Marx liberato dai marxiani
Il nuovo libro di Marcello Musto (Ripensare Marx e i marxismi. Studi e saggi, Carocci editore, Roma 2011, pp. 373, euro 33,00) appare fin dal titolo come una raccolta di saggi che l’autore, attualmente professore di Teoria Politica presso la York University di Toronto, ha prodotto lungo l’arco di un quinquennio, tra il 2005 e il 2010.
In realtà è molto di più, poiché tra i vari scritti vi è un’intima e rigorosa coerenza. Quella che deriva dallo studio accurato dei materiali, in parte già pubblicati, in parte ancora inediti, che compongono la nuova edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels, ovvero la Marx-Engels-Gesamtausgabe, più famigliarmente nota come MEGA2. Su questo immenso lavoro tutt’ora in corso e dalle sue prime risultanze, Musto fonda e trae la convinzione che “la ricerca su Marx presenti ancora tanti sentieri inesplorati”.
Come si può vedere siamo ben lontani dal semplice inseguimento delle mode intellettuali e iconografiche, che ora riportano in auge la figura di Karl Marx, persino sulle copertine colorate dei tabloid, per non dire delle T-shirt, dopo avergli fatto vincere i sondaggi sul migliore pensatore – Marx non avrebbe amato la qualifica di filosofo – di tutti i tempi. In effetti l’immagine barbuta ma bonaria del Moro si collega immediatamente alla percezione diffusa della gravità strutturale ed epocale della crisi attualmente in corso. Al punto che la sua effige fa concorrenza persino a quella più tradizionalmente popolare tra un pubblico giovanile, come quella del Che, ed aiuta anche a vendere i prodotti che la riportano. Una nuova curiosa legge del contrappasso per chi ha disvelato le leggi dello sfruttamento e dell’alienazione dei meccanismi capitalistici? Oppure la rivincita del “te l’avevo detto!” di fronte a quella che in Europa, e certamente per l’Italia, appare essere una crisi per durata e gravità ben peggiore di quella che sconvolse il mondo negli anni Trenta dopo il crollo di Wall Street?
Non solo questo. Il lavoro di Marcello Musto si inserisce, con ruolo da protagonista, in quel largo movimento intellettuale che in modo particolare a partire dagli anni Novanta, lungo i quali il capitalismo celebrava le magnifiche e progressive sorti della globalizzazione, è ritornato a riflettere sul lascito marxiano, dando vita a importanti contributi di carattere scientifico, anche se per ora sostanzialmente limitati all’ambito accademico. L’hanno giustamente nominato Marx renaissance, ma non vi hanno contribuito solo studiosi marxisti in senso stretto. Va ricordato al riguardo l’importante scritto di Jacques Derrida, Spettri di Marx, dei primi anni Novanta, oppure lo stimolo che ha rappresentato la sfida portata dall’elaborazione di John Rawls a partire dalla sua celebre Teoria della Giustizia, comparsa invece agli inizi degli anni Settanta, pienamente raccolta da quel filone di studi marxiani denominato Marxismo critico, di cui forse il maggiore rappresentante è quel Gerald Cohen, autore di un fortunato e recente pamphlet Socialismo perché no?. Altri hanno vissuto questa nuova stagione di studi non solo come l’impegno a ritornare al pensiero autentico di Marx, ma come l’occasione per andare oltre Marx. Il riferimento all’elaborazione teorica di Antonio Negri e di Michael Hardt è qui evidente e obbligata.
Il compito che Marcello Musto si attribuisce è però diverso. Sulla scorta della ricerca filologica egli si propone innanzitutto di chiarire che cosa Marx ha effettivamente detto, quanto gli può essere attribuito e quanto invece è solo frutto di interpretazioni successive, alcune delle quali erette a interpretazioni ufficiali e autentiche, quando invece erano del tutto opinabili se non vere e proprie manipolazioni del pensiero marxiano a uso e consumo dei regimi e delle culture dominanti che le effettuavano. La distorsione sovietica del pensiero marxiano non è solo confinabile alle celebri discettazioni sul Diamat ovvero sul materialismo dialettico, che tanti danni hanno prodotto anche nel marxismo occidentale, ma anche al modo con cui l’immensa mole dei testi sparsi di Marx e di Engels venne ricomposta ed editata. Lì sta l’origine di errori interpretativi e di dispute viziate da una cattiva conoscenza dei testi e che pure hanno avuto grande eco nella sinistra mondiale.
Basti pensare al mito del “giovane Marx”, ovvero alla convinzione dell’esistenza di due Marx nettamente distinti se non contrapposti: il Marx “umanista” dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 e il Marx della maturità, l“economista” de Il capitale. I materiali che la MEGA2 ci mette oggi a disposizione ci consentono, io credo oltre ogni ragionevole dubbio, di chiudere queste polemiche che vide il fior fiore del marxismo mondiale accanirsi su opposte sponde. C’era chi considerava gli scritti giovanili filosofici di Marx come l’essenza della sua teoria critica – fra questi molti pensatori “revisionisti” animati dalla preoccupazione in sé giusta di separare il marxismo dalla ortodossia sovietica – e chi neppure li considerava come parte integrante del marxismo, come ad esempio Louis Althusser. In realtà fra le due fasi della biografia intellettuale marxiana non vi è frattura né tantomeno contrapposizione, ma il saldarsi di un lungo processo acquisitivo che solo la morte del pensatore di Treviri potè interrompere. Se i Manoscritti del ’44 non possono essere considerati come un’opera sistematica, e neppure la successiva Ideologia tedesca, ma piuttosto il primo delinearsi di una concezione teorica in evidente fase di sviluppo, il Capitale, preparato dai ponderosi Grundrisse, costituisce indubbiamente la summa, il magnum opus, dove quella concezione prende forma senza però rinchiudersi in un sistema rigidamente chiuso e onnicomprensivo.
Questo non solo per il carattere letterariamente incompiuto de il Capitale o per la quantità enorme degli interventi engelsiani nella sua edizione (circa cinquemila solo sul secondo libro) che la MEGA2 permetterà di distinguere dallo scritto originario di Marx, ma soprattutto perché il pensiero di quest’ultimo si presenta intrinsecamente aperto alla nuove conoscenze del mondo. Nulla è più antidogmatico del pensiero marxiano. Non esiste un peggiore tradimento dello stesso che non sia la sua cristallizzazione in forme chiuse. La curiosità intellettuale di Marx era infinita. Per questo attraverso la MEGA2 saranno consultabili anche i libri che Marx leggeva e che annotava a margine. “Sono i miei schiavi e devono ubbidire alla mia volontà” diceva il Moro, che a sé stesso attribuiva il ruolo di “una macchina condannata a divorare libri per buttarli fuori, in forma diversa, sul letamaio della storia”.
Per queste ragioni è evidente che il pensiero marxiano non può che soffrire, se la sua rinascenza avvenisse solo in campo accademico. La sfida per un’autentica Marx renaissance, ci dice Marcello Musto, sarà vinta solo quando la ripresa degli studi marxiani si incontrerà nuovamente con la politica – come per molti aspetti fu negli anni Sessanta e Settanta, ovvero prima e dopo il mitico ’68 – e con i movimenti operai e sociali che in diverse parti del mondo, con nuova intensità anche dove è più recente l’omologazione al modo di produzione capitalistico, esprimono l’indignazione nei confronti dei disastri del finanzcapitalismo, per prendere in prestito l’ostica , ma fortunata espressione di Luciano Gallino.