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El presidente Gonzalo

La strada che conduce ad Ayacucho è impervia e percorrendola vi si respira un’aria misteriosa. Situata al centro della Sierra peruviana, la città è stata, per lungo tempo, segnata dalla miseria estrema. Spazialmente e culturalmente lontanissima da Lima e dai centri più moderni del paese, si trova immersa in una terra la cui produzione, fino a qualche decennio fa, era costituita da un sistema agricolo ancora organizzato su basi semi-feudali.

Un tesoro che non ha mai smesso di suscitare l’interesse di antropologi e studiosi delle tradizioni popolari. Eppure, fu proprio questo luogo remoto, fino alla metà degli anni Settanta privo di collegamento asfaltato con la costa, di un vero impianto elettrico e della televisione, a dar vita agli eventi che mutarono, irreversibilmente, la storia contemporanea del Perù e che tornarono a far parlare di questa nazione in tutto il mondo.

Nel 1962, un giovane professore universitario di ventotto anni vi giunse per insegnare filosofia. Introverso e schivo, proveniva dalla splendida città di Arequipa, dove aveva studiato al liceo cattolico distinguendosi per disciplina e ascetismo. Poco tempo dopo il suo arrivo, Abimael Guzmán apprese il quechua, la lingua più diffusa tra le popolazioni indigene dell’America Latina, e iniziò un’intensa militanza politica. A distanza di qualche anno, sarebbe divenuto celebre in tutto il mondo: il leader di Sendero Luminoso, la guerriglia maoista che intraprese un conflitto sanguinario con la stato peruviano, causando nel corso di vent’anni – a partire dal 1980 – la morte di quasi 70.000 persone.

Negli anni Sessanta, con lo scoppio della crisi sino-sovietica, il mondo comunista si scisse in due blocchi. Il Partito Comunista Peruviano non restò estraneo a questa divisione e, all’atto della rottura nel 1964, Guzmán aderì alla frazione filo-cinese, il PC Bandiera Rossa. Gli anni seguenti furono un susseguirsi di scissioni, fino a quella del 1970 che lo indusse a lasciare l’organizzazione e a fondare il Partito Comunista del Perù – Sendero Luminoso (SL), gruppo che si definì erede della Rivoluzione Culturale: “l’evento principale della storia umana”, quello che aveva scoperto “come cambiare le anime”. Nonostante i proclami, l’organizzazione nacque priva di qualsiasi relazione col mondo contadino. In tutto il paese i suoi aderenti furono soltanto 51 e, per lungo tempo, la sua presenza politica si limitò alla sola università di Ayacucho, presso la quale andavano formandosi gli insegnanti e il nuovo personale tecnico di tutta la regione interno-meridionale del Perù.

In questo periodo, Guzmán tenne numerosi corsi su José Carlos Mariátegui, un acutissimo e stimato marxista peruviano (da molti considerato il Gramsci latinoamericano), scomparso nel 1930 e trasformato, nonostante la sua distanza da ogni ortodossia e dogmatismo, in precursore del maoismo e padre spirituale di SL. Attingendo da schematici manuali marxisti, egli iniziò a diffondere tra la gioventù andina della zona una visione del mondo estremamente deterministica. L’obiettivo perseguito fu quello di creare un gruppo monolitico, caratterizzato da una relazione oppressiva tra partito politico e società che non riconosceva spazio alcuno all’autonomia delle lotte. SL, infatti, si oppose sistematicamente a scioperi e occupazione delle terre, manifestando, in più occasioni intolleranza verso la cultura indigena.

Ciò nonostante, in America Latina, fu proprio questo partito, esiguo ma sorretto da una ferrea disciplina, fortemente centralizzato (il suo principale organismo direttivo era composto da Guzmán, sua moglie e la sua futura compagna) e protetto dall’assoluta segretezza dei suoi militanti, ad avvicinarsi più di ogni altro alla conquista del potere politico attraverso le armi, impresa riuscita solo a Fidel Castro con Cuba e ai sandinisti in Nicaragua.

La Guerra Popolare

Tra il 1968 e il 1980, anche il Perù, come tutti gli altri paesi latinoamericani, conobbe la sua stagione di dittatura militare. Alla fine degli anni Settanta, Guzmán lasciò l’università per entrare nella clandestinità e, avendo tratto dalla lettura di Mao Tse-Tung la convinzione che la guerra fosse una tappa indispensabile anche per la realtà peruviana, promosse la creazione dell’Esercito Guerrigliero Popolare (EGP), struttura parallela a SL. Negli enunciati di Guzmán, la violenza fu tramutata in una categoria scientifica e la morte, conseguentemente, il prezzo che l’umanità avrebbe dovuto pagare per il raggiungimento del socialismo: “il trionfo della rivoluzione costerà un milione di morti”.

Il conflitto nacque in un clima surreale. Nel maggio del 1980, mentre erano in corso le prime elezioni politiche indette dal 1963, nella piazza centrale di Chuschi, villaggio poco distante da Ayacucho, i militanti di SL bruciarono tutte le schede elettorali. L’episodio venne del tutto ignorato, così come non fu dato alcun peso al macabro spettacolo cui gli abitanti di Lima furono costretti ad assistere pochi mesi dopo, quando, al risveglio, trovarono decine di cani morti, appesi ad alcuni semafori e pali della luce della strada, con la scritta, per i più del tutto incomprensibile, “Deng Xiaoping figlio di cagna”.

I primi due anni e mezzo della guerra si caratterizzarono per l’assoluta sottovalutazione, da parte dello stato, della risolutezza di SL. Alla metà degli anni Settanta operavano in Perù ben 74 differenti organizzazioni marxiste-leniniste e quando il governo di Fernando Belaúnde si risolse a intervenire lo fece senza avere alcuna cognizione della strategia politica e militare della formazione che combatteva, erroneamente ritenuta simile alle altre guerriglie latino-americane (ad esempio quelle di matrice guevarista), dalle quali essa era, invece, del tutto distante. Nonostante il numero ancora poco rilevante dei suoi militanti – nel frattempo saliti a 520 – e il carattere rudimentale del suo arsenale – per lo più vecchi fucili -, la guerra popolare di SL avanzò notevolmente in questo periodo. Belaúnde decise allora di utilizzare le forze armate e Ayacucho diventò l’area di un comando politico-militare dell’intera regione.

Questa seconda fase del conflitto si distinse per la violenta repressione contro le popolazioni locali. Il razzismo dei soldati venuti dalla città, che identificavano in ogni campesino un potenziale pericolo e, pertanto, un obiettivo da eliminare, contribuì all’accrescersi del numero dei morti. Soppressa la sfera politica, le autorità civili furono sostituite dagli esponenti dell’esercito che dirigevano, con abusi e atti arbitrari, i Comitati di Difesa Civile, a metà tra accampamenti militari e centri di tortura. A questa strategia, SL rispose tentando di creare luoghi di “contropotere”: i Comitati Popolari. Ovvero, delle “zone liberate”, rigidamente governate da commissari nominati dal partito, che servivano come base d’appoggio per la guerriglia. Inoltre, nel triennio successivo Guzmán decise di espandere il conflitto su scala nazionale, a partire dalla capitale. Di conseguenza, alla fine della decade (nel 1984 era sorta anche la guerriglia Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru) il 50% del territorio peruviano si trovava sotto il controllo militare.

In questa fase, l’elaborazione di Guzmán degenerò nel più estremo dei manicheismi, in forza del quale, identificati come nemici assoluti quanti erano al di fuori del partito, tutte le realtà politiche non controllate da SL divennero un obiettivo militare – inclusi rappresentanti dei campesinos, esponenti sindacalisti e leader delle organizzazioni femminili. La strategia seguita fu quella dell’annichilimento selettivo, con lo scopo di creare vuoti di potere per poi insediarvi dirigenti e militanti dell’organizzazione. Infatti, autorità locali (comprese le forze di polizia) e i dirigenti sociali rappresentarono, dopo i contadini che si opponevano alle sue direttive, il secondo bersaglio di SL. In totale oltre 1.500 morti, il 23% di quelli assassinati deliberatamente, ovvero non in attentati di grande scala, dai suoi militanti.

La quarta spada del Marxismo

Se a Mosca Gorbacev dava corso alla Perestrojka e a Pechino Deng Xiaoping traghettava la Cina verso il capitalismo, a Lima Guzmán decise di incrementare il numero degli attacchi. Colpito nelle sua roccaforte rurale, il suo ascendente crebbe, invece, nella capitale (un “mostro” di sette milioni di abitanti con oltre 100.000 rifugiati provenienti dalle zone del conflitto). Ciò fu possibile anche per lo spirito di rivolta che permeava gli strati popolari colpiti dai disastri sociali provocati dallo scoppio di una grave crisi economica (nel 1989 l’iperinflazione raggiunse il 2.775%) e dalle severissime politiche neoliberali imposte dai tecnocrati vicini ad Alberto Fujimori, il dittatore giunto al potere con le elezioni del 1990 e autore, nel 1992, di un autogolpe che portò alla chiusura del parlamento e alla cancellazione di tutte le libertà democratiche.

Intanto, intorno a Guzmán aleggiavano terrore o riverenza. Se il primo sentimento era generato, in quanti avevano preso posizione contro SL, dalla paura di rappresaglie mortali; il secondo aumentò tra i membri di quest’organizzazione dopo il primo congresso del partito, svoltosi nel 1988. Il culto della sua personalità raggiunse livelli da psicopatia. Scomparso ogni richiamo al socialismo di Mariátegui, Guzmán, che aveva assunto il nome di Presidente Gonzalo, “il capo del partito e della rivoluzione”, si trasformò in una figura semi-divina per la quale tutti i militanti (SL raggiunse i 3.000 aderenti, mentre l’EGP ne aveva 5.000) si erano impegnati – anche in forma scritta – a sacrificare la vita. Nei materiali di propaganda diffusi al tempo, si cominciò a parlare di lui come della “quarta spada (dopo Marx, Lenin e Mao) del marxismo”, del “più grande marxista vivente della terra”, o della “incarnazione del pensiero più elevato della storia dell’umanità”.

In realtà, durante la gran parte del conflitto, egli non lasciò mai Lima e si tenne lontano dai rischi e dalle privazioni della guerra. Poco dopo la sua cattura, avvenuta nel settembre del 1992, propose l’accordo di pace che aveva sempre categoricamente rifiutato in precedenza e, in cambio di privilegi carcerari, giunse finanche a elogiare il regime di Fujimori. Seguirono altri otto anni di guerriglia a bassa intensità tra lo stato peruviano, profondamente autoritario e corrotto, e il settore di SL (Proseguir) che non aveva accettato la svolta del “Presidente Gonzalo”, il leader che sarà ricordato per aver dato vita alla più abominevole esperienza politica commessa, in America Latina, in nome del socialismo.

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Alfonso M. Iacono, Il Tirreno

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El fantasma de Marx remece Wall Street y el mundo

Cuando en 1989 los agoreros del neoliberalismo anunciaban con júbilo el fin de la historia y el triunfo definitivo del capitalismo, jamás imaginaron que 19 años más tarde, el fantasma de Karl Marx recorrería el corazón de Wall Street y de los principales centros de reproducción de la usura mundial, invocado por ellos mismos.

Hoy, con desesperación creciente, buscan en la obra del proscrito Marx, las claves para comprender la magnitud de la crisis actual del capitalismo, que desde 2008 sacude la economía global. Buscan una salida cosmética – que asegure los intereses del capital – en el contexto de una crisis multifacética que incluye los ámbitos económico, financiero, alimentario, energético y ambiental.

En forma paralela, un grupo de intelectuales de diversas partes del mundo, agrupados en la Fundación Internacional Marx Engels (IMES), trabaja desde hace años en una tarea largamente inconclusa: realizar una edición integral y científica de la obra de Marx y Friedrich Engels. La publicación de las obras completas de ambos pensadores, se inició en 1920 en la ex Unión Soviética, iniciativa conocida como Proyecto MEGA por sus siglas en alemán. En él participaron intelectuales soviéticos y alemanes, pero sucumbió producto de las purgas stalinistas y el auge del nazismo en Alemania. En 1975 se reanudó el denominado MEGA 2, que corrió la misma suerte con el fin de la Unión Soviética y los socialismos reales en 1989.

La IMES, nació en 1990 con el objetivo de retomar y concluir el proyecto MEGA 2, que contempla cuatro secciones con toda la obra de Marx y Engels, la correspondencia, El Capital y sus manuscritos preparatorios y más de doscientos cuadernos de apuntes en nueve lenguas, que son la base de la elaboración de Marx. En la actualidad, han sido publicados 52 volúmenes de un total de 114.

Para Marcello Musto, politólogo y filósofo italiano que conversó con Punto Final, Marx es un autor mal conocido. “La edición de su obra completa nos permitirá acceder a un Marx diferente al que nos presentaron muchos de sus seguidores y adversarios”, puntualizó. Musto es una de las figuras jóvenes actuales más importantes en el estudio y enseñanza del marxismo y se desempeña como académico del Departamento de Ciencias Políticas de la Universidad de York en Toronto, Canadá. De visita en Chile, realizó una charla el 19 de julio en la Universidad Arcis, donde presentó el libro “Tras las Huellas de un Fantasma: la actualidad de Karl Marx”, del cual es compilador. El texto incluye las investigaciones filológicas más recientes de la obra íntegra de Marx y Engels, actualmente en proceso de edición.

Crisis cíclica y estructural

Marx analizó en profundidad el capitalismo y elaboró una teoría para superarlo y transitar hacia el socialismo. La aplicación de esta teoría en la ex Unión Soviética y los países de Europa del Este fracasó. En su opinión, ¿cuáles son las causas fundamentales de este fracaso?

Es importante precisar, que el objetivo esencial de Marx era entender el modo de producción capitalista, empresa monumental a la cual dedicó la mayor parte de su vida. Ello no significa que no le interesara analizar y dar algunas indicaciones sobre la sociedad comunista. Esos análisis sobre la etapa pos capitalista, constituyen un verdadero tesoro y los incorporó en los manuscritos preparatorios de El Capital y en otras notas, que hoy podemos conocer. En la experiencia de la ex Unión Soviética, la aplicación del marxismo respondió a una situación económica y social concreta de ese país, y ciertamente existieron diferencias con la teoría de Marx.

¿En qué ámbitos concretos?

En aspectos como la libertad, la distinción entre socialismo y comunismo, que Marx no planteó, y la idea de una organización política y económica bajo el dominio de la vanguardia del partido, que posteriormente también se transforma en la vanguardia del estado. Para Marx, la emancipación de los trabajadores debe ser obra de ellos mismos, algo muy distinto a lo que sucedió en los años grises del socialismo real.

Marx planteó el carácter cíclico y estructural de las crisis del capitalismo y la actual tiene un carácter multifacético que la hace más profunda que las anteriores. ¿Existe posibilidad de solución dentro del sistema, como pretenden los economistas neoliberales o enfrentamos el imperativo de construir una alternativa al capitalismo?

Con el análisis que hizo Marx, uno podría incluso burlarse de la superficialidad con que algunos economistas contemporáneos pretenden explicar la crisis. Plantear que es un fenómeno pasajero y reducir las causas a una simple falta de regulación de mercado y a la usura de algunos grupos económicos aislados, es simplemente ridículo. Enfrentamos una crisis estructural del capitalismo, que dada su profundidad no tiene solución dentro del sistema. Hay que entender que para el capital la crisis no es un problema sino una solución, que permite destruir las conquistas sociales y profundizar los niveles de explotación. La necesidad de superar la crisis la tienen los trabajadores, como decía Marx, para salir de la anarquía del capitalismo. Por ello, se requiere una alternativa al sistema, pero vivimos una paradoja: el poder ideológico dominante es tal, que frente al desastre ambiental y energético, se puede hablar del fin del mundo, pero no del fin del capitalismo.

Se necesita más que indignación

La crisis del sistema ha despertado la indignación de millones de personas en el mundo, que se movilizan contra el modelo. ¿Cómo visualiza el carácter de la lucha de los indignados en el mundo? ¿Luchan por más equidad y justicia dentro del sistema o existe el germen de una lucha por construir una alternativa al capitalismo?

Tengo un gran respeto por las movilizaciones contra el modelo en distintas partes del mundo, pero pienso que la lucha de los indignados no tiene un sentido anticapitalista. Los moviliza la indignación por las injusticias evidentes del sistema y difícilmente podría uno esperar algo más, luego de una derrota tan dramática como la de 1989. Vivimos un contexto complejo desde el punto vista político y teórico, parecido al que enfrentó Marx, con gran efervecencia política y fuerte presencia del anarquismo. Él fue muy crítico con estos movimientos porque consideraba que no eran la alternativa al capitalismo que él sentía necesaria. Hoy se habla mucho de la circulación, de cambiar la forma de moneda, de comercio justo, de banca solidaria. Es la misma polémica que Marx tuvo con Proudon, con el anarquismo iconoclasta que pensaba que modificando la circulación cambiaba el sistema. Si los movimientos sociales, que en la actualidad protestan contra el capitalismo quieren de verdad cambiar las condiciones económicas y sociales, construir una alternativa, necesitan a Marx.

Usted ha planteado que si la izquierda no quiere desaparecer, tiene que volver a saber interpretar las verdaderas causas de la crisis actual del capitalismo, y tener el coraje de proponer y experimentar las respuestas radicales necesarias para superarla. ¿Cuáles son esas respuestas radicales?

Si la izquierda se plantea realizar sólo transformaciones superficiales e insiste en defender y administrar los desastres del capitalismo, significará su autodestrucción y el fortalecimiento de la extrema derecha, que en la actualidad es muy fuerte en Europa. A diferencia de 1989, donde esa derrota afectó fundamentalmente a los partidos comunistas de la órbita soviética, será el principio del fin de los partidos socialistas y de la social democracia. Hay que oponerse al capitalismo y plantear una alternativa.

¿Es esa alternativa el socialismo?

Puede ser el socialismo, pero es esencial determinar las características de ese socialismo. Aspectos como el medio ambiente, la energía y la ecología deben ser fundamentales. También a la luz del estudio de las últimas notas de Marx pienso que debe existir una participación radical, una democracia – Marx utilizaba la expresión autogobierno de los productores -, que implica una participación política y económica del pueblo. En la democracia neoliberal, la esfera económica domina a la política y la ha privado del control democrático, a tal punto que un cambio de gobierno no altera las directrices de la política económica y social. Pienso que debemos hacer lo opuesto: la esfera política, de participación tiene que ser potenciada al máximo. Algunas experiencias de América Latina me parecen esperanzadoras, porque existe un movimiento social amplio y fuerte.

¿A qué experiencias se refiere?

Las nuevas constituciones políticas en Bolivia y Ecuador son un hecho importante. Visité Bolivia y vi un movimiento político social fuerte con conciencia, que en mi opinión constituye un elemento esencial para que podamos hacer algo distinto a la derecha. Es fundamental que los gobiernos de izquierda de estos países dialoguen con los movimientos sociales y transforman esta experiencia en algo plural, aceptando las diferentes culturas de izquierda. Si no lo hacen, enfrentarán serios problemas, lo que sería muy negativo para la izquierda de esos países, de América Latina e incluso para la izquierda mundial.

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Agustín Santella, Crítica y Emancipación

“La nueva edición crítica de la obra de Marx y Engels sobre la que giran los ensayos incluidos nos permite reflexionar sobre un Marx libre de todo dogmatismo, de toda prevención ideológica, y abierto a la problemática viva de nuestro tiempo”, dice Gabriel Vargas Lozano en el prólogo.

En la introducción Marcello Musto muestra las maneras del redescubrimiento de Marx. El libro luego divide tres secciones, una histórica filológica (Neuhaus, Hubmann), otra sobre el estado empírico de las investigaciones marxistas en el mundo (Omura, Xiaoping, Musto, Almeyra) y otra sobre interpretaciones nuevas de Marx (Haug, Kratke, Reuten, Arthut, Dussel, Bidet, Musto). Hay un exquisito apéndice donde Marcello Musto entrevista a Hobsbawm.

En la primer parte se muestra el sustrato material de la apertura de Marx. Este sustrato está representado por el enorme proyecto editorial de las obras completas de Marx y Engels, MEGA por sus siglas en alemán (Marx-Engels Gesamtuausgabe). El objetivo de este proyecto es publicar todos los registros escritos de ambos, no sólo obras terminadas sino borradores, anotaciones sobre otras obras, artículos periodísticos, notas de lectura, o correspondencia (se contaron “15.000 cartas a asociaciones, partidos y personas”, se dice en el prólogo al libro). Hay que recordar que la obra conocida actual de Marx y Engels se fue publicando progresivamente, todavía de manera inconclusa, a lo largo del siglo XX. Musto muestra en un cuadro los principales textos de Marx según año de publicación. 15 de estas 38 obras principales fueron publicadas después de 1900.

Sabemos que los tomos II y III de El Capital fueron editados por Engels después la muerte de Marx. Como demuestra Marcello Musto, mucha de la obra de Marx publicada posteriormente también sufrió o fue modelada según criterios ideológicos, teóricos y políticos que no eran los de Marx. Generalmente estos criterios apuntaron a la propaganda y difusión, en un proceso de sistematización o codificación de un pensamiento creativo, crítico y que adoptaba fases o contradicciones propias en un proceso de investigación. Sin embargo, probablemente a partir de las primeras presentaciones sistemáticas de Engels, fue llegando al público masivo un Marx “granítico”, “todopoderoso”, lleno de respuestas más que preguntas, un marxismo sin dudas, con leyes objetivas que explican todo.

La filología es un método útil para estar perspectiva de lectura crítica de textos que habían sido leídos como cerrados en sí mismos. Como dice Manfred Neuhaus en su contribución, “el punto decisivo, se podría decir el retorno al paradigma editorial antiguo, es el principio de la genética del texto: el imperativo absoluto no es ya generar un texto que se acerque lo más posible a las intenciones del autor sino documentar este texto en su génesis, o sea, desde el primer esbozo hasta la edición final” (p. 67). Esto debería interesar o relacionarse con la comprensión de un pensamiento en permanente construcción, basando antes en criterios de racionalidad autónoma que en principios de autoridad. El método científico crítico trasciende a su autor ya que para que funcione implica la comprensión crítica de sus practicantes. Entonces la filología interesa para saber cómo llegó un autor a tales resultados, con tales fuentes y materiales, en tales contextos. Las MEGA2 proveerán de estas fuentes no publicadas. Hubmann menciona algunos ejemplos. Mencionemos que Marx construyó el concepto de fetichismo de la mercancía leyendo estudios histórico religiosos como el de De Brosses, cuyo registro se encuentra en el volumen MEGA IV/1. Una profundización de la relación de las lecturas que hizo Marx con la génesis de su producción la hace Musto en su capítulo “Marx en Paris”. El carácter dinámico de la investigación se resalta como hipótesis de lectura de estos documentos inéditos: “no homogéneos y muy lejos de presentar una conexión estrecha entre las partes, los manuscritos son, más bien, la expresión evidente de un pensamiento en continuo movimiento” (p. 125).

La génesis de los intentos de unas obras completas de Marx Engels es una parte de la historia del marxismo como movimiento histórico. El primero fue hecho por Riazanov, luego desaparecido por el estalinismo (fueron las primeras MEGA). El segundo, más limitado, fue una edición de Alemania Oriental. Las MEGA2 surgen de ex miembros de las academias del Partido Comunista de éste país, en asociación con el IISG de Holanda (Instituto Internacional de Historia Social, archivo donde se conserva gran parte de los originales de Marx, Engels, Kautsky, y tantos otros), y grupos académicos de distintas universidades (rusos, japoneses, alemanes). Partiendo de aquí, dice Neuhaus, “los tres deseos relacionados con la continuación de los trabajos de la MEGA” eran la “despolitización, internacionalización y academización” (p. 71). Este punto es especialmente polémico.

Los capítulos de Omura y Xiaoping son extraños pero interesantes para los lectores latinoamericanos, ya que describen detallada y sintéticamente la expansión de la obra de Marx Engels en Japón y China. Omura ofrece una mensuración sobre las investigaciones de El capital en Japón, por ejemplo. Se gráfica una importante actividad intelectual crítica basada en Marx. Mas intrigante para nosotros latinoamericanos es el estado de la investigación marxiana en China, país que formalmente adhiere al comunismo todavía hoy. En su capítulo Wei Xiaoping sostiene que la edición de las MEGA2 ayudará a superar la versión dogmática del marxismo que se difundió en aquel país. Sostiene que esto empezó a cambiar desde 1978 en China, incorporándose lecturas en los contextos del marxismo académico y el marxismo occidental. No obstante sus conclusiones son ambiguas, y sugieren la posibilidad de un Marx que avale las reformas capitalistas en aquel país.

El libro incluye un capítulo de Guillermo Almeyra sobre la difusión y recepción de Marx en América Latina y Argentina en particular. Esta difusión muestra los límites de una aplicación no crítica mencionada por los demás autores. Refiriéndose al “enviado de Marx” a la Argentina (el belga valón Raymond Wilmart), escribe que “el delegado de la AIT sin duda fue el primero que introdujo el pensamiento de Marx en América Latina, pero estuvo muy lejos de utilizarlo para hacer un análisis de la sociedad en la estaba, ya que sus prejuicios eurocéntricos y su desconocimiento de las clases que conformaban la misma, así como de la historia de la lucha entre ellas, lo empujaron hacia el retorno al medio social con el que había roto cuando salió de su hogar convertido en blanquista” (p. 140).

Las conclusiones de Almeyra no solo son interesantes sino que actuales para una concepción marxiana abierta. “En resumen, es lícito afirmar que Marx entra en América Latina tardíamente en la obra de Mariátegui (cuyo marxismo viene de Gramsci vía Gobetti) y de pensadores como Bagú…” (p. 145). “Para Mariátegui la liberación de los indígenas y la realización de las tareas democráticas, como la revolución agraria, no podían ser obra de una burguesía nacional debilísima, prácticamente inexistente, sino de una revolución proletaria y campesina que planteara el socialismo…Mientras que el discípulo de Marx Ave Lallemant se despreocupaba del sujeto de la revolución y veía a ésta como el resultado d desarrollo y de las contradicciones en las fuerzas productivas, Mariátegui pone en primer plano al sujeto obrero y popular de la transformación revolucionaria y ve el triunfo socialista no como inevitable sino como una tarea a realizar” (p. 144). La cuestión del sujeto obrero y popular latinoamericano se sigue discutiendo vivamente en las izquierdas de nuestro continente.

La tercera sección es las más teórica, metodológica y filosófica. Sin dudas mantiene el hilo general del libro en torno de una concepción no dogmática de la obra de Marx. Lo hace en la discusión e interpretación de las relaciones entre dialéctica y crítica de la economía política, en las relaciones entre Hegel y Marx, o con la filosofía en general. “La obra de Marx sigue siendo todavía hoy contemporánea, porque puede entenderse no como dogma sino como un proyecto teórico-práctico abierto y de hecho como aportación crucial para la compresión teórica del emergente capitalismo de alta tecnología” (Haug, p. 150). Podemos entender que los autores de esta sección coinciden en que el método de Marx apunta a una dialéctica más allá de Hegel, que no solo lo invierte sino que lo desplaza desde otra concepción.

Así Haug cita a Bidet escribiendo que “una lectura rigurosamente dialéctica solo puede ser aquella que no lee el principio a la luz de lo que viene después” (162). Esto viene a cuento de la genealogía del mismo pensamiento de Marx (sus etapas), por un lado, pero fundamentalmente sobre su concepción de la dialéctica materialista. El desarrollo no tiene finalismo debido a que el movimiento de la contradicción no son formas del concepto (que se conoce a sí mismo) sino formas de la práctica social. De las implicaciones puede mencionarse una crítica a entender la crítica de la economía política como dialéctica del capital como el sujeto. Esto podría sostener según la línea hegeliana, suponiendo que la totalidad cognoscible está dada por el capital como sistema reproductivo. El desplazamiento materialista conduce a la práctica de la relación social del antagonismo, de por sí abierta tanto en la lógica como en la historia. El cierre hegeliano es la completitud del sistema de concepto a esencia, una lógica que se corresponde bien con la idea de que la historia racional es capitalista o técnico productiva (nos referimos que la visión tecnologicista supone el final de la historia en el principio).

Marcello Musto menciona a Michael Lebowitz y Moishe Postone como muestras destacadas de “interpretación general innovadora del pensamiento de Marx” (nota 74, p. 46). Ambos autores produjeron libros importantes de interpretación de las categorías de la crítica de la economía política marxianas. Pero podemos decir que ejemplifican la dualidad señalada arriba entre una problemática centrada sea en la clase trabajadora o en el capitalismo como sujetos históricos. En Más allá de El capital, Lebowitz señala críticamente la ausencia del libro del trabajo asalariado en El capital. Esta ausencia es la falta de construcción de una economía política del trabajo, o de los trabajadores. El problema sería que El capital no incorpora a la lucha de clases en su diseño expositivo.

Postone utilizó los Grundisse para desarrollar la categoría de valor y de capital como conceptos socio-históricos, dando un paso más en la crítica de las categorías económicas. Aquí el capital se convierte en el sujeto de la historia, incluso como lógica abstracta temporal con independencia de la subjetividad de las clases antagónicas. La lectura de Postone afina bastante en variados aspectos incluyendo la manera en que la lucha de clases modifica históricamente las formas del capital. El tiempo social abstracto de trabajo se convierte en la temporalidad histórica unidireccional. Puede subvertirse pero mediante una socialidad general posibilitada por el desarrollo capitalista.

La perspectiva de Lebowitz grosso modo se acerca a quienes de distintas maneras pusieron a la lucha del trabajo y los trabajadores en el mecanismo histórico de cambio más relevante. En la actualidad esta perspectiva a su vez insiste en la multidireccionalidad del proceso histórico. Dicho de otra manera, que la crisis del capitalismo como sistema histórico depende de la lucha subalterna que genera una nueva alternativa. La interpretación la mayoría de los capítulos del libro en la sección que se titula “El capital: la crítica inconclusa” abona esta perspectiva, o en todo caso la sección entera podría leerse desde esta dualidad. Esto es especialmente importante teniendo en cuenta que el debate por la alternativa se ha acrecentado en el contexto de la crisis internacional. El pensamiento abierto goza de amplia difusión, pero muchas veces sin bases teóricas sustentables. Frente a ello las interpretaciones marxistas ortodoxas se benefician de esta debilidad, pero insistiendo en que la estrategia revolucionaria “materialista” se sostiene por el conocimiento de las “leyes científicas objetivas”. Paradójicamente o no, este positivismo se combina y se combinado con cierto hegelianismo. Pero, como dice Arthur, “la crítica del capital es paralela a la crítica de Hegel” (p. 213).