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Guido Liguori, Critica Marxista

Marx, una biografia intellettuale e politica

Da molti anni Marcello Musto percorre la via dello studio di Marx attraverso la considerazione parallela della biografia del pensatore di Treviri e della sua produzione teorica.

Un confronto che anche nel caso di altri autori (si pensi a Gramsci) ha dato ottimi frutti e che appare tanto più necessario quando l’autore in questione è anche un rivoluzionario, un pensatore che ha la speranza di mettere almeno parzialmente a frutto le sue idee per influenzare la scena politica. Anche questo ultimo lavoro di Musto, Karl Marx. Biografia intellettuale e politica 1857-1883 (Torino, Einaudi, 2018, pp. 329) adotta il metodo dei precedenti, concentrando la propria lente focale su uno dei periodi più rilevanti della vita di Marx, il quindicennio 1857-1883, dai Grundrisse al Capitale, dalla critica dell’economia politica alla fondazione dell’Internazionale, dalla perdita delle speranze rivoluzionarie agli anni della sua maggiore influenza politica e culturale.

Dagli anni Cinquanta in poi, infatti, Marx (il Moro, come era chiamato e amava farsi chiamare) fa vita ritirata, da studioso, tra problemi economici familiari,
malattie, devastato dalla sua scrupolosità scientifica, colpito dalle sue errate previsioni sullo scoppio di una rivoluzione più volte ritenuta imminente. Egli matura
la consapevolezza che la «crisi risolutiva» non esiste. La certezza della «rivoluzione alle porte», che di nuovo lui ed Engels avevano maturato dal 1856, lascia il posto alla disillusione, ma anche allo studio accanito, all’indagine scientifica. Da qui scaturirà la maggiore opera di Marx, un’opera incompiuta, sottolinea Musto, che segue il work in progress del Capitale lungo molti anni, dando conto dei lavori preparatori, delle varie stesure, delle difficoltà affrontate.
In parallelo, un interesse per la politica che non viene mai meno, dallo sguardo particolare sulle cose tedesche (del 1861 è la visita a Berlino a Lassalle, futuro
acerrimo nemico) agli articoli sulla guerra civile americana e sul colonialismo. E, soprattutto, la fondazione (nel 1864) dell’Associazione internazionale dei lavoratori, poi nota come Prima Internazionale. E quindi la Comune, di cui Marx vede subito i limiti, ma di cui sa cogliere l’immenso valore politico.
Molte energie sono spese da Marx nella lotta contro le altre correnti dell’Internazionale. In primo luogo i «mutualisti» seguaci di Proudhon, riformisti che ritengono che «l’emancipazione sarebbe stata raggiunta tramite la fondazione di cooperative di produzione» (p. 107), che non accettano l’obiettivo della «socializzazione dei mezzi di produzione», accolto infine dal Congresso di Bruxelles del 1868. Tale «socializzazione dei mezzi di produzione» vuol dire per Marx che essi «dovranno appartenere alla società, rappresentata dallo Stato, ma uno Stato esso stesso soggetto alle leggi di giustizia», ovvero che cave, bacini carboniferi e le altre miniere, le ferrovie, ecc. «verranno concessi non a compagnie di capitalisti […] ma ad associazioni di lavoratori » (p. 108).
La vittoria contro i mutualisti è vittoria contro coloro che respingono la tesi della necessaria conquista dello Stato da parte del proletariato, che il Moro propugna.
D’altra parte, però, egli lotta accanitamente anche contro i lassalliani, che credevano che sarebbe stato possibile instaurare il socialismo con l’aiuto fondamentale dello Stato borghese, appoggiandosi allo Stato esistente e non conquistandolo e rifondandolo (una discussione aperta in fondo ancora oggi). E infine contro gli anarchici, che con l’adesione di Bakunin all’Internazionale (adesione ambigua, segnata da secondi fini e organizzazioni segrete e parallele) diverranno il principale nemico. La lotta contro gli anarchici segnerà anche la fine dell’Associazione, con lo spostamento (proposto da Engels) del suo Consiglio direttivo a New York: Marx preferiva rinunciare a un centro unico di coordinamento mondiale piuttosto che vederlo cadere nelle mani delle correnti più settarie ed estremistiche. Ma in realtà – spiega Musto – l’Internazionale si era troppo ampliata per continuare ad avere la struttura con cui era nata nel 1864, e stava cambiando il panorama politico, col rapido rafforzamento degli Stati nazionali, e anche con la repressione seguita alla Comune di Parigi. In quegli anni Marx modifica alcune convinzioni precedenti. Egli perviene alla idea che fosse necessario costituire nelle diverse realtà nazionali dei partiti proletari autonomi dalle forze democratico-borghesi (p. 135), superando dunque alcune enunciazioni del Manifesto. Ancora una citazione, fra i tantissimi spunti presenti nel libro, mi pare meriti almeno la collaborazione tra Marx e il leader socialista francese Jules Guesde, per mettere a punto il Programma elettorale dei lavoratori
socialisti. Da esso si evincono alcune idee politiche fondamentali di Marx: un potere decentrato che garantisca la partecipazione, la trasformazione di tutte le imposte dirette in una imposta progressiva, uno Stato laico, una istruzione per tutti, l’annullamento dei contratti di privatizzazione di banche, ferrovie, ecc. Ma anche la convinzione per cui la classe lavoratrice debba «opporsi a ogni forma di socialismo di Stato e mobilitarsi per conseguire l’autogestione delle officine, attraverso l’affidamento “di tutte le fabbriche dello Stato […] agli operai che in esse lavorano”» (p. 183). Il 1880 è anche l’anno dell’Inchiesta operaia redatta
da Marx per i lavoratori francesi, 101 domande diffuse in 25.000 copie dalla Revue Socialiste. Marx chiede agli operai di descrivere la fabbrica in cui lavoravano, il tempo e il tipo di lavoro, i problemi che ne derivavano alla salute, il salario (a tempo o a cottimo, settimanale o mensile). E il conflitto di classe: scioperi, società di mutuo soccorso, ecc. Un modello, l’inchiesta operaia, che sarà ripreso nel Novecento, e che andrebbe ripreso ancora oggi, per conoscere quella realtà di classe che col Moro è necessario continuare a ritenere fondamentale.

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Thus Capital

The work that, perhaps more than any other, has contributed to changing the world in the last 150 years, had a long and difficult gestation.

Marx started writing Capital only many years after he began his study of political economy.  Although he had already developed his critique of private property and idea of alienation in 1844, it was the financial crisis of 1857 – which began in the United States and spread across Europe – that ultimately drove him to put pen to page and begin writing what he initially called his “Economy”.

The crisis, the Grundrisse and poverty
With the onset of the financial crisis, Marx foresaw the birth of a new stage of social upheaval that he believed could lead to a revolutionary movement capable of transcending capitalism. He believed that the proletariat urgently needed a critique of the capitalist mode of production. From this was born the Grundrisse, eight large volumes in which, amongst other themes, Marx examined the formation of pre-capitalistic economies and elaborated on some important characteristics of his communist society like the importance of liberty and the intellectual development of the individual.

However, the revolutionary movement that Marx believed would emerge from the financial crisis remained illusory and Marx, now acutely aware of the theoretical shortcomings of his work, did not publish these manuscripts. The only section of the Grundrisse that would go to the press, and only after an extensive revision, was “The Chapter on Money”. Published in 1859 as A Contribution to the Critique of Political Economy, the text was only reviewed by a single person: Engels. Marx’s plan for the rest of the Grundrisse was to divide the manuscripts into six books.  He believed that this would allow him to dedicate each volume to a separate subject matter: capital, property ownership, wage labour State, foreign trade and the global market.

When, in 1862, because of the American Civil War, the New-York Tribune fired him from his job as their European correspondent, Marx – who had worked for the American daily for over a decade – and his family were plunged into the same level of destitution that they had experienced during their early years in London. Marx only had the help of Engels, to whom he wrote “Every day my wife says she wishes she and the children were safely in their graves, and I really cannot blame her, for the humiliations, torments and alarums that one has to go through in such a situation are indeed indescribable”. His condition was so desperate that, in his worst weeks, he went without food for his children and paper to write on. He applied for work at an English railway office, however, was denied the job on the basis of his poor handwriting. Consequently, in the face of these indignations, Marx’s work continued to suffer from long delays.

Surplus value and carbuncles
Despite these significant hurdles, Marx conducted a rigorous examination of economic theory during this period.  In an extensive manuscript entitled Theories of Surplus Value, he argued that the major economic theorists of the time had erroneously understood surplus value as either profit or income. Marx, conversely, argued that surplus value should be understood as the specific form through which the exploitation of capitalism was made manifest. This was because the workers gave up a part of their workday freely to the capitalist who then tried to generate surplus value by means of this surplus labour: “it is no longer enough for the worker to produce in general, he must now produce surplus value”. The theft of only a few minutes from lunch or breaks of each worker translated into the shift of an immense mass of riches into the owner’s pockets. Intellectual development, social obligations and holidays were for capital were “merely frills”. Factory owners would oppose labour legislation in the name of “freedom to work”.

But for Marx, the motto of capitalistic mind set towards all aspects of life – including the consideration of ecological questions (a topic rarely, if ever, addressed by his contemporaries) – was not freedom but “Après moi le déluge!” (“After us, the flood!”). He believed that the reduction of the working day, together with the additional surplus of labour, constituted the first terrain upon which the class struggle would be fought.  By 1862, Marx had chosen a title for his work: Capital. He thought he was ready to draft the final version but on top of overwhelming financial difficulties, he now also suffered significant health problems. Nicknamed “the terrible disease”, by his wife Jenny, the remaining years of Marx’s life would be plagued by ill health. He suffered from carbuncles, a hideous infection that manifests itself as abscesses, ulcers and serious debilitating boils all over the body. Because of a deep ulcer, followed by the appearance of a large abscess, Marx underwent an operation and “for quite a time his life was in danger”. His family was now, more than ever, on the brink of the abyss. Despite these adversities, the ‘Moor’ (his nickname) recovered and, at the end of December 1865, finished the first draft of what would become his magnum opus. Furthermore, in autumn 1864, he enthusiastically participated in the International Working Men’s Association, drafting, during eight intense years, all of its principal political documents. Studying by day in the library in order ensure the merit of his discoveries and working on his manuscript by night, Marx would submit himself to this exhausting daily routine until his body failed him.

An integrated whole
By this time, Marx had reduced the size of his initial project from six to three volumes on capital, but he maintained the hope of publishing them together. In fact, he wrote to Engels: “I cannot bring myself to send anything off until I have the whole thing in front of me. Whatever shortcomings they may have, the advantage of my writings is that they are an artistic whole, and this can only be achieved through my practice of never having things printed until I have them in front of me in their entirety”. Marx’s dilemma, to “do a fair copy of part of the manuscript and send it to the publisher, or finish writing the whole thing first”, was fortuitously solved by carbuncles. Marx was taken by yet another attack, this time the most violent he had ever had, and found himself close to death. He later told Engels that it was “a close shave this time”; the doctor told him that the reason for the attack was excessive work, particularly his late nights work vigils.

After this alarming event, Marx decided to concentrate only on his first book, the “The Process of Production of Capital”. Nevertheless, the carbuncles continued to torment him and for entire weeks, Marx was not well enough to be seated. In this desperate state, he even tried to operate on himself using a well-sharpened razor.  He later told Engels that he could “lance ‘the cur’ all by himself”. Much to Marx’s disappointment, the completion of his work was delayed not by “theoretical considerations” but because of “physical and bourgeois reasons”.

When in April 1867, the manuscript was finally finished and Marx was ready to travel to Germany to have the book published, he asked a friend from Manchester – who had helped him constantly for 20 years – to send him money so that he could free his “clothes and timepiece from their abode at the pawnbroker’s”. Marx survived with only the essentials without which he could not leave for Germany, where his manuscript would be published. The corrections of the drafts took the remainder of the summer and when Engels observed that the exposition of the idea of Value-form was too abstract and had “the marks of the carbuncles rather firmly stamped on it”, Marx responded: “I hope the bourgeoisie will remember my carbuncles until their dying day”.

Capital went on sale on 14 September 1867. One century and a half after its publication, it has become one of the most translated, sold and discussed works in the story of humanity. For those who wish to understand capitalism, and also why workers must fight for a “superior form of society whose fundamental principle is the full and free development of each individual”, Marx’s Capital is, now more than ever, an indispensable work.

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Maoísmo en los Andes: La historia de Abimael Guzmán, líder de Sendero Luminoso

La ciudad se sitúa en el centro de la Sierra peruana y ha estado marcada, durante muchos años, por la miseria extrema. Espacial y culturalmente alejada de Lima y de los centros más modernos del país, se halla inmersa en una tierra cuya producción, hasta hace pocas décadas, consistía en un sistema agrícola todavía organizado sobre bases semifeudales. Un tesoro que no dejado nunca de suscitar el interés de antropólogos y estudiosos de las tradiciones populares. Sin embargo, fue precisamente en este lugar remoto, hasta mediados de los años setenta sin carretera asfaltada que lo comunicara con la costa, sin una auténtica red eléctrica y sin televisión, donde se dieron cita los acontecimientos que cambiaron, irreversiblemente, la historia del Perú y que de nuevo pusieron en boca de todo el mundo a esta nación.
En 1962, un joven profesor universitario de veintiocho años llegó a Ayacucho para enseñar filosofía. Introvertido y esquivo, provenía de la espléndida ciudad de Arequipa, donde había estudiado filosofía en el instituto católico distinguiéndose por su disciplina y ascetismo. Poco después de su llegada, Abimael Guzmán aprendió quechua, la lengua más difundida entre las poblaciones indígenas de América Latina, e inició una intensa militancia política. Años después, llegaría a ser famoso en todo el mundo: el líder de Sendero Luminoso, la guerrilla maoísta que emprendió un sanguinario conflicto con el estado peruanoa partir de 1980, cobrandose casi 70.000 vidas durante veinte años.

En los años sesenta, con el estallido de la crisis chino-soviética, el mundo comunista se dividió en dos bloques. El Partido Comunista Peruano no fue ajeno a esta división y, cuando se formalizó la rupturaen 1964, Guzmán se adhirió a la facción filo-china, El PC Bandera Roja. En los años siguientes se sucedieron las escisiones, hasta que en 1970 dejó la organización y fundó el Partido Comunista de Perú – Sendero Luminoso (SL), grupo que se definió heredero de la Revolución Cultural: “el acontecimiento principal de la historia humana”, que había descubierto “como cambiar las almas”. A pesar de las proclamas, la organización surgió sin relación alguna con el campesinado. En todo el país tuvo sólo 51 partidarios y, durante mucho tiempo, su presencia política se limitó tan sólo a la universidad de Ayacucho, donde iban formándose los profesores y el nuevo personal técnico de toda la región interior y meridional de Perú.

En este período, Guzmán asistió a numerosos cursos sobre José Carlos Mariátegui, un agudo y apreciado marxista peruano (por muchos considerado el Gramsci latinoamericano), desaparecido en 1930 y transformado, a pesar de su alejamiento de toda ortodoxia y dogmatismo, en precursor del maoísmo y padre espiritual de SL. Basándose en esquemáticos manuales marxistas, Guzmán comenzó a difundir entre la juventud andina de la zona una visión del mundo extremadamente determinista. El objetivo perseguido fue el de crear un grupo monolítico, caracterizado por una relación opresiva entre partido político y sociedad, que no reconocía espacio alguno a la autonomía de las luchas. De hecho, SL se opuso sistemáticamente a las huelgas y ocupaciones de las tierras, manifestando en muchas ocasiones intolerancia hacia la cultura indígena.

Con todo, en América Latina, fue precisamente este partido, exiguo pero regido por una férrea disciplina, fuertemente centralizado (su principal órgano directivo estaba compuesto por Guzmán, su mujer y su futura compañera) y protegido por el secreto absoluto de sus militantes, el que más cerca estuvo de la conquista del poder político mediante las armas, empresa lograda sólo por Fidel Castro en Cuba y por los sandinistas en Nicaragua.

La Guerra Popular
Entre 1968 y 1980, Perú, como el resto de países latinoamericanos, conoció su periodo de dictadura militar. A finales de los años setenta, Guzmán dejó la universidad para pasar a la clandestinidad y, habiendo extraído de la lectura de Mao Tse-Tung la convicción de que la guerra fuese una etapa indispensable también para la realidad peruana, promovió la creación del Ejército Guerrillero Popular (EGP) como estructura paralela a SL. En los enunciados de Guzmán, la violencia se transmutó en categoría científica y la muerte, por consiguiente, en el precio que la humanidad debería pagar para alcanzar el socialismo: “el triunfo de la revolución costará un millón de muertos”.

El conflicto nació en un clima surreal. En mayo de 1980, durante el transcurso de las primeras elecciones políticas desde 1980, en la plaza central de Chuschi, pueblo poco distante de Ayacucho, los militantes de SL quemaron todas las papeletas electorales. El episodio fue totalmente ignorado, del mismo modo que lo fue el macabro episodio al que debieron asistir los habitantes de Lima pocos meses después cuando, al despertar, encontraron decenas de perros muertos, colgados de algunos semáforos y postes de la luz de las calles, con los carteles, para la mayoría incomprensibles, “Deng Xiaoping hijo de perra”.

En los primeros dos años y medio de guerra, el estado subestimó totalmente la determinación de SL. A mediados de los setenta, al menos 74 organizaciones marxistas-leninistas diferentes operaban en Perú y cuando el gobierno de Fernando Belaúnde decidió intervenir lo hizo sin conocimiento alguno de la estrategia política y militar de la formación que combatía, erróneamente considerada similar a otras guerrillas latinoamericanas (por ejemplo las de matriz guevarista) de las que, sin embargo, estaba totalmente alejada. A pesar del todavía escaso número de sus militantes, que entretanto había ascendido a 520, y el carácter rudimentario de su arsenal, la mayor parte viejos fusiles, la guerra popular de SL avanzó notablemente en este período. Belaunde decidió entonces utilizar las fuerzas armadas y Ayacucho se convirtió en el área de un comando político-militar de la entera región.

Esta segunda fase del conflicto se distinguió por la violenta represión contra las poblaciones locales. El racismo de los soldados llegados de la ciudad, que identificaban en cada campesino un peligro potencial y, por tanto, un objetivo a eliminar, contribuyó a incrementar el número de muertos. Laslibertades políticas fueron suprimidas, y las autoridades civiles sustituidas por exponentes del ejército que dirigían, arbitrariamente y con abusos, los Comités de Defensa Civiles, a medio camino entre campamentos militares y centros de tortura. Frente a esta estrategia, SL respondió intentando crear áreas de “contrapoder”: los Comités Populares. Es decir, “zonas liberadas”, rígidamente gobernadas por comisarios nombrados por el partido, que servían de base de apoyo a la guerrilla. Además, en el trienio siguiente, Guzmán decidió extender el conflicto a escala nacional, partiendo de la capital. Por consiguiente, a finales de la década (en 1984 había surgido también la guerrilla Movimiento Revolucionario Tupac Amaru), el 50% del territorio estaba bajo control militar.

En esta fase, el proceder de Guzmán degeneró en el más extremo de los maniqueísmos, en virtud del cual, identificados como enemigos absolutos cuantos no pertenecían al partido, toda realidad política no controlada por SL se convirtió en objetivo militar, incluidos representantes de campesinos, sindicalistas y líderes de organizaciones femeninas. La estrategia seguida consistió en el aniquilamiento selectivo, con el objetivo de crear vacíos de poder para después ocuparlos por dirigentes y militantes de la organización. En efecto, autoridades locales (incluidas las fuerzas del orden) y dirigentes sociales representaron, tras los campesinos que se oponían a sus directrices, el segundo blanco di SL. En total, más 1500 muertos, el 23% de los cuales fueron asesinados deliberadamente por sus militantes, es decir, no en atentados de gran escala.

La Cuarta Espada Del Marxismo
Si en Moscú Gorbachov daba curso a la Perestrojka y en Pekin Deng Xiaoping dirigía China hacia el capitalismo, en Lima, Guzmán decidió incrementar el número de ataques. Golpeado en su fortaleza rural, su ascendente creció, por el contrario, en la capital (un “monstruo” de siete millones de habitantes con más de 100.000 refugiados provenientes de las zonas en conflicto). Ello fue posible por el espíritu de revuelta que permeaba las clases populares golpeadas por los desastres sociales fruto del estallido de una grave crisis económica (en 1989 la hiperinflación llegó al 2.775%) y por las políticas neoliberales impuestas por los tecnócratas próximos a Alberto Fujimori, el dictador que llegó el poder con las elecciones de 1990 y autor, en 1992, de un autogolpe que condujo al cierre del parlamento y a la supresión de todas las libertades democráticas.

Entre tanto, alrededor de Guzmán sobrevolaban el terror o la reverencia. Si el primer sentimiento se generaba, en quienes habían tomado partido contra SL, por el miedo de represalias mortales, el segundo aumentó entre los miembros de esta organización después del primer congreso del partido, celebrado en 1988. El culto a su personalidad llegó a niveles psicopáticos. Desaparecida cualquier referencia al socialismo de Mariáetegui, Guzmán, que había adoptado el nombre de Presidente Gonzalo, “jefe del partido y de la revolución”, se transformó en una figura semi-divina por la cual todos los militantes (SL llegó a tener 3000 partidarios, mientras que el EGP a 5000) se comprometían, incluso por escrito, a sacrificar la vida. En los materiales de propaganda difundidos en la época, se comenzó a hablar de él como de la “cuarta espada (después de Marx, Lenin y Mao) del marxismo”, del “más grande marxista vivo en la tierra” o de la “encarnación del pensamiento más elevado en la historia de la humanidad”.

En realidad durante gran parte del conflicto, Guzmán nunca dejó Lima y se mantuvo alejado de los riesgos y privaciones de la guerra. Poco después de su captura, en Septiembre de 1992, propuso el acuerdo de paz que había siempre rechazado categóricamente con anterioridad y, a cambio de privilegios penales, llegó hasta a elogiar el régimen de Fujimori. Siguieron otros ocho años de guerrilla de baja intensidad entre el estado peruano, profundamente corrupto y autoritario, y el sector del SL (Proseguir) que no había aceptado el giro del “Presidente Gonzalo”, el líder que será recordado por haber dado vida a la experiencia política más abominable, en América Latina, en nombre del socialismo.

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Lorenzo Procopio, IstitutoOnoratoDamen.it

Un libro che mustmarxnel ricostruire il pensiero del Moro non scivola mai nella retorica delle commemorazioni del bicentenario della nascita di Marx.

Il bicentenario della nascita di Karl Marx è stato ricordato in tutto il mondo con numerose iniziative. Molte di queste si sono tradotte in deprimenti commemorazioni di rito, così come è accaduto in occasione del centenario della Rivoluzione russa nel corso del 2017, tanto da rappresentare quanto di più lontano possa essere immaginato dai presupposti teorici del marxismo stesso.

Anche tra le fila delle cosiddette avanguardie rivoluzionarie, il bicentenario ha offerto loro l’occasione per ripetere vecchie giaculatorie così stantie da non essere più in grado, ovviamente, di cogliere nella loro pienezza le moderne contraddizioni in cui si contorce il capitalismo del XXI secolo. Per siffatti “rivoluzionari” rimanere fedeli al pensiero di Marx significa perpetuare fideisticamente vecchie formule non più funzionali alla comprensione delle dinamiche del moderno capitalismo. Così facendo, quella che in apparenza sembra come una difesa ad oltranza del marxismo rivoluzionario, si trasforma in realtà nell’abbandono del materialismo storico, la cui applicazione richiede incessantemente una valutazione critica dei dati  derivanti dal mondo reale. Solo chi abbandona la via maestra del materialismo storico, per sostenere in definitiva una prospettiva metafisica della realtà del capitale, può ipotizzare che la sfida al capitalismo del XXI secolo possa essere affrontata consultando le opere di Marx come il vecchio religioso ebreo consulta il Talmud, ricercando, quindi, nei vecchi testi quelle risposte che invece vanno trovate nelle dinamiche della società attraverso l’utilizzo del metodo d’analisi che ci ha lasciato in eredità il Moro.

Un secondo filone di questi eventi commemorativi ha visto come protagonisti studiosi ed intellettuali che si richiamano direttamente o indirettamente allo stesso Marx. Durante il 2018 è stato possibile osservare come la ricorrenza del bicentenario abbia ancora una volta offerto l’occasione a questi studiosi ed intellettuali di fare sfoggio della loro accademica conoscenza degli scritti di Marx, proponendo in alcuni casi nuove ricostruzioni filologiche, oppure da un lato esaltare la validità della critica dell’economia politica ma, dall’altro, denunciare il completo fallimento della sua prospettiva politica. Per questi signori Marx rimane un grande filosofo e/o economista di cui ancora oggi vale la pena studiare le sue opere, ma la sua critica del capitalismo e le sue teorie politiche non possono essere prese più in considerazione visti i disastri combinati in Russia e nel resto del mondo “comunista” dai suoi epigoni. Si è quindi assistito all’esaltazione di Marx ridotto però a un innocuo filosofo del passato, che nella migliore delle ipotesi può aiutarci a comprendere il mondo moderno ma che assolutamente non può darci una mano per trasformarlo.

A nostro avviso si differenzia dalle altre iniziative editoriali il bel volume di Marcello Musto “Karl Marx. Biografia intellettuale e politica. 1857 – 1883 pubblicato lo scorso novembre da Einaudi.” Un libro che ripercorre gli ultimi 26 anni dell’esistenza di Karl Marx, con dovizia di particolari anche della sua vita privata. Il volume di fatto completa l’altro lavoro di Musto pubblicato da Donzelli nel 2016: “L’ultimo Marx 1881-1883. Saggio di biografia intellettuale”.

Il libro ha lo sfidante obiettivo di ripercorrere lo sviluppo intellettuale e politico di Karl Marx nel corso della sua maturità. Esso ha il pregio, a nostro avviso, di non scivolare mai in un semplice fatto accademico o scadere in una sterile ricostruzione filologica dei suoi scritti, ma, nel rispetto della ricostruzione storica, si assume anche l’onere di dare la giusta attualità politica al suo pensiero.

Il libro, la cui semplicità di scrittura non svilisce il rigoroso utilizzo di un linguaggio scientifico e filosofico, è suddiviso in quattro parti. La prima parte, “La critica dell’economia politica”, è quella che ricostruisce le principali fase di gestazione del “Capitale”; è la parte più corposa del volume ed è arricchita da una serie di descrizioni della vita privata dello stesso Marx che rendono la lettura più piacevole rispetto alla proverbiale aridità di linguaggio proprio della scienza economica. Pur non aggiungendo niente di particolare rispetto ad altre ricostruzioni storiche del lento processo di elaborazione della magnum opus di Marx, questa prima parte dell’opera di Marcello Musto ha il merito di ripercorrere in maniera molto dettagliata la filologia dei manoscritti economici, che rappresentano il vero laboratorio interno del pensiero di Karl Marx.

La seconda parte del libro è dedicata alla militanza politica, e tratta della partecipazione di Marx all’Associazione internazionale dei lavoratori, quella che passerà alla storia come la Prima Internazionale. L’autore ribadisce, in questa seconda parte del suo volume, il ruolo fondamentale svolto da Marx in seno a essa; lo scontro con Lassalle, prima, e gli anarchici di Bakunin, poi. Sempre in questa seconda parte è analizzato quel grande evento che è stata la Comune di Parigi e l’analisi condotta da Marx per la comprensione del primo grande episodio nella storia moderna in cui la classe operaia, seppur per soli due mesi, ha tentato l’assalto al cielo della conquista del potere politico.

La terza parte del libro è dedicata ad una disamina delle ricerche teoriche affrontate da Marx nel suo ultimo decennio di vita. È la parte del lavoro che più direttamente si lega con il volume pubblicato nel 2016 prima richiamato. Nonostante il passare degli anni, le sempre più precarie condizioni di salute e le mai risolte difficoltà economiche, il Moro non solo prosegue gli studi iniziati durante la sua gioventù, ma nell’ultimo decennio allarga i propri orizzonti studiando materie per lui inedite come l’antropologia o l’algebra. Come sottolineato da Musto, tali studi furono affrontati da Marx in vista del completamento degli altri due volumi del Capitale. Come sappiamo, sarà Engels l’amico fraterno e compagno di tante battaglie, a curarne la pubblicazione dopo la sua morte avvenuta il 14 marzo 1883. Con la scomparsa di Marx si chiude anche la terza parte del libro di Marcello Musto.

L’ultima parte è dedicata all’esame delle concezioni di Marx riguardo alla critica alla società capitalistica e al profilo che avrebbe dovuto assumere la futura società comunista.

Dopo aver passato in rassegna i principali esponenti del cosiddetto socialismo utopistico, nella prima sezione della quarta parte, l’autore del libro nella seconda ed ultima sezione analizza tutte quelle opere in cui Marx si sofferma a ragionare sulla futura società comunista. Come correttamente fa osservare Musto, Marx lo fa senza alcun intento prescrittivo.

Marcello Musto suddivide questi scritti di Marx in tre categorie. Nella prima possono essere incluse tutte quelle opere in cui Marx

“criticò le idee ritenute teoricamente sbagliate e politicamente fuorvianti dei socialisti a lui contemporanei. Alcune parti dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 e dell’Ideologia tedesca; il capitolo sulla Letteratura socialista e comunista del Manifesto del partito comunista…”[1].

Nella seconda categoria possono essere raggruppati tutte quegli scritti di lotta politica in cui Marx tratta la questione della futura società comunista; in particolare ci si riferisce al Manifesto del partito comunista, La guerra civile in Francia e a Salario prezzo e profitto. Infine:

“i testi nei quali Marx descrisse più diffusamente, nonché in forma più efficace, le possibili caratteristiche della società comunista furono quelli incentrati sul capitalismo. In significativi capitoli del capitale e in importanti parti dei suoi numerosi manoscritti preparatori, in particolare nei ricchissimi Grundrisse, sono racchiuse alcune delle sue idee fondamentali sul socialismo.”.[2]

Quindi, dopo aver passato in rassegna le principali fonti in cui si parla della futura società comunista, Musto, cogliendo pienamente l’impostazione che Marx dà al problema della realizzazione del comunismo commenta:

“Un attento studio delle considerazioni sul comunismo, presenti in ognuno dei testi menzionati, permette di distinguere la concezione di Marx da quelle dei regimi che, nel XX secolo, dichiarando di agire in suo nome, perpetrarono, invece crimini ed efferatezze. In tal modo, è possibile ricollocare il progetto politico marxiano nell’orizzonte che gli spetta: la lotta per l’emancipazione di quella che Saint-Simon definì la classe più povera e più numerosa”[3] .

Non, dunque, frutto del compimento di un progetto costruito a tavolino da qualche mente illuminata, ma prodotto dalla lotta di classe del proletariato guidato dal suo partito politico. In ogni caso, precisa ancora Musto:

“Così come nel caso dei Manoscritti redatti tra il 1844 e il 1846, si commetterebbe un errore se i principi elencati nel Manifesto del partito comunista, elaborati quando Marx era appena trentenne, venissero assunti come la compiuta descrizione della società post-capitalista da lui propugnata. La piena maturazione del suo pensiero necessitò di tanti altri anni di studio e di ulteriori esperienze politiche”[4].

Musto continua la sua opera di ricostruzione nelle intense pagine finali del suo lavoro, passando in rassegna alcuni passi del Capitale e dei Grundrisse nonché della famosa Critica al Programma di Gotha.

Rinviamo ovviamente alla lettura del libro per un’attenta analisi di quanto egli scrive nel ricostruire il pensiero di Marx in ordine alla futura società comunista, ma ci piace chiudere questa nostra recensione con le stesse parole dell’autore:

“Molti dei partiti e dei regimi politici sorti nel nome di Marx hanno utilizzato, invece, il concetto di dittatura del proletariato in modo strumentale, snaturando il suo pensiero e allontanandosi dalla direzione da lui indicata. Ciò non vuol dire che non sia possibile provarci ancora”. [5]

È noi non possiamo che essere d’accordo con chi considera Marx ancora utile per abbattere questo infame modo di produzione capitalistico.

[1]Marcello Musto – Karl Marx – Ed Einaudi pag. 269

[2] Ibidem pag. 269

[3] Ibidem pagg 269 e 270

[4] Ibidem pag. 274

[5] Ibidem pag. 284

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Shuji Kamioka, Amazon.co.jp

マルクス・リバイバルの旗手役であるムストが若い世代に向けて書いたマルクスの新しい伝記。

学生時代のマルクスから、経済学研究と政治的活動に苦難した時代、そして療養のためのアフリカへの旅まで包括しており、非常に充実した内容となっている。

その最大の特徴としては、批判的・歴史的マルクス=エンゲルス全集であるMEGAと、その研究の成果が反映されているところであろう。それは特に、マルクスが若い時に書いた『経哲草稿』の性格の位置づけ(抜粋ノートのはりつけがいかに多く未完成なものだったか)や、インタナショナルの実態についての叙述、晩期マルクスの共同体論に現れている。

理論的にもう少し展開してほしいところや内容的に修正が必要な箇所は見受けられるものの、ソ連型の伝統的マルクス主義や、それに対抗して現れた初期マルクスを持ち上げるマルクス解釈への批判としては優れた伝記だと言えるだろう。ムストが批判対象としているマルクス解釈が日本では根強いだけに、『経哲草稿』の文献学的考証と、マルクスにとっての「疎外された労働」概念の問題意識と核心について描かれた章はぜひ読まれたい。

個人的に面白かったのは、インタナショナルでのマルクスの活動がかなりページを割いて紹介されているところである。インタナショナルでのマルクスについてまとまっている本はなかなかお目にかかれないので、勉強になった。この箇所を読めば、マルクスがプルードンや相互主義者、バクーニンを批判し、国家権力を(奪取ではなく)利用して労働時間規制を勝ち取る改良闘争をどれだけ重視していたのかがよくわかる。マルクス解釈のなかでは改良闘争の限界ばかりが強調されてきたこともあって、伝統的なマルクス理解に馴染んでいる人ほどこの箇所は新鮮にうつるにちがいない。この改良闘争の強調は、日本では特に重要だろう。なぜなら、日本ではヨーロッパと違って改良闘争すら広がらず敗北してきたからであり、まずはそこから出発する必要があるからである。

以上に挙げた、伝統的マルクス主義や規範論的マルクス解釈の批判、改良闘争の必要性の強調という特徴からして、『アナザー・マルクス』は日本で読まれるべくして生まれた伝記といえるかもしれない。

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Japan Tour – Japan – 23 December 2018.

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Japan Tour 2018-19

2018/12/22, 報告『アナザー・マルクス』、マルクス生誕200年記念国際シンポジウム「21世紀におけるマルクス」、法政大学、東京

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K. Marx in 21st Century

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Đọc Karl Marx! Một cuộc trao đổi với Immanuel Wallerstein

Trong ba thập kỉ qua, các chính sách và hệ tư tưởng tân tự do gần như không bị thách thức trên toàn thế giới. Tuy nhiên, cuộc khủng hoảng kinh tế năm 2008, cùng với những bất bình đẳng sâu sắc tồn tại trong lòng xã hội chúng ta – đặc biệt giữa phương Bắc và phương Nam– và các vấn đề môi trường đầy thảm họa của thời đại chúng ta đã thúc giục nhiều học giả, nhà phân tích kinh tế và chính trị gia mở lại cuộc tranh luận về tương lai của chủ nghĩa tư bản và sự cần thiết của một đối chọn khác. Chính trong bối cảnh này, hầu như ở khắp nơi trên thế giới, nhân dịp sinh nhật lần thứ 200 của Marx, đã có “sự hồi sinh của Marx”; trở về với vị tác gia trong quá khứ vốn thường bị gắn kết một cách sai trái với chủ nghĩa giáo điều Marx – Lenin, và sau đó nhanh chóng bị bác bỏ sau sự sụp đổ của Bức tường Berlin [tháng 11/ 1991].
Trở lại với Marx không chỉ là cần thiết để hiểu được lô gíc và cơ năng của chủ nghĩa tư bản. Công trình của ông cũng là một công cụ rất hữu ích, cung cấp một cuộc thẩm tra nghiêm ngặt giải thích tại sao các thử nghiệm kinh tế xã hội trước đó thay thế chủ nghĩa tư bản bằng một phương thức sản xuất khác lại thất bại. Sự giải thích về những thất bại này là điều rất quan trọng để chúng ta tìm kiếm những lựa chọn thay thế hiện nay.

Immanuel Wallerstein (www.iwallerstein.com), hiện tại ông là học giả cao cấp (Senior Research Scholar) tại đại học Yale, New Haven – Hoa Kì, là một trong những nhà xã hội học vĩ đại nhất còn sống, và là một trong những học giả thích hợp nhất để thảo luận về tính phù hợp cho hiện tại của Marx. Ông là một độc giả của Marx trong thời gian dài và công trình của ông chịu ảnh hưởng bởi lí thuyết của nhà cách mạng sinh ra ở Trier, ngày 5 tháng 5 năm 1818 này. Wallerstein đã viết hơn 30 cuốn sách, được dịch ra nhiều thứ tiếng, bao gồm cả tác phẩm nổi tiếng The Modern World-System [Hệ thống-Thế Giới Hiện Đại], xuất bản thành 4 tập trong khoảng thời gian từ năm 1974 đến năm 2011.

Marcello Musto: Giáo sư Wallerstein, 30 năm sau khi kết thúc cái gọi là “chủ nghĩa xã hội hiện thực”, đã liên tục có các ấn phẩm, những cuộc tranh luận và các hội nghị trên toàn cầu về khả năng của Karl Marx để tiếp tục giải thích hiện tại. Điều này có đáng ngạc nhiên không? Hay ông có tin rằng ý tưởng của Marx sẽ vẫn phù hợp với những người đang tìm kiếm một sự thay thế cho chủ nghĩa tư bản?

Immanuel Wallerstein: Có một câu chuyện cũ về Marx: bạn ném ông ấy ra cửa trước và rồi ông lại lẻn vào qua cửa sổ phía sau. Đó là những gì đã tái diễn. Marx rất phù hợp, bởi chúng ta phải xử lí các vấn đề mà ông vẫn còn có rất nhiều điều để nói và bởi những gì ông nói thì khác với những gì mà hầu hết các tác giả khác lập luận về chủ nghĩa tư bản. Nhiều nhà báo và học giả – không chỉ bản thân tôi – nhận thấy Marx cực kì hữu ích và ngày nay ông đang ở trong một giai đoạn nổi tiếng mới của mình, bất chấp những gì đã được dự đoán vào năm 1989.

Marcello Musto: Sự sụp đổ của Bức tường Berlin đã giải phóng Marx ra khỏi các chuỗi của một hệ tư tưởng ít có liên quan đến quan niệm về xã hội của ông. Bối cảnh chính trị sau sự sụp đổ của Liên bang Xô Viết [năm 1991] đã giúp Marx được giải phóng ra khỏi vai trò bù nhìn cho một bộ máy nhà nước. Điều gì khiến những giải thích của Marx về thế giới tiếp tục thu hút sự chú ý?

Immanuel Wallerstein: Tôi tin rằng khi mọi người nghĩ tới cách diễn giải của Marx về thế giới bằng một khái niệm thì họ sẽ nghĩ đến “đấu tranh giai cấp”. Khi tôi đọc Marx dưới ánh sáng của các vấn đề hiện tại, đối với tôi, đấu tranh giai cấp là cuộc đấu tranh cần thiết của cái mà tôi gọi là Cánh Tả Toàn Cầu – những người mà tôi tin rằng nỗ lực để đại diện cho 80% dân số trên thế giới thuộc tầng lớp bên dưới tính theo thu nhập – chống lại Cánh Hữu Toàn Cầu – đại diện cho khoảng 1% dân số. Cuộc đấu tranh giai cấp giành giựt 19% dân số còn lại. Và đó là cuộc đấu tranh để làm sao họ về phe đông đảo, hơn là về phe còn lại.
Chúng ta đang sống trong thời đại khủng hoảng có tính cấu trúc của hệ thống thế giới. Hệ thống tư bản không thể tồn tại, nhưng không ai có thể biết chắc chắn điều gì sẽ thay thế nó. Tôi tin rằng có hai khả năng: một là cái mà tôi gọi là “Tinh thần Davos”. Mục tiêu của Diễn đàn Kinh tế Thế giới Davos là thiết lập một hệ thống duy trì những đặc điểm tồi tệ nhất của chủ nghĩa tư bản: tình trạng phân cấp xã hội, bóc lột và, trên hết là, phân cực giàu nghèo. Phương án thay thế là một hệ thống phải dân chủ hơn và bình đẳng hơn. Đấu tranh giai cấp là nỗ lực cơ bản để tác động đến tương lai của những gì sẽ thay thế chủ nghĩa tư bản.

Marcello Musto: Suy ngẫm của ông về tầng lớp trung lưu khiến tôi nhớ tới ý tưởng về bá quyền của Antonio Gramsci, nhưng tôi nghĩ điểm mấu chốt là làm cách nào để thúc đẩy cả khối người, nhóm 80% mà ông đã đề cập, tham gia chính trị. Điều này có ý nghĩa rất quan trọng đối với phương Nam, nơi phần lớn dân số thế giới tập trung, và ở đó, trong những thập kỉ qua, bất chấp tình trạng bất bình đẳng ngày càng gia tăng do chủ nghĩa tư bản tạo ra, các phong trào tiến bộ đã yếu hơn nhiều so với trước đây. Ở những vùng này, phe đối lập với quá trình toàn cầu hóa tân tự do thường được chuyển đổi thành phe ủng hộ các xu thế bảo căn tôn giáo cũng như thành các phe bài ngoại. Chúng ta ngày càng thấy hiện tượng này đang trỗi dậy ở châu Âu.
Câu hỏi đặt ra là: Marx có giúp ta hiểu kịch bản mới này không? Các nghiên cứu được công bố gần đây đã cung cấp những diễn giải mới về Marx có thể góp phần mở “cửa sổ phía sau” khác trong tương lai, để sử dụng thành ngữ của ông. Các công trình này bộc lộ một tác giả đã mở rộng việc thẩm tra những mâu thuẫn của xã hội tư bản, vượt ra ngoài mâu thuẫn giữa tư bản và lao động, sang các lĩnh vực khác. Sự thật là, Marx đã dành rất nhiều thời gian cho việc nghiên cứu các xã hội ngoài châu Âu và vai trò hủy hoại của chủ nghĩa thực dân ở ngoại vi của chủ nghĩa tư bản. Một cách nhất quán, trái ngược với những cách giải thích đồng nhất quan điểm chủ nghĩa xã hội của Marx với sự phát triển của các lực lượng sản xuất, các mối quan tâm về sinh thái được làm nổi bật trong công trình của ông.
Cuối cùng, Marx rất quan tâm đến một số chủ đề khác mà các học giả thường bỏ qua khi nói về ông. Trong số đó có tính tiềm năng về công nghệ, sự phê phán chủ nghĩa dân tộc, việc tìm kiếm các hình thức sở hữu tập thể không bị nhà nước kiểm soát và nhu cầu tự do cá nhân trong xã hội đương đại: đó cũng chính là tất cả các vấn đề cơ bản của thời đại chúng ta. Nhưng bên cạnh những bộ mặt mới của Marx – điều này gợi ý là mối quan tâm trở lại đối với tư duy của ông là một hiện tượng sẽ còn tiếp diễn trong những năm tới – ông có thể chỉ ra ba ý tưởng được công nhận nhất của Marx mà ông cho là đáng được xem xét lại ngày nay không?

Immanuel Wallerstein: Trước hết, Marx đã giải thích cho chúng ta tốt hơn bất kì người nào khác rằng chủ nghĩa tư bản không phải là cách tự nhiên để tổ chức xã hội. Trong The Poverty of Philosophy [Sự Khốn Cùng của Triết học], xuất bản khi ông mới 29 tuổi, ông đã chế giễu các nhà kinh tế chính trị tư sản, những người đã lập luận rằng quan hệ tư bản “là quy luật tự nhiên, độc lập với sự ảnh hưởng của thời gian”. Marx viết rằng đối với họ “đã từng có lịch sử, vì trong các xã hội phong kiến, chúng ta tìm thấy những quan hệ sản xuất khá khác với những quan hệ sản xuất trong những ​​xã hội tư sản”, nhưng họ không áp dụng lịch sử cho phương thức sản xuất mà họ ủng hộ; họ biểu trưng chủ nghĩa tư bản “như một thứ gì đó tự nhiên và vĩnh viễn”. Trong cuốn Historical Capitalism [Chủ nghĩa Tư bản Lịch sử] của mình, tôi đã cố gắng nhấn mạnh rằng chủ nghĩa tư bản là những gì đã diễn ra trong lịch sử, trái ngược với một số ý tưởng mơ hồ và không rõ ràng được một số nhà kinh tế chính trị dòng chính tán thành. Tôi lập luận nhiều lần rằng chẳng có chủ nghĩa tư bản nào mà không phải là chủ nghĩa tư bản lịch sử. Với tôi điều này đơn giản như thế và chúng ta nợ Marx rất nhiều.
Thứ hai, tôi muốn nhấn mạnh tầm quan trọng của khái niệm “tích lũy ban đầu”, có nghĩa là chính việc nông dân bị truất quyền sở hữu ruộng đất là nền tảng của chủ nghĩa tư bản. Marx hiểu rất rõ rằng đó là một quá trình quan trọng hình thành sự thống trị của giai cấp tư sản. Nó đã có từ lúc khởi đầu của chủ nghĩa tư bản và vẫn tồn tại ngày nay.
Cuối cùng, tôi muốn mời gọi suy ngẫm nhiều hơn về chủ đề “tư hữu và chủ nghĩa công sản”. Trong hệ thống đã được thành lập ở Liên bang Xô Viết – đặc biệt là dưới thời Stalin – nhà nước sở hữu tài sản nhưng nó không đồng nghĩa là mọi người không bị bóc lột hoặc bị áp bức. Họ đã bị như thế. Nói về chủ nghĩa xã hội ở một đất nước, như Stalin đã làm, cũng là một thứ chẳng bao giờ đi vào tâm khảm của bất kì người nào, kể cả Marx, trước thời kì đó. Sở hữu công về các phương tiện sản xuất là một khả năng. Chúng cũng có thể là đối tượng của việc đồng sở hữu. Nhưng ta phải biết người nào đang sản xuất và người nào đang nhận giá trị thặng dư nếu ta muốn thiết lập một xã hội tốt hơn. Điều đó phải được tổ chức lại hoàn toàn, so sánh với chủ nghĩa tư bản. Đó là câu hỏi then chốt đối với tôi.

Marcello Musto: Năm 2018 đánh dấu sinh nhật lần thứ 200 của Marx và những cuốn sách cũng như các bộ phim mới đã được xuất bản để tưởng nhớ về cuộc đời ông. Có giai đoạn nào trong tiểu sử của Marx mà ông thấy thú vị nhất không?

Immanuel Wallerstein: Marx có một cuộc sống rất khó khăn. Ông đã đấu tranh chống lại tình trạng nghèo khổ của bản thân và ông đã may mắn có một người đồng chí như Friedrich Engels, người đã giúp ông [tiếp tục] sinh tồn. Marx cũng không có một đời sống tình cảm dễ dàng và ông rất kiên trì, nỗ lực làm những gì mà ông nghĩ rằng đó là công trình của đời mình – sự hiểu biết về cách thức hoạt động của chủ nghĩa tư bản – thật đáng ngưỡng mộ. Đây là những gì mà ông thấy bản thân mình đang làm. Marx không muốn giải thích về thời cổ đại, cũng như không định nghĩa thế nào là chủ nghĩa xã hội trong tương lai. Đây không phải là nhiệm vụ mà ông tự đặt ra cho mình. Ông muốn hiểu về thế giới tư bản [trong thời đại] mà ông đang sống.

Marcello Musto: Trong suốt cuộc đời của mình, Marx không chỉ đơn thuần là một học giả đứng đơn độc giữa những cuốn sách trong Viện bảo tàng Anh ở London, mà ông cũng luôn là một nhà cách mạng, một chiến binh tham gia vào cuộc đấu tranh trong thời đại của mình. Vì những hoạt động của mình, ông đã bị trục xuất khỏi Pháp, Bỉ và Đức vào lúc trẻ. Ông cũng buộc phải đi lưu vong ở nước Anh khi cuộc cách mạng năm 1848 bị thất bại. Ông tích cực viết báo và tạp chí cũng như luôn ủng hộ phong trào lao động theo mọi cách có thể. Sau đó, từ năm 1864 đến năm 1872, ông trở thành lãnh đạo của Hội liên hiệp Lao động Quốc tế [Quốc tế đệ nhất], tổ chức xuyên quốc gia đầu tiên của giai cấp công nhân, và năm 1871, bảo vệ Công Xã Paris, thử nghiệm xã hội chủ nghĩa đầu tiên trong lịch sử.

Immanuel Wallerstein: Vâng, đúng như thế. Đó là điều cần thiết để nhớ về sự đấu tranh của Marx. Như ông vừa nêu lên một cách nổi bật trong cuốn Workers Unite! [Công Nhân Đoàn Kết!], Marx đã có một vai trò phi thường trong Quốc tế [Đệ nhất], một tổ chức của những người ở cách xa nhau về mặt địa lí, tại một thời điểm khi chưa có các cơ chế giao tiếp thuận tiện. Hoạt động chính trị của Marx cũng liên quan đến báo chí. Ông đã thực hiện điều đó trong suốt cuộc đời của mình, như một cách giao tiếp với một lượng độc giả lớn hơn. Ông làm việc như một nhà báo để có thu nhập, nhưng ông lại nhận thấy những đóng góp của mình như một hoạt động chính trị. Ông không có bất kì cảm giác nào về việc mình là người trung lập. Ông luôn là một nhà báo dấn thân.

Marcello Musto: Vào năm 2017, nhân dịp kỉ niệm 100 năm Cách mạng [tháng 10] Nga, một số học giả đã trở lại với [chủ đề] sự tương phản giữa Marx và những nhà cầm quyền trong thế kỉ 20 tự nhận mình là học trò của Marx. Sự khác biệt chính yếu giữa Marx và họ là gì?

Immanuel Wallerstein: Các tác phẩm của Marx đang tỏa sáng, tinh tế và đa dạng hơn một số cách giải thích đơn giản về ý tưởng của ông. Sẽ rất tốt nếu ta luôn nhớ đến câu nói hóm hỉnh nổi tiếng của Marx: “Nếu đây là chủ nghĩa Marx, chắc chắn là tôi không phải là một người theo chủ nghĩa Marx.” Marx luôn luôn sẵn sàng để xử lí thực tiễn thế giới, không giống như nhiều người khác áp đặt quan điểm của họ. Marx thường xuyên đổi ý. Ông liên tục tìm kiếm các giải pháp cho các vấn đề mà ông thấy rằng thế giới đang phải đối mặt. Đó là lí do tại sao ông vẫn là một người hướng dẫn rất hữu ích và hữu dụng.
Marcello Musto: Để kết thúc [cuộc trò chuyện này], ông muốn nói gì với thế hệ trẻ, những người chưa từng gặp Marx?

Immanuel Wallerstein: Điều đầu tiên tôi phải nói với những người trẻ rằng họ phải đọc Marx. Đừng đọc về Marx, mà hãy đọc Marx. Rất ít người – so với nhiều người luôn nói về Marx – thực sự đọc Marx. Điều đó cũng đúng với Adam Smith. Nói chung, người ta chỉ đọc về những tác giả kinh điển này. Mọi người tìm hiểu về họ thông qua phần tóm tắt của người khác. Họ muốn tiết kiệm thời gian nhưng, thực sự, đó lại là một sự lãng phí thời gian! Mọi người phải đọc những người thú vị và Marx chính là học giả thú vị nhất của thế kỉ 19 và 20. Chẳng còn gì phải nghi ngờ nữa. Chẳng có ai là có thể bằng ông về số lượng những điều ông viết, cũng như [bằng ông] về chất lượng trong phân tích của ông. Vì vậy, thông điệp của tôi với thế hệ mới đó là Marx cực kì đáng được khám phá và bạn phải đọc, đọc, đọc Marx. Hãy đọc Karl Marx!

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Karl Marx. Biografia intellettuale e politica. 1857-1883 (Book launch)

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Luca Cangianti, Carmilla. Letteratura, immaginario e cultura d’opposizione

Il Necronomicon di Karl Marx

Marcello Musto, Karl Marx. Biografia intellettuale e politica 1857-1883, Einaudi, 2018, pp. 344, € 30,00.

È impossibile non notare alcuni elementi tragici e a tratti orrifici nella vita di Karl Marx. La biografia di questo filosofo è una lunga lotta prometeica per completare Il capitale, il «più terribile proiettile che sia mai stato scagliato contro i borghesi», il libro magico che a detta del suo autore avrebbe inflitto «alla borghesia, sul piano teorico, un colpo dal quale non si riprenderà più». Il rapporto tra Marx e Il capitale è paragonabile a quello tra l’«arabo pazzo» Abdul Alhazred e il Necronomicon, lo pseudobiblion inventato dallo scrittore statunitense Howard Phillips Lovecraft. L’autore di quel grimorio immaginario muore divorato in pieno giorno da una creatura invisibile, così come tutta la vita del filosofo di Treviri è fagocitata da un progetto incompletabile: «il mio tempo di lavoro appartiene interamente alla mia opera» confessa Marx, evidenziando il paradossale processo di alienazione nei confronti del suo libro.
La scrittura del Capitale è un viaggio eroico, portato avanti con passione cristologica tra i tormenti di un corpo mutante afflitto da insonnia, da emicrania, da un fegato duro e ingrossato, dal continuo insorgere di dolorosissimi favi e di lesioni pustolose sui genitali. Marx è un immigrato apolide, senza mai un soldo in tasca, inseguito da droghieri, macellai e lancinanti sensi di colpa nei confronti della famiglia. È costretto a interrompere continuamente la scrittura della sua opera per guadagnare qualche sterlina e per non venir meno a una militanza politica senza la quale niente avrebbe più senso. Riempendo con una grafia maledetta decine di quaderni, bozza dopo bozza, include maniacalmente nella sua opera sempre nuovi aspetti della realtà sociale: «una mia caratteristica: quando ho davanti una cosa scritta daccapo quattro settimane prima, la trovo insufficiente e la riscrivo completamente». Marx si paragona così al pittore Frenhofer descritto da Honoré de Balzac: ossessionato dal desiderio di realizzare un dipinto nel modo più preciso possibile, il protagonista del racconto Il capolavoro sconosciuto, ritocca all’infinito il suo quadro senza mai completarlo.

La nuova biografia di Marcello Musto, Karl Marx. Biografia intellettuale e politica 1857-1883, ha il grande pregio di restituire il profilo malinconicamente tragico di questo filosofo militante, liberandolo definitivamente dalle granitiche apologie del marxismo-leninismo. Tale operazione è condotta utilizzando gli apporti della Mega2, la nuova edizione storico-critica delle opere complete di Marx ed Engels, che permette di valorizzare molti spunti postcoloniali, antropologici e antieconomicisti presenti nella riflessione matura del filosofo tedesco. Grazie a una attenta analisi della corrispondenza inviata e ricevuta e ai quaderni di appunti nei quali Marx riassumeva meticolosamente le proprie letture di economia politica, algebra, antropologia, geologia, mineralogia e chimica agraria, emerge un pensiero flessibile che sfugge a ogni asfittica sistematicità. Per esempio circa il rapporto tra struttura e sovrastruttura, a dispetto della famosa e problematica metafora architettonica presente in Per la critica dell’economia politica, Marx, grazie ai suoi studi più tardi, affermò che «per l’arte è noto che determinati suoi periodi di fioritura non stanno assolutamente in rapporto con lo sviluppo generale della società, né quindi con la base materiale, con l’ossatura […] della sua organizzazione». Musto sostiene di conseguenza che il filosofo di Treviri «ebbe un approccio antidogmatico rispetto alle relazioni tra le forme della produzione materiale da una parte e le creazioni e i comportamenti intellettuali dall’altra. La consapevolezza dello “sviluppo ineguale”, tra loro esistente, implicava il rifiuto di ogni procedimento schematico che prospettasse un rapporto uniforme tra i diversi ambiti della totalità sociale».
Molto attuali, anche alla luce del dibattito contemporaneo sull’opportunità o meno di sganciarsi dall’Unione europea, sono le riflessioni sull’indipendenza dell’Irlanda nei confronti dell’Inghilterra. Marx la sostiene pragmaticamente perché la ritiene capace di acuire le contraddizioni della maggior potenza capitalistica del tempo e non per un astratto diritto all’autodeterminazione. Riguardo alla gestione delle differenze in chiave di comando della forza lavoro il filosofo affermava inoltre: «L’operaio comune inglese odia l’operaio irlandese come un concorrente che comprime i salari e il suo tenore di vita. Egli prova per lui antipatie nazionali e religiose. Lo considera all’incirca come i bianchi poveri considerano gli schiavi neri negli stati meridionali dell’America del Nord. Questo antagonismo tra i proletari in Inghilterra viene nutrito e viene tenuto desto ad arte dalla borghesia. Essa sa che questa divisione è il vero segreto del mantenimento del suo potere». Per questi motivi in età matura Marx condannò senza esitazione il colonialismo e affermò che «Il lavoro di pelle bianca non può emanciparsi in un paese dove viene marchiato se ha la pelle nera».

La biografia intellettuale di Marcello Musto è divisa in quattro parti: la prima si occupa della scrittura del Capitale, la seconda della militanza politica nell’Internazionale e poi dei rapporti con i nascenti partiti socialisti europei, la terza analizza la corrispondenza e i manoscritti, alcuni dei quali ancora inediti, mentre la quarta è dedicata alla teoria politica e al profilo che avrebbe assunto la futura società comunista. A tale formazione sociale Marx non si riferì mai con intenti prescrittivi e non fornì di conseguenza descrizioni di come dovesse essere organizzata, limitandosi ad abbozzare alcune caratteristiche generali desunte dalla dinamica del modo di produzione capitalistico e dallo studio delle società precapitaliste.
Nell’ultimo anno di vita Marx si recò a Ventnor, sperando che il clima “mediterraneo” dell’Isola di Wight potesse migliorare le sue precarie condizioni di salute. Proviamo a immaginarlo mentre cammina lungo la spiaggia, lento, con la mascherina del respiratore sul volto. Ascolta il rombo del mare invernale e ripensa alle rivoluzioni delle quali è stato testimone, agli entusiasmi, alle successive delusioni, all’esilio, ai lutti, ai nuovi entusiasmi. E al suo libro. Il capitale non è più un Necronomicon che gli divora la vita: ormai sa che non lo terminerà mai e forse si è convinto che la realtà infinita può esser contenuta solo in un’opera altrettanto infinita. Proprio come quella che ci ha lasciato Marx, consegnandoci un intero cantiere teorico utile a capire il mondo per cambiarlo.

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Karl Marx Biografia Politica e Intellettuale

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Francesco Romanetti, Il Mattino

“Tornare a Marx per capire le nuove crisi e i gilet gialli”

Di nuovo Marx. Il suo pensiero ci fornisce strumenti per comprendere il mondo o per trasformarlo? Insomma, può essere ancora progetto politico?

Dopo lo scoppio della crisi economica del 2008, si riscoprì Marx per comprendere le contraddizioni distruttive dell’economia. Adesso, invece, ci si rivolge a Marx con una domanda più politica. In molte parti del mondo, il rapido declino dei partiti politici tradizionali è stato accompagnato dall’affermazione di nuove forze politiche che, seppure in forme diverse, contestano la globalizzazione neoliberista e l’ordine esistente. Il “libero mercato” non è più considerato sinonimo di sviluppo e democrazia, come erroneamente avvenuto dopo la caduta del Muro di Berlino, e il dibattito sulle alternative al capitalismo è ritornato a suscitare interesse. Anche il socialismo è ritornato di moda e Marx rappresenta un riferimento imprescindibile.

Ma oggi ben altri spettri si aggirano per l’Europa. Altro che comunismo. Prendiamo anche i “gilet gialli” francesi: esprimono ribellione, ma nulla a che vedere con prospettive di reale mutamento sociale…

È vero, ma sarei stupito del contrario. Come si può credere che, d’improvviso, nelle condizioni presenti, possano nascere dei movimenti sociali che abbiano una ben definita e più complessiva piattaforma programmatica? La necessaria critica dei limiti dell’esistente non può esimere, però, le forze della sinistra dall’essere presenti nelle lotte che prendono corpo contro le politiche di austerità messe in atto dai governi europei degli ultimi anni.

Lei in questo libro “racconta” il Marx della maturità, attento alla “centralità della libertà individuale nella sfera economica e politica”. Che cosa intende?

Intendo dire che il progetto politico di Marx – quel comunismo che egli definì come “associazione di liberi esseri umani che lavorano con mezzi di produzione comuni” – è sideralmente distante da molti dei regimi illibertari sorti in suo nome nel Novecento.
Marx affermò nel Capitale che il comunismo sarebbe diventato una forma superiore di società se avesse avuto come principio fondamentale il “pieno e libero sviluppo di ogni individuo”. La questione della libertà individuale è indispensabile per comprendere gli errori e gli orrori del cosiddetto “socialismo reale” e in Marx ci sono preziosi elementi per ripensare una teoria politica in base alla quale è possibile sostituire il capitalismo con una società non solo più giusta, ma anche più democratica. I suoi scritti sono molto utili per individuare le ragioni dei fallimenti delle esperienze socialiste fin qui compiute.

Poi c’è un Marx che guarda oltre l’Europa, al resto del mondo. Oggi può aiutarci a comprendere i processi legati alla globalizzazione?

Certamente. Per molto tempo si è a torto creduto che Marx si fosse occupato esclusivamente del conflitto tra capitale e lavoro. In realtà, egli è stato un attento osservatore di numerose altre contraddizioni della società borghese e sempre su scala globale. Molte di queste tematiche sono state sottovalutate perché da lui sviluppate in manoscritti di ricerche che non riuscì a completare. Marx prestò grande attenzione alla questione ecologica, al ruolo distruttivo del colonialismo nelle periferie del mondo, così come al pericolo dei nazionalismi – parola oggi astutamente sostituita dalle forze della destra con quella di sovranismo. Egli analizzò anche i processi migratori, evidenziando quanto essi fossero generati dal capitalismo. Inoltre, mise in risalto che la contrapposizione tra i proletari autoctoni e quelli stranieri (terribilmente discriminati) fosse un elemento essenziale del dominio politico della borghesia. Sono tutte questioni fondamentali dei nostri tempi.

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Tornare a Marx per capire le nuove crisi e i gilet gialli

Di nuovo Marx. Il suo pensiero ci fornisce strumenti per comprendere il mondo o per trasformarlo? Insomma, può essere ancora progetto politico?

Dopo lo scoppio della crisi economica del 2008, si riscoprì Marx per comprendere le contraddizioni distruttive dell’economia. Adesso, invece, ci si rivolge a Marx con una domanda più politica. In molte parti del mondo, il rapido declino dei partiti politici tradizionali è stato accompagnato dall’affermazione di nuove forze politiche che, seppure in forme diverse, contestano la globalizzazione neoliberista e l’ordine esistente. Il “libero mercato” non è più considerato sinonimo di sviluppo e democrazia, come erroneamente avvenuto dopo la caduta del Muro di Berlino, e il dibattito sulle alternative al capitalismo è ritornato a suscitare interesse. Anche il socialismo è ritornato di moda e Marx rappresenta un riferimento imprescindibile.

 

Ma oggi ben altri spettri si aggirano per l’Europa. Altro che comunismo. Prendiamo anche i “gilet gialli” francesi: esprimono ribellione, ma nulla a che vedere con prospettive di reale mutamento sociale…

È vero, ma sarei stupito del contrario. Come si può credere che, d’improvviso, nelle condizioni presenti, possano nascere dei movimenti sociali che abbiano una ben definita e più complessiva piattaforma programmatica? La necessaria critica dei limiti dell’esistente non può esimere, però, le forze della sinistra dall’essere presenti nelle lotte che prendono corpo contro le politiche di austerità messe in atto dai governi europei degli ultimi anni.

 

Lei in questo libro “racconta” il Marx della maturità, attento alla “centralità della libertà individuale nella sfera economica e politica”. Che cosa intende?

Intendo dire che il progetto politico di Marx – quel comunismo che egli definì come “associazione di liberi esseri umani che lavorano con mezzi di produzione comuni” – è sideralmente distante da molti dei regimi illibertari sorti in suo nome nel Novecento.

Marx affermò nel Capitale che il comunismo sarebbe diventato una forma superiore di società se avesse avuto come principio fondamentale il “pieno e libero sviluppo di ogni individuo”. La questione della libertà individuale è indispensabile per comprendere gli errori e gli orrori del cosiddetto “socialismo reale” e in Marx ci sono preziosi elementi per ripensare una teoria politica in base alla quale è possibile sostituire il capitalismo con una società non solo più giusta, ma anche più democratica. I suoi scritti sono molto utili per individuare le ragioni dei fallimenti delle esperienze socialiste fin qui compiute.

 

Poi c’è un Marx che guarda oltre l’Europa, al resto del mondo. Oggi può aiutarci a comprendere i processi legati alla globalizzazione?

Certamente. Per molto tempo si è a torto creduto che Marx si fosse occupato esclusivamente del conflitto tra capitale e lavoro. In realtà, egli è stato un attento osservatore di numerose altre contraddizioni della società borghese e sempre su scala globale. Molte di queste tematiche sono state sottovalutate perché da lui sviluppate in manoscritti di ricerche che non riuscì a completare. Marx prestò grande attenzione alla questione ecologica, al ruolo distruttivo del colonialismo nelle periferie del mondo, così come al pericolo dei nazionalismi – parola oggi astutamente sostituita dalle forze della destra con quella di sovranismo. Egli analizzò anche i processi migratori, evidenziando quanto essi fossero generati dal capitalismo. Inoltre, mise in risalto che la contrapposizione tra i proletari autoctoni e quelli stranieri (terribilmente discriminati) fosse un elemento essenziale del dominio politico della borghesia. Sono tutte questioni fondamentali dei nostri tempi.