestimmungen]” [46]. Marx sublinhou, várias vezes, em oposição a Hegel que “a totalidade concreta como totalidade de pensamento, como um concreto de pensamento, é de fato um produto do pensar, do conceituar; mas de forma alguma é um produto do conceito que pensa fora e acima da intuição e da representação, e gera a si próprio, sendo antes produto da elaboração da intuição e da representação em conceitos”. Pois “o sujeito real, como antes, continua a existir em sua autonomia fora da cabeça; isso, claro, enquanto a cabeça se comportar apenas de forma especulativa, apenas teoricamente. Por isso, também no método teórico o sujeito, a sociedade, tem de estar continuamente presente como pressuposto da representação” [47].

Na “Introdução”, Marx prossegue perguntando se as categorias simples poderiam existir antes e independentemente das mais concretas. Historicamente, a moeda existiu antes da existência do capital, dos bancos e do trabalho assalariado [48]. Embora o trabalho tivesse aparecido no início do processo de civilização dos seres humanos e parecesse um processo muito simples, Marx sublinhava que “concebido economicamente nessa simplicidade, o ‘trabalho’ é uma categoria tão moderna quanto as relações que geram essa simples abstração” [49].

Os expoentes do bullionismo e do mercantilismo mantinham que a fonte da riqueza se encontrava na moeda e que, portanto, ela tinha uma importância maior que o trabalho. Subsequentemente, os fisiocratas argumentaram que o trabalho era o criador último de riqueza, mas somente na forma de trabalho agrícola. A obra de Smith finalmente pôs termo a “toda determinabilidade da atividade criadora de riqueza”, de modo que agora o trabalho não mais era considerado sob uma forma particular, mas como “trabalho simplesmente, nem trabalho manufatureiro, nem comercial, nem agrícola, mas tanto um como os outros” [50]. Dessa maneira, a “expressão abstrata” foi descoberta para a mais simples e mais antiga relação na qual os seres humanos – fosse qual fosse a forma da sociedade – desempenhavam o papel de produtores. Como no caso da moeda, a categoria “trabalho” somente podia ser extraída se houvesse “o mais rico desenvolvimento concreto possível”, numa sociedade na qual algo fosse comum a muitos, comum a todos. Assim, a indiferença com relação a qualquer tipo específico de trabalho pressupõe uma totalidade altamente desenvolvida dos tipos reais de trabalho entre os quais já nenhum é predominante.

Ademais, na sociedade capitalista “o trabalho em geral” não é somente uma categoria, mas corresponde a uma forma de sociedade na qual os indivíduos podem facilmente passar de um trabalho a outro e o tipo específico é uma questão de casualidade para eles, e, portanto, de indiferença. O trabalho do trabalhador perde então o caráter corporativo, artesanal, que tinha no passado e se converte em “trabalho em geral”, “trabalho sans phrase” – “não somente enquanto categoria, mas na efetividade”[51]. Trabalho assalariado “não é esse ou aquele trabalho, mas é trabalho por excelência, trabalho abstrato: absolutamente indiferente diante de sua determinabilidade particular [Bestimmtheit], mas suscetível de qualquer determinação” [52]. Indiferença quanto ao tipo particular de trabalho é, contudo, um fenômeno comum a um número de realidades históricas. Portanto, nesse caso também, era necessário sublinhar as distinções: “há uma maldita diferença entre bárbaros com disposição para ser empregados em tudo e civilizados que empregam a si próprios em tudo”[53].

Tendo feito essa consideração, Marx se voltou para outra questão crucial. Em que ordem deveria colocar as categorias na obra que ia escrever? Diante da dúvida de se o complexo deveria fornecer os instrumentos para o entendimento do simples ou o contrário, ele optou decididamente pela primeira possibilidade.

A sociedade burguesa é a mais desenvolvida e diversificada organização histórica da produção. Por essa razão, as categorias que expressam suas relações e a compreensão de sua estrutura permitem simultaneamente compreender a organização e as relações de produção de todas as formas de sociedade desaparecidas, com cujos escombros e elementos edificou-se, parte dos quais ainda carrega consigo como resíduos não superados. [54]

É, pois, o presente que oferece as indicações para a reconstrução do passado. “A anatomia do ser humano é uma chave para a anatomia do macaco. Por outro lado, os indícios de formas superiores nas espécies animais inferiores só podem ser compreendidos quando a própria forma superior já é conhecida”[55]. Essa afirmação bem conhecida não deve, contudo, ser entendida em termos evolucionista. De fato, Marx criticou explicitamente a concepção do “chamado desenvolvimento histórico”, baseado na banalidade que “a última forma considera as formas precedentes como etapas até si mesma” [56]. Diferentemente dos teóricos do evolucionismo, que postulavam uma trajetória ingenuamente progressiva dos organismos mais simples aos mais complexos, Marx optou por um método lógico muito mais complexo e elaborou uma concepção de história marcada pela sucessão de modos de produção (antigo, asiático, feudal, capitalista), visando explicar as posições e funções que as categorias assumiam dentro desses variados modos [57]. Foi a sociedade burguesa, portanto, que forneceu as pistas para o entendimento das economias das épocas históricas anteriores – contudo, dadas as profundas diferenças entre sociedades, essas pistas deveriam ser tratadas com moderação. Marx repetiu enfaticamente que isso não poderia ser feito “de modo algum à moda dos economistas, que apagam todas as diferenças históricas e veem a sociedade burguesa em todas as formas de sociedade” [58].

Hall nota com razão que a teoria desenvolvida por Marx representou um rompimento com o historicismo, mas não com a historicidade
Na “Introdução”, Marx rejeitou o critério da sucessão cronológica para as categorias científicas em favor de um método lógico com testes histórico-empíricos. Como o presente ajudava a entender o passado, ou a estrutura do homem, a do macaco, era necessário começar a análise a partir do estágio mais maduro, a sociedade capitalista, e mais particularmente do elemento que predominava sobre todos os demais: o capital. “O capital é o poder que tudo domina na sociedade burguesa. Ele deve ser tanto o ponto de partida quanto o ponto de chegada.”

Em essência, o estabelecimento das categorias em uma ordem lógica precisa e o funcionamento da história real não coincidem um com o outro – e, ademais, como escreveu Marx nos manuscritos do terceiro volume de O capital , “toda a ciência seria supérflua se a aparência externa e a essência das coisas coincidissem diretamente/plenamente” [59].

Marx chegou então a sua própria síntese, divergindo do empiricismo dos primeiros economistas, que resultava na dissolução de elementos concretos em definições abstratas; do método dos economistas clássicos, que reduziam o pensamento sobre a realidade à própria realidade; do idealismo filosófico – inclusive, na visão de Marx, a filosofia de Hegel – que ele acusava de dar ao pensamento a capacidade de produzir o concreto com base em concepções gnoseológicas que contrapunham rigidamente formas de pensamento e a realidade objetiva; do historicismo e sua dissolução do lógico no histórico; e, finalmente, de sua própria convicção na Miséria da Filosofia, de que ele estava essencialmente seguindo “a marcha da história”[60].

Sua aversão a estabelecer uma correspondência exata entre o concreto e o pensamento o levou a separar os dois reconhecendo a especificidade deste último e atribuindo ao primeiro uma existência independente do pensamento, de modo que a ordem de exposição das categorias diferia das que se manifestavam nas relações do processo histórico real. Para evitar limitar o processo cognitivo a uma mera repetição dos estágios do que havia acontecido na história, era necessário utilizar um processo de abstração e, portanto, categorias que permitissem a interpretação da sociedade em toda a sua complexidade. Por outro lado, para ser realmente útil para esse propósito, a abstração tinha de ser constantemente comparada com as diversas realidades históricas, de tal forma que as determinações lógicas gerais pudessem ser distinguidas das relações históricas concretas. A concepção da história de Marx ganhava assim em eficácia e incisividade: uma vez que uma simetria de ordem lógica e da ordem histórica real tivesse sido rejeitada, o histórico se tornaria decisivo para o entendimento da realidade, enquanto o lógico tornaria possível conceber a história como algo além de uma simples cronologia de eventos. Para Marx não era necessário reconstruir a gênese histórica de cada relação econômica para entender a sociedade e então dar uma descrição adequada dela. Como ele assinala em uma passagem dos Grundisse:

O nosso método indica os pontos onde a análise histórica tem de ser introduzida, ou onde a economia burguesa, como simples figura histórica do processo de produção, aponta para além de si mesma, para modos de produção anteriores. Por essa razão, para desenvolver as leis da economia burguesa não é necessário escrever a história efetiva das relações de produção. Mas a sua correta observação e dedução, como relações elas próprias que devieram históricas, levam sempre a primeiras equações – como os números empíricos, p. ex., nas ciências naturais – que apontam para um passado situado detrás desse sistema. Tais indicações, juntamente com a correta apreensão do presente, fornecem igualmente a chave para a compreensão do passado – um trabalho à parte, que esperamos também poder abordar. Por outro lado, esse exame correto também leva a pontos nos quais se delineia a superação da presente configuração das relações de produção – e, assim, o movimento nascente, a prefiguração do futuro. Se as fases pré-burguesas aparecem como simplesmente históricas, i.e., como pressupostos superados, de maneira que as condições atuais da produção aparecemabolindo a si mesmas e pondo-se, consequentemente, comopressupostos históricos para um novo estado de sociedade. [61]

O método desenvolvido por Marx o equipou com ferramentas não só para entender as diferenças entre os modos pelos quais a produção se tinha manifestado na história, mas também para discernir no presente as tendências que prefiguravam um novo modo de produção e, portanto, confundindo todos aqueles que tinham proclamado a inalterabilidade do capitalismo. Sua própria pesquisa, inclusive em epistemologia, nunca teve uma motivação exclusivamente teórica, sempre foi impulsionada pela necessidade de interpretar o modo a fim de melhor se engajar na luta política.

A relação desigual entre a produção material e a produção intelectual
A última seção da “Introdução” consiste em uma breve e fragmentária lista de oito argumentos que Marx pretendia tratar em sua obra, além de algumas considerações sobre a relação entre arte grega e a sociedade moderna. Nos oito pontos, as principais notas de Marx dizem respeito a sua convicção de que as características do trabalho assalariado se manifestaram no exército antes mesmo de se manifestarem na sociedade burguesa; e o que ele chama de “desenvolvimento desigual” [ungleiche Eitwewicklung] entre as relações de produção e as relações jurídicas, particularmente na derivação do direito da sociedade burguesa nascente a partir do Direito Romano Privado. Entretanto, tudo isso aparece num memorando sem qualquer estrutura e que fornece apenas uma vaga ideia do pensamento de Marx sobre essas questões.

Suas reflexões sobre arte são um pouco mais desenvolvidas, concentrando-se na “relação desigual [ungleiche Verhaltniß] do desenvolvimento da produção material com, por exemplo, o desenvolvimento artístico”[62]. Longe de afirmar o tipo de paralelismo rígido que muitos marxistas professos mais tarde postularam, Marx salientou que não havia relação direta entre o desenvolvimento econômico-social e a produção artística. Ele também assinalou que certas formas de arte – a epopeia, por exemplo – somente são possíveis num estágio inicial de desenvolvimento artístico. Se esse é o caso na relação entre diferentes tipos de arte no campo das artes, não é surpreendente que o seja na relação entre todo o campo da arte e o desenvolvimento geral da sociedade [63].

Para Marx, então, a arte e a produção intelectual em geral têm de ser investigadas em sua relação com as condições materiais da sociedade, mas sem estabelecer uma correspondência rígida ente as duas esferas. De outra forma, cairíamos no erro de Voltaire (recordado por Marx em seus manuscritos econômicos de 1861-3) de pensar que “porque estamos mais avançados que os antigos em mecânica” também deveríamos “ser capazes de produzir um épico”[64].

O valor das afirmações de Marx sobre a estética na “Introdução” não reside nas soluções pouco elaboradas e às vezes pouco convincentes que elas oferecem, mas sim em seu enfoque antidogmático sobre como as formas de produção material se relacionam com o comportamento e as criações intelectuais. Sua consciência de seu “desenvolvimento desigual” resultava na rejeição de qualquer procedimento esquemático que postulasse uma relação uniforme entre as várias esferas da totalidade social [65]. Mesmo a bem conhecida tese incluída no “Prefácio” de Contribuição à crítica da economia política, publicado dois anos depois de Marx ter escrito a “Introdução” – “o modo de produção da vida material condiciona o processo geral da vida social, política e intelectual”[66] – não deve ser interpretada num sentido determinista [67], deve ser claramente diferenciada da leitura estreita e previsível do “marxismo-leninismo”, na qual os fenômenos superestruturais da sociedade são mero reflexo da existência material dos seres humanos [68].

Conclusão
Quando Marx começou a escrever os Grundrisse, ele pretendia prefaciar seu Economia com uma seção sobre a metodologia de sua pesquisa. A “Introdução” não foi composta simplesmente com o propósito de autoclarificação; deveria conter, como nos escritos de outros economistas, as observações preliminares do autor sobre seu tema geral. Contudo, em junho de 1859, quando Marx enviou a primeira parte de seus estudos para publicação, com o título Contribuição à crítica da economia política, ele decidiu omitir a seção que tratava de sua motivação:
Uma introdução geral, que eu havia escrito, é omitida, porque com maior análise pareceu-me confuso antecipar resultados que ainda tem de ser fundamentados e o leitor que realmente deseje me seguir terá de decidir avançar do particular para o geral [von dem Einzelnen zum Allgemeinen aufzustigen]. [69]

Assim, o objetivo norteador de 1857 “ascender do abstrato ao concreto” [70] mudou no texto de 1859 para “avançar do particular para o geral” [71]. O ponto de partida da “Introdução” – as determinações mais abstratas e universais – foi substituído por uma realidade concreta e historicamente determinada, a mercadoria, mas, como o texto de 1857 não fora publicado, nenhuma explicação foi dada para a mudança. Na verdade, já na última passagem dos Grundrisse, depois de centenas de páginas em que ele tinha escrupulosamente analisado o modo de produção capitalista e os conceitos de economia política, Marx afirma que “a primeira categoria em que se apresenta a riqueza burguesa é a da mercadoria” [72]. Ele viria a dedicar à sua investigação o primeiro capítulo tanto deContribuição à crítica da economia política quanto de O capital, no qual a mercadoria é definida como a “forma elementar”[73] da sociedade capitalista, o particular com cuja análise a pesquisa tinha de começar.

Em vez da introdução planejada, Marx abriu a obra de 1859 com um breve prefácio no qual esboçou sucintamente sua biografia intelectual e a chamada concepção materialista da história. Subsequentemente, ele não mais se engajou no discurso sobre o método, exceto em ocasiões muito raras e com umas poucas e rápidas observações. Certamente a mais importante dessas foi o posfácio de 1873 ao primeiro volume de O capital, no qual, tendo sido provocado pelas resenhas que acompanharam sua publicação, ele não pôde resistir a se expressar sobre seu método de investigação e a revisitar alguns dos temas presentes na “Introdução”. Outra razão para isso foi a necessidade que ele sentiu de ressaltar a diferença entre método de exposição e método de investigação: enquanto o primeiro podia começar com o geral, movendo-se da forma universal para fórmulas historicamente determinadas e, assim, – numa confirmação da formulação de 1857 – “partindo do abstrato para o concreto”, o último tinha de começar da realidade imediata e, como ele formulou em 1859, mover-se “do particular para o geral”:

O método de apresentação [Darstellungsweise] tem de diferenciar-se na forma daquele da pesquisa [Forschungsweise]. Este último tem de se apropriar do material em detalhe, analisar suas diferentes formas de desenvolvimento, identificar sua conexão interna. Somente depois de feito esse trabalho, pode o próprio movimento ser adequadamente descrito. [74]

Em sua obra posterior à “Introdução” de 1857, Marx não mais escreveu sobre questões de método da forma aberta e problematizadora que tinha caracterizado aquele texto, mas expressou suas ideias acabadas a respeito, sem revelar a gênese complexa por meio da qual elas tinham sido trabalhadas. Por essa razão, inclusive, as páginas da “Introdução” são extraordinariamente importantes. Num embate direto com as ideias de alguns dos maiores economistas e filósofos, Marx reafirma ali convicções profundas e chega a aquisições teóricas significativas. Acima de tudo, ele insiste novamente na especificidade histórica do modo capitalista de produção e suas relações sociais. Em segundo lugar, ele considera produção, distribuição, troca e consumo como uma totalidade, na qual a produção constitui o elemento que predomina sobre as demais partes do todo. Além disso, com relação à reprodução da realidade no pensamento, Marx não recorre a um método meramente histórico, mas faz uso da abstração e reconhece seu valor para a construção do caminho do conhecimento. Finalmente, ele sublinha a relação desigual que existe entre o desenvolvimento das relações de produção e as relações intelectuais.

Nos cem anos transcorridos desde sua publicação, as reflexões contidas na “Introdução” fizeram dela um texto teórico indispensável, bem como fascinante do ponto de vista literário, para todos os intérpretes e leitores sérios de Marx. Este será certamente o caso também para os que tomarem conhecimento de sua obra nas gerações futuras.

References
1. Este artigo é uma versão resumida do capítulo “História, produção e método na Introdução de 1857” em Marcello Musso (org.), Karl Marx’s Grundisse. Foundations of the Critique of Political Economy 150 Years Later (Londres/Nova York, Routledge, 2008). Traduzido por (pai pericás, ver nome) e revisado por Mário Duayer.
2. Karl Marx, Grundrisse: manuscritos econômicos de 1857-1858, esboços da crítica da economia política (São Paulo, Boitempo, 2011), p. 37.
3. Ibidem, p. 39.
4. Ibidem, p. 407.
5. Ibidem, p. 389.
6. Ibidem, p. 388.
7. Ibidem, p. 40.
8. Idem.
9. Ibidem, p. 41.
10. Idem.
11. Idem.
12. John Stuart Mill, Principles of Political Economy, v. I (Londres, Routledge & Kegan Paul, 1965).
13. Karl Marx, Grundrisse, cit., p. 491.
14. Ibidem, p. 192.
15. Ibidem, p. 41.
16. Ibidem, p.??.
17. Ibidem, p. 378.
18. Ibidem, p. 565.
19. Ibidem, p. 217.
20. Ibidem, p. 400.
21. Ibidem, p. 183.
22. Ibidem, p. 104.
23. Ver ibidem, p. 86.
24. Karl Marx, “Capital, v. III” em Marx Engels Collected Works, v. 37 (Nova York, International Publishers, 1998), p. 240. [Ed. bras.: O capital, livro 2: o processo de circulação do capital, São Paulo, Civilização Brasileira, 2000, v. 3.]
25. Idem, Grundrisse, cit. p. 706.
26. Ibidem, p. 118.
27. Ver G. F. W. Hegel, Science of Logic (Londres, George Allen & Unwin, 1969), p. 666.
28. Karl Marx, Grundrisse, cit., p. 44.
29. Ibidem, p. 47-9.
30. Ibidem, p. 494.
31. Ibidem, p. 51.
32. David Ricardo, The Principles of Political Economy and Taxation (Londres, J. M. Dent & Sons, 1973), p. 3.
33. Karl Marx, Grundrisse, cit., p. 50.
34. Ibidem, p. 53
35. Ibidem, p. 49.
36. Idem.
37. Ibidem, p. 53.
38. Ibidem, p. 74.
39. Ibidem, p. 85.
40. Ibidem, p. 41-2.
41. Ibidem, p. 54.
42. Idem.
43. Idem.
44. Idem.
45. Idem.
46. Ibidem, p. 59.
47. Ibidem, p. 55.
48. Ibidem, p. 56.
49. Ibidem, p. 57.
50. Idem.
51. Ibidem, p. 58.
52. Ibidem, p. 230.
53. Ibidem, p.58.
54. Idem.
55. Idem.
56. Ibidem, p. 59.
57. Cf. Stuart Hall, “Marx’s notes on method: A ‘reading’ of the ‘1857 Introduction’”, Cultural Studies, v. 17, n. 2, 2003, p. 133.
58. Karl Marx, Grundrisse, cit., p. 58.
59. Idem, “Capital, v. III”, cit., p. 804.
60. Idem, “The Poverty of Philosophy” em Marx Engels Collected Works, v. 6: Marx and Engels 1845-48 (Moscou, Progress Publishers, 1976), p.172. [Ed. bras.: Miséria da filosofia, São Paulo, Expressão Popular, 2009.]
61. Idem, Grundrisse, cit., p. 378-9.
62. Ibidem, p. 62.
63. Ibidem, p. 62-4.
64. Idem, “Theories of Surplus Value” em Marx Engels Collected Works, v. 31: Economic Manuscripts of 1861-63 (Moscou, Progress Publishers), p. 182-3.
65. Idem, Grundrisse, cit., p. 62.
66. Idem, “A Contribution to the Critique of Political Economy” em Marx and Engels Collected Works, v. 29: Marx 1857-61 (Moscou, Progress Publishers, 1987), p. 236. [Ed. bras.: Contribuição à crítica da economia política, São Paulo, WMF Martins Fontes, 2011.]
67. Evidência disso é o fato de que, quando Marx citou essa afirmação em uma nota à edição francesa de 1872-5 de O capital, ele preferiu usar o verbo dominer no lugar do alemãobedingen (mais comumente traduzido como déterminer ou conditionner); “Le mode de production de la vie matérielle domine [domina] en général le dévéloppement de la vie sociale, politique et intelectuelle”, ver Karl Marx, “Le Capital” em Marx Engels Gesamtausgabe (MEGA/2), v. II/7 (Berlin, Dietz, 1989), p. g2, ênfase do autor. Seu objetivo ao fazer isso era precisamente evitar o risco de postular uma relação mecânica entre os dois aspectos (cf. Maximilien Rubel, Karl Marx. Essai de biographie intellectuelle, Paris, Rivière, 1971, p. 298).
68. A pior e mais disseminada interpretação desse tipo é a de Joseph Stalin em O materialismo dialético e histórico: “o mundo material representa a realidade objetiva […] [e] a vida espiritual da sociedade é um reflexo dessa realidade objetiva”; e “qualquer que seja o ser de uma sociedade, quaisquer que sejam as condições da vida material de uma sociedade, tais são as ideias, teorias, visões políticas e instituições políticas dessa sociedade”, Joseph Stalin, Dialectical and Historical Materialism (Londres, Lawrence & Wishart), p. 15.
69. Karl Marx, “A Contribution to the Critique of Political Economy”, cit., p. 257-417.
70. Idem, Grundrisse, cit., p. 54.
71. Idem, “A Contribution to the Critique of Political Economy”, cit., p. 261.
72. Idem, Grundrisse, cit., p. 756.
73. Idem, “Capital, v. I” em Marx and Engels Collected Works, v. 35 (Nova York, International Publishers, 1996), p. 45; tradução modificada.
74. Ibidem, p. 19.

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Arianto Sangaji, IndoProgress

SUATU ketika, Lenin mengatakan, adalah mustahil untuk memahami secara utuh karya Marx tentang Capital, khususnya bab pertama, tanpa melakukan studi dan pemahaman mendalam atas karya Hegel tentang Logic secara keseluruhan.

‘Konsekuensinya,’ demikian Lenin, ‘dalam setengah abad terakhir (di masa Lenin hidup), tak ada seorang pun Marxis yang memahami Marx.’

Menurut Martin Nicolaus – penerjemah karya Marx yang mendahului Capital, Grundrisse – pernyataan Lenin mengenai kesulitan membaca Capital itu, karena saat itu Grundrisse belum diterbitkan. Grundrisse sendiri lebih banyak berbicara tentang metode. Maka, menurut Nicolaus, dengan meminjam aforisme Lenin, untuk bisa memahami Capital yang tebalnya 4.000 halaman itu secara menyeluruh, kita pertama-tama mesti memahami dulu 800 halaman Grundrisse dan 1.000 halaman Logic. ‘Membaca Grundrisse dengan baik adalah cara terbaik untuk memahami Logic, dan selanjutnya untuk membaca Capital. Atau dengan kata lain, akan sangat sulit untuk bisa memahami relevansi keberadaan Logic bagi Capital tanpa pertama-tama membaca secara menyeluruh Grundrisse (Nicolaus, 1993:60). Padahal, membaca Grundrisse sendiri bukan pekerjaan mudah, apalagi membaca Logic-nya Hegel.

Beruntung sekali ketika memperingati 150 tahun terbitnya Grundrisse, sekelompok intelektual Marxis menuliskan catatannya tentang buku ini. Dengan dieditori filsuf muda yang sangat brilian, Marcello Musto, catatan-catatan tersebut terbit menjadi sebuah buku menarik yang diberi titel Karl Marx’s Grundrisse: Foundation of the critique of political economy 150 years . Buku ini berisi kumpulan tulisan yang terdiri dari 32 bab dengan 31 penulis. Mereka mengulas relevansi Grundrisse guna memahami Capital dan teori-teori Marx secara keseluruhan. Penyumbang tulisan adalah para ahli terkemuka di berbagai disiplin ilmu sosial, yang tidak asing bagi para pembaca yang mengikuti kajian Marxisme masa kini. Melalui buku ini, kita diberi peta dalam memahami kompleksitas Grundrisse.

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Grundrisse adalah manuskrip-manuskrip yang pernah ditulis Marx, tetapi tidak pernah dipublikasi semasa hidupnya. Naskah ini ditulis antara Agustus 1857 dan Mei 1858, tiada lain adalah draf pendahuluan dari kritik Marx terhadap ekonomi politik dan karya persiapan utama untuk bukunya, Capital.

Ketika tengah menulis Grundrisse, disaat berbarengan Marx juga sedang sibuk-sibuknya menulis berbagai isu yang luas sehubungan krisis kapitalisme global saat itu. Sebagai koresponden harian New York Tribune, dia menulis lusinan artikel mengenai berbagai soal, terutama tentang perkembangan krisis di Eropa. Dalam rentang waktu yang sama, antara Oktober 1857 hingga Februari 1858, Marx melakukan kompilasi tiga buku yang lazim dikenal sebagai the Crisis Notebooks. Tidak seperti esktraksi buku-buku dari karya-karya para ekonom yang pernah dilakukan sebelumnya, di the Crisis Notebooks dia juga membuat catatan melimpah ruah tentang krisis, kecenderungan di pasar modal, fluktuasi perdagangan, dan kebangkrutan ekonomi yang sedang terjadi di Eropa, Amerika Serikat, dan belahan dunia lain.

Kendati Marx sudah menghabiskan waktu tidak sedikit untuk menuliskannya, Grundrisse tetap merupakan naskah yang belum untuk diterbitkan. Marx mengisyaratkannya ketika mengirim sepucuk surat kepada Ferdinand Lassale bahwa Grundrisse, yang ditulisnya dalam berbagai periode, dimaksudkan sebagai klarifikasi (metode dan konsep) untuk dirinya sendiri dan bukan dengan tujuan publikasi. Meskipun demikian, sebagian penulis, di antaranya Carol Gould (1978) menganggap Grundrisse sebagai karya Marx paling filosofis di antara tulisan-tulisannya yang lain, di mana konsep-konsep ontologi sosial Marx diformulasikan secara gamblang.

Apapun, di kemudian hari, Grundrisse menjadi salah satu sumber rujukan dalam kerja-kerja akademik. Hampir bisa dipastikan, semua karya-karya akademik dengan pendekatan Marxis, khususnya berkaitan dengan uang, kapital, krisis, dan metode ekonomi politik merujuk ke karya ini. Grundrisse juga jadi bacaan wajib di berbagai disiplin ilmu, dari ilmu lingkungan, filsafat, ekonomi, sejarah, politik, kesusasteraan, geografi, dan sebagainya, terutama pada mata pelajaran yang diasuh oleh para ahli yang mendedikasikan karier akademinya dengan pendekatan Marxisme.

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Marcello Musto mengorganisir buku ini ke dalam tiga bagian. Pada bagian pertama berisi interpretasi-interpretasi atas topik-topik pokok yang ditulis Marx dalam Grundrisse. Musto sendiri menulis soal sejarah, produksi dan metode di dalam ‘Pengantar 1857.’ Joachim Bischoff dan Christoph Lieber mengulas teori nilai (value) dalam kehidupan ekonomi modern. Terrel Carver mendiskusikan keterasingan. Enrique Dussel membahas kategori nilai-lebih (surplus-value). Ellen Meiksins Wood mengkaji materialisme sejarah (historical materialism). John Bellamy Foster membicarakan kontradiksi ekologi dalam kapitalisme. Iring Fetscher mengurai kerangka masyarakat paska kapitalisme (sosialisme). Terakhir, Moishe Postone membandingkan antara Grundrisse dan Capital.

Ulasan pakar ekonomi politik Marxis Ellen Meiksins Wood, tentang materialisme sejarah di dalam Grundrisse, khusus di bagian yang berjudul ‘Forms which precede capitalist production,’ merupakan salah satu sumbangan menarik dari volume ini. Jika materialisme sejarah mengurai transisi dari satu corak produksi (mode of production) ke corak produksi yang lain, dalam ‘Forms which precede capitalist production’ Marx menaruh perhatian mengenai corak-corak produksi pra-kapitalis: Asiatik, klasikal, dan feodal. Wood melihat proses suksesi dari satu corak produksi ke yang lain berpangkal pada kontradiksi internal dari corak produksi yang ada (the existing mode of production), yakni pada aspek sistem hubungan-hubungan kepemilikan (system of social property relations ), bukan pada faktor eksternal. Pandangan ini tentu mengacu ke Marx yang menyatakan:

It must be kept in mind that the new forces of production and relations of production [i.e. mode of production] do not develop out of nothing, nor drop from the sky, nor from the womb of the self-positing Idea; but from within and in antithesis to the existing development of production and the inherited, traditional relations of property (1973: 278).

Harus senantiasa dicamkan bahwa kekuatan-kekuatan dan hubungan-hubungan produksi baru (yakni corak produksi), tidak berkembang dari ketiadaan, tidak jatuh dari langit, tidak juga dari rahim pergulatan gagasan; tapi dari dalam dan merupakan antitesis terhadap perkembangan produksi yang ada dan yang diwariskan, hubungan kepemilikan tradisional.

Pada tingkat kesejarahan, transisi dari feodalisme ke kapitalisme dipicu oleh kontradiksi internal dari feodalisme sendiri, bukan faktor eksternal, yakni ekspansi perdagangan, seperti yang dianut, misalnya, oleh ekonom Marxis AS terkemuka Paul M. Sweezy.[1] Dalam pandangan Wood, setiap tahap kesejarahan produksi tertentu selalu ditandai dengan hubungan penghisapan oleh kelas yang mengeruk surplus kerja dari kelas produsen langsung. Penghisapan ini berlangsung dalam sistem hubungan kepemilikan tertentu. Baik kelas produsen langsung maupun kelas yang menghisap surplus kerja mereka, selalu berjuang untuk memenuhi kondisi-kondisi yang memungkinkan mereka melakukan reproduksi sehingga menjamin kesinambungan kehidupan mereka. Upaya masing-masing kelas memenuhi kondisi-kondisi inilah yang mendorong transisi dari satu corak produksi ke corak produksi yang lain.

Bagian kedua buku ini berisi tiga tulisan yang mencoba melukiskan kembali konteks biografi dan teori di mana Marx menulis manuskrip-manuskrip ini. Tulisan pertama disumbang sendiri oleh Musto ‘Marx’s life at the time of the Grundrisse: Biographical notes on 1857-8,’ dan dua tulisan dari Michael R. Kratke, masing-masing: ‘The First World economic crisis: Marx as an economic journalist’ dan ‘Marx’s ‘books of crisis’ of 1857-8.’ Paling menarik dari tulisan-tulisan Kratke, yang menggambarkan konteks dari kelahiran Grundrisse, yakni ketika Marx menulis tentang krisis ekonomi. Bagi Marx, krisis ekonomi menjadi salah satu pusat perhatiannya di dalam kerangka kritiknya terhadap kapitalisme.

Relevansinya bagi kita yang hidup di jaman sekarang, bahwa 150 tahun setelah Grundrisse, krisis kapitalisme kembali terjadi di permukaan bumi, dengan pusat goyangan yang sama: New York. Lebih 150 tahun lalu, krisis bermula dari bangkrutnya Ohio Company di New York, menjalar ke seluruh penjuru Amerika Serikat (AS), lantas meluas ke dunia, khsususnya di Inggris, pusat kapitalisme saat itu, di mana Marx hidup bersama keluarganya, dengan memperoleh upah dua poundsterling dari setiap artikelnya tentang krisis yang dimuat di New York Tribune. 150 tahun kemudian, krisis kembali berulang, dimulai dari New York, menyebar ke seluruh penjuru Amerika Serikat, dan kemudian menghajar belahan dunia yang lain (lihat Dumenil, G., and Levy, D., 2011).

Dari kisah mengenai krisis ini, buku ini memberikan beberapa pelajaran penting. Pertama, Kratke memberikan gambaran kepada pembaca bahwa tulisan-tulisan yang muncul di New York Tribune pada zaman itu dan Notebooks yang Marx kerjakan selama bertahun-tahun sejak awal 1850an, menunjukkan ketelitian Marx akan fakta. Marx, misalnya, mencatat secara deskriptif momen-momen krisis dari hari ke hari atau berdasarkan fakta dan cerita yang muncul setiap harinya. Kedua, ketika peristiwa hari-hari itu muncul di dalam Grundrisse, kita menyaksikan Marx mengonseptualisasi krisis secara abstrak berdasarkan penjelasan rasional. Misalnya, dalam bab tentang ‘Money,’ Marx menggambarkan teorinya tentang uang dan menganalisa siklus krisis-krisis moneter yang pernah terjadi. Di bab tentang ‘Capital,’ dia menyatakan bahwa krisis dalam kapitalisme sebagai sesuatu yang siklikal serta pengulangan krisis selalu meningkat dalam skala dan pada gilirannya bermuara pada penghancuran sistem ini. Ketiga, tulisannya tentang krisis, oleh karena itu, merupakan contoh sempurna untuk melihat bagaimana metode ilmiah diterapkan dalam studi-studi Marxisme. Cerita tentang krisis dari pelajaran hari-hari dan teorinya yang abstrak tentang krisis, menggambarkan pendekatan metodologis dalam studi-studi Marxisme. Musto dalam artikel di bagian pertama buku ini mengurai bagaimana metode ekonomi politik ini digunakan Marx.

Sebagai peringatan 150 tahun Grundrisse, bagian ketiga buku berisi semacam tulisan mengenai penerbitan Grundrisse ke dalam berbagai bahasa setelah edisi Jerman buku ini terbit pertama kali pada tahun 1939-41. Akhir tahun 1950an, Grundrisse mulai diterbitkan secara lengkap, setelah sebelumnya, secara terpisah, naskah-naskah itu pernah diterbitkan. Edisi lengkap dalam bahasa asing pertama kali terbit dalam bahasa Jepang (1958), kemudian Cina (1962), Perancis (1967), Rusia (1968), Italia (1968), Spanyol (1970), Inggris (1973), Serbia (1979), Parsi (1985) Yunani (1989), Turki (1999), Korea (2000), dan Portugis (2008). Musto mencatat publikasi terjemahan Grundrisse ke dalam aneka bahasa saat ini mencapai lebih dari 500 ribu kopi. Sesuatu yang kemungkinan mengejutkan bagi Marx sendiri, yang sebenarnya hanya bermaksud membuat catatan-catatan ringkas tentang ide-ide utamanya soal kapitalisme.

***

Sayang, seperti umumnya karya-karya Marx yang lain, Grundrisse belum diterjemahkan ke dalam bahasa Indonesia. Akibatnya, animo publik yang luas akan karya-karya Marx menjadi terkendala. Tidak itu saja, karya-karya sarjana Marxis kontemporer, sebagaimana buku ini, juga sulit diakses oleh pembaca luas dan peminat kajian Marxisme di Indonesia.

Kondisi itu diperburuk dengan tidak diajarkannya Marxisme secara sistematis dan mendalam di perguruan-perguruan tinggi karena warisan penghancuran kiri yang sangat dahsyat. Bahkan, Marxisme sendiri tampaknya sangat asing di kalangan ‘Indonesianists,’ yakni para ahli tentang Indonesia, yang memproduksi pengetahuan mengenai Indonesia. Faktanya, studi-studi mengenai Indonesia, terutama semenjak Orde Baru bertahta, sepenuhnya didominasi oleh pendekatan-pendekatan non-Marxis.

Bagi saya ini ironis. Marxisme sebagai sebuah mazhab pemikiran yang berkontribusi tidak sedikit dalam perjuangan menentang kolonialisme dan imperialisme, kini menjadi terasing di negeri di mana pemikiran itu pernah sangat subur.

Kepustakaan:

Dumenil, G., and Levy, D. (2011). The Crisis of Neoliberalism. Cambridge, Massachusetts, London: Harvard University Press.

Gould, C.C. (1978). Marx’s Social Ontology: Individuality and community in Marx’s theory of social reality . Cambridge, Massachusetts, London: MIT Press.

Hilton, R.H. et.al. (1978). The Transition from Feudalism to Capitalism. London: Verso.

Marx, K. (1973). Grundrisse: Foundations of the critique of political economy (rough draft) . Translated with a foreword by Martin Nicolaus. New York, London: Penguin Books.

Marx, K. (1965). Pre-capitalist economic formation (with an introduction by Eric J. Hobsbawm). New York: International Publishers.

McLellan, D. (1971). Marx’s Grundrisse. London, Basingstoke: Macmillan.

Musto, M. (2008). Karl Marx’s Grundrisse: Foundations of the critique of political economy 150 years later . London, New York: Routledge.

[1] Dalam debat di antara ilmuwan Marxis soal transisi dari feodalisme ke kapitalisme di Eropa, yang terkenal dengan nama ‘transition debate,’ Sweezy menganggap bahwa motor yang menggerakkan transisi itu adalah faktor eksternal, yakni perdagangan. Sebaliknya, ekonom Maurice Dobb menganggap bahwa motor penggerak adalah faktor internal, yakni kontradiksi di dalam feodalisme sendiri. Lihat Hilton, R.H. et.al. (1978).

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Radio Marx

Marx for Today

Na rond 1989 officieel dood te zijn verklaard en verwezen te zijn naar de spreekwoordelijke vuilnisbak van de geschiedenis, was Marx verrassend snel weer terug, en dook op verschillende plaatsen weer op. Voor Marcello Musto, de redacteur van deze verzameling essays over Marx, was er altijd een “terugkeer naar Marx”.

Of zoals de eminente poststructuralistische filosoof Jacques Derrida zei: “het is altijd fout Marx niet te lezen, te herlezen en te bediscussiëren” (blz. 4).

Alles behalve dood

Sinds 1989, beleefden we niet alleen de publicatie van Derrida’s van “Spectres of Marx” (1993), maar ook de 150ste verjaardag van het Communistisch Manifest (1998), die Marx gedeeltelijk rehabiliteerden als een profeet van de globalisering en zijn gelijk over enkele van de manieren waarop het kapitalisme zich ontwikkelt. In 1999 versloeg Marx Einstein, Darwin en Newton in een BBC-poll om de titel van “grootste denker van het millennium”.

Echter, als Marx nooit volledig weg was, kwam de discussie rond hem toch een beetje vreemd over. Zijn gelijk over de globalisering bracht echt geen siddering te weeg in de kringen van de heersende klassen. Nu in 2012, midden in de zwaarste wereldwijde recessie sinds de jaren 1930, is de toon van het debat echter veel serieuzer. In een recente BBC2-serie “Masters of Money” met afleveringen over Keynes, Hayek en Marx ging het laatste woord naar Marx. Het was een onheilspellend laatste woord, namelijk dat het systeem zich in een ernstige crisis bevindt, en in plaats van alleen maar een verstoring, zijn dergelijke crises inherent aan het kapitalisme zelf.

Actief op zoek naar voorbij het kapitalisme, zoals Marx wilde, werd nog steeds beschouwd als niet aan de orde, en beelden uit in een voormalige Stasi-gevangenis in Oost-Duitsland dienden om dit punt te benadrukken. Echter, behalve zulke voorspelbare en goedkope aanvallen, was de kritiek van Marx op het kapitalisme, met zijn regelmaat van crises en zijn klassentegenstellingen, onmiskenbaar terug op de politieke agenda.

Terug naar Marx for Today

Zijn dit dan de opportune omstandigheden voor de publicatie van een verzameling van wetenschappelijke artikelen met de titel “Marx for Today”? Marcello Musto schrijft in de inleiding dat Marx ‘de logica van het systeem dieper onderzocht dan enige andere moderne denker’ (p.7). Deze verzameling van essays geeft ruimte aan zowel de diepte als de breedte van het denken van Marx, en beslaat een brede waaier van thema’s; nationalisme en etniciteit, vervreemding, democratie, emancipatie en de contouren van een toekomstige post-kapitalistische maatschappij. Het bevat ook een sectie die de verspreiding van het denken van Marx over de hele wereld onderzoekt, verder dan de Noord-Amerikaanse en de Europese kernlanden en inclusief Brazilië, Rusland, China, Zuid-Korea en Japan.

Recepten voor de toekomst

Elke ‘terugkeer naar Marx’ heeft een gevaar in zich, en Musto is erop gebrand om het rigide vasthouden aan een set van geschriften die het Marxisme van zowel de Tweede Internationale, met de geconsolideerde macht van Stalin, als de Derde Internationale kenmerkte, te vermijden. Marx zelf waarschuwde, blijkbaar met weinig resultaat, voor ‘eenvoudige recepten voor de toekomst’ (blz. 3). Musto geeft een heldere beschrijving van de tekortkomingen van het Marxisme van de Tweede Internationale, en beschrijft het als een ‘schematisch’, ‘economisch deterministische’ en het hebben van een ‘naïef geloof in de automatisch naar voren gerichte mars van de geschiedenis, en dus in de onvermijdelijkheid van de vervanging van het kapitalisme door het socialisme “(blz. 1).

Gezien de barbaarsheid van de twintigste eeuw en de op handen zijnde dreigende ecologische ramp van de eenentwintigste eeuw, zijn begrippen zoals de ‘naar voren gerichte mars van de geschiedenis’ nogal absurd. Maar de waarschuwing van Marx tegen eenvoudige recepten staat nog steeds. Elke herlezing van zijn werken nu moet proberen leerstellige introspectie te vermijden ten gunste van een actieve betrokkenheid met de economische, sociale, politieke, militaire en ecologische realiteit rondom ons.

Wat dit laatste betreft, herinnert Musto ons eraan dat “Marx’ analyse van het kapitalisme niet alleen een economische onderzoek was, maar ook relevant was voor het begrip van machtsstructuren en menselijke relaties “(blz. 7). De breedte van de essays in dit boek zijn zeker een poging om recht te doen aan de brede visie van Marx.

‘Niet alleen Kapitaal en Klasse: Marx over niet-westerse samenlevingen, nationalisme en etniciteit’

Kevin Anderson richt zich op wat hij ziet als de barrières die steeds de ‘weg terug blokkeren naar Marx als de primaire bron van linkse kritiek op de kapitalistische moderniteit als geheel, en die tevens de theoretische achtergrond levert om haar te overstijgen’ (p.20). Voor Anderson, is de barrière dat grote delen van linkse en progressief academische kringen geloven, niet dat Marx te radicaal was, maar niet radicaal genoeg. Post-modernisten beschuldigen Marx ervan een ‘groot verhaal’ te hebben geconstrueerd die de historische ontwikkelingen veel te lineair verklaren. Aldus zijn types als Foucault en Deleuze eigenlijk radicaler dan Marx (p.20).

In dezelfde geest wordt er gezegd, dat hoewel het model van Marx kan helpen met het verklaren van klasse en bepaalde en economische factoren het tegelijkertijd de door sekse, etniciteit, ras en nationalisme bepaalde factoren verwaarloost. Edward Said beschuldigde Marx nogal opmerkelijk van eurocentrisme in zijn boek “Orientalism”, en Anderson werpt zich op om Marx’ begrip van niet-westerse samenlevingen en nationaliteiten te verdedigen. Dit doet Anderson door middel van een gedetailleerde herlezing van zijn geschriften over India, China, Rusland, Ierland, Polen en de Amerikaanse Burgeroorlog. Gericht tegen Said snijdt Anderson drie essentiële punten aan over het werk van Marx; (1) het gaat weldegelijk over de specificiteiten van de natie, etniciteit en ras, (2) Marx had een belangrijke originele bijdrage in het theoretiseren over hoe het voor inheemse vormen van verzet tegen het kapitaal nodig is om aan te sluiten met de werkende klassen in meer technologisch geavanceerde sectoren van de wereldeconomie, (3) Marx’ theorievorming over hoe ras, etniciteit en nationalisatie kruisen met klassenstrijd is vandaag nog steeds relevant (p.35).

Terug naar Marx’ concept van vervreemding

Marcello Musto onderzocht hoe Marx’ concept van vervreemding zich ontwikkelde tussen zijn vroegere en latere werken en ook hoe verschillende niet-Marxistische denkers dit concept aanpasten en vaak vertekenden in de twintigste eeuw. In de ‘Economisch-filosofische manuscripten’, die voor het eerst verscheen in 1932, richtte Marx zich op de verschillende manieren waarop de arbeiders zijn vervreemd in de kapitalistische maatschappij; van zowel het product als het proces van hun arbeid, van hun specifieke maatschappelijke positie, en hun relatie tot andere mensen (p. 95). Musto beargumenteert dat voor Marx vervreemding was ‘een bepaald fenomeen binnen een precieze vorm van de economie: waar loonarbeid en de transformatie van de producten van de arbeid in objecten staan tegenover de producenten (p. 95). Marx beschouwde vervreemding vanuit een historisch en niet een natuurlijk oogpunt.

Echter, in de handen van schrijvers als Herbert Marcuse werd vervreemding geassocieerd met arbeid in het algemeen, en niet met specifieke loonarbeid, en met technologische dominantie in plaats van kapitalistische productieverhoudingen (pp.96-8). Voor Horkheimer en Adorno, was vervreemding het resultaat van sociale controle en de manipulatie van menselijke behoeften door de massamedia van een door technische rationale gedomineerde samenleving (p.98). Voor psychoanalyse en existentialisme ging vervreemding, zij het op verschillende manieren, voornamelijk over individuele subjectiviteit, en werd de objectieve basis in de kapitalistische productieverhoudingen gebagatelliseerd (pp.98-100). Binnen de reguliere sociologie en psychologie was het concept van vervreemding nog meer individualistisch (p.105). Daarom gingen, op verschillende manieren, al deze theorieën over andere zaken dan het overwinnen van de vervreemding door de arbeidersklasse.

Volgens Musto, kwam de uitdaging aan de individualistische opvatting van vervreemding met de ruimere verspreiding van de geschriften van Marx over het onderwerp tijdens de jaren 1960 (p.112). In Grundrisse en Kapital, volume een, werkt Marx zijn eerdere concept van vervreemding uit, waardoor het een steviger basis krijgt in economische categorieën en het wordt gekoppeld aan ruilwaarde. Dit culmineerde in zijn theorie van de warenfetisjisme die tot doel had om uit te leggen hoe de sociale relaties tussen mensen het uiterlijk aannemen van materiële relaties tussen dingen (pp.110-13).

Voor Musto was het cruciale belang van het latere werk van Marx over vervreemding dat:

‘Het was een opvatting gericht op het overwinnen van vervreemding in de praktijk – op de politiek en de acties van sociale bewegingen, partijen en vakbonden om de werk- en leefomstandigheden van de arbeidersklasse te veranderen’ (p.112).

In de context van de politieke en sociale opstanden van de jaren 1960, voorzag het werk van Marx op het gebied van vervreemding in:

‘Een anti-kapitalistisch, ideologisch platform voor de buitengewone politieke en sociale beweging die in de wereld in die jaren in vuur en vlam zette. Vervreemding verliet de boeken van filosofen en de collegezalen van universiteiten, ging de straat op en de arbeidersstrijd binnen, en werd een kritiek op de burgerlijke samenleving in het algemeen “(p.112).

De radicalen van de jaren ’60 die droomden van een wereld zonder vervreemding zouden worden teleurgesteld. Omdat de radicale veranderingen van de jaren 1960 en ’70 werden teruggedraaid en omdat het neo-liberalisme opkwam en vervolgens zijn greep consolideerde, is de vervreemding aanzienlijk toegenomen. Echter, nu de financiële markten en de eco-systemen snel afstevenen op een catastrofe wordt de relevantie van de kritiek van Marx over vervreemding en daarmee de mogelijkheid om nieuwe sociale bewegingen te inspireren weer overduidelijk.

‘Het herontdekken van Marx tijdens een kapitalistische crisis’

Ricardo Wolff beschrijft het kapitalisme als een economisch systeem dat oscilleert tussen periodes van beperkte staatsinterventie in de markten en het privé-eigendom, en periodes van relatief meer overheidsingrijpen; periodes van privé kapitalisme, gevolgd door staatskapitalisme (p.148). Twee alternatieve, reguliere en niet-Marxistische theorieën, namelijk de Keynesiaanse en de neo-klassieke scholen van het economisch denken, hebben in de loop van de twintigste eeuw geprobeerd om de werking van dit systeem uit te leggen (p.148). Sinds de jaren 1970 en het begin van het neoliberalisme, is de neo-klassieke school veruit de dominante met het Keynesiaanse alternatief grotendeels gemarginaliseerd.

Sinds de crash in 2008 onderging het Keynesianisme enig herstel. Echter, voor Wolff blijft het Keynesiaanse bericht wat het altijd was: staatsinterventie moet het kapitalisme te redden van zijn private vorm (p.150). Keynesiaans beleid kan tijdelijk nieuw leven inblazen in het systeem, maar de crises zullen terugkeren en de weg vrijmaken voor een beweging terug naar de particuliere vorm van kapitalisme. Voor Wolff is het probleem dat beide scholen de kapitalistische structuur van productie aanvaarden:

‘De oscillaties tussen de twee vormen van kapitalisme en tussen de twee reguliere theorieën voorkomen dat crises in het kapitalisme de crises van het kapitalisme wordt, waarbij het kapitalistische systeem van productie zelf tot vraagstuk wordt. De oscillaties tussen de twee theorieën vormen en bevatten het publieke debat als de kapitalistische crisis tot ernstige sociale lijden leidt. Het beperkt het bereik van bespreekbare oplossingen tot meer of minder regelgeving, meer of minder monetair of fiscaal beleid, en ga zo maar door. Die inperking weerhoudt het publiek van het zich inbeelden, laat staan het beschouwen van de Marxistische alternatieve oplossing, namelijk een overgang vanuit beide vormen van kapitalisme naar een ander systeem ‘(p.151).

Wolff daarentegen brengt naar voren dat de Marxistische reactie op de herhaalde economische crises ‘geen voorkeur zou aangeven voor de ene vorm van kapitalisme over de andere’, maar ernaar zou streven om het systeem te veranderen en om de samenleving verder te brengen dan het kapitalisme (p.159). Wolff schetst vervolgens hoe dit kan worden gerealiseerd op een micro-niveau, blijkbaar om een bias in het traditionele socialistische denken te corrigeren in de richting van een macro-vormgeving van een post-kapitalistische maatschappij (p.159).

Ongetwijfeld heeft Wolff gelijk door de mogelijkheid te benadrukken, die wordt gecreëerd door de economische crisis voor een heropleving van zowel een Marxistische economische kritiek op het systeem, als een politiek programma om deze te bestrijden, echter, zijn formulering van de tekortkomingen van zowel de neo-klassieke als de Keynesiaanse oplossing is zeer problematisch doordat hij geen onderscheid maakt in de vaak sterk wisselende inhoud van de twee oplossingen. Botweg gezegd, zowel Clement Atlee (premier van het Verenigd Koninkrijk van 1945 tot 1951 en leider van de Labour-partij van 1935 tot 1955) als Margaret Thatcher accepteerden de kapitalistische wijze van productie, maar het is vreemd voor een Marxist dat hij het verschil niet ziet.

Onze huidige conjunctuur stelt de onmiddellijke politieke keuze aan de orde tussen de programma’s van harde besparingen, trouw aan de leerstellingen van de neo-klassieke theorie, of een soort van ‘Keynesiaans’ alternatief. Zelfs in Griekenland is een stap in de richting van de verovering van de staatsmacht en de opbouw van een post-kapitalistische economie langs Marxistische lijnen nog niet aan de onmiddellijke horizon. In dergelijke omstandigheden loopt men het risico een beetje wereldvreemd te worden gevonden als men deze keuze tussen twee vormen van kapitalisme negeert en monomaan aandringt op het Marxistische alternatief.

Natuurlijk, voor radicaal-links betekent het nastreven van een ‘Keynesiaanse’ oplossing niet dat men probeert de kapitalistische structuur van productie te stabiliseren, maar het creëren van een beweging die, terwijl het beperkte hervormingen nastreeft, begint te wijzen op mogelijkheden buiten de logica van het systeem als geheel. Dit betekent iets in de trant van wat Trotski aanduidde als een overgangsprogramma. In die zin kan het zijn dat de weg naar Marx gaat door een reeks van escalerende volksmobilisaties die streven naar een ‘Keynesiaans’ programma als alternatief voor bezuinigingen.

Conclusies

Als herlezing van Marx betekent dat we onszelf opnieuw committeren aan het lange termijn doel van een samenleving van geassocieerde producenten dan is dat allemaal prima. Maar we moeten ook luisteren naar de waarschuwing van Marx met betrekking tot eenvoudige recepten voor de toekomst. Zuiverheid in de leer mag niet ons doel zijn. De weg naar een samenleving van geassocieerde producenten noodzaakt tot vele tactische en conjuncturele beslissingen waarbij compromissen nodig zijn en de vraag is of deze binnen “passende grenzen” worden gehouden. Op zoek naar enig soort van politieke en sociale realiteit op basis van de ideeën van Marx zullen aanpassingen aan de omstandigheden en improvisaties nodig zijn die niet altijd kunnen worden voorzien.

In die zin is het gedurfde experiment ondernomen door Lenin en de Bolsjewieken in de meest uitzichtloze omstandigheden van groot nut voor ons vandaag. In die zin ook is een van de meer teleurstellende aspecten van “Marx for Today” de aandacht die aan Lenin wordt gegeven in de eerste jaren van de Russische revolutie door Paresh Chattopadhyah (pp.45-9). Op zoek naar verschillen tussen Lenin en Marx, door hem op een hoop te gooien samen met Stalin en Mao onder de noemer van ‘anti-emancipatorisch socialisme’ (p.43) gaat het hier om het betreden een saai en tot op de draad versleten pad.

Maar al met al is “Marx for Today” een stimulerend boek dat recht doet aan de diepte en breedte van het denken van Marx en dat een sterk beroep doet op zijn hedendaagse relevantie.