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Alla riscoperta del pensiero di Karl Marx

Alla riscoperta del pensiero di Karl Marx, Corriere del Ticino, 27 February 2019.

Sergio Caroli

Forte della pubblicazione di testi inediti di Karl Marx, Marcello Musto, professore associato di Sociologia teorica presso la York University di Toronto, analizza nel saggio Karl Marx.

Biografia intellettuale e politica. 1857-1883 (Einaudi, pagine 329. euro 30), la vasta gamma di ricerche che il pensatore di Treviri condusse, unitamente alla critica dell’economia politica, intorno alle più diverse discipline e aree geografiche. Esse vanno, solo per citarne alcune, dalla analisi dello sviluppo del capitalismo negli Stati Uniti, all’evoluzione del’economia russa a seguito dell’abolizione della servitù della gleba, alla proprietà comune nelle società primitive, ai caratteri del colonialismo in Asia. Marx seguì con particolare acume i principali eventi della politica mondiale, sostenendo la lotta della Polonia per l’indipendenza, commentò le vicende della Guerra civile americana, appoggiando la causa dell’abolizione della schiavitù e quella per l’indipendenza dell’Irlanda.
Marcello Musto, i cui suoi scritti sono stati tradotti in oltre venti lingue, è autore delle monografie Ripensare Marx e i marxismi. Studi e saggi (Carocci 2011), L’Ultimo Marx 1881-1883. Saggio di biografia intellettuale (Donzelli 2016).

 

1) Professor Musto, Marx viene spesso descritto come eurocentrico, economicista e interessato solo all’analisi dell’economia e al conflitto di classe tra capitale e lavoro. Perché questa descrizione non corrisponde al vero?  
Lungi dall’interessarsi solo del proletariato di fabbrica, Marx non tralasciò di evidenziare le potenzialità rivoluzionarie di altre soggettività ai margini della società capitalistica. Ciò avvenne soprattutto nell’ultimo decennio di vita. Inoltre, lo studio delle realtà extraeuropee e degli effetti nefasti prodotti dal colonialismo nelle periferie del globo occupò un posto tutt’altro che secondario nelle sue riflessioni. La critica al ruolo svolto dalle potenze occidentali nel sud del mondo è netta e inequivocabile. Aggiungo che, se avesse avuto più tempo, nei libri II e III del Capitale – che, come si sa, rimasero incompiuti – Marx avrebbe significativamente esteso oltre l’Europa il campo di analisi della sua critica dell’economia.

 

2) Lei sostiene che l’”Internazionale dei lavoratori” non fu creazione esclusiva di Marx. Quale fu il suo ruolo in seno all’organizzazione?
Diversamente da quanto propagandato dalla liturgia sovietica, l’Internazionale fu molto di più del solo Marx. Tra i vari gruppi che ne fecero parte vi furono i sindacati inglesi, i mutualisti francesi – entrambi, seppur per ragioni differenti, molto moderati – e gli anarchici vicini a Bakunin. L’impresa di riuscire a far convivere tutte queste tendenze nella stessa organizzazione fu indiscutibilmente opera di Marx. Le sue doti politiche gli permisero di tenere assieme ciò che appariva inconciliabile e assicurarono un futuro all’Internazionale. Fu Marx a scrivere tutte le principali risoluzioni dell’Associazione e a dare una chiara finalità all’Internazionale. Realizzò un programma politico non preclusivo, eppure fermamente di classe, a garanzia di un movimento che ambiva a essere di massa e non settario. In un’epoca nella quale il mondo del lavoro è costretto, anche in Europa, a subire condizioni di sfruttamento e forme di legislazione simili a quelle dell’Ottocento e in cui vecchi e nuovi conservatori tentano, ancora una volta, di dividere chi lavora da chi è precario, disoccupato o migrante, l’eredità politica dell’Internazionale riacquista uno straordinario valore.

 

3) Quali elementi delle analisi di Marx sulla Guerra civile americana hanno retto alla prova del tempo?
Marx intravide nella lotta contro la schiavitù in atto negli Stati Uniti uno degli eventi politici più rilevanti della sua epoca. Accanto alla fondamentale battaglia contro il razzismo, egli spiegò agli sprovveduti che si illudevano del contrario che “il lavoro di pelle bianca non può emanciparsi in un paese dove viene discriminato se ha la pelle nera”. La guerra tra poveri distoglieva le classi subalterne dalla lotta contro le vere cause delle ingiustizie sociali. Marx ripeté in numerose occasioni ciò che in molti oggi, anche a sinistra, paiono aver dimenticato: quando le classi dominanti, mediante la loro propaganda, riescono a dividere i proletari, le condizioni di vita di questi ultimi – non solo di quelli migranti ma anche degli autoctoni – sono sempre destinate a peggiorare. È un monito che va nuovamente spiegato con urgenza, nel drammatico contesto politico attuale.

 

4) Quali elementi di interesse offrono i Quaderni antropologici redatti dall’ultimo Marx?
Tramite questi studi, egli ampliò le sue vedute in merito a tematiche che giudicò molto considerevoli. Tra queste figurano l’emancipazione di genere, l’origine dei rapporti proprietari e le pratiche comunitarie esistenti nelle società precapitalistiche. Queste ricerche gli permisero di sfuggire al determinismo nel quale caddero non solo tanti suoi contemporanei, ma anche diversi suoi seguaci e presunti continuatori.

 

5) Nel corso del loro quarantennale sodalizio Marx ed Engels si confrontarono su ogni possibile tematica, ma Marx non parlò mai del come avrebbe dovuto essere organizzata la società del domani. Come lo spiega?
Marx volle decisamente distinguersi dai tanti pensatori che impiegavano il loro tempo a ipotizzare la struttura ideale della società socialista. Egli irrise questo modo di concepire la politica e ritenne che le questioni sul sistema perfetto per il futuro servivano soltanto a distrarre dalle lotte del presente. A suo avviso, la trasformazione collettiva non poteva avvenire in base all’applicazione di metastorici ordinamenti di organizzazione sociale, aprioristicamente concepiti da filosofi o utopisti. Marx fu un convinto assertore dell’autoemancipazione della classe operaia. Reputò che, quando sarebbero maturati i tempi, i lavoratori sarebbero stati in grado di liberare sé stessi e di trasformare la produzione capitalistica nel suo opposto, ovvero in una compiuta democrazia, in “un’associazione di liberi esseri umani che lavorano con mezzi di produzione comuni”. Se Marx si guardò bene dal “prescrivere ricette per l’avvenire”, ciò non vuol dire, però, che egli non abbia mai descritto cosa intendesse per comunismo. Per esempio, affermò chiaramente che la nuova società avrebbe dovuto essere basata sul ‘pieno e libero sviluppo di ogni individuo’, sulla diminuzione del tempo di lavoro a vantaggio del tempo libero e sulla fine della logica del possesso distruttivo insita nel capitale – i cui effetti drammatici egli riuscì a intravedere anche nei confronti della natura. Per Marx, comunismo significava maggiore ricchezza collettiva e non uno stato di miseria generalizzata.

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Sergio Caroli, La Voce di Parma

Marx liberato da stereotipi ammuffiti

Forte della pubblicazione di testi inediti di Karl Marx, Marcello Musto, professore associato di Sociologia teorica presso la York University di Toronto, analizza nel saggio Karl Marx Biografia intellettuale e politica. 1857-1883 (Einaudi, pagine 329. euro 30), la vasta gamma di ricerche che il pensatore di Treviri condusse, unitamente alla critica dell’economia politica, intorno alle più diverse discipline e aree geografiche. Esse vanno, solo per citarne alcune, dalla analisi dello sviluppo del capitalismo negli Stati Uniti, all’evoluzione del’economia russa a seguito dell’abolizione della servitù della gleba, alla proprietà comune nelle società primitive, ai caratteri del colonialismo in Asia. Marx seguì con particolare acume i principali eventi della politica mondiale, sostenendo la lotta della Polonia per l’indipendenza, commentò le vicende della Guerra civile americana, appoggiando la causa dell’abolizione della schiavitù e quella per l’indipendenza dell’Irlanda.
Marcello Musto, i cui suoi scritti sono stati tradotti in oltre venti lingue, è autore delle monografie Ripensare Marx e i marxismi. Studi e saggi (Carocci 2011), L’Ultimo Marx 1881-1883. Saggio di biografia intellettuale (Donzelli 2016).

1) Professor Musto, Marx viene spesso descritto come eurocentrico, economicista e interessato solo all’analisi dell’economia e al conflitto di classe tra capitale e lavoro. Perché questa descrizione non corrisponde al vero?  
Lungi dall’interessarsi solo del proletariato di fabbrica, Marx non tralasciò di evidenziare le potenzialità rivoluzionarie di altre soggettività ai margini della società capitalistica. Ciò avvenne soprattutto nell’ultimo decennio di vita. Inoltre, lo studio delle realtà extraeuropee e degli effetti nefasti prodotti dal colonialismo nelle periferie del globo occupò un posto tutt’altro che secondario nelle sue riflessioni. La critica al ruolo svolto dalle potenze occidentali nel sud del mondo è netta e inequivocabile. Aggiungo che, se avesse avuto più tempo, nei libri II e III del Capitale – che, come si sa, rimasero incompiuti – Marx avrebbe significativamente esteso oltre l’Europa il campo di analisi della sua critica dell’economia.

2) Lei sostiene che l’”Internazionale dei lavoratori” non fu creazione esclusiva di Marx. Quale fu il suo ruolo in seno all’organizzazione?
Diversamente da quanto propagandato dalla liturgia sovietica, l’Internazionale fu molto di più del solo Marx. Tra i vari gruppi che ne fecero parte vi furono i sindacati inglesi, i mutualisti francesi – entrambi, seppur per ragioni differenti, molto moderati – e gli anarchici vicini a Bakunin. L’impresa di riuscire a far convivere tutte queste tendenze nella stessa organizzazione fu indiscutibilmente opera di Marx. Le sue doti politiche gli permisero di tenere assieme ciò che appariva inconciliabile e assicurarono un futuro all’Internazionale. Fu Marx a scrivere tutte le principali risoluzioni dell’Associazione e a dare una chiara finalità all’Internazionale. Realizzò un programma politico non preclusivo, eppure fermamente di classe, a garanzia di un movimento che ambiva a essere di massa e non settario. In un’epoca nella quale il mondo del lavoro è costretto, anche in Europa, a subire condizioni di sfruttamento e forme di legislazione simili a quelle dell’Ottocento e in cui vecchi e nuovi conservatori tentano, ancora una volta, di dividere chi lavora da chi è precario, disoccupato o migrante, l’eredità politica dell’Internazionale riacquista uno straordinario valore.

3) Quali elementi delle analisi di Marx sulla Guerra civile americana hanno retto alla prova del tempo?
Marx intravide nella lotta contro la schiavitù in atto negli Stati Uniti uno degli eventi politici più rilevanti della sua epoca. Accanto alla fondamentale battaglia contro il razzismo, egli spiegò agli sprovveduti che si illudevano del contrario che “il lavoro di pelle bianca non può emanciparsi in un paese dove viene discriminato se ha la pelle nera”. La guerra tra poveri distoglieva le classi subalterne dalla lotta contro le vere cause delle ingiustizie sociali. Marx ripeté in numerose occasioni ciò che in molti oggi, anche a sinistra, paiono aver dimenticato: quando le classi dominanti, mediante la loro propaganda, riescono a dividere i proletari, le condizioni di vita di questi ultimi – non solo di quelli migranti ma anche degli autoctoni – sono sempre destinate a peggiorare. È un monito che va nuovamente spiegato con urgenza, nel drammatico contesto politico attuale.

4) Quali elementi di interesse offrono i Quaderni antropologici redatti dall’ultimo Marx?
Tramite questi studi, egli ampliò le sue vedute in merito a tematiche che giudicò molto considerevoli. Tra queste figurano l’emancipazione di genere, l’origine dei rapporti proprietari e le pratiche comunitarie esistenti nelle società precapitalistiche. Queste ricerche gli permisero di sfuggire al determinismo nel quale caddero non solo tanti suoi contemporanei, ma anche diversi suoi seguaci e presunti continuatori.

5) Nel corso del loro quarantennale sodalizio Marx ed Engels si confrontarono su ogni possibile tematica, ma Marx non parlò mai del come avrebbe dovuto essere organizzata la società del domani. Come lo spiega?
Marx volle decisamente distinguersi dai tanti pensatori che impiegavano il loro tempo a ipotizzare la struttura ideale della società socialista. Egli irrise questo modo di concepire la politica e ritenne che le questioni sul sistema perfetto per il futuro servivano soltanto a distrarre dalle lotte del presente. A suo avviso, la trasformazione collettiva non poteva avvenire in base all’applicazione di metastorici ordinamenti di organizzazione sociale, aprioristicamente concepiti da filosofi o utopisti. Marx fu un convinto assertore dell’autoemancipazione della classe operaia. Reputò che, quando sarebbero maturati i tempi, i lavoratori sarebbero stati in grado di liberare sé stessi e di trasformare la produzione capitalistica nel suo opposto, ovvero in una compiuta democrazia, in “un’associazione di liberi esseri umani che lavorano con mezzi di produzione comuni”. Se Marx si guardò bene dal “prescrivere ricette per l’avvenire”, ciò non vuol dire, però, che egli non abbia mai descritto cosa intendesse per comunismo. Per esempio, affermò chiaramente che la nuova società avrebbe dovuto essere basata sul ‘pieno e libero sviluppo di ogni individuo’, sulla diminuzione del tempo di lavoro a vantaggio del tempo libero e sulla fine della logica del possesso distruttivo insita nel capitale – i cui effetti drammatici egli riuscì a intravedere anche nei confronti della natura. Per Marx, comunismo significava maggiore ricchezza collettiva e non uno stato di miseria generalizzata.

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Comunismo

1. Le teorie dei primi socialisti.
In seguito alla Rivoluzione francese e con l’espansione della Rivoluzione industriale, in Europa cominciarono a circolare numerose teorie che avevano il duplice intento di fornire risposte alle domande di giustizia sociale disattese dalla prima e di correggere i drammatici squilibri economici provocati dalla seconda. Le conquiste democratiche ottenute dopo la presa della Bastiglia assestarono un colpo decisivo all’aristocrazia, ma lasciarono pressoché immutata la preesistente sperequazione di ricchezza tra il popolo e le classi dominanti. Il declino della monarchia e l’istituzione della repubblica in Francia non erano stati sufficienti a fare diminuire la povertà.

Fu questo il contesto nel quale sorse quel variegato arco di concezioni definite da Karl Marx e Friedrich Engels (1820-1895), nel Manifesto del partito comunista, «critico-utopistic[he]» . Esse furono ritenute «critiche», poiché coloro che le avevano sostenute si erano opposti, con sfumature diverse, all’ordine sociale esistente e avevano fornito «elementi di grandissimo valore per illuminare gli operai» . D’altro canto, però, si erano dimostrate «utopistiche» , dal momento che i loro fautori avevano presunto di potere realizzare una forma alternativa di organizzazione sociale facendo ricorso alla mera individuazione di idee e principî nuovi e non alla lotta della classe lavoratrice. Secondo Marx ed Engels, i pensatori che li avevano preceduti avevano creduto che CM senza rientro alla prima riga

all’attività sociale dove[sse] subentrare la loro attività inventiva personale, alle condizioni storiche dell’emancipazione del proletariato […] condizioni immaginarie, all’organizzazione del proletariato come classe in un processo graduale […] un’organizzazione della società da essi escogitata di sana pianta. La storia universale dell’avvenire si risolve[va], per essi, nella propaganda e nell’esecuzione pratica dei loro progetti di società.

Nel testo politico più letto della storia dell’umanità, Marx ed Engels avversarono anche molte forme di socialismo, sia del passato che a loro contemporanee. Esse vennero considerate, a seconda dei casi, socialismo «feudale», «piccolo-borghese», «borghese» o – in senso dispregiativo, per evidenziare la loro vuota «fraseologia filosofica» – «tedesco» . La gran parte degli autori di queste teorie era accomunata da due peculiarità. La prima era la convinzione di poter «restaurare gli antichi mezzi di produzione e di scambio e, con essi, i vecchi rapporti di proprietà e la vecchia società». La seconda, invece, ineriva il tentativo, posto in essere da altri, di «imprigionare nuovamente, con la forza, i moderni mezzi di produzione e di scambio nel quadro dei vecchi rapporti di proprietà» dai quali erano stati «spezza[ti]». Per queste ragioni, Marx scorse in queste concezioni una forma di socialismo «al contempo reazionario e utopistico».

L’etichetta di «utopisti» assegnata ai primi socialisti, in alternativa a quella di «socialismo scientifico», è stata sovente utilizzata in modo fuorviante e con intento spregiativo . Costoro, infatti, contrastarono l’organizzazione sociale del tempo in cui vissero e contribuirono, sia attraverso i loro scritti che con azioni concrete, alla critica dei rapporti economici esistenti. Dei suoi precursori Marx ebbe, comunque, rispetto . Di Claude-Henri de Saint-Simon (1760-1825) pose in risalto l’enorme divario che lo separava dai suoi rozzi interpreti . A Charles Fourier (1772-1837), pur giudicando come stravaganti «schizzi umoristici» una parte delle sue idee, Marx riconobbe il «grande merito» di avere compreso che l’obiettivo da raggiungere per la trasformazione del lavoro fosse la soppressione non solo del tipo di distribuzione esistente, ma «del modo di produzione» . Nelle teorie di Robert Owen (1771-1858) ravvisò molti elementi degni di interesse e anticipatori del futuro. In Salario, prezzo e profitto, Marx rilevava che Owen già all’inizio dell’Ottocento, in Osservazioni sull’effetto del sistema manifatturiero, aveva «richie[sto] una diminuzione generale della giornata lavorativa quale primo passo per preparare la liberazione della classe operaia» . Inoltre, egli aveva perorato, come nessun altro, la causa della produzione cooperativa.

Ciò nonostante, pur riconoscendo l’influenza positiva che Saint-Simon, Fourier e Owen avevano avuto sul nascente movimento operaio, Marx espresse nei loro confronti un giudizio complessivamente negativo. Egli criticò i suoi predecessori per aver ipotizzato di risolvere le problematiche sociali del tempo mediante la progettazione di chimere irrealizzabili e per aver consumato molto del loro tempo nell’irrilevante esercizio teorico di costruire «castelli in aria».

Marx non contestò solo le proposte da lui giudicate impraticabili o errate, ma stigmatizzò soprattutto l’idea che il cambiamento sociale avvenisse attraverso modelli aprioristici, metastorici e ispirati a una precettistica dogmatica. Anche l’enfasi moralistica dei primi socialisti fu oggetto di giudizio negativo . Negli Estratti e commenti critici a «Stato e anarchia» di Bakunin, Marx criticò il «socialismo utopistico [perché voleva] dare da bere al popolo nuove fantasie, invece di limitare la sua scienza alla conoscenza del movimento sociale fatto dal popolo stesso» . A suo avviso, le condizioni per la rivoluzione non potevano essere importate dall’esterno.

2. I limiti dei precursori.
Una delle tesi più comuni, tra quanti, dopo il 1789, continuarono a battersi per un nuovo e più giusto ordine sociale, non ritenendo esaurienti i pur fondamentali mutamenti politici seguiti alla fine dell’Ancien régime, si basava sul presupposto che tutti i mali della società sarebbero cessati nel momento in cui fosse stato instaurato un sistema di governo fondato sull’assoluta eguaglianza di tutti i suoi componenti.

Questa idea di comunismo primordiale e, per molti versi, dittatoriale fu il principio guida della Congiura degli eguali, la cospirazione promossa, nel 1796, per sovvertire il Direttorio francese. Nel Manifesto degli eguali, Sylvain Maréchal (1750-1803) argomentò che «poiché tutti [gli esseri umani] hanno gli stessi bisogni e le stesse facoltà», non avrebbero dovuto esserci che «una sola educazione e un solo [tipo di] nutrimento». «Perché – si domandava Maréchal – non dovrebbe bastare a ciascuno […] la stessa quantità e la stessa qualità di alimenti?» . Anche la figura di spicco della congiura del 1796, François-Noël Babeuf (1760-1797), era dell’idea che, tramite l’applicazione del «grande principio dell’uguaglianza […] [il] cerchio dell’umanità» si sarebbe esteso e, «gradualmente, frontiere, dogane e cattivi governi [sarebbero] scompar[si]».

Il tema della costruzione di una società basata su un regime di rigida uguaglianza economica riapparve, in Francia, nella pubblicistica comunista successiva alla Rivoluzione di luglio del 1830. In Viaggio a Icaria, un manifesto politico scritto sotto forma di romanzo, Étienne Cabet (1788-1856) indicò come modello una comunità nella quale non sarebbero esistiti né «proprietà, né soldi, [né] vendite, né acquisti» e dove gli esseri umani sarebbero stati «uguali in tutto» . In questa «seconda terra promessa» , la legge avrebbe regolato qualsiasi aspetto della vita: «ogni casa [avrebbe avuto] quattro piani» e «tutti [si sarebbero] vest[iti] allo stesso modo».

Auspici in favore dell’attuazione di relazioni rigidamente egualitarie si trovano anche nell’opera di Théodore Dézamy (1808-1850). Ne Il codice della comunità, egli prefigurò un mondo «diviso in comuni, i cui territori saranno il più possibile uguali, regolari e uniti»; al loro interno sarebbero esistiti «un’unica cucina» e un solo «dormitorio comune» per tutti i bambini. Tutta la cittadinanza avrebbe vissuto come «una sola famiglia, [in] una sola e unica casa».

Vedute analoghe a quelle tanto diffuse in Francia si affermarono anche in Germania. In L’umanità come è e come dovrebbe essere, Wilhelm Weitling (1808-1871) preconizzò che la soppressione della proprietà privata avrebbe automaticamente eliminato l’egoismo, da lui semplicisticamente considerato come la principale causa di tutti i problemi sociali. Secondo Weitling, l’introduzione della «comunanza dei beni» sarebbe stato «il mezzo di redenzione dell’umanità; [avrebbe] trasforma[to] la terra in paradiso» e avrebbe generato immediatamente «un’enorme sovrabbondanza».

Tutti i pensatori che propugnavano simili concezioni incorsero nel medesimo duplice errore. Essi diedero per scontato che l’adozione di un modello sociale basato sulla rigida uguaglianza potesse rappresentare la soluzione di tutti i problemi sociali. Inoltre, contro ogni legge economica, si persuasero che per istituire il tipo di ordinamenti che suggerivano sarebbe stato sufficiente imporre alcune misure dall’alto, i cui effetti non sarebbero stati successivamente alterati dall’andamento dell’economia.

Accanto a questa ingenua ideologia egualitaria, fondata sull’illusoria certezza di poter eliminare, con grande facilità, ogni disparità esistente tra gli esseri umani, tra i primi socialisti era alquanto diffusa anche un’altra convinzione. In molti ritennero che l’elaborazione teorica di migliori sistemi di organizzazione sociale fosse la condizione sufficiente per cambiare il mondo. Sorsero, così, numerosi progetti di riforma, minuziosamente corredati di dettagli e sfumature, con i quali i patrocinatori esposero le loro ipotesi di ristrutturazione della società. Nei loro intenti, andava prioritariamente ricercata la formula giusta, la quale, una volta scoperta, sarebbe stata accettata, di buon grado, dal senso comune dei cittadini e progressivamente attuata ovunque.

Di ciò fu convinto Saint-Simon che, ne L’organizzatore, scrisse: «[I]l vecchio sistema cesserà di agire soltanto quando le idee, circa i mezzi per sostituire con altre le istituzioni […] che ancora esistono, saranno state sufficientemente messe in chiaro, collegate e armonizzate fra di loro, e quando queste idee saranno state approvate dall’opinione pubblica» . Le vedute di Saint-Simon sulla società del futuro sorprendono, però, per la disarmante vaghezza. In Nuovo cristianesimo, egli affermò che la causa della «malattia politica della [sua] epoca» – quella che provocava «sofferenza a tutti i lavoratori utili alla società» e che faceva «assorbire dai sovrani una grande parte del salario dei poveri» – dipendeva dal «sentimento d’egoismo». Dal momento che tale sentimento era «divenuto dominante in tutte le classi e in tutti gli individui» , egli auspicava la nascita di una nuova organizzazione sociale fondata su un unico principio guida: «tutti gli uomini devono comportarsi tra loro come fratelli».

Fourier dichiarò che l’esistenza umana era basata su leggi universali le quali, una volta attuate, avrebbero garantito gioia e godimento in tutto il globo. Nella Teoria dei quattro movimenti, espose quella che non esitò a definire la «scoperta […] più importante di tutti i lavori scientifici realizzati da quando esiste il genere umano» . Fourier si oppose ai sostenitori del «sistema commerciale» e affermò che la società sarebbe stata libera solo nel momento in cui tutti i suoi componenti fossero ritornati a esprimere le loro passioni . Il principale errore del regime politico esistente al suo tempo consisteva, dunque, nella repressione della natura umana.

Infine, ad accomunare molti dei primi socialisti, oltre all’egualitarismo radicale e alla ricerca del migliore modello sociale possibile, vi era anche il loro adoperarsi per promuovere la nascita di piccole comunità alternative. Nello spirito dei loro organizzatori, queste comunità, liberate dalle sperequazioni economiche esistenti nelle società del tempo, avrebbero fornito un impulso decisivo per la diffusione dei principî socialisti e ne avrebbero dovuto agevolare l’affermazione.

Ne Il nuovo mondo industriale e societario, Fourier prefigurò un innovativo ordinamento comunitario, in base al quale i villaggi sarebbero stati «sostituiti da falangi industriali di circa 1.800 persone» . Gli individui sarebbero vissuti nei falansteri, ossia in grandi edifici dotati di spazi comuni, dove avrebbero potuto usufruire collettivamente di tutti i servizi loro necessari. Seguendo il metodo inventato da Fourier, quello della «passione sfarfallante», gli esseri umani avrebbero «svolazza[to] da piacere a piacere ed evita[to] gli eccessi». Avrebbero avuto brevissimi turni di impiego, di «due ore al massimo», grazie ai quali ciascuno avrebbe potuto esercitare «da sette a otto generi di lavoro attraenti nel corso della giornata».

L’individuazione di migliori forme di organizzazione sociale animò anche Owen che, nel corso della sua esistenza, diede vita a importanti esperimenti di cooperazione operaia. Prima a New Lanark in Scozia, dal 1800 al 1825, e poi a New Harmony negli Stati Uniti d’America, dal 1826 al 1828, egli cercò di dimostrare, con la prassi, come realizzare concretamente un ordine sociale più giusto. Ne Il libro del nuovo ordine morale, Owen propose, però, la suddivisione della società in otto classi, l’ultima delle quali, «comprendente le persone dai quaranta ai sessant’anni», avrebbe avuto il monopolio della «decisione finale». Egli auspicava, in modo alquanto ingenuo, che, attraverso l’istituzione di questo sistema gerontocratico, gli individui avrebbero condiviso, «senza contestazioni, la parte loro spettante nel governo della società» , dal momento che tutti, a turno e a tempo debito, avrebbero potuto esercitarlo.

Nel 1849, anche Cabet fondò la colonia di Icaria negli Stati Uniti d’America, a Nauvoo, nell’Illinois, ma il suo autoritarismo diede origine a numerosi conflitti interni alla comunità da lui fondata. Nelle leggi della «Costituzione icariana», egli propose come condizione della nascita della colonia la sua designazione, «per dieci anni, quale […] Direttore unico e assoluto, con il potere di dirigerla in base alla sua dottrina e alle sue idee, al fine di incrementare tutte le probabilità di successo».

Sia nel caso dei vagheggiati falansteri che in quello di sporadiche cooperative, o di stravaganti colonie comuniste, gli esperimenti ideati dai primi socialisti si rivelarono così inadeguati da non lasciare ipotizzare la loro diffusione su vasta scala. Queste sperimentazioni riguardarono un numero irrisorio di lavoratori e si distinsero, spesso, per la molto limitata partecipazione della collettività all’assunzione delle decisioni politiche. Inoltre, molti dei rivoluzionari che animarono tali esperienze, soprattutto quelli non inglesi, non compresero le fondamentali trasformazioni produttive in corso al loro tempo. Molti, tra i primi socialisti, non riuscirono a intuire il legame esistente tra lo sviluppo del capitalismo e il possibile progresso sociale per la classe lavoratrice. Esso dipendeva dalla capacità degli operai di appropriarsi della ricchezza da loro generata nel nuovo modo di produzione.

3. Dove e perché Marx scrisse sul comunismo.
Marx si assegnò un compito del tutto diverso rispetto a quello dei socialisti che l’avevano preceduto. La sua priorità fu quella di «svelare la legge economica del movimento della società moderna» . Egli si prefisse di realizzare una critica complessiva del modo di produzione capitalistico che sarebbe dovuta servire al proletariato, da lui considerato il principale soggetto rivoluzionario, per rovesciare il sistema economico-sociale esistente.

Inoltre, rifuggì dall’idea di potere essere l’ispiratore di un nuovo credo politico dogmatico. Si rifiutò di proporre la configurazione di un modello universale di società comunista, cosa da lui ritenuta teoricamente inutile e politicamente controproducente. Fu per tale ragione che, nel 1873, nel Poscritto alla seconda edizione del Libro primo del Capitale, Marx lasciò intendere che non era certo tra i suoi interessi «prescrivere ricette […] per l’osteria dell’avvenire» . Il senso di questa nota affermazione fu da lui ribadita qualche anno dopo, nel 1879-1880, anche nelle Glosse marginali al «Trattato di economia politica» di Adolf Wagner, allorquando, in risposta a una critica dell’economista tedesco Adolph Wagner (1835-1917), replicò categoricamente: «[N]on ho mai enunciato un “sistema socialista”».

Marx asserì analoghi convincimenti anche nei suoi scritti politici. Di fronte alla nascita della Comune di Parigi, ossia alla prima presa del potere da parte delle classi subalterne, commentò, in La guerra civile in Francia, che «la classe operaia non si aspettava miracoli dalla Comune. Essa non ha utopie belle e pronte da introdurre per decreto del popolo». Marx dichiarò che l’emancipazione del proletariato doveva «passare attraverso lunghe lotte e per una serie di processi storici che trasformeranno circostanze e uomini». Non si trattava, dunque, di «realizzare ideali, ma […] [di] liberare gli elementi della nuova società dei quali è gravida la vecchia società borghese che sta crollando».

Infine, Marx espresse concetti analoghi anche nel carteggio che ebbe con dirigenti del movimento operaio europeo. Quando, ad esempio, nel 1881 Ferdinand Nieuwenhuis (1846-1919), il maggiore esponente della Lega socialdemocratica in Olanda, gli chiese quali misure avrebbero dovuto essere adottate, dopo la presa del potere, da parte di un governo rivoluzionario per costruire la società socialista, Marx rispose che aveva sempre ritenuto simili domande «una sciocchezza». A suo avviso, «ciò che si [sarebbe] dov[uto] fare […] in un particolare momento del futuro, [sarebbe] dipe[so], in tutto e per tutto, dalle reali condizioni storiche in cui si [sarebbe] dov[uto] agire». Egli riteneva impossibile «risolvere un’equazione che non racchiud[esse] nei suoi termini gli elementi della soluzione»; rimase sempre convinto che «l’anticipazione dottrinaria e necessariamente fantasiosa del programma d’azione di una rivoluzione a venire serv[isse] soltanto a distrarre dalla lotta presente».

Il vastissimo carteggio con Engels costituisce la migliore testimonianza della coerenza di queste sue convinzioni. Nel corso della loro quarantennale collaborazione, i due amici si confrontarono su ogni possibile tematica, ma Marx non dedicò il minimo tempo alla discussione sul come avrebbe dovuto essere organizzata la società del domani.

Tuttavia, al contrario di quanto erroneamente sostenuto da molti suoi commentatori, Marx svolse, tanto nelle opere pubblicate quanto in quelle incompiute, numerose considerazioni sul comunismo – per quanto queste non ebbero mai intenti prescrittivi. Esse sono rintracciabili in tre differenti tipologie di scritti. Nella prima rientrano quelli in cui Marx criticò le idee dei socialisti a lui contemporanei ritenute teoricamente sbagliate e politicamente fuorvianti. Alcune parti dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 e de L’ideologia tedesca; il capitolo sulla «Letteratura socialista e comunista» del Manifesto del partito comunista; le critiche alle posizioni di Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865), disseminate nei Grundrisse, nell’Urtext e in Per la critica dell’economia politica; i testi contro l’anarchismo dei primi anni settanta; e le tesi contro Ferdinand Lassalle (1825-1864), contenute nella Critica al programma di Gotha, appartengono a questa categoria. A tutto ciò vanno aggiunti i commenti critici rivolti a Proudhon, agli anarchici aderenti all’Associazione internazionale dei lavoratori e a Lassalle che si trovano sparsi all’interno del copioso carteggio di Marx.

Il secondo tipo di testi in cui Marx delineò alcuni tratti della società comunista è costituito dagli scritti di lotta e di propaganda politica destinati alle organizzazioni della classe proletaria del suo tempo. A esse Marx volle fornire indicazioni più concrete sul profilo della società per la quale lottavano e sugli strumenti necessari per la sua costruzione. Rientrano in questa categoria il Manifesto del partito comunista, le risoluzioni, le relazioni e gli indirizzi redatti per l’Associazione internazionale dei lavoratori (1864-1872) – inclusi Salario, prezzo e profitto e –, nonché alcuni articoli giornalistici, conferenze pubbliche, discorsi, lettere a militanti e altri documenti brevi, quali, ad esempio, il Programma minimo del Partito Operaio Francese.

Infine, i testi nei quali Marx descrisse più diffusamente, nonché in forma più efficace, le possibili caratteristiche della società comunista furono quelli incentrati sul capitalismo. In significativi capitoli del Capitale e in importanti parti dei suoi numerosi manoscritti preparatori, in particolare nei ricchissimi Grundrisse, sono racchiuse alcune delle sue idee fondamentali sul socialismo. Furono proprio le osservazioni critiche nei confronti di specifici aspetti del modo di produzione esistente a generare le riflessioni sulla società comunista che, non a caso, in diverse pagine della sua opera, si susseguono alternandosi tra loro.

Un attento studio delle considerazioni sul comunismo, presenti in ognuno dei testi menzionati, permette di distinguere la concezione di Marx da quelle dei regimi che, nel XX secolo, dichiarando di agire in suo nome, perpetrarono, invece, crimini ed efferatezze. In tal modo, è possibile ricollocare il progetto politico marxiano nell’orizzonte che gli spetta: la lotta per l’emancipazione di quella che Saint-Simon definì «la classe più povera e più numerosa».

Le sue annotazioni sul comunismo non vanno valutate come il modello marxista al quale attenersi dogmaticamente , né, tantomeno, come le soluzioni che, secondo Marx, si sarebbero dovute applicare, in modo indifferenziato, in luoghi e tempi diversi. Tuttavia, questi brani costituiscono un cospicuo e preziosissimo tesoro teorico, ancora oggi utile, per ripensare l’alternativa al capitalismo.

4. Le manchevolezze degli scritti giovanili.
Diversamente da quanto è stato sostenuto in alcuni testi di propaganda marxista-leninista, le teorie di Marx non furono il frutto di un sapere innato, ma si svilupparono attraverso un lungo processo di maturazione concettuale e politica. L’intenso e defatigante studio di molte discipline, in primis dell’economia, e l’osservazione di concreti avvenimenti politici, in particolare quelli relativi alla Comune di Parigi, ebbero considerevole rilevanza per lo sviluppo delle sue riflessioni sulla società comunista.

Alcuni dei testi giovanili di Marx, rimasti in gran parte incompleti, da lui mai pubblicati, e sorprendentemente considerati da tanti suoi epigoni come quelli nei quali si trovano condensate le sue tesi più significative , mostrano, al contrario, tutti i limiti della sua iniziale concezione della società post-capitalista.

Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, Marx scrisse sull’argomento in termini molto astratti, non avendo ancora potuto approfondire le ricerche economiche e a causa della carente esperienza politica maturata al tempo. In alcune parti di tale testo, egli descrisse «il comunismo […] [come] negazione della negazione», quale un «momento della dialettica hegeliana»: «l’espressione positiva della proprietà privata soppressa» . In altre, invece, ispirandosi a Ludwig Feuerbach (1804-1872), rappresentò il comunismo, come

umanismo, in quanto compiuto naturalismo, e naturalismo, in quanto umani- smo […]; verace soluzione del contrasto dell’uomo con la natura e con l’uomo, la verace soluzione del conflitto fra esistenza ed essenza, fra oggettivazione e affermazione soggettiva, fra libertà e necessità, fra individuo e genere.

FINE
Diversi passaggi dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 furono influenzati dalla matrice teleologica della filosofia della storia di Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831). Suggestionato da quest’ultimo, Marx asserì che «l’intero movimento della storia […] [era stato] il reale atto di generazione del comunismo» ; che il comunismo sarebbe stato «la soluzione dell’enigma della storia, […] consapevole di essere questa soluzione».

Anche L’ideologia tedesca, redatta assieme a Engels e concepita come un progetto al quale avrebbero dovuto partecipare altri autori , contiene una famosa citazione che ha generato grande confusione tra gli esegeti di Marx. In una pagina di questo manoscritto incompiuto si legge che, mentre nella società capitalistica, con la divisione del lavoro, ogni essere umano «ha una sfera di attività determinata ed esclusiva»,

nella società comunista […], la società regola la produzione in generale e, in tal modo, mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra; la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico .

Numerosi studiosi, marxisti e antimarxisti, hanno ingenuamente creduto che fosse questa, per Marx, la principale caratteristica della società comunista. Ciò fu possibile per la loro scarsa familiarità sia con Il capitale che con importanti testi politici di Marx. Questi autori non si accorsero, malgrado l’elevato numero di analisi e discussioni sorte intorno al manoscritto del 1845-1846, che questo passaggio era la riformulazione di una vecchia – e assai nota – idea di Charles Fourier , riproposta da Engels, ma bocciata da Marx .

Nonostante gli evidenti limiti, L’ideologia tedesca rappresentò un indubbio progresso rispetto ai Manoscritti economico-filosofici del 1844. Contro l’idealismo, privo di qualsiasi concretezza politica, degli esponenti della sinistra hegeliana, gruppo del quale egli aveva fatto parte fino al 1842, Marx chiarì che «non è possibile attuare una liberazione reale se non nel mondo reale e con mezzi reali». Il comunismo, pertanto, non doveva essere considerato come «uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi, [ma quale] movimento reale che abolisce lo stato di cose presente».

Ne L’ideologia tedesca, Marx abbozzò anche una prima descrizione del profilo economico della società futura. A suo avviso, se le precedenti rivoluzioni avevano prodotto soltanto «una nuova ripartizione del lavoro ad altre persone»,

il comunismo si distingue da tutti gli altri movimenti, fino a oggi conosciuti, in quanto rovescia la base di tutti i rapporti di produzione e le forme di relazione sviluppatesi fin qui e, per la prima volta, tratta coscientemente tutti i presupposti naturali come creazione degli uomini finora esistiti. Li spoglia del loro carattere naturale e li assoggetta al potere degli individui uniti. La sua organizzazione è, quindi, essenzialmente economica. È la creazione materiale delle condizioni di questa unione .

Marx asserì anche che «il comunismo è possibile empiricamente solo come azione dei popoli dominanti tutti in “una volta” e simultaneamente». A suo giudizio, ciò presupponeva sia lo «sviluppo universale delle forze produttive» che le «relazioni mondiali a esse connesse» . Inoltre, Marx affrontò, per la prima volta, anche un fondamentale tema politico, che avrebbe ripreso poi in futuro: quello dell’avvento del comunismo come fine della tirannia di classe. Egli affermò, infatti, che la rivoluzione avrebbe «aboli[to] il dominio di tutte le classi insieme con le classi stesse, poiché essa è compiuta dalla classe che nella società non conta più come classe, che non è riconosciuta come classe, che in seno alla società odierna è già l’espressione del dissolvimento di tutte le classi e nazionalità» . Marx continuò, assieme a Engels, a sviluppare le sue riflessioni sulla società post-capitalista nel Manifesto del partito comunista.

In questo testo, che, per la profondità di analisi dei mutamenti prodotti dal capitalismo, giganteggiava rispetto all’approssimativa letteratura socialista del tempo, le valutazioni più interessanti sul comunismo riguardavano i rapporti di proprietà. Egli osservò che la loro radicale trasformazione non sarebbe stata la «cosa che [avrebbe] propriamente caratterizz[ato] il comunismo», poiché anche gli altri nuovi modi di produzione comparsi nella storia avevano mutato i rapporti proprietari antecedentemente esistenti. Per Marx, diversamente da quanti dichiaravano, in maniera propagandistica, che i comunisti avrebbero impedito l’appropriazione personale dei prodotti del lavoro, «quel che contraddistingue il comunismo non è l’abolizione della proprietà in generale, bensì l’abolizione della proprietà borghese» , l’eliminazione della «facoltà di appropriarsi dei prodotti sociali […] per asservire lavoro altrui» . A suo avviso i comunisti potevano riassumere la «loro dottrina in quest’unica espressione: abolizione della proprietà privata».

Nel Manifesto del partito comunista, Marx fornì anche un elenco di dieci provvedimenti da realizzare, nei paesi economicamente più sviluppati, in seguito alla conquista del potere. Tra essi rientravano: «espropriazione della proprietà fondiaria e impiego della rendita fondiaria per le spese dello Stato ; […] accentramento del credito in mano allo Stato mediante una banca nazionale; […] accentramento di tutti i mezzi di trasporto in mano allo Stato; […] istruzione pubblica e gratuita di tutti i fanciulli»; ma anche la «abolizione del diritto di successione», una misura di matrice sansimoniana in seguito fermamente respinta da Marx.

Così come nel caso dei manoscritti redatti tra il 1844 e il 1846, si commetterebbe un errore se i principî elencati nel Manifesto del partito comunista, elaborati quando Marx era appena trentenne, venissero assunti come la compiuta descrizione della società post-capitalista da lui propugnata . La piena maturazione del suo pensiero necessitò di tanti altri anni di studio e di ulteriori esperienze politiche.

5. Comunismo come libera associazione.
Nel Libro primo del Capitale, Marx argomentò che il capitalismo è un modo di produzione sociale «storicamente determinato» , nel quale il prodotto del lavoro è trasformato in merce. In conseguenza di questa peculiarità, gli individui hanno valore solo in quanto produttori e «l’esistenza dell’essere umano» è asservita all’atto della «produ[zione] di merci» . Pertanto, è «il processo di produzione [a] padroneggi[are] gli esseri umani» , non viceversa. Il capitale «non si preoccupa della durata della vita della forza-lavoro» e non ritiene rilevante il miglioramento delle condizioni del proletariato. Quello che gli «interessa è unicamente […] il massimo [sfruttamento] di forza lavoro […], così come un agricoltore avido ottiene aumentati proventi dal suolo rapinandone la fertilità».

Nei Grundrisse, Marx ricordò che, poiché nel capitalismo, «lo scopo del lavoro non è un prodotto particolare che sta in […] rapporto con i bisogni […] dell’individuo, ma [è, invece,] il denaro […], la laboriosità dell’individuo non ha alcun limite» . In siffatta società «tutto il tempo di un individuo è posto come tempo di lavoro e [l’uomo] viene degradato a mero operaio, sussunto sotto il lavoro» . Ciò nonostante, l’ideologia borghese presenta questa condizione come se l’individuo godesse di una maggiore libertà e fosse protetto da norme giuridiche imparziali, in grado di garantire giustizia ed equità. Paradossalmente, malgrado l’economia sia giunta a un livello di sviluppo in grado di consentire a tutta la società di vivere in condizioni migliori rispetto al passato, «le macchine più progredite costringono l’operaio a lavorare più a lungo di quanto era toccato al selvaggio o di quanto lui stesso aveva fatto, [prima di allora,] con strumenti più semplici e rozzi».

Al contrario, il comunismo fu definito da Marx come «un’associazione di liberi esseri umani [einen Verein freier Menschen] che lavor[a]no con mezzi di produzione comuni e spend[o]no coscientemente le loro molteplici forze-lavoro individuali come una sola forza-lavoro sociale» . Definizioni simili sono presenti in numerosi manoscritti di Marx. Nei Grundrisse, egli scrisse che la società postcapitalista si sarebbe fondata sulla «produzione sociale» [gemeinschaftlichen Produktion] . Nei Manoscritti economici del 1863-1867, parlò del «passaggio del modo di produzione capitalistico al modo di produzione del lavoro associato [Produktionsweise der assoziierten Arbeit] . Nella Critica al programma di Gotha (1875), Marx definì l’organizzazione sociale «fondata sulla proprietà comune dei mezzi di produzione» come «società cooperativa» [genossenschaftliche Gesellschaft].

Nel Libro primo del Capitale, Marx chiarì che il «principio fondamentale» di questa «forma superiore di società» sarebbe stato il «pieno e libero sviluppo di ogni individuo» . Ne La guerra civile in Francia, espresse la sua approvazione per le misure adottate dai comunardi che lasciavano «presagire la tendenza di un governo del popolo per il popolo» . Più precisamente, nelle sue valutazioni circa le riforme politiche della Comune di Parigi, egli ritenne che «il vecchio governo centralizzato avrebbe dovuto cedere il passo, anche nelle province, all’autogoverno dei produttori». L’espressione venne ripresa negli Estratti e commenti critici a «Stato e anarchia» di Bakunin, dove specificò che un radicale cambiamento sociale avrebbe avuto «inizio con l’autogoverno della comunità» . L’idea di società di Marx è, dunque, l’antitesi dei totalitarismi sorti in suo nome nel XX secolo. I suoi testi sono utili non solo per comprendere il modo di funzionamento del capitalismo, ma anche per individuare le ragioni dei fallimenti delle esperienze socialiste fin qui compiute.

In riferimento al tema della cosiddetta libera concorrenza, ovvero l’apparente eguaglianza con la quale operai e capitalisti si trovano posti sul mercato nella società borghese, Marx dichiarò che essa era tutt’altro dalla libertà umana tanto esaltata dagli esegeti del capitalismo. Egli riteneva che questo sistema costituisse un grande impedimento per la democrazia e mostrò, meglio di chiunque altro, che i lavoratori non ricevono il corrispettivo di quello che producono . Nei Grundrisse, spiegò che quanto veniva rappresentato come uno «scambio di equivalenti» era, invece, «appropriazione di lavoro altrui senza scambio, ma sotto la parvenza dello scambio». Le relazioni tra le persone erano «determinate soltanto dai loro interessi egoistici». Questa «collisione di individui» era stata spacciata come la «forma assoluta di esistenza della libera individualità nella sfera della produzione e dello scambio».

Per Marx non vi era, in realtà, «niente di più falso», poiché, «nella libera concorrenza, non gli individui, ma il capitale è posto in condizioni di libertà» . Nei Manoscritti economici del 1861-63 egli denunciò che era «il capitalista a incassare questo pluslavoro – [che era] […] tempo libero [e] […] la base materiale dello sviluppo e della cultura in generale […] – in nome della società» . Nel Libro primo del Capitale, egli denunciò che la ricchezza della borghesia è possibile solo mediante la «trasformazione in tempo di lavoro di tutto il tempo di vita delle masse».

Nei Grundrisse, Marx osservò che nel capitalismo «gli individui sono sussunti dalla produzione sociale» , la quale esiste come qualcosa che è a «loro estraneo» . Essa viene realizzata solamente in funzione dell’attribuzione del valore di scambio conferito ai prodotti, la cui compravendita avviene soltanto «post festum» . Inoltre, «tutti i fattori sociali della produzione» , comprese le scoperte scientifiche che si palesano come «una scienza altrui, esterna all’operaio» , sono poste dal capitale. Lo stesso associarsi degli operai nei luoghi e nell’atto della produzione è «operato dal capitale» ed è, pertanto, «soltanto formale». L’uso dei beni creati da parte dei lavoratori «non è mediat[o] dallo scambio di lavori o di prodotti di lavoro reciprocamente indipendenti [, bensì] […] dalle condizioni sociali della produzione entro le quali agisce l’individuo» . Marx fece comprendere come l’attività produttiva nella fabbrica «riguarda[sse] solo il prodotto del lavoro, non il lavoro stesso» , dal momento che avveniva «in un ambiente comune, sotto vigilanza, irreggimentazione, maggiore disciplina, immobilità e dipendenza».

Nel comunismo, invece, la produzione sarebbe stata «immediatamente sociale […], il risultato dell’associazione [the offspring of association] che ripartisce il lavoro al proprio interno». Essa sarebbe stata controllata dagli individui come «loro patrimonio comune» . Il «carattere sociale della produzione» [gesellschaftliche Charakter der Produktion] avrebbe fatto sì che l’oggetto del lavoro fosse stato, «fin dal principio, un prodotto sociale e generale» . Il carattere associativo «è presupposto» e «il lavoro del singolo si pone, sin dalla sua origine, come lavoro sociale» . Come volle sottolineare nella Critica al programma di Gotha, nella società postcapitalistica «i lavori individuali non [sarebbero] più diventa[ti] parti costitutive del lavoro complessivo attraverso un processo indiretto, ma in modo diretto» . In aggiunta, gli operai avrebbero potuto creare le condizioni per una «scomparsa [del]la subordinazione servile degli individui alla divisione del lavoro» . Nel Libro primo del Capitale, Marx evidenziò che nella società borghese «l’operaio esiste in funzione del processo di produzione e non il processo di produzione per l’operaio» .

Inoltre, parallelamente allo sfruttamento dei lavoratori, si manifestava anche quello verso l’ambiente. All’opposto delle interpretazioni che hanno assimilato la concezione marxiana della società comunista al mero sviluppo delle forze produttive, il suo interesse per la questione ecologica fu rilevante . Marx denunciò, ripetutamente, che lo sviluppo del modo di produzione capitalistico determinava un aumento «non solo nell’arte di rapinare l’operaio, ma anche nell’arte di rapinare il suolo» . Per suo tramite, venivano minate entrambe le «fonti da cui sgorga ogni ricchezza: la terra e l’operaio».

Nel comunismo, viceversa, si sarebbero create le condizioni per una forma di «cooperazione pianificata», in virtù della quale «l’operaio si [sarebbe] spoglia[to] dei suoi limiti individuali e [avrebbe] sviluppa[to] la facoltà della sua specie» . Nel Libro secondo Marx scrisse che nel comunismo la società sarebbe stata in grado di «calcolare in precedenza quanto lavoro, mezzi di produzione e di sussistenza [avrebbe potuto] adoperare». Essa si sarebbe così differenziata, anche da questo punto di vista, dal capitalismo, sotto il quale «l’intelletto sociale si fa valere sempre soltanto post festum, [facendo] così intervenire, costantemente, grandi perturbamenti» . Anche in alcuni brani del Libro terzo, Marx offrì chiarimenti sulle differenze tra il modo di produzione socialista e quello basato sul mercato, auspicando la nascita di una società «organizzata come una associazione cosciente e sistematica» . Egli affermò che «è solo quando la società controlla efficacemente la produzione, regolandola in anticipo, che essa crea il legame fra la misura del tempo di lavoro sociale dedicato alla produzione di un articolo determinato e l’estensione del bisogno sociale che tale articolo deve soddisfare».

Nelle Glosse marginali al «Trattato di economia politica» di Adolf Wagner, infine, compare un’altra indicazione in proposito: «il volume della produzione» avrebbe dovuto essere «regolato razionalmente» . L’applicazione di questo criterio avrebbe consentito di abbattere anche gli sprechi dell’«anarchico sistema della concorrenza», il quale, nel ricorrere delle sue crisi strutturali, oltre a «determina[re] lo sperpero smisurato dei mezzi di produzione e delle forze-lavoro sociali» , non era in grado di risolvere le contraddizioni derivanti dall’introduzione dei macchinari, dovute essenzialmente «al loro uso capitalistico».

6. Proprietà collettiva e tempo libero.
Per ribaltare questo stato di cose, contrariamente a quanto credevano molti socialisti contemporanei a Marx, non bastava modificare la redistribuzione dei beni di consumo. Occorreva modificare alla radice gli assetti produttivi della società. Fu per questo che, nei Grundrisse, Marx annotò che «lasciare sussistere il lavoro salariato e, allo stesso tempo, sopprimere il capitale [era] una rivendicazione che si autocontraddice[va]» . Occorreva, viceversa, la «dissoluzione del modo di produzione e della forma di società fondati sul valore di scambio» . Nel discorso pubblicato con il titolo Salario, prezzo e profitto, egli ammonì gli operai affinché sulle loro bandiere non apparisse «la parola d’ordine conservatrice “Equo salario per un’equa giornata di lavoro”», ma il «motto rivoluzionario “Soppressione del sistema del lavoro salariato”».

Per di più, come si trova dichiarato nella Critica al programma di Gotha, nel modo di produzione capitalistico «le condizioni materiali della produzione [erano] a disposizione dei non operai sotto forma di proprietà del capitale e proprietà della terra, mentre la massa [era] soltanto proprietaria della [propria] forza lavoro» . Pertanto, era essenziale rovesciare i rapporti proprietari alla base del modo di produzione borghese. Nei Grundrisse, Marx ricordò che «le leggi della proprietà privata – ovvero la libertà, l’uguaglianza, la proprietà sul lavoro e la sua libera disposizione – si riversano nella mancanza di proprietà dell’operaio, nell’espropriazione del suo lavoro e nel suo riferirsi a esso come proprietà altrui» . In un intervento svolto, nel 1869, al Consiglio generale dell’Associazione internazionale dei lavoratori, Marx affermò che la «proprietà privata dei mezzi di produzione» serviva soltanto ad assicurare alla classe borghese il «potere con il quale essa [avrebbe] costr[etto] altri esseri umani a lavorare» per lei. Egli ribadì lo stesso concetto in un altro breve scritto politico, il Programma elettorale dei lavoratori socialisti, aggiungendo che «i produttori possono essere liberi solo quando sono in possesso dei mezzi di produzione» e che l’obiettivo della lotta del proletariato doveva essere la «restituzione alla comunità di tutti i mezzi di produzione».

Nel Libro terzo del Capitale, Marx osservò che, quando i lavoratori avrebbero instaurato un modo di produzione comunista, «la proprietà privata del globo terrestre da parte di singoli individui [sarebbe] appar[sa] così assurda come la proprietà privata di un essere umano da parte di un altro essere umano». Egli manifestò la sua più radicale critica verso l’idea di possesso distruttivo insita nel capitalismo, ricordando che «anche un’intera società, una nazione, o anche tutte le società di una stessa epoca prese complessivamente, non sono proprietarie della terra». Per Marx, gli esseri umani erano «soltanto […] i suoi usufruttuari» e, dunque, avevano «il dovere di tramandare alle generazioni successive [il mondo] migliorato, come boni patres familias».

Un diverso assetto della proprietà dei mezzi di produzione avrebbe mutato alla radice anche i tempi di vita della società. Nel Libro primo del Capitale, Marx disvelò, con inequivocabile chiarezza, le ragioni per le quali, nel capitalismo, «l’economia di lavoro mediante lo sviluppo della forza produttiva del lavoro non ha affatto lo scopo di accorciare la giornata lavorativa». Il tempo che il progredire della tecnica e della scienza renderebbe disponibile per i singoli viene, infatti, immediatamente convertito in pluslavoro. La classe dominante ha come unica ambizione quella di «ridurre il tempo di lavoro necessario per la produzione di una determinata quantità di merci» . Il suo solo scopo è quello di sviluppare la forza produttiva con il solo fine di «abbrevia[re] la parte della giornata lavorativa nella quale l’operaio deve lavorare per sé stesso, per prolungare […] la parte […] nella quale l’operaio può lavorare gratuitamente per il capitalista» . Questo sistema differisce dalla schiavitù o dalle corvées dovute al signore feudale, poiché «pluslavoro e lavoro necessario sfumano l’uno nell’altro» e rendono più difficilmente percettibile l’entità dello sfruttamento.

Nei Grundrisse, Marx mise bene in evidenza che è solo grazie a questo surplus del tempo di lavoro di tutti che si rende possibile il «tempo libero per alcuni» . La borghesia consegue l’accrescimento delle sue facoltà materiali e culturali solo grazie alla limitazione imposta a quello del proletariato. Lo stesso accade nelle nazioni capitalisticamente più avanzate, a discapito delle periferie del sistema. Nei Manoscritti economici del 1861-1863, Marx ribadì che il progresso della classe dominante è speculare alla «mancanza di sviluppo della massa lavoratrice» . Il tempo libero della prima «corrisponde al tempo asservito» dei lavoratori; «lo sviluppo sociale dell’una fa del lavoro di [questi] altr[i] la propria base naturale» . Questo tempo di pluslavoro degli operai non solo è il pilastro sul quale poggia la «esistenza materiale» della borghesia, ma crea la condizione anche per il suo «tempo libero, la sfera del [suo] sviluppo». Come meglio non si potrebbe dichiarare: «il tempo libero dell’una corrisponde al […] tempo soggiogato al lavoro […] dell’altra».

Per Marx, al contrario, la società comunista sarebbe stata caratterizzata da una diminuzione generalizzata dei tempi di lavoro. Nel documento Istruzioni per i delegati del Consiglio Generale provvisorio. Le differenti questioni, da lui predisposto per il primo congresso dell’Associazione internazionale dei lavoratori, enunciò che la riduzione della giornata lavorativa era la «condizione preliminare senza la quale [sarebbero] aborti[ti] tutti gli ulteriori tentativi di miglioramento e di emancipazione». Era necessario non solo «fare recuperare l’energia e la salute alla classe lavoratrice», ma anche «fornire a essa la possibilità di sviluppo intellettuale, di relazioni e attività sociali e politiche» . Nel Libro primo del Capitale, Marx argomentò che il «tempo per un’educazione da esseri umani, per lo sviluppo intellettuale, per l’adempimento di funzioni sociali, per rapporti socievoli, per la libera espressione delle energie vitali, fisiche e mentali», considerati dai capitalisti «fronzoli puri e semplici» , sarebbero stati gli elementi fondativi della nuova società. Il decremento delle ore destinate al lavoro – non solo del tempo di lavoro necessario per creare nuovo pluslavoro in favore della classe capitalista – avrebbe favorito, così appuntò Marx nei Grundrisse, «il libero sviluppo delle individualità», ovvero «la formazione e lo sviluppo artistico e scientifico […] degli individui, grazie al tempo divenuto libero e ai mezzi creati per tutti loro».

Sulla base di queste convinzioni, egli ravvisò nella «economia di tempo, e [nella] ripartizione pianificata del tempo di lavoro nei diversi rami di produzione, la prima legge economica alla base della produzione sociale» . Nelle Teorie sul plusvalore precisò, ancor più, che «la ricchezza non è niente altro che tempo disponibile». Nella società comunista l’autogestione dei lavoratori avrebbe dovuto assicurare una maggiore quantità di tempo che non doveva essere «assorbito dal lavoro immediatamente produttivo, [ma] dar[e] luogo al godimento, all’ozio e, pertanto, alla libera attività e al libero sviluppo» . In questo testo, così come nei Grundrisse, Marx citò un breve pamphlet intitolato La fonte e il rimedio delle difficoltà nazionali dedotte dai principi di economia politica in una lettera al signor John Russell, del quale condivideva pienamente la definizione di benessere formulata dall’anonimo autore: «una nazione si può dire veramente ricca, quando in essa invece di lavorare per 12 ore si lavora soltanto per sei.

La ricchezza reale non è l’imposizione del tempo di lavoro supplementare, ma è il tempo [che viene reso] disponibile a ogni individuo e a tutta la società, fuori da quello usato nella produzione immediata». La medesima idea si trova ribadita in un altro brano dei Grundrisse, nel quale Marx domandava retoricamente: «che cos’è la ricchezza se non l’universalità dei bisogni, delle capacità, dei godimenti, delle forze produttive degli individui? […] Che cos’è se non l’estrinsecazione assoluta delle [loro] doti creative?» . È evidente, dunque, che il modello socialista al quale egli guardava non contemperava uno stato di miseria generalizzata, ma il conseguimento di una maggiore ricchezza collettiva.

7. Ruolo dello Stato, diritti individuali e libertà.
Nella società comunista, accanto alle trasformazioni dell’economia, avrebbero dovuto essere ridefiniti anche il ruolo dello Stato e le funzioni della politica. Ne La guerra civile in Francia, Marx tenne a chiarire che, in seguito alla presa del potere, la classe lavoratrice avrebbe dovuto lottare per «estirpare le basi economiche sulle quali riposa l’esistenza delle classi e, quindi, il dominio di classe». Una volta che sarà «emancipato il lavoro, ogni essere umano div[errà] un lavoratore e il lavoro produttivo cess[erà] di essere l’attributo di una classe» . La nota affermazione «la classe operaia non può semplicemente impadronirsi della macchina statale così com’è» stava a significare, come Marx ed Engels spiegarono nell’opuscolo Le cosiddette scissioni nell’Internazionale, che il movimento operaio avrebbe dovuto tendere a trasformare «le funzioni governative […] in semplici funzioni amministrative» . Anche se con una formulazione alquanto concisa, negli Estratti e commenti critici a «Stato e anarchia» di Bakunin, Marx spiegò che «la distribuzione delle funzioni [governative avrebbe dovuto] diven[tare] un fatto amministrativo che non attribuisce alcun potere». In questo modo, si sarebbe potuto evitare, quanto più possibile, che l’esercizio degli incarichi politici generasse nuove dinamiche di dominio e soggezione.

Marx valutò che, con lo sviluppo della società moderna, «il potere dello Stato [aveva] assu[nto] sempre più il carattere di potere nazionale del capitale sul lavoro, di una forza pubblica organizzata di asservimento sociale, di uno strumento del dispotismo di classe» . Nel comunismo, al contrario, i lavoratori avrebbero dovuto impedire che lo Stato divenisse un ostacolo alla piena emancipazione degli individui. A essi Marx indicò la necessità che «gli organi meramente repressivi del vecchio potere governativo [fossero] amputati», mentre le sue «funzioni legittime» avrebbe[ro] dovuto essere «strappate da un’autorità che usurpava il primato della società […] e restituite agli agenti responsabili della società» . Nella Critica al programma di Gotha Marx chiarì che «la libertà consiste nel mutare lo Stato da organo sovrapposto alla società in organo assolutamente subordinato ad essa», chiosando con sagacia che «le forme dello Stato sono più o meno libere nella misura in cui limitano la “libertà dello Stato”».

In questo stesso testo, Marx sottolineò anche l’esigenza che, nella società comunista, le politiche pubbliche privilegiassero la «soddisfazione collettiva dei bisogni». Le spese per le scuole, le istituzioni sanitarie e gli altri beni comuni sarebbero «notevolmente aumentat[e] fin dall’inizio, rispetto alla società attuale, e [sarebbero] aument[ate] nella misura in cui la nuova società si verrà sviluppando» . L’istruzione avrebbe assunto una funzione di primario rilievo e, così come aveva ricordato ne La guerra civile in Francia, riferendosi al modello adottato dai comunardi parigini nel 1871, «tutti gli istituti di istruzione [sarebbero] stati aperti gratuitamente al popolo e liberati da ogni ingerenza sia della Chiesa che dello Stato». Solo così la cultura sarebbe «stata resa accessibile a tutti» e la scienza affrancata sia «dai pregiudizi di classe [che] dalla forza del governo».

Differentemente dalla società liberale, nella quale «l’eguale diritto» lascia inalterate le disuguaglianze esistenti, per Marx nella società comunista «il diritto [avrebbe] dov[uto] essere disuguale, invece di essere uguale». Una sua trasformazione in tal senso avrebbe riconosciuto, e tutelato, gli individui in base ai loro specifici bisogni e al minore o maggiore disagio delle loro condizioni, poiché «non sarebbero individui diversi, se non fossero disuguali». Sarebbe stato possibile, inoltre, determinare la giusta partecipazione di ciascuna persona ai servizi e alla ricchezza disponibile. La società che ambiva a seguire il principio «ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni» aveva, davanti a sé, questo cammino complesso e irto di difficoltà. Tuttavia, l’esito finale non era garantito da «magnifiche sorti e progressive» e, allo stesso tempo, non era irreversibile.

Marx assegnò un valore fondamentale alla libertà individuale e il suo comunismo fu radicalmente diverso tanto dal livellamento delle classi, auspicato da diversi suoi predecessori, quanto dalla grigia uniformità politica ed economica, realizzata da molti suoi seguaci. Nell’Urtext , però, pose l’accento anche sull’«errore di quei socialisti, specialmente francesi», che, considerando «il socialismo [quale] realizzazione delle idee borghesi», avevano cercato di «dimostrare che il valore di scambio [fosse], originariamente […], un sistema di libertà ed eguaglianza per tutti, […] falsificato [… poi] dal capitale» . Nei Grundrisse, Marx etichettò come «insulsaggine [quella] di considerare la libera concorrenza quale ultimo sviluppo della libertà umana». Difatti, questa tesi «non significa[va] altro se non che il dominio della borghesia [era] il termine ultimo della libertà umana», idea che, ironicamente, Marx definì «allettante per i parvenus».

Allo stesso modo, egli contestò l’ideologia liberale secondo la quale «la negazione della libera concorrenza equivale alla negazione della libertà individuale e della produzione sociale basata sulla libertà individuale». Nella società borghese si rendeva possibile soltanto un «libero sviluppo su base limitata, sulla base del dominio del capitale». A suo avviso, «questo genere di libertà individuale [era], al tempo stesso, la più completa soppressione di ogni libertà individuale e il più completo soggiogamento dell’individualità alle condizioni sociali, le quali assumono la forma di poteri oggettivi […] [e] oggetti indipendenti […] dagli stessi individui e dalle loro relazioni».

L’alternativa all’alienazione capitalistica era realizzabile solo se le classi subalterne avessero preso coscienza della loro condizione di nuovi schiavi e avessero dato inizio alla lotta per una trasformazione radicale del mondo nel quale venivano sfruttati. La loro mobilitazione e la loro partecipazione attiva a questo processo non poteva arrestarsi, però, all’indomani della presa del potere. Avrebbe dovuto proseguire al fine di scongiurare la deriva verso un socialismo di Stato nei cui confronti Marx manifestò sempre la più tenace e convinta opposizione.

In una significativa lettera indirizzata, nel 1868, al presidente dell’Associazione generale degli operai tedeschi, Marx spiegò che «l’operaio non andava trattato con provvedimenti burocratici», affinché potesse obbedire «all’autorità e ai superiori; la cosa più importante era insegnargli a camminare da solo» . Egli non mutò mai questa convinzione nel corso della sua esistenza. Non a caso, come primo punto degli Statuti dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, da lui redatto, aveva posto: «l’emancipazione della classe lavoratrice deve essere opera dei lavoratori stessi». Aggiungendo, in quello immediatamente successivo, che la loro lotta non doveva «tendere a costituire nuovi privilegi e monopoli di classe, ma a stabilire diritti e doveri eguali per tutti» . Molti dei partiti e dei regimi politici sorti nel nome di Marx, utilizzando in modo strumentale e citando impropriamente il concetto di «dittatura del proletariato» , non hanno seguito la direzione da lui indicata. Tuttavia, ciò non vuol dire che non sia possibile provarci ancora.

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Paul Elias, Marx and Philosophy. Review of Books

Years ago in one of Marcello Musto’s graduate classes he told us that there are ‘many Marxs and many Marxisms’.

Indeed, true to the dialectical tradition, with the proliferation of interpretations of Marx’s thought, it seems that we never come across the same Marx/Marxism twice. Musto has provided us with yet another Marx in his bookAnother Marx: Early Manuscripts to the International. But his Marx is a vivid one, the fruit of rigorous philological research over many years. Some of this work is already published and more is forthcoming, and he hints at his ultimate aim in a footnote: ‘a complete intellectual biography of Marx’ (4).

The book opens with a discussion of the contemporary Marx revival and his prediction that ‘the renewal of Marx will continue’ (4). The character of Musto’s research on Marx and the seriousness with which he approaches it is evident in his claim that it was his studies ‘of the published and as yet unpublished corpus of MEGA2[Marx-Engels Gesamtausgabe]’ which ‘nourished the underlying conviction of the present volume: that many paths remain to be explored, and that, despite frequent claims to the contrary, Marx is not at all an author about whom everything has already been said or written’ (4). One of his primary aims with this book, of course, is to foster discussion of interpretations. In particular, he seeks to challenge ‘philologically unfounded’ ones (6). His attempt ‘to offer a more exhaustive account of the formation of Marx’s thought’ is not limited to this book and he promises further work on ‘the research in the last years of his life’ (5). This is the topic of his bookThe Last Marx (1881-1883): An Intellectual Biography(Musto, 2018).

Another Marxis divided into three main parts: ‘Intellectual Influences and Early Writings,’ ‘The Critique of Political Economy’ and Marx’s ‘Political Militancy.’ Musto begins with Marx’s childhood and youth. He places him in the context of his broader cultural environment and the immediate circle of people that influenced his outlook on life, philosophy and early political leanings, including his experiences as a student during his time in Trier, Bonn and eventually his intellectual intercourse within the milieu of the Doctor’s Club and Left-Hegelians in Berlin. His narrative twists through Marx’s initial encounters with political-economic theory, his intense period of work in Paris in 1844 and the important manuscripts from this period; his maturing economic research in the early 1850s, when his life increasingly becomes one of hardship; his drafting of theGrundrissemanuscripts, experience with the 1857 crisis and further development of method; his political reflections in his journalistic writing for theNew York Daily Tribune; and a detailed account of the circumstances and struggles surrounding the writing ofCapitalwhich, incidentally, express a key reason for this intellectual biography: ‘The critical spirit with which Marx composed hismagnum opusreveals just how distant he was from the dogmatic author that both most of his adversaries and many self-styled disciples presented to the world’ (168). Throughout this narrative, Marx’s suffering with disease, poverty and related struggles is a recurring theme. Musto also fills in the history of the period in which Marx was absorbed in a feud with Karl Vogt, providing an interesting look at Marx’s personality as reflected in this work.

Arguably, one of Musto’s greatest accomplishments with this book is that he showcases Marx’s revolutionary ‘political talents’ and activity in a refreshing and enjoyable way (174). This is expressed through his role in the International Working Men’s Association (Musto includes information on the organization’s history, composition, internal politics and divisions, crisis and demise), as well as Marx’s conflict with Bakunin, all of which are situated in the context of the international politics of the time (e.g. the advent of the Paris Commune). The book closes with an analysis of Marx’s thoughts on the question of whether communism can develop in Russia without first passing through a stage of capitalist development (i.e. what scholars call the ‘multilinearity debate’) and the dogmatic Russian Marxists who claimed that Marx believed it could not, whereas Marx maintained that it is not necessarily required.

Those interested in a philosophical engagement with Marx’s work will find that Musto exaggerates the significance of a method of ‘careful philological examination’ (43). Consider, for instance, the case of theEconomic and Philosophical Manuscripts of 1844(EPM). He claims that ‘nearly all readings of [the EPM] have either ignored or treated as unimportant the philological problems they present’ (42). While it is true that to ‘separate [the EPM] from the rest [of Marx’s manuscripts], to extrapolate them from their context, may […] lead to errors of interpretation’, comprehensively understanding them requires a more thorough analysis of the philosophy in them (45). Musto’s philological method leads to a misleading periodization of Marx’s thought in a way that separates and abstracts moments in its development. The way in which he treats Marx’s philosophical reflections in these early writings as ‘only [an] initial stage in his critical trajectory’ overlooks the extent of their relevance as a foundation for Marx’s ‘mature’ thinking (6). For example, Musto claims that in the EPM Marx’s ‘idea of communism remained highly abstract. At some point, he described it as the “negation of the negation,” as a moment in the “Hegelian dialectic”’ (39-40). But this ‘abstract’ set of ideas are deeply complex and writing them off in this way does not explain them; nor does it explain how these reflections in 1844 are connected to the expression of those ideas inCapital(cf. chapter 32 of the first volume).

To his credit, Musto assails the idea that there was a fundamental ‘intellectual break’ from Marx’s early period. Nonetheless, Musto’s method leads him to posit a kind of break in Marx’s intellectual maturation with his idea of Marx’s movement from ‘critical philosophy to revolutionary practice’ (45). Musto claims that ‘Marx’s thought underwent a decisive evolution during his year in Paris. He was now certain that the transformation of the world was a practical question. […] He bid farewell forever to philosophy that had not reached this awareness. […] From now on, his […] conclusions were not speculative but directed toward revolutionary action’ (47-8). The usage of ‘speculative’ here and elsewhere (e.g. pages 35 and 49) suggests its colloquial meaning, and there is no discussion of its specific meaning in Hegel’s thought (which, in a word, entails the recognition of ‘the positive in the negative’). It necessarily follows that a more comprehensive view of the relationship between Marx’s revolutionary theory/activity and ‘speculative’ thought in the Hegelian sense is left unexplored along with the abundant evidence which indicates that an essentially Hegelian ontology and epistemology is an integral component of Marx’s ‘mature’ philosophical thought. Some of this evidence is included in section 4.5 on Marx’s search for a method in which Musto points out how Marx identified Hegel with the correct method and insightfully claims that Marx’s criticism of him in the ‘Introduction’ to theGrundrisseis unfounded (by comparison, Marx’s attempt to distance his thinking from Hegel’s philosophy in the EPM is not afforded as much scrutiny). Musto nevertheless does not recognize that the ‘Introduction’ is one of many examples of Marx’s ‘speculative’ thinking. He also claims that with Marx’s ‘Crisis Notebooks’ [1857-58], ‘it is possible to change the conventional image of a Marx studying Hegel’sScience of Logic’ – even though hewas(cf. Marx’s letter to Engels dated 16 January 16 1858), which Musto is aware of – but such philological arguments in themselves produce only superficial insight into the nature of Hegel’s influence on Marx’s thought (85). Ultimately, this kind of critical reconstruction of Marx’s writings forces us to question the limitations of a philological approach. It reminds us of Marx’s criticism of Lassalle’s ‘philological finery’ when he was commenting on the latter’s book about Heraclitus. He claimed that, ‘Since most philologists arenotpossessed of the speculative thinking dominant in Heraclitus, every Hegelian has the incontestable advantage of understanding what the philologist does not’ (Marx, 1983: 260).

At times, Musto pushes the rigorousness of his philology to the point of redundancy – such as, for example, when he points out that one of Marx’s letters ‘is mistakenly dated 19 January 1958’ or that ‘Marx completed the proof corrections [of the first volume ofCapital] at 2:00 a.m. on 1 August 1867’ – giving the impression that this book is most suited for academics with a focus on Marxology (98; 164). With this level of rigorousness however, he has also effectively employed a meticulous collection of personal correspondence and biographical information in order to provide a revealing image of Marx’s life and times during the periods in which he was writing key works. This makes it especially useful for novice, albeit serious, readers.

On the strength of his philology, Musto recognizes a non-dogmatic spirit in Marx. At the beginning of the book he claims that ‘Marxism has often distorted [Marx’s] thought’, but by the end, when he describes Marx’s encounter with Marxists who misrepresented his theoretical position, it appears that Marx’s aversion to Marxists is such thatallMarxisms fundamentally diverge from his way of thinking (4). While Musto reduces this issue to the fact that those particular Marxists were wrong from Marx’s own perspective about a given question, a deeper grasp of Marx’s philosophy indicates that the more or less dogmatic philosophical attitude required for upholding any kind of Marxism is inconsistent with a key feature of the ‘dialectical’ philosophy that Marx practiced: radically critical engagement with theory which results in itssublation.

References

Marx, Karl1983Marx-Engels Collected Works, Vol. 40Eds. Betty and Peter Ross. New York: International Publishers
Musto, Marcello2018The Last Marx (1881-1883): An Intellectual BiographyLondon: Oxford University Press

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Kimi Oki, Dokushojin

文献学的手法に基づくマルクス伝
晩年のマルクスに比重が置かれる

イタリア出身のマルクス研究者の手によるマルクスの伝記である。

マルクスについてはこれまでも数多くの伝記が書かれてきた。古典的なものとしては、E・H・カーの『カール・マルクス』、アイザイア・バーリンの『カール・マルクス』、D・マクレランの『マルクス伝』があるし、ここ最近に限っても、ジャック・アタリの『世界精神マルクス』やジョナサン・スパーバーの『マルクス』などが相次いで出版されている。これらの類書と比べた場合、本書は、最新のMEGA研究に基づいていること、晩年に比重が置かれていること、この二点に特徴がある。

MEGA(『マルクス=エンゲルス全集(ゲザムト・アオスガーベ)』の頭文字を取った略称)とは、マルクスとエンゲルスの著作や往復書簡のみならず、現存する草稿やノートなども含め、あらゆる文書を収録することを目指したプロジェクトであり、一九七五年に刊行が始まり、現在も進行中である(因みに、大月書店から翻訳が出ている『マルクス=エンゲルス全集』は、正確には『全集』ではなく、『著作集(ヴェルケ)』である)。MEGAの編集にも携わってきた著者は、とくに、マルクスの作成した膨大な抜粋ノートに注目する。マルクスは、若い頃から、読書の際に文章を書き写し、その傍らに注釈を付ける習慣があった。このノートを丹念に調べながら、著者は、マルクスの思想の変遷を辿ってゆく。例えば、一八四四年に書かれた『経済学・哲学草稿』と一八四五-四六年に書かれた『ドイツ・イデオロギー』の間には、理論上の断絶があるという主張がアルチュセールによって(日本では廣松渉によって)なされてきたが、著者は、MEGAで新たに公表されたノート類を駆使して、両者の間の欠落を埋め、連続的な道筋を描き出そうとする。

また、これまでの伝記では、一八六七年の『資本論』第一巻の出版がクライマックスに位置づけられ、その後の数十年は言わば余生として簡単に済まされることが多かった。著者は、この晩年の叙述に実に半分近くもの紙幅を割き、『資本論』第一巻刊行後もマルクスの思想が不断に変化し続けたことを書簡等を援用して跡づける。そして、それによって、最晩年の到達点が、よく知られたマルクス像とは異なるものであることを示そうとする。例えば、マルクスは土台としての経済が歴史を動かすという唯物史観を説いたと一般に受け止められているが、著者は、人類学の最先端の知見に触れたことによって、晩年には複合的で柔軟な歴史観をもつようになったと述べる。また、革命の見通しについても、ロシアの農村共同体の研究を通じて、ヨーロッパ以外の場所では、資本主義を経由することなく共産主義に至る道がありうると考えるようになったという。こうした解釈が(訳書のポップな装丁に反して)手堅い文献学的手法に基づいて展開されてゆく。

本書の題名には、旧来の理解とは異なる新たなマルクス像を提示するという意図が込められているが、その際、「アザー」ではなく「アナザー」という形容詞を使っているところに文献学者としての著者の矜持が現れている。そこには、厳密な文献学的考証によって、幾多の誤ったマルクスとは違う、一箇の、真のマルクスを明らかにするという自負が垣間見える。しかし、文献学的に妥当な手続きを踏んだとしても、それによって示された思想が資本主義を根底から批判しうる強度をもっていなければ理論的には意味がない。文献学的な瑕疵があるにせよ、アルチュセールがマルクスから引き出し、発展させた哲学には、そうした強度があった。逆に、最新のMEGA研究を用いて示された「アナザー・マルクス」、青年期の疎外論的な枠組みをマルクスは終生手放さなかったとか、晩年のマルクスが共同体に共産主義の可能性を見出したといったマルクス像には、どこか既視感を覚え、残念ながら評者はあまり興味をもてなかった

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Vento largo

Altro che obsoleto! Il Capitale di Marx è la prima critica scientifica della globalizzazione In libreria una nuova biografia intellettuale di Marx.

Interessante la tesi di fondo: il pensiero di Marx scaturì dalla mondializzazione della modernità europea nella seconda metà dell’Ottocento e dunque (aggiungiamo noi) resta ancora valido per l’analisi dei processi mondialiodierni, caratterizzati dall’esaurimento della centralità strategica dell’Occidente. Non a caso l’autore sottolinea la coincidenza temporale fra l’avvio della critica dell’economia politica e la prima crisi economica mondiale innescata dal capitalismo americano nel 1857. Giuseppe Vacca Il pensiero di Karl Marx attraverso la biografia La fine dell’Unione Sovietica interruppe la pubblicazione delle Opere Complete di Marx ed Engels che aveva avuto inizio a Mosca negli anni Venti, ma poco tempo dopo, quando ancora non s’erano placate le futili dispute sulla «fine della storia», il progetto editoriale fu ripreso in Europa. Esso si giova di una mole di scritti inediti ancora più grande e di una rete di studiosi di tutto il mondo che lo stanno portando a termine alacremente, con acribia filologica e grande dedizione. Marcello Musto s’inserì in quella rete quando era ancora un giovane dottorando e da quindici anni si dedica allo studio della vita e del pensiero di Marx per “liberarlo” dallesedimentazioni di cent’anni di socialismo. La sua biografia, pubblicata in Italia da Einaudi, è un esempio perspicuo della storiografia internazionale che procede a ripristinare e innovare la figura del filosofo di Treviri, argomentandone la perdurante vitalità. Il pensiero di Marx scaturì dalla mondializzazione della modernità europea nella seconda metà dell’Ottocento e Musto sottolinea la coincidenza temporale fra l’avvio della critica dell’economia politica e la prima crisi economica mondiale innescata dal capitalismo americano nel 1857. La sua vitalità si misura nell’analisi dei processi mondiali odierni, caratterizzati dall’esaurimento della centralità globale dell’Occidente. La ricostruzione rigorosamente storiografica del pensiero marxiano è stata concepita da Musto in modo da interessare le diverse aree del mondo, limitandosi al periodo in cui Marx elaborò la critica dell’economia politica. Nell’attuale congiuntura mondiale, segnata da una impressionante ripresa dell’interesseper Marx, considero feconda la scelta di utilizzare la disponibilità di nuove fonti, di una nuova ermeneutica e di una nuova filologia per ricostruire la genesi e la stesura del Capitale. Musto ha incrociato le ricerche economiche, storiche, filosofiche, teorico politiche, antropologiche di Marx con l’analisi minuta della sua attività di leader politico della Prima Internazionale. In tal modo ha tolto ogni alibi a chiunque voglia continuare a “filosofeggiare” sul pensiero marxiano ignorandone l’interazione con la biografia.
E non sono meno importanti la restituzione degli affetti domestici, delle incredibili sofferenze procurategli dai malanni e dagli stenti, la memoria delle tragedie familiari fra cui si dipanò in quegli anni la sua esistenza poiché la conoscenza dell’umanità di Marx è un antidoto altrettanto valido sia contro le mitizzazioni, sia contro le perduranti demonizzazioni del suo “fantasma”. Quello di Musto è dunque uno scavo imprescindibile per accostarsi all’operafondamentale del pensatore di Treviri che, com’è noto, quando era in vita pubblicò solo il primo libro del Capitale, mentre la pubblicazione degli altri tre volumi, avvenuta dopo la sua morte, avviò la crescente “invadenza” degli inediti alimentando le più varie e selettive letture, “revisioni” e “combinazioni” del suo pensiero che ne hanno condizionato e distorto l’immagine e la ricezione per oltre un secolo. La storia degli ultimi centocinquant’anni è solcata dal contrasto fra il cosmopolitismo dell’economia e il nazionalismo della politica ma la vita intellettuale è rimasta fortemente ancorata alle vicende politiche nazionali. In Italia la diffusione delle opere di Marx ebbe un vero exploit subito dopo la seconda guerra mondiale, ma la loro interpretazione fu influenzata da correnti filosofiche attratte e contaminate dagli scritti giovanili pubblicati prevalentemente negli anni Trenta. Fra gli anni Cinquanta e Sessanta ci fu una nuova fioritura di pubblicazioni che introdussero IlCapitale nella cultura filosofica italiana. Ma anche essa fu condizionata dal dibattito filosofico europeo che non nutriva interessi storiografici per i nessi fra la vita e il pensiero di Marx. Si verificò quindi un fenomeno paradossale: la preponderanza dell’inedito giunse a bandire Il Capitale dalla ricerca culturale. Ne presero il posto i Grundrisse, cioè i lavori preparatori, che meglio si prestavano a nuove combinatorie filosofiche culminate, alla fine degli anni Settanta, nella proclamazione della “crisi della ragione”. Nel lavoro di Musto la ricostruzione storiografica degli scritti marxiani si svolge invece attraverso un costante riscontro degli inediti sugli editi, ritessendo le fila d’una ricerca incompiuta ma ininterrotta, che proseguì fino alla fine dei suoi giorni. Un work in progress, che dimostra come Marx non si fermasse all’analisi dei rapporti di produzione, ma proiettasse il suo sguardo su quelli che già allora apparivano gli aspetti distruttivi della natura e dellavita generati dalla globalizzazione del capitalismo. La struttura del libro dà conto pienamente del perché, «tra i classici del pensiero economico e filosofico, Marx sia quello il cui profilo è maggiormente mutato nel corso degli ultimi anni». L’autore parte dalla critica dell’economia politica affiancandovi subito la ricostruzione dell’attività politica di Marx nel quindicennio considerato, esplora poi le ricerche antropologiche dell’ultimo triennio e conclude ripercorrendo la teoria politica che attraversa tutta la sua vita. L’afflato “militante” della biografia di Musto si risolve quindi nella rivitalizzazione del laboratorio analitico marxiano, fondamentale per giungere a una narrazione storica sensata del mondo contemporaneo, distinta e distante dalle diatribe correnti sulla “globalizzazione” e sul “disordine mondiale”. Il Sole – 10 febbraio 2019 Karl Marx. Biografia intellettuale e politica
(1857-1883) Marcello Musto

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Marx liberato da stereotipi ammuffiti

Forte della pubblicazione di testi inediti di Karl Marx, Marcello Musto, professore associato di Sociologia teorica presso la York University di Toronto, analizza nel saggio Karl Marx. Biografia intellettuale e politica. 1857-1883 (Einaudi, pagine 329. euro 30), la vasta gamma di ricerche che il pensatore di Treviri condusse, unitamente alla critica dell’economia politica, intorno alle più diverse discipline e aree geografiche. Esse vanno, solo per citarne alcune, dalla analisi dello sviluppo del capitalismo negli Stati Uniti, all’evoluzione del’economia russa a seguito dell’abolizione della servitù della gleba, alla proprietà comune nelle società primitive, ai caratteri del colonialismo in Asia. Marx seguì con particolare acume i principali eventi della politica mondiale, sostenendo la lotta della Polonia per l’indipendenza, commentò le vicende della Guerra civile americana, appoggiando la causa dell’abolizione della schiavitù e quella per l’indipendenza dell’Irlanda.
Marcello Musto, i cui suoi scritti sono stati tradotti in oltre venti lingue, è autore delle monografie Ripensare Marx e i marxismi. Studi e saggi (Carocci 2011), L’Ultimo Marx 1881-1883. Saggio di biografia intellettuale (Donzelli 2016).

1) Professor Musto, Marx viene spesso descritto come eurocentrico, economicista e interessato solo all’analisi dell’economia e al conflitto di classe tra capitale e lavoro. Perché questa descrizione non corrisponde al vero?
Lungi dall’interessarsi solo del proletariato di fabbrica, Marx non tralasciò di evidenziare le potenzialità rivoluzionarie di altre soggettività ai margini della società capitalistica. Ciò avvenne soprattutto nell’ultimo decennio di vita. Inoltre, lo studio delle realtà extraeuropee e degli effetti nefasti prodotti dal colonialismo nelle periferie del globo occupò un posto tutt’altro che secondario nelle sue riflessioni. La critica al ruolo svolto dalle potenze occidentali nel sud del mondo è netta e inequivocabile. Aggiungo che, se avesse avuto più tempo, nei libri II e III del Capitale – che, come si sa, rimasero incompiuti – Marx avrebbe significativamente esteso oltre l’Europa il campo di analisi della sua critica dell’economia.

2) Lei sostiene che l’”Internazionale dei lavoratori” non fu creazione esclusiva di Marx. Quale fu il suo ruolo in seno all’organizzazione?
Diversamente da quanto propagandato dalla liturgia sovietica, l’Internazionale fu molto di più del solo Marx. Tra i vari gruppi che ne fecero parte vi furono i sindacati inglesi, i mutualisti francesi – entrambi, seppur per ragioni differenti, molto moderati – e gli anarchici vicini a Bakunin. L’impresa di riuscire a far convivere tutte queste tendenze nella stessa organizzazione fu indiscutibilmente opera di Marx. Le sue doti politiche gli permisero di tenere assieme ciò che appariva inconciliabile e assicurarono un futuro all’Internazionale. Fu Marx a scrivere tutte le principali risoluzioni dell’Associazione e a dare una chiara finalità all’Internazionale. Realizzò un programma politico non preclusivo, eppure fermamente di classe, a garanzia di un movimento che ambiva a essere di massa e non settario. In un’epoca nella quale il mondo del lavoro è costretto, anche in Europa, a subire condizioni di sfruttamento e forme di legislazione simili a quelle dell’Ottocento e in cui vecchi e nuovi conservatori tentano, ancora una volta, di dividere chi lavora da chi è precario, disoccupato o migrante, l’eredità politica dell’Internazionale riacquista uno straordinario valore.

3) Quali elementi delle analisi di Marx sulla Guerra civile americana hanno retto alla prova del tempo?
Marx intravide nella lotta contro la schiavitù in atto negli Stati Uniti uno degli eventi politici più rilevanti della sua epoca. Accanto alla fondamentale battaglia contro il razzismo, egli spiegò agli sprovveduti che si illudevano del contrario che “il lavoro di pelle bianca non può emanciparsi in un paese dove viene discriminato se ha la pelle nera”. La guerra tra poveri distoglieva le classi subalterne dalla lotta contro le vere cause delle ingiustizie sociali. Marx ripeté in numerose occasioni ciò che in molti oggi, anche a sinistra, paiono aver dimenticato: quando le classi dominanti, mediante la loro propaganda, riescono a dividere i proletari, le condizioni di vita di questi ultimi – non solo di quelli migranti ma anche degli autoctoni – sono sempre destinate a peggiorare. È un monito che va nuovamente spiegato con urgenza, nel drammatico contesto politico attuale.

4) Quali elementi di interesse offrono i Quaderni antropologici redatti dall’ultimo Marx?
Tramite questi studi, egli ampliò le sue vedute in merito a tematiche che giudicò molto considerevoli. Tra queste figurano l’emancipazione di genere, l’origine dei rapporti proprietari e le pratiche comunitarie esistenti nelle società precapitalistiche. Queste ricerche gli permisero di sfuggire al determinismo nel quale caddero non solo tanti suoi contemporanei, ma anche diversi suoi seguaci e presunti continuatori.

5) Nel corso del loro quarantennale sodalizio Marx ed Engels si confrontarono su ogni possibile tematica, ma Marx non parlò mai del come avrebbe dovuto essere organizzata la società del domani. Come lo spiega?
Marx volle decisamente distinguersi dai tanti pensatori che impiegavano il loro tempo a ipotizzare la struttura ideale della società socialista. Egli irrise questo modo di concepire la politica e ritenne che le questioni sul sistema perfetto per il futuro servivano soltanto a distrarre dalle lotte del presente. A suo avviso, la trasformazione collettiva non poteva avvenire in base all’applicazione di metastorici ordinamenti di organizzazione sociale, aprioristicamente concepiti da filosofi o utopisti. Marx fu un convinto assertore dell’autoemancipazione della classe operaia. Reputò che, quando sarebbero maturati i tempi, i lavoratori sarebbero stati in grado di liberare sé stessi e di trasformare la produzione capitalistica nel suo opposto, ovvero in una compiuta democrazia, in “un’associazione di liberi esseri umani che lavorano con mezzi di produzione comuni”. Se Marx si guardò bene dal “prescrivere ricette per l’avvenire”, ciò non vuol dire, però, che egli non abbia mai descritto cosa intendesse per comunismo. Per esempio, affermò chiaramente che la nuova società avrebbe dovuto essere basata sul ‘pieno e libero sviluppo di ogni individuo’, sulla diminuzione del tempo di lavoro a vantaggio del tempo libero e sulla fine della logica del possesso distruttivo insita nel capitale – i cui effetti drammatici egli riuscì a intravedere anche nei confronti della natura. Per Marx, comunismo significava maggiore ricchezza collettiva e non uno stato di miseria generalizzata.

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Pasquale Chessa, Il Messaggero

Rileggendo oggi Machiavelli e Marx il Principe “vince” per modernità

Nicolo Machiavelli non fu mai machiavellico e Karl Marx non fu mai marxista. Un desti- no comune ha sottovalutato la complessità della biografie intellettuali dei due più grandi filosofi della politica, sottomettendo le rispettive esistenze alle formule co-muni che ne hanno mummificato il pensiero.
E sarà quindi anche vero che il «fine giustifica i mezzi», ma Machiavelli fu tanto intransigente rispetto al valore della «norma» quanto lontana fu da lui quella concezione strumentale delle leggi su cui si e fondato l’edificio concettuale del «machiavellismo» politico di ogni epoca. Specularmente non e banale ricordare che l’espressione «dittatura del proletariato», su cui si e fondata la costruzione teorica del «marxismo», e citata solo sette volte nella sterminata opera di Marx. Al contrario, proprio nel Capitale, nella nota alla seconda edizione, con una incisiva battuta contro l’uso dog- matico del suo pensiero, il filosofo della «lotta di classe» rifiuta persino di proporre un «modello universale di società comunista», vi- sto che non ha nessuna intenzione di «prescrivere ricette… per l’osteria dell’avvenire».

I Regimi

A Marcello Musto, nella innovativa riscrittura della sua biografia intellettuale, bastano poche righe di Marx per spiegare quanto sia «fantasiosa» ogni «anticipazione dottrinaria… di una rivoluzione a venire»; al professore associato della York University di Toronto
preme soprattutto «distinguere la concezione di Marx da quei regi- mi che, nel XX secolo, dichiarando di agire in suo nome, perpetrarono, invece, crimini ed efferatezze». Così, che Machiavelli sia stato il fondatore della filosofia politica, tesi di Benedetto Croce ripresa poi da Antonio Gramsci, non basta a Michele Ciliberto. E invece l’uomo Machiavelli al centra della nuova lettura del professore di filosofia della Normale di Pisa, che affida al sottotitolo della sua ricerca, Ragione e pazzia, la chiave per restituire all’autore del Principe tutte le sue qualità di uomo politico del Rinascimento. Il tempo corrotto nel quale il destino l’ha costretto a vivere, lo aveva convinto che per riformare l’Italia non ci fosse altra strada che riformare gli stessi italiani. Filosofo della crisi, per il segretario della Cancelleria della Repubblica fiorentina (dal 1498 al 1512) la politica altro non poteva essere che «l’arte dello Stato».

Le Scelte

Ma discacciato dal centra del potere, dopo il ritorno dei Medici a Firenze, fu costretto a riversare nella riflessione filosofica e storica, ma soprattutto nel teatro e nella satira, l’impegno esistenziale che per 14 anni aveva dedicato alla sopravvivenza dello Stato. Riconoscendo i limiti della «ragione» pensava che la politica avesse bisogno di scelte eccezionali, audaci, estreme, insomma «pazze». C’è molta passione perciò all’origine non solo dei successi ma anche dei suoi fallimenti. Come il progetto del Principe, una proposta eccessiva che al tempo fu un fallimento, sottovalutato persino dalla più stretta cerchia delle sue amicizie.

Il Cibo

«Malcontento» nel profondo del suo animo amava pero le gioie della vita, il cibo come le donne e il denaro, fedele al precetto dell’amatissimo Boccaccio, «meglio fare e pentere che starsi e pentersi». Ciliberto, senza cedere alle lusinghe della divulgazione, e riuscito a far tornare fra noi Machiavelli, che co- si ci appare più moderno e con- temporaneo anche del “nuovo” Marx, che pure era stato ribattezzato da Croce come il «Machiavelli della classe operaia».

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Giuseppe Vacca, Il Sole 24 Ore

Il pensiero di Karl Marx attraverso la biografia

La fine dell’Unione Sovietica interruppe la pubblicazione delle Opere Complete di Marx ed Engels che aveva avuto inizio a Mosca negli anni Venti, ma poco tempo dopo, quando ancora non s’erano placate le futili dispute sulla «fine della storia», il progetto editoriale fu ripreso in Europa.

Esso si giova di una mole di scritti inediti ancora più grande e di una rete di studiosi di tutto il mondo che lo stanno portando a termine alacremente, con acribia filologica e grande dedizione.

Marcello Musto s’inserì in quella rete quando era ancora un giovane dottorando e da quindici anni si dedica allo studio della vita e del pensiero di Marx per “liberarlo” dalle sedimentazioni di cent’anni di socialismo. La sua biografia, pubblicata in Italia da Einaudi, è un esempio perspicuo della storiografia internazionale che procede a ripristinare e innovare la figura del filosofo di Treviri, argomentandone la perdurante vitalità.

Il pensiero di Marx scaturì dalla mondializzazione della modernità europea nella seconda metà dell’Ottocento e Musto sottolinea la coincidenza temporale fra l’avvio della critica dell’economia politica e la prima crisi economica mondiale innescata dal capitalismo americano nel 1857. La sua vitalità si misura nell’analisi dei processi mondiali odierni, caratterizzati dall’esaurimento della centralità globale dell’Occidente. La ricostruzione rigorosamente storiografica del pensiero marxiano è stata concepita da Musto in modo da interessare le diverse aree del mondo, limitandosi al periodo in cui Marx elaborò la critica dell’economia politica. Nell’attuale congiuntura mondiale, segnata da una impressionante ripresa dell’interesse per Marx, considero feconda la scelta di utilizzare la disponibilità di nuove fonti, di una nuova ermeneutica e di una nuova filologia per ricostruire la genesi e la stesura del Capitale.

Musto ha incrociato le ricerche economiche, storiche, filosofiche, teorico politiche, antropologiche di Marx con l’analisi minuta della sua attività di leader politico della Prima Internazionale. In tal modo ha tolto ogni alibi a chiunque voglia continuare a “filosofeggiare” sul pensiero marxiano ignorandone l’interazione con la biografia. E non sono meno importanti la restituzione degli affetti domestici, delle incredibili sofferenze procurategli dai malanni e dagli stenti, la memoria delle tragedie familiari fra cui si dipanò in quegli anni la sua esistenza poiché la conoscenza dell’umanità di Marx è un antidoto altrettanto valido sia contro le mitizzazioni, sia contro le perduranti demonizzazioni del suo “fantasma”.

Quello di Musto è dunque uno scavo imprescindibile per accostarsi all’opera fondamentale del pensatore di Treviri che, com’è noto, quando era in vita pubblicò solo il primo libro del Capitale, mentre la pubblicazione degli altri tre volumi, avvenuta dopo la sua morte, avviò la crescente “invadenza” degli inediti alimentando le più varie e selettive letture, “revisioni” e “combinazioni” del suo pensiero che ne hanno condizionato e distorto l’immagine e la ricezione per oltre un secolo.

La storia degli ultimi centocinquant’anni è solcata dal contrasto fra il cosmopolitismo dell’economia e il nazionalismo della politica ma la vita intellettuale è rimasta fortemente ancorata alle vicende politiche nazionali. In Italia la diffusione delle opere di Marx ebbe un vero exploit subito dopo la seconda guerra mondiale, ma la loro interpretazione fu influenzata da correnti filosofiche attratte e contaminate dagli scritti giovanili pubblicati prevalentemente negli anni Trenta. Fra gli anni Cinquanta e Sessanta ci fu una nuova fioritura di pubblicazioni che introdussero Il Capitale nella cultura filosofica italiana. Ma anche essa fu condizionata dal dibattito filosofico europeo che non nutriva interessi storiografici per i nessi fra la vita e il pensiero di Marx. Si verificò quindi un fenomeno paradossale: la preponderanza dell’inedito giunse a bandire Il Capitale dalla ricerca culturale. Ne presero il posto i Grundrisse, cioè i lavori preparatori, che meglio si prestavano a nuove combinatorie filosofiche culminate, alla fine degli anni Settanta, nella proclamazione della “crisi della ragione”.

Nel lavoro di Musto la ricostruzione storiografica degli scritti marxiani si svolge invece attraverso un costante riscontro degli inediti sugli editi, ritessendo le fila d’una ricerca incompiuta ma ininterrotta, che proseguì fino alla fine dei suoi giorni. Un work in progress, che dimostra come Marx non si fermasse all’analisi dei rapporti di produzione, ma proiettasse il suo sguardo su quelli che già allora apparivano gli aspetti distruttivi della natura e della vita generati dalla globalizzazione del capitalismo.

La struttura del libro dà conto pienamente del perché, «tra i classici del pensiero economico e filosofico, Marx sia quello il cui profilo è maggiormente mutato nel corso degli ultimi anni». L’autore parte dalla critica dell’economia politica affiancandovi subito la ricostruzione dell’attività politica di Marx nel quindicennio considerato, esplora poi le ricerche antropologiche dell’ultimo triennio e conclude ripercorrendo la teoria politica che attraversa tutta la sua vita. L’afflato “militante” della biografia di Musto si risolve quindi nella rivitalizzazione del laboratorio analitico marxiano, fondamentale per giungere a una narrazione storica sensata del mondo contemporaneo, distinta e distante dalle diatribe correnti sulla “globalizzazione” e sul “disordine mondiale”.

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Filipe Duarte, Progress in Political Economy

Marx’s Method Of Political Economy

Marx’s method of political economy offers a critique of the political economy of capitalism in relation to its historical, social and material foundations, and this contributes to understanding and explaining the nature and functioning of capitalism, as well as the root causes of social and economic inequalities and its different forms of (re)production in industrialised capitalist societies, as Ben Fine and Alfredo Saad-Filho explain.

The discussion of Marx’s method traces back to his early writings of the Economic and Philosophic Manuscripts of 1844, which comprises the initial breakthrough in the field of political economy from 1843 to the composition of Grundrisse: Foundations of the Critique of Political Economy, written between 1857 and 1858. Grundrisse is an introductory draft of Marx’s Critique of Political Economy and a preparatory work for Capital. According to Marcello Musto, it contributes to understanding Marx’s thought as a whole and Capital in particular. Musto further explains that, in Grundrisse, Marx aimed to clarify the guiding principles for theorising the problem and contradictions of capitalism. In this regard, Derek Sayer (1979) considers that Marx’s analysis is a method of enquiry that analyses the intrinsic relations of capitalism.

Marx was influenced by Hegel and Feuerbach. In his early career, Marx identified himself with the group of Young Hegelians (who were more radical) rather than with in the Old Hegelians (considered more reactionary), but the influence of Feuerbach’s materialism led Marx to move away from the Young Hegelians who believed that human intellectual development still had far to advance. In the first decades of the nineteenth century, philosophy was dominated by Hegel and his followers. Fine and Saad-Filho explain that Hegelians “were idealists, believing that theoretical concepts can legitimately be developed more or less independently of material reality.” The Hegelians also believed that “intellectual progress explains the advance of government, culture and the other forms of social life”. In contrast, Feuerbach believed that human need determines consciousness. For him, in general humans seek God or religion, to satisfy an emotional need. For that reason, Marx extended Feuerbach’s materialist philosophy beyond religion to all the other areas of society. Feuerbach’s materialist analysis is ahistorical and non-dialectical, while Marx believed that human consciousness can only be understood in relation to historical, social and material circumstances. Thus, Fine and Saad-Filho argue that the relationship between dialectics and history became the cornerstone of Marx’s method. For Marx, consciousness is first and foremost determined by material conditions that develop dialectically throughout human history. In Marxist terms, dialectics is a method that translates a way of thinking about reality. It consists in going beyond reality to understand and analyse the social whole through a materialist analysis.

Therefore, it is important to explore the discussion on historical materialism and dialectical materialism made by Nicos Poulantzas because it sheds light on an understanding and distinction between interpretations of both Marxist philosophy and method. Poulantzas explains that historical materialism is the science of history. It studies the different modes of production and social formation, their structure, constitution and functioning, and the forms of transition from one social formation to another through an historical perspective. Its object is the concept of history. While dialectical materialism is defined as a Marxist philosophy, it has its own particular object of production and that is the structure and functioning of the process of thought. The object of dialectical materialism is the theory of the history of scientific production.

Thus, as Marx showed in Grundrisse and in Capital, historical materialism maintains a general theory for defining the concepts of mode of production, of social formation, of real appropriation and property, of combination, ideology, politics, conjuncture and transition. These concepts contribute to defining the object through a historical perspective. This means that the object of historical materialism is the study of different structures and practices – the economy, politics, and ideology. As Poulantzas explains, the combination of these different structures and practices constitutes the mode of production and the social formation.

Therefore, in Grundrisse, Marx defines the historical criteria and the material production of society as the starting point of his method of analysis. But how? Where do we begin? Marcello Musto (2008) explains that in Grundrisse, Marx “addressed the major methodological issue: how to reproduce reality in thought. How to construct an abstract categorical model capable of comprehending and representing society?” Marx sought to question and challenge the founders of political economy, William Petty and Pierre de Boisguilbert, by questioning their method of starting their analysis off with the entire population. For Musto (2008), Marx believed that to initiate an analysis with the entire population gives an overly generic image of the whole as it is incapable of demonstrating the divisions into classes (bourgeoisie, landowners and proletariat) because class can only be determined through its foundations: capital, land ownership and wage labour. For this reason, Musto considers that such an empirical approach would dissolve the analysis of the state “into abstract determinations such as division of labour, money or value”. In fact, this procedure was employed by Adam Smith and David Ricardo in economics and by Hegel in philosophy. For example, the abstract categories in economics arose from simple relations, such as labour, division of labour, need, exchange value, to the level of the state, and exchange between nations and the world market. For Musto, Marx’s “abstract determinations lead towards a reproduction of the concrete by way of thought”. Moreover, in Marx’s account, Musto argues that, with the right categories, it is possible “to retrace the journey until one finally arrives at population again, only this time not as the chaotic conception of the whole, but as a rich totality of many determinations and relations”.

Fine and Saad-Filho consider that “the best known example of the application of Marx’s method can be found in his critical examination of capitalism in Capital”. Fine and Saad-Filho assert that Marx’s approach has five important broad features: (1) Social phenomena exist, and can be understood, only in their historical context. For Marx, societies are organised by different modes of production and structured by different class relations. Thus, class analysis offers a clear insight into the internal structure, the mechanisms of power and contradictions of a capitalist society; (2) Theory loses its validity if pushed beyond its historical and social limits which means that concepts and theories are always constructed to address a particular society and historical moment; (3) Marx’s analysis is structured by the relations between theory and history. For him, the historical analysis belongs within the method of the study, which contributes to understanding the past and present, but cannot be used to predict the future; (4) Dialectical materialism informs and defines the key concepts, structures, relationships and levels of analysis required to explain the concrete or complex outcomes. Marx uses dialectical materialism in Capital to understand and determine the essential features of capitalism and their contradictions, to explain the structure and dynamics of this mode of production, and to locate the potential sources of historical change; (5) Marx’s method is focused on historical change. For Marx, there is an interdependent and mutual relationship between the structures of production, the social relations and historical change. These influences are always determined by the mode of social organisation. Fine and Saad-Filho explain that “these relations exist independently of individual choice, even though they have been established in the course of the historical development of society”. Therefore, these social relations of production are determined by class relations within a particular mode of production, such as in a capitalist society.

Thus, Marx’s method of political economy is thus particularly useful as a scientific and rigorous method of analysis that provides an analytical template to understand how social systems works.

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Bruno Bongiovanni, L’Indice dei libri del mese

Marx, compagno di tutte le stagioni

Mel mondo multiforme della cultura, dell’inno- vazione trasformativa o anche rivoluzionaria del sapere, e persino dell’azione politica o sociale, vi sono personalità di grandissimo rilievo che è molto difficile, anzi forse impossibile, inquadrare in una di quelle singole discipline che rendono il sapere stesso, sul terreno dell’istruzione e della conoscen- za, scolastico e accademicamente diviso.

Si pensi a Montesquieu, a karl Marx, a John Stuart Mill, a Max Weber e naturalmente anche ad altri (tra cui Benedetto Croce).
Ciascuno di essi è forse unicamente un giurista, un economista (o un critico dell’economia politica), un filosofo, un sociologo, uno storico, un teorico della politica, un filologo postosi in rapporto con le lingue e con le letterature, un esperto di statistica, un cultore delle scienze naturali, matematiche e fisiche, un antropologo, un sovvertitore intellettuale della teoresi del passato e delle relative attività speculative o anche, siccome ogni presente ha alle proprie spalle un antico regime, un sovverti tore radicale dei sistemi politici e istituzionali degli antichi re- gimi? Certamente no. Eppure, queste formidabili personalità polimorfe sono in profondo contatto, talora lungo la loro vita intera e talora in momenti diversi delle loro esistenze, con tutte le citate forme disciplina- ri, sovente nessuna esclusa. Occorre poi aggiungere che, si condividano integralmente o meno le decifrazioni universa- li dell’uno o dell’altro di que- sti pensatori, a tutti noi non   è possibile, senza conoscere i loro ricchissimi scritti e lo scor- rere degli anni in cui vissero, comprendere i diversi aspetti del mondo che un tempo ci ha circondato e del mondo su cui ora, nel nostro presente spesso turbolento, ci affacciamo. La stessa cosa vale anche per per- sonaggi oggettivamente un po’ più omogenei e continui nelle loro straordinarie “scoperte”, come Freud e Ein- stein, entrambi ebrei proprio come Marx. E veniamo allora a quest’ultimo. Per affrontare un personaggio universale come è Marx – le cui ope- re, a differenza di quelle degli altri personaggi sopra nominati, sono uscite in gran parte postume e sono state a lungo, e talora ancora lo sono, inedite – ci si deve rendere conto che è necessario dedicarsi alle riflessioni interpretative e alla rassegna delle inter- pretazioni succedutesi nel tempo; ma anche adot- tare l’ottica filologica e ricostruire la complicata e tuttora interminata, nonché sterminata, vicenda delle edizioni; senza ovviamente trascurare la pre- senza di tutti i saperi presenti nelle opere e nelle edi- zioni. Tutto ciò, in misure diverse, lo troviamo nel libro bello e utilissimo di Giovanni Sgrò, libro che fa emergere inizialmente, come incipit di un’edizio- ne integrale, la prima Marx-Engels-Gesamtausgabe
– diventata poi l’acronimo MEGA (1) – curata dal martire socialista David Borisovič Rjazanov, vittima nel 1938 del terrore staliniano. MEGA (1) fu pub- blicata dal 1927 al 1932 in otto volumi, che com- prendevano, nel 1932, L’ideologia tedesca e i parigini (1844) Manoscritti economico-filosofici, annotazioni,  i Manoscritti, la cui struttura e i cui itinerari sono ancora da chiarire. Stalin in persona, usciti sino al 1935 altri volumi curati dal nazional-stalinista Vla- dimir Seguono, nella Ddr, tra il 1956 e il 1968, in te- desco (compresi i moltissimi scritti marxengelsiani in inglese, in francese, persino in italiano), gli in- completi e incompiuti, ma “onesti”, 39 volumi co- nosciuti come Marx-Engels Werke (Mew). nel 1975 ha infine inizio la MEGA (2), ovverosia la seconda Marx-Engels-Gesamtausgabe. Intanto, in Occidente, erano usciti e continuavano a uscire i lavori di Ma- ximilien Rubel (in Francia) e di Hal Draper (negli Stati uniti), i due massimi conoscitori e commen- tatori della Marx-Forschung nella seconda metà del XX secolo. Prima di loro, s’intende, e più importan- te di loro, vi era stato, nella prima metà del XX seco- lo, Rjazanov. MEGA (2), ancora abbastanza lontana dalla conclusione, conosce poi una prima vita dal 1975 al 1989 – anno che Sgrò definisce “epocale” (per la caduta dei comunismi) – e poi una secon- da e indipendente vita, nata nell’ottobre 1990 ad Amsterdam grazie alla creazione dell’Internationale Marx-Engels-Stiftung (Fondazione Internazionale Marx-Engels).
Molte cose, arrivando sino agli ultimi anni, si tro- vano così nel volume di Sgrò, a partire dall’edizio- ne, arrestatasi troppo presto, delle Opere complete in italiano di Marx ed Engels. Interessantissime sono anche le pagine sul Capitolo Sesto Inedito, scritto da Marx nel 1863-1864 e tradotto benissimo in ita- liano da Bruno Maffi nel 1969 (La nuova Italia). Opera di non facile lettura, suscita un notevole interesse subito dopo il Sessantotto. E non solo in Italia, ma ancor di più in Germania e in Francia. Così come lo suscitano i Grundrisse (Lineamen- ti fondamentali della critica dell’economia politica), scritti nel 1857-1858, fatti uscire per la prima volta a Mosca nel 1939-1941 (quando Stalin era alleato con Hitler), tradotti da Enzo Grillo in modo eccel- lente, e pubblicati in due volumi, sempre presso La nuova Italia, nel 1968 e nel 1970. Si vedano ora, a proposito di quest’opera celeberrima, e a conferma di una fortuna mai esauritasi, I Grundrisse di Karl Marx, a cura di Marcello Musto, libro che contie- ne molti interventi e commenti. La prima edizione di questo testo, in inglese, risale al 2013. Da tutto ciò si deve comunque dedurre che solo restituendo Marx per intero al continuum pluriculturale della sua riflessione, e al tempo che fu il suo, egli si pre- senta compiutamente come uno Zeitgenosse di tutte le generazioni, vale a dire come un contemporaneo e un compagno di tutte le stagioni che la sua opera, accresciutasi progressivamente negli anni con stra- bilianti e numerosissimi inediti, ha attraversato e at-
traversa. Sino a diventare – ed è un processo ancora in corso
– quasi un’altra, ed enorme, opera.
E veniamo a Musto, autore ora anche di un libro sul Marx meno noto degli ultimi due anni e mezzo di vita. In buo- na parte si discorre della Rus- sia. Cosa ci si può attendere? una guerra contro la Russia, una sconfitta militare della Russia, una rivoluzione russa (non socialista, ma giacobina), la scomparsa (temporanea o permanente?) del gendarme reazionario dell’Europa, la tra- sformazione socialista in Euro- pa, il ritorno della rivoluzione in Russia, dove allora e solo allora si potrebbe utilizzare l’Obščina (la comune rurale) nella transizione al socialismo. La comunità, insomma, non può per Marx transustanziarsi in socialismo senza la presenza della società. Il libro si conclu-
de con la partenza di Marx, nell’inverno del 1882, verso l’Algeria, soggiorno consigliato dai medici di Londra, con motivazioni climatiche, ad un uomo malato alla pleura, ai bronchi e ai polmoni. Marx tossiva, respirava a fatica, soffriva d’insonnia. E fu sfortunato. Quello fu un pessimo inverno in Alge- ria. Vi restò tuttavia 72 giorni, l’unico periodo in cui stette fuori dall’Europa, l’unico periodo in cui si fece tagliare il leggendario barbone. Si mosse cio- nondimeno sino al Sahara. E tornò indietro. Arri- vato in Francia, dichiarò a Lafargue di non essere “marxista”:“ce qu’il y a de certain c’est que moi, je ne suis pas marxiste”. Raggiunse poi la Gran Bretagna. La morte – 14 marzo 1883 – non era lontana.
nei testi di Hannah Arendt (Princeton, 1953), Marx appare invece esclusivamente come un filoso- fo politico. Certo, le riflessioni arendtiane arrivano due anni dopo la pubblicazione delle Origini del to- talitarismo e questo può spiegare la spietata riduzio- ne e la massiccia limitazione del polivalente Marx. In un primo momento, infatti, Arendt si chiede  se Marx avesse anticipato il totalitarismo a venire. Ma si chiede anche l’opposto nella seconda parte. Prevale poi questa seconda parte e Marx diviene il punto d’arrivo di un percorso iniziato con Platone e conclusosi con lui. Seguono questo secondo sentie- ro l’introduzione di Simona Forti e la postfazione di Adriana Cavarero, che pure non si esime dall’indivi- duare, nel Marx arendtiano, “ombre aristoteliche”.

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Marx Tentang Kemerdekaan Polandia

Dalam surat saya sebelumnya, saya menceritakan bagaimana pada bagian pertama dekade 1860an, perhatian Marx utamanya tercurah pada peristiwa yang mengguncang Amerika Serikat.
Kali ini, saya akan bercerita tentang peristiwa yang juga diikuti Marx dengan ketertarikan yang sama, yakni perkembangan di Rusia dan Eropa Timur yang juga berlangsung pada dekade 1860an itu.
Dalam sebuah suratnya pada Lassalle di bulan  Juni 1860, Marx membuat beberapa poin terkait salah satu fokus politik utamanya: penentangannya terhadap Rusia dan sekutunya Henry Palmerston dan Louis Bonaparte. Dia mencoba meyakinkan Lassalle bahwa tidak ada yang tidak sah dalam konvergensi antara posisi “partai” mereka dan posisi David Urquhart, politisi Tory dengan pandangan romantis. Mengenai Urquhart – yang memiliki keberanian untuk menerbitkan kembali, untuk tujuan anti-Rusia dan anti-Liberal, artikel-artikel Marx melawan Palmerston yang telah muncul di organ resmi Chartist Inggris pada awal tahun 1850-an – ia menulis: “Ia … secara subjektif reaksioner … ini sama sekali tidak menghalangi gerakan dalam kebijakan luar negeri, di mana ia adalah pemimpin, dari keadaan yang secara objektif revolusioner. (… Itu) bagi saya masalah pengabaian total, sebagaimana dalam perang melawan Rusia, misalnya, itu akan menjadi masalah ketidakpedulian Anda apakah, dalam menembaki Rusia, motif teman Anda di garis tembak adalah hitam, merah dan emas (yaitu, nasionalis) atau revolusioner. “Marx melanjutkan:” Itu adalah sesuatu yang lumrah bahwa dalam kebijakan luar negeri, sangat sedikit yang bisa dicapai dengan menggunakan kata-kata kunci seperti ‘reaksioner’ dan ‘revolusioner’. “

Masalah Revolusi Polandia dan Peran Reaksioner Rusia
Senantiasa mencari tanda-tanda pemberontakan yang mungkin dapat membatasi peran reaksioner Rusia dalam perpolitikan Eropa, Marx menulis kepada Engels pada awal 1863 (segera setelah pemberontakan Januari Polandia dan tawaran langsung Bismarck untuk membantu menindas pemberontakan itu) bahwa “era revolusi sekarang cukup terbuka di Eropa sekali lagi”. Dan empat hari kemudian, ia menuliskan refleksinya, “Masalah Polandia dan intervensi Prusia tentu saja mencerminkan kombinasi yang mengharuskan kita untuk berbicara.”
Menyadari pentingnya peristiwa-peristiwa tersebut, Marx menganggap tidaklah cukup bagi mereka sekadar berbicara melalui artikel-artikel yang diterbitkan untuk harian Wina, Die Presse (koran tempat ia paling banyak menerbitkan tulisannya pada tahun 1862). Oleh karena itu ia menyarankan agar segera menerbitkan manifesto atas nama Asosiasi Pendidikan Pekerja Jerman di London, yang posisi politiknya dekat dengan posisinya. Ini akan memberinya perlindungan jika dia melanjutkan gagasan untuk mengajukan kewarganegaraan Jerman dan “kembali ke Jerman”. Engels seharusnya menulis “sedikit militer” dari teks kecil ini, dengan fokus pada “kepentingan militer dan politik Jerman dalam pemulihan Polandia”, sementara ia akan menulis “sedikit diplomasi”. Ketika, pada 18 Februari 1863, Prussian Chamber of Deputies mengutuk kebijakan pemerintah dan mengeluarkan resolusi yang mendukung netralitas, Marx menggebrak dengan antusias: “Kita akan segera melakukan revolusi.” Dalam pandangannya, masalah Polandia menawarkan “kesempatan lebih lanjut untuk membuktikan bahwa tidak mungkin untuk menuntut kepentingan Jerman selama negara Hohenzollerns sendiri terus ada.” Tawaran Bismarck untuk mendukung Tsar Alexander II, atau persetujuannya bagi “Prussia untuk memperlakukan wilayah [Polandia] sebagai Rusia”, memberi Marx motivasi politik lebih lanjut untuk menyelesaikan rencananya.
Pada periode inilah Marx memulai proyek penelitiannya yang menyeluruh. Dalam sebuah surat yang dikirimnya kepada Engels pada akhir Mei, dia melaporkan bahwa pada bulan-bulan sebelumnya – terlepas dari studi ekonomi politik – dia telah mempelajari aspek-aspek masalah Polandia; ini memungkinkannya untuk “mengisi kekosongan dalam pengetahuan (diplomatik, historis) (nya) hal-ikhwal masalah Rusia-Prusia-Polandia”. Maka, antara Februari dan Mei, ia kemudian menulis sebuah manuskrip berjudul “Polandia, Prusia dan Rusia” (1863), yang dengan baik mendokumentasikan penundukkan sejarah Berlin ke Moskow. Untuk Hohenzollerns, “kemajuan Rusia mewakili hukum perkembangan Prusia”; “Tidak ada Prusia tanpa Rusia”. Sebaliknya, bagi Marx, “pemulihan Polandia berarti pemusnahan Rusia kini, pembatalan tawarannya untuk hegemoni global”. Untuk alasan yang sama, “penghancuran Polandia, kepasrahannya bagi Rusia, (akan berarti) penurunan Jerman, runtuhnya satu-satunya bendungan yang menahan banjir Slav universal”.
Teks yang direncanakan tidak pernah terbit. Dalam keadaan sedemikian, tanggung jawab jelas berada di tangan Engels (yang seharusnya menulis bagian yang paling penting, pada aspek militer), sedangkan “sedikit diplomatik” Marx, yang ia “siap lakukan kapan saja”, adalah “hanya sebuah lampiran.” Namun pada Oktober, Marx berhasil menerbitkan“ Proklamasi Polandia oleh Masyarakat Pendidikan Pekerja Jerman di London ”(1863), yang membantu mengumpulkan dana bagi pejuang kemerdekaan Polandia. Proklamasi itu dimulai dengan pernyataan tegas: “Urusan Polandia adalah Urusan Jerman. Tanpa Polandia yang merdeka tidak akan ada Jerman yang merdeka dan bersatu, tidak ada emansipasi Jerman dari dominasi Rusia yang dimulai dengan pertama-tama pemisahan  Polandia.” Menurut Marx, sementara “borjuasi Jerman tampak diam, pasif dan acuh tak acuh, atas pembantaian terhadap bangsa yang heroik yang melindungi bangsa Jerman dari pendudukan orang-orang Moskow”, “kelas pekerja Inggris “akan terus berjuang bersama pemberontak Polandia.
Perjuangan ini, yang berlangsung selama lebih dari setahun, adalah yang terpanjang yang pernah dilancarkan melawan pendudukan Rusia. Ia berakhir pada April 1864, ketika Rusia, setelah mengeksekusi wakil-wakil pemerintah revolusioner, akhirnya menghancurkan pemberontakan tersebut. Pada bulan Mei, pasukan Rusia juga menyelesaikan aneksasi Kaukasus utara, mengakhiri perang yang dimulai pada tahun 1817. Sekali lagi, Marx menunjukkan wawasan yang luas, dan tidak seperti “Eropa lainnya” – yang “menyaksikan dengan ketidakpedulian idiot” – ia menganggap “penindasan terhadap pemberontakan Polandia dan aneksasi Kaukasus” sebagai “dua peristiwa paling penting yang telah terjadi di Eropa sejak 1815”.

Dukungan Internasional untuk Perjuangan Polandia
Marx terus menyibukkan dirinya dengan masalah Polandia, yang muncul dalam beberapa kali perdebatana dalam Asosiasi Kelas Pekerja Internasional. Sebenarnya, pertemuan persiapan yang signifikan dari pendirian  Internasional terjadi pada Juli 1863, ketika sejumlah organisasi pekerja Perancis dan Inggris telah bertemu di London untuk menyatakan solidaritas dengan orang-orang Polandia terhadap pendudukan Tsar.
Kemudian, tiga bulan setelah pendirian Internasional, pada pertemuan Komite Tetap Dewan Umum yang diadakan pada Desember 1864, jurnalis Peter Fox berargumen dalam pidatonya di Polandia bahwa “Perancis (secara tradisional) lebih simpatik (terhadap orang Polandia) ketimbang orang Inggris ”. Marx tidak membantah hal ini, tetapi sebagaimana surat yang ditulisnya kepada Engels, dia kemudian “membuka gambaran tentang pengkhianatan Perancis yang terus menerus atas Polandia dari Louis XV ke Bonaparte III”. Dalam konteks inilah ia menyusun naskah baru, yang kemudian dikenal sebagai “Polandia dan Prancis” (1864). Ditulis dalam bahasa Inggris, itu mencakup rentang waktu dari Perdamaian Westphalia (1648) hingga 1812.
Satu tahun setelahnya, pada September 1865, menyusul Konferensi Internasional London, Marx mengusulkan rancangan agenda untuk kebijakan luar negeri gerakan buruh di Eropa. Ia menunjukkan di antara prioritas “kebutuhan untuk menghilangkan pengaruh Moskow di Eropa dengan menerapkan hak penentuan nasib sendiri bagi bangsa-bangsa, dan pembentukan kembali Polandia di atas basis sosial dan demokratis”. Butuh beberapa dekade untuk ini terwujud. Tetapi kasus Polandia menunjukkan bahwa Marx, ketika dihadapkan dengan peristiwa sejarah besar di berbagai tempat yang jauh, mampu memahami apa yang terjadi di dunia dan berkontribusi pada transformasinya. Dalam pandangan saya, perspektif internasionalis ini mendesak untuk dihidupkan kembali oleh gerakan Kiri di dunia saat ini.