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Biagio Sarnataro, Jacobin Italia

Marxiani contro l’alienazione virale

Nella poesia Un biglietto lasciato prima di non andare via Giorgio Caproni scrive: «Se non dovessi tornare,/ sappiate che non sono mai/ partito.

Il mio viaggiare/ è stato tutto un restare/qua, dove non fui mai». Notevole per ben altri versi, per farla lunga dirò che ricorda il nessun dove senza negazioni delle Elegie duinesi, è la perfetta missiva antologica di Marx ai suoi interpreti futuri e passati.

A riempire questa mancanza è stato pubblicato in Italia un libro, edito dalla Donzelli Editore,  Marx Revival. Concetti essenziali e nuove letture, è a cura di Marcello Musto, professore associato di Sociologia Teorica alla York University di Toronto. Con il suo, il volume raccoglie i contributi di ventidue studiosi, provenienti da dieci paesi diversi, tra i più eminenti del pensiero marxiano che si lega alla stagione interpretativa della nuova edizione storico-critica delle opere complete di Marx ed Engels, la famigerata Mega². Un compatto dizionario marxiano in ventidue capitoli che raccoglie spunti critici dall’intero corpus degli scritti e dei pronunciamenti di Marx, sviluppando con rigore, ampiezza di contenuti e vitalità di interpretazioni quello che possiamo definire come l’esempio concreto e più avanzato di che cosa significhi oggi ripensare Marx e i marxismi, e di quanto questo duplice ripensamento coinvolga una folta platea di studiosi, militanti, attivisti, intellettuali provenienti da tutti i continenti.

Oggi possiamo tornare ai testi del tedesco per come egli stesso ci tornerebbe: leggendoli nella forma in cui li ha lasciati. E non è cosa da poco, anche perché per Marx era fondamentale diversificare i modi della ricerca e dell’esposizione, Forschungs– e Darstellungs-weise. Tornare ai suoi testi con questa sensibilità critica e filologica significa utilizzare la sua opera per andare avanti, per approfondire ulteriormente il suo discorso, come tipo di discorso non privo di presupposti e ripensamenti. L’autofondazione della scienza del capitale ne Il capitale consiste nella sua fondazione nella critica – anche dello statuto epistemologico dell’economia politica, come si sa – : critica che non solo ha il suo referente reale, ma la cui esistenza dipende da una condizione di possibilità materiale che è dichiarata da Marx stesso. Questo suo referente reale e questa sua condizione di possibilità materiale si sono dati insieme quando il conflitto che ab origine oppone al rapporto di riproduzione capitalistico una specifica forza produttiva, la forza-lavoro, si è dimostrato antagonismo.

L’antagonismo individua una contraddizione tendenziale tra il rapporto di produzione e tutte le forze produttive materiali che di volta in volta il capitale chiama all’esistenza. Il modo di questa chiamata ci dà la cognizione del possibile passaggio a un altro diverso reale che si prepara in una società organizzata secondo l’opposizione fra il carattere progressivamente sociale della produzione e la sua appropriazione privata.

Capitale vuol dire: rispetto a un certo piano della produttività – virtualiter come divisione del lavoro, giornata lavorativa, plusvalore relativo e assoluto – e di produzione – realiter come difficile conciliazione tra il libro primo e il libro terzo de Il capitale, il problema della trasformazione dei valori in prezzi – si stacca uno stock, un pezzo di patrimonio individuale o anche sociale, per essere investito in una impresa nel ramo commerciale o anche industriale, in modo da ottenere un reddito e una rendita, tali perché questo investire, dopo aver fatto un giro largo, si aggiunge alla somma di credito iniziale.

Marx ci insegna subito due cose: la prima è che il pluslavoro è appropriazione della possibilità reale del di più di valore che deriva dalla capacità lavorativa, più specificamente, dalla forza-lavoro del lavoratore. Questa appropriazione è strutturale, sta alla base della riproduzione del capitale come cosa e come rapporto, come fondo iniziale ma aumentato e come titolarità sulla prestazione della forza-lavoro. La seconda è che questo rapporto tra capitalista e lavoratore è di natura storica, quindi essenzialmente politica e viceversa. Di come venga attribuita la porzione tra lavoro retribuito e lavoro non pagato, lo decidono i rapporti di forza tra le classi. Non il mercato.

Ogni singolo elemento menzionato è in sé problematico, ha una sua specifica articolazione storico-politica. Cambiano i modi di attribuzione, la posizione del lavoro nel processo di produzione, la riproduzione del lavoro, il tipo, la natura di questo, la forma della retribuzione e dello sfruttamento, la gratuità del pluslavoro, la forma della gratuità, i rapporti di forza, il genere di forza di questi rapporti, la composizione di classe, l’idea di mercato e la sua geografia, e tutto questo nei rispettivi rimandi particolari e generali, nei quali compare, non in secondo piano, il grado di consapevolezza che i soggetti coinvolti esprimono in una certa configurazione attuale della produzione e della riproduzione sociale.

In Marx revival si trova la discussione più aggiornata e approfondita di tutti questi elementi, la sollecitazione più estesa e densa della riserva concettuale marxiana oggi in circolazione. Leggendolo si fa l’esperienza di capire come un mutamento del modo di concepire Marx e il suo lascito possa mutare il modo di concepire un determinato lavoro culturale e anche di iniziativa politica. Di come un mutamento nel modo di concepire e compiere questo determinato lavoro di rinnovamento possa riclassificare questo stesso lavoro e renderlo momento di consapevole partecipazione e contributo al generale processo di mutamento dell’egemonia culturale, di sovvertimento del rapporto e della forma della contraddizione sempre ulteriore, tipica del modo di produzione e riproduzione capitalistico.

Detto altrimenti, quest’opera rispetta l’indicazione del Mario Tronti di Operai e capitale: un libro oggi può contenere qualche cosa di vero a una sola condizione, se viene tutto scritto con la coscienza di compiere una cattiva azione. Se per agire bisogna scrivere, come livello della lotta stiamo parecchio indietro. Le parole, comunque le scegli, ti sembrano cose dei borghesi. Ma così è. In una società nemica non c’è la libera scelta dei mezzi per combatterla. E le armi per le rivolte proletarie sono state sempre prese dagli arsenali dei padroni. Finché non si scoprì il sanpietrino, si potrebbe aggiungere. Ma questa è un’altra storia.

I bachi da seta del capitale: la forza lavoro come concetto ecologico-politico
Mario Draghi è intervenuto qualche giorno fa a ricordarci come, accanto alla fragilità della vita, esista un’unica altra grande certezza: le tasse. Pompare liquidità nel sistema europeo non è solo una scelta di buon senso, ma è una necessità, poiché la distruzione permanente della capacità produttiva, e pertanto della base fiscale sarebbe molto più dannosa per l’economia e, in ultima analisi, per la fiducia nel governo. Il grande timore è che la crisi possa trasformarsi in crollo, e che, come si legge nell’editoriale del 30 marzo di Infoaut nel crollare saltino fuori tutta una serie di pensieri collettivi, diciamo anche una certa idea di lotta di classe, per cui si comincia a notare: «Chi ha i tamponi e chi non lo può fare. Che cosa si risparmia e che cosa si spende. Chi è costretto a lavorare e chi invece dà ordini in video-chiamata. Chi è in ospedale e chi no. Chi è in carcere e chi no. Chi è protetto e chi no. Chi rischia e chi no. Chi ha fame e chi no».

La cura di sé e la cura degli altri è diventato un campo di battaglia, oltre che di resistenze. L’emergenza sanitaria su scala globale ha fatto saltare le promesse di un sistema basato sulla subordinazione della vita agli imperativi di una ideologia abilista e machista, competitiva e performante. Come scrive Marie Moïse su Jacobin Italia: «Se le morti quotidiane sul lavoro, un femminicidio ogni tre giorni e i naufragi in mezzo al Mediterraneo non hanno mai interrotto la normalità, se la morte dentro di chi fa tre lavori alla volta, perde la casa o rinuncia a curarsi non ha mai fermato le manovre finanziarie a favore di grandi imprese e gruppi bancari, oggi una nuova – ancorché contraddittoria – centralità della vita e della sua salvaguardia conferisce un’inedita legittimità di parola a chi finora aveva taciuto. La società degli individui reciprocamente indifferenti, chiamati a farcela da soli, a vergognarsi dei propri bisogni e a chiamarli fallimenti ha gettato la maschera: non esiste via di fuga per pochi da un pianeta infetto. Non saremo guariti fino a che non lo saremo tutti […] Fino a ieri, se qualcuno stava peggio di noi avevamo un agile pretesto retorico per sfuggire all’ascolto di noi stessi ma anche per illuderci di non arrivare ultimi nella competizione per la sopravvivenza. Oggi la gara è sospesa e quel qualcuno sta in cima all’elenco delle chiamate da fare».

La centralità della vita, la centralità della vita minacciata, della nuda vita, nella forma di epoché che stiamo vivendo, a un tempo e tutti insieme, cosa che davvero la rende un fatto filosofico, è anche il tema che ha tenuto sveglio il dibattito biopolitico nelle ultime settimane, sulla scia di Giorgio Agamben. Davide Grasso e Luca Illetterati hanno segnato un punto su questo. Ci faccio riferimento però perché il professore di sociologia dell’ambiente Luigi Pellizzoni ci si è soffermato in modo inedito chiedendosi come questi discorsi investano le scienze umane, soprattutto quando le scienze umane si pongono il problema, non piccolo, di avventurarsi nei dintorni – dirò Umwelt ma più precisamente Umgebung, o milieu ma anche entourage, meno invece nel senso di environment, e più di presso ambiente inteso come habitat – di una forma di vita.

Le abitudini che si stanno innervando in quarantena, il buon cittadino virale – controllo sociale dei servo-padroni, divenire (pa)-droni –  sembrano preoccupanti perché è come se si annunciasse l’emergere di un nuovo habitus, del prendere parte al proprio ambiente o habitat, il che diventa ancora più allarmante se ci si ricorda che habito è un frequentativo del verbo habeo, dunque concerne la sfera di senso dell’avere, del credere di avere o del credere di non avere, anche diritti, ad esempio.

Il problema è, a partire dagli eventi attuali, come si riapre il discorso sull’uso delle categorie di bíos e zoé, all’interno di quell’ambito di studi che si chiama ecologia politica. Per Agamben ci sarà un tempo in cui il bíos coinciderà con la propria zoé. Per Pellizzoni questo tempo è già qui. La confusione, l’isomorfismo non riconosciuto ma tuttavia esistente, è ciò che il capitalismo esplicitamente insegue e riproduce. Oggi ci troviamo alle prese con una ricomposizione della frattura nell’immaginario della ontological politics «non però in direzione di una ritrovata armonia ma di una più completa cattura dell’ordine del capitale». Poiché l’isomorfismo tra bíos e zoé negli stati di eccezioni reali e immaginabili sta emergendo nel nuovo ordine mondiale con una pervasività sconosciuta, c’è ancora margine perché questa sovrapposizione non assuma la forma dell’incubo? Il problema è antico, aggiunge Pellizzoni.

La risposta che si può dare da un punto di vista marxiano è: ogni comunità in ogni epoca ha agito l’isomorfismo tra bíos e zoé, finché il capitale non è sorto come rapporto e ha incluso queste due dimensioni tra i suoi presupposti, scindendole, per appropriarsi della legge che le tiene unite da sempre: il lavoro, o meglio, la forza lavoro.

A Jhon Bellamy Foster dobbiamo il concetto che più di tutti ha presentato al mondo un Marx ecologico. Nel suo contributo al Marx revival, Foster ci spiega come sia stato un vero e proprio processo di dissotterramento la discoverta – à la Vico del vero Omero – del pensiero ecologico di Marx. La forza-lavoro è un concetto ecologico perché è ecologica la stessa analisi della produzione di valore in Marx. La teoria della forma-valore ecologica è alla base della teoria critica di Marx. Il concetto di metabolic rift, la frattura metabolica tra lavoro, natura e valore, porta avanti la concezione materialistica della storia al punto da re-impostare il discorso rispetto a un metabolismo universale, naturale e sociale assieme, mediato dal lavoro e dal valore, dunque da una certa idea di ricchezza e di profitto, da una certa forma corrispettiva di proletarizzazione e che, come si capisce, non vuol dire, in nessun caso né ricchezza né povertà in quanto tali (che non esistono affatto come noumeni).

Il concetto di forza lavoro è un concetto ecologico-politico perché supera la differenziazione metafisica tra bíos e zoé, tra forma di vita e nuda vita. Cosa è la forza lavoro se non la capacità di esprimersi come corpi, integralità di bíos e zoé? Un corpo messo a lavoro è biologicamente e politicamente sempre in atto, è realtà effettuale produttiva e riproduttiva, en-ergeia, natura naturans. Il problema consiste in questa lotta corpo a corpo – e non è una metafora – tra ciò che è atto e ciò che è potenza nel mondo rovesciato del plusvalore, nel mondo dei bachi da seta industrializzati, tecnologizzati, digitalizzati: il problema sta nella potenza di un corpo, in ciò che un corpo può fare, e in ciò che più specificamente un corpo è stato chiamato a fare in forma di merce, nella differentia specifica di forza lavoro.

Tuttavia, un corpo non è soltanto un oggetto di cui parlare, è soprattutto un soggetto attraverso cui parlare. In alcuni corpi capita ciò che in altri corpi non capita o non può capitare, e quando si arriva a parlare così di corpo e di corpi, tutto si carica di sottointesi e valori sociali, di storia, di resistenza, di appartenenza, di scontro, di violenza, ma anche di gioia, di una certa idea di libertà. Tale consapevolezza viene da mezzo secolo, almeno, di lotte e frequentazioni militanti. Ma affonda le sue radici in un tempo lontano.

Ogni forma economica di produzione racchiude al proprio interno una serie di relazioni sociali possibili. Rispetto a queste possibilità il capitale fa leva su tutte le soggezioni sociali, poiché è quel rapporto che deve presupporre l’espropriazione e consentire l’alienazione materiale dei fini, degli scopi, dei prodotti dell’attività e dell’interazione tra gli uomini riuniti in società. Accanto all’ecologia bisognava superare i vicoli ciechi della lettura marxiana anche rispetto alla questione di genere, per avere una cognizione adeguata di che cosa è e come funziona il capitale.

Si doveva passare per Silvia Federici e Leopoldina Forunati che scrivevano come in fabbrica si producono merci, così in casa si produce la merce forza-lavoro. Il regime di doppia giornata lavorativa, per il quale si chiamava amore il lavoro non retribuito e si era inventata la figura sociale della casalinga a tempo pieno. Ma si doveva anche passare per le rivendicazioni del Black Feminism, dalla carica rivoluzionaria di quel ALL THE WOMEN ARE WHITE, ALLA THE BLACKS ARE MEN BUT SOME OF US ARE BRAVE, che di nuovo ha articolato il discorso di classe. Dove si è decostruita la generica solidarietà universale, contrapponendo un’idea di solidarietà politica tra condizioni specifiche, per la quale ogni muro ribaltato diventa un ponte, come dirà Angela Davis. Per salvarci da ogni forma di oppressione: anche da quella che si genera tra gli oppressi.

La lotta di classe in un mondo infetto
Nella sezione del primo libro de Il capitale, dove si definisce la produzione del valore relativo, Marx descrive tre figure di trasformazione del processo lavorativo: cooperazione, manifattura e grande industria. In questa fenomenologia del lavoro (work, labour, e anche job) si vede come le tre figure non seguano una storia lineare, ma sovrappongano i loro livelli funzionali. E cioè: posto il capitale come rapporto, ogni lavoro non potrà che specializzarsi, parcellizzarsi e infine diventare un’appendice dell’intero processo (sussunzione formale/sussunzione reale). Fino allo smart working che abbiamo sperimentato in queste ultime settimane – il sociologo Domenico De Masi oggi fa il Fourier del falanstero sociale – e fino all’emersione di quell’ambito di problemi che per brevità chiamerò datacratici, usando l’espressione – e il senso che ha voluto dargli – Daniele Gambetta in Datacrazia. Politica, cultura algoritmica e conflitti al tempo dei big data uscito per D Editore.

Da questo punto di vista il lavoratore – Arbeiter, non solo l’operaio della catena di montaggio interna all’opificio, alla fabbrica, ma il lavoratore in generale – è quel soggetto che partecipa in maniera subordinata, parcellizzata o addirittura in forma semi-automatica al processo di valorizzazione del capitale. Fa parte di questa valorizzazione tutto il sistema salariale e quando si dice sistema salariale si intende: lavoratori che percepiscono salario, disoccupati, inoccupati, ogni altro tipo di contribuzione esclusa dal vincolo del salario, e quindi anche il lavoro di riproduzione sociale – cura, lavoro domestico –, o esercito di riserva, migranti, schiavitù, come effettivo presupposto. Ogni segmento produttivo concorre alla formazione di pluslavoro. Anzi: tanto più viene invisibilizzato, tanto meglio vi concorre come gratuità effettiva. Chiamiamola anche sacrificio e sacralizzazione del dovere, all’abilismo, come prodotto del sistema etero-patriarcale, per come lo abbiamo conosciuto fino a oggi, per come ci ha resi fino a oggi, per come ci siamo arresi a questo fino a oggi, introiettandolo al punto da diventare feroci con la nostra e l’altrui fragilità.

L’arcano della critica dell’al di là era la critica dell’al di qua. L’arcano della critica dell’al di qua è la produzione. L’arcano della produzione è la riproduzione. Posta la critica della produzione, oggi la critica della riproduzione è il presupposto di ogni critica. Questa, se si vuole, è la nostra questione. La questione ecologica, declinata secondo una lettura integrata che guardi alle lotte per il reddito di cura e per la giustizia ambientale, a un New Green Deal Femminista e a stati di liberazione singolari, collettivi e permanenti. Alle lotte per il salario domestico e al femminismo queer. Dalla rivoluzione confederale nel Rojava, fino alle cose favolose che scrive Monique Wittig, dello sbarazzarci dell’«uomo» e della «donna», di categorie come «diverso» e «uguale», palesando un radicale antiessenzialismo, perché alla fine esiste solo un sesso oppresso e un sesso oppressore, ed è sempre l’oppressore a creare il significato, così come quando è stata la schiavitù a creare il negro. Mentre esiste davvero soltanto la libertà pubblica di essere chi si è, che vuol dire tutta la libertà che conta. Ed è già una sfida insostenibile per i più di noi.

Nel Marx revaival si trova persino una insolita estetica come la definisce Isabelle Garo. L’insolita estetica di Marx consiste, come si legge nei Grundrisse, per come riporta la Garo, in ciò: «una volta cancellata la limitata forma borghese, che cosa è la ricchezza se non l’universalità dei bisogni, delle forze produttive, ecc. degli individui, creati nello scambio universale? […] Che cosa è se non l’estrinsecazione assoluta delle sue doti creative, senz’altro presupposto che il precedente sviluppo storico, che rende fine a se stessa questa totalità dello sviluppo, cioè dello sviluppo di tutte le forze umane come tali, non misurate su di un metro già dato? Nella quale l’uomo non si riproduce in una dimensione determinata, ma produce la propria totalità? Dove non cerca di rimanere qualcosa di divenuto, ma è nel movimento assoluto del divenire?».

Altro che la libertà negativa di un Voltaire: la condizione della mia libertà è il divenire, senz’altro presupposto che il precedente sviluppo storico, questa tipica forma di negatività dell’immaginazione e creatività umana, fonte ecologica di libertà, per cui ogni individuo, nell’esperienza del movimento del suo divenire, si mostra come differenza che fa differenza, vettore di emancipazione, condizione vivente di libertà da sé e di sé. Emancipazione come forma di sensibilità pratica, forma di attenzione alla propria intelligenza di specie, per la quale prossimo è la figura di un sé che diviene – anche del proprio sé. In questo senso ci si approssima all’altro, si è prossimi all’altro come a sé stessi.

A ogni stagione va riscoperto il segno di questa prima radice, la forza e la grazia degli oppressi, che come Marx ha insegnato, e i 21 autori che con Musto ci hanno ricordato, hanno da perdere, in questa danza scomposta e spossante, soltanto le loro catene. A ogni stagione si deve riconoscere che loro ci odiano, e che dobbiamo ricambiare. E loro sono i capitalisti, noi il proletariato di oggi, il proletariato della produzione e della riproduzione sociale. Il fatto che esiste una borghesia della riproduzione e un proletariato della riproduzione e anche un sottoproletariato della riproduzione sociale, e che questo sottoproletariato avanza il problema non rimandabile della sopravvivenza, che la sopravvivenza non si misura in capacità di adattarsi dell’organismo più forte, né col coefficiente di resilienza di quello più adatto alle sconfitte, ma attraverso la componente di indisponibilità di un corpo ben cosciente del fatto che la sopravvivenza è un sotto-vivere. A volte proprio un vivere-sotto, negli slums, nei vasci.

L’esperienza della nostra generazione
Siamo la prima generazione del sistema-mondo a vivere una pandemia e a crescere all’ombra di ogni altra pandemia futuribile. Come deve suonarci strano quel It’s easer to image the end of the world than the end of capitalism, ce lo racconteremo da qui in avanti, facendoci rimbalzare nella testa il Benjamin che lottava contro i deterministi della Seconda e Terza Internazionale con quel suo «il capitalismo non morirà di morte naturale», o l’André Gorz de «il capitalismo fondato sulla crescita è morto. Il socialismo fondato sulla crescita, che gli somiglia come un fratello, ci riflette l’immagine deformata non del nostro futuro ma del nostro passato», così come scrive all’inizio di Ecologia e libertà.

Che si tratti di colonizzare, di estrarre, di ridurre in schiavitù, di contaminare, il capitale comincia come furto e finisce come rovina. Sottrarsi al suo dominio è tanto difficile perché il suo dominio si basa sulla sottrazione: di tempo, di idee, di terra, di forza, e di ogni altra risorsa. E per quale motivo? Perché il capitale non può fare altrimenti.

Quando insorgono problemi sistemici che non possono più venir risolti in accordo con il modo di produzione dominante, come nel periodo che stiamo vivendo, la forma esistente dell’integrazione sociale è minacciata. Un meccanismo endogeno di apprendimento provvede all’accumulazione di un potenziale cognitivo-tecnico, che può venir utilizzato per risolvere i problemi che generano tali crisi. Ma questo sapere può essere messo in opera in modo da consentire un dispiegamento delle forze produttive soltanto se è già stato compiuto il passo evolutivo verso un nuovo quadro istituzionale e una nuova forma dell’integrazione sociale. Questo passo può essere spiegato solamente in base a processi di apprendimento di un altro tipo, cioè pratico-morale, scriveva Jürgen Habermas nel 1975, nella IV Tesi per la ricostruzione del materialismo storico.

Oggi sappiamo che questo quadro istituzionale, questa nuova forma di integrazione sociale, l’assimilazione nel fare quotidiano di un meccanismo endogeno di apprendimento che ha accumulato potenziale cognitivo-tecnico, general intellect che coabita col capitalismo delle piattaforme, in base a processi di apprendimento protico-morali, si chiama reddito universale incondizionato.

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Marx kései kutatásai az Európán kívüli társadalmakról

Bevezetés
Marx utolsó és nagyrészt még feltáratlan stúdiumai eloszlatják a mítoszt, miszerint utolsó éveiben Marx már nem írt semmi érdemlegeset. Marx munkásságának utolsó időszaka számára bizonyára nehéz volt, de egyszersmind elméletileg nagyon is jelentős. Az 1870-es évek végén Marx nemcsak folytatta korábbi kutatásait, hanem új területekre is kiterjesztette. Ezenfelül megvizsgált új politikai konfliktusokat (például a narodnyik mozgalom harcait Oroszországban a jobbágyság eltörlése után, vagy a gyarmati elnyomással szembeni ellenállást Indiában, Egyiptomban és Algériában), új elméleti kérdéseket (mint a közösségi földtulajdoné a prekapitalista társadalmakban, vagy a szocialista forradalom lehetősége a nem-kapitalista úton fejlődött országokban) és korábban általa nem tanulmányozott területeket (mint Oroszország, Észak-Afrika vagy India). Ehhez a korszakhoz tartoznak nemcsak A tőkéről szóló utolsó és befejezetlen kéziratai, hanem több tanulmány is a falusi közösségi földtulajdonról – különösen a Makszim Kovalevszkij munkásságáról írott kivonatok (1879–80) és az oroszországi obscsina jól ismert elemzése. Ezenkívül Marx megírta az Etnográfiai jegyzetfüzeteket (1880–1881),1 és még egyszer, életében utoljára, mélyen elmerült a történelemben, különösen India és Euró- pa történelmében. Mindezeknek a kérdéseknek a vizsgálata képessé tette őt arra, hogy árnyaltabb társadalomtudományi elképzeléseket dolgozzon ki, amelyeket befolyásoltak a Nyugat-Európán kívüli országok sajátságai.

A jelen tanulmány megkérdőjelezi Marxnak azt a régre visszanyúló, torzító bemutatását, mintha „eurocentrikus” és ökonomista gondolkodó lett volna, aki kizárólag az osztálykonfliktusokra fixálta a maga gondolkodását. Meg szeretném nyitni az olvasók előtt az utat, hogy vizsgálják meg újra Marx eszméit az antropológiáról, a nem nyugati társadalmakról és az európai gyarmatosítás bírálatáról tett kései megjegyzései fényében, s meg kívánom mutatni: hogyan kerülte el Marx a gazdasági determinizmusnak azt a csapdáját, amelybe oly sok követője később beleesett. Ahelyett, hogy merev módon alkalmazta volna a történelemre a gazdasági determinizmus sémáit, Marx rávilá- gított, milyen hatása van a társadalmi valóság alakítására, a változások elérésére a specifikus történelmi feltételeknek, és milyen központi szerepe van ebben a tudatos emberi beavatkozásnak is.

Marx, bár teljesen lekötötték intenzív elméleti tanulmányai, soha nem veszítette el érdeklődését korának gazdasági és nemzetközi politikai eseményei iránt sem. Amellett, hogy rendszeresen olvasta a fő „polgári” újságokat, megkapta és rendszeresen átnézte a német és francia munkásmozgalmi sajtót is. Miként egész életében, továbbra is kíváncsi volt a világra, és első osztályú tudással rendelkezett arról: mi történik a világban. A különböző országokban élő vezető politi- kai és szellemi figurákkal való levelezése gyakran új stimulusokat és mélyebb tudást adott neki egy sor különböző kérdésről.

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Konsepsi Marx tentang Komunisme (Bagian II)

I. Komunisme sebagai Perserikatan Merdeka
DALAM Kapital, Volume I, Marx berargumen bahwa kapitalisme adalah suatu moda produksi sosial yang ‘terdeterminasi secara historis’, di mana produk kerja ditransformasikan menjadi komoditas, dengan akibat bahwa individu-individu hanya dinilai sebagai produsen, dan keberadaan manusia ditundukkan pada kegiatan ‘produksi komoditas’.

Karenanya, ‘proses produksi’ telah ‘menguasai manusia, bukannya dikontrol olehnya’. Kapital ‘tidak peduli sama sekali pada panjangnya kehidupan buruh’ dan tidak menganggap penting peningkatan kondisi kehidupan kaum proletar. Kapital ‘mencapai tujuan ini dengan memperpendek usia buruh, seperti halnya petani yang serakah mengambil lebih banyak hasil panen dari tanah dengan mencuri kesuburannya’.

Dalam Grundrisse, Marx menyebut bahwa dalam kapitalisme, ‘karena tujuan kerja bukanlah untuk menghasilkan produk tertentu [dalam hubungan dengan] kebutuhan-kebutuhan spesifik individu, melainkan untuk mendapatkan uang […], kerja keras individu tidak ada batasannya’. Dalam masyarakat yang demikian, ‘seluruh waktu seseorang menjadi waktu kerja, dan konsekuensinya ia dijadikan sebagai buruh, ditundukkan untuk bekerja’. Namun ideologi borjuis mempresentasikan kenyataan ini seolah-olah individu-individu yang ada menikmati kebebasan lebih dan dilindungi oleh norma-norma legal yang bersifat adil dan sanggup untuk menjamin keadilan dan kesetaraan. Secara paradoks, meski faktanya perekonomian telah berkembang hingga level tertentu dan memampukan masyarakat untuk hidup dalam kondisi yang lebih baik dibanding sebelumnya, ‘mesin paling canggih ini sekarang memaksa buruh untuk bekerja lebih lama, dibanding ketika ia masih menggunakan peralatan-peralatan sederhana’.

Sebagai kontras, visi Marx tentang komunisme adalah ‘perserikatan individu-individu merdeka, yang bekerja dengan menggunakan alat-alat produksi yang dimiliki bersama, dan mengerahkan tenaga kerjanya dengan kesadaran penuh sebagai satu kekuatan kerja sosial’. Definisi-definisi serupa juga muncul dalam banyak tulisan Marx. Dalam Grundrisse, ia menulis bahwa masyarakat pasca-kapitalis akan dibangun atas ‘produksi kolektif’.

Dalam Manuskrip-Manuskrip Ekonomi tahun 1863-1867, ia berbicara tentang ‘transisi dari moda produksi kapitalis menuju moda produksi perserikatan buruh’. Dan dalam Kritik Program Gotha, ia mendefinisikan organisasi sosial yang ‘berdasarkan pada kepemilikan bersama alat-alat produksi’ sebagai ‘masyarakat kooperatif’.

Dalam Kapital, Volume I, Marx menjelaskan bahwa ‘prinsip utama’ dari ‘bentuk masyarakat yang lebih tinggi’ ini adalah ‘perkembangan penuh dan merdeka dari setiap individu’. Dalam Perang Saudara di Perancis, ia mengekspresikan persetujuannya atas langkah-langkah yang diambil oleh pada anggota komune, yang ‘menunjukkan tendensi pemerintahan dari rakyat dan oleh rakyat’. Lebih tepatnya, dalam evaluasi Marx tentang reformasi politiknya Komune Paris, ia menegaskan bahwa ‘pemerintahan terpusatnya tatanan lama pun juga harus membuka jalan bagi pemerintahan mandiri para produsen di provinsi-provinsi’. Ekspresi ini terulang dalam ‘Diskusi tentang Statism and Anarchy karya Bakunin’, di mana ia mengatakan bahwa perubahan sosial yang radikal akan ‘dimulai dengan pemerintahan mandiri komunitas-komunitas’. Ide Marx tentang masyarakat, karenanya, adalah antitesis dari sistem-sistem totaliter yang lahir atas namanya pada abad keduapuluh. Tulisan-tulisannya bermanfaat untuk memahami bukan hanya bagaimana kapitalisme bekerja, tetapi juga kegagalan eksperimen-eksperimen sosialis hingga hari ini.

II. Kebohongan-Kebohongan Pasar
Dengan mengacu pada apa yang disebut persaingan bebas, atau posisi pekerja dengan kapitalis yang kelihatannya setara dalam pasar masyarakat borjuis, Marx menyebut bahwa kenyataan yang ada sangatlah berkebalikan dengan apa yang digambarkan oleh para pembela kapitalisme sebagai kebebasan manusia. Sistem ini menjadi penghalang besar bagi demokrasi, dan ia menunjukkan dengan lebih baik daripada siapapun juga bahwa para pekerja tidak menerima upah setara dengan apa yang mereka hasilkan. Dalam Grundrisse, ia menjelaskan bahwa apa yang dipresentasikan sebagai ‘pertukaran setara’ sesungguhnya adalah apropriasi ‘waktu kerja tanpa pertukaran’; hubungan pertukaran ‘sepenuhnya lenyap’, atau menjadi ‘penampakan semata’. Hubungan antara orang per orang ‘hanyalah dimotivasikan oleh kepentingan diri’. ‘Konflik antar individu’ ini telah diabaikan dan dianggap sebagai ‘bentuk absolut kebebasan individu dalam ranah produksi dan pertukaran’. Tetapi bagi Marx, ‘tidak ada yang lebih jauh dari kebenaran’, karena ‘dalam kompetisi bebas, kapital-lah yang dibebaskan, bukan individu-individu’. Dalam Manuskrip-Manuskrip Ekonomi tahun 1863-1867, ia mengutuk fakta bahwa ‘kerja lebih itu dikantongi, atas nama masyarakat, oleh kapitalis’ – kerja lebih yang adalah ‘basis dari waktu bebas masyarakat’, dan karenanya, ‘basis material dari seluruh perkembangan dan peradabannya secara umum’. Dan dalam Kapital, Volume I, ia menunjukkan bahwa kekayaan kaum borjuis hanyalah dimungkinkan ‘dengan mengkonversikan seluruh waktu hidup massa rakyat menjadi waktu kerja’.

Dalam Grundrisse, Marx mengamati bahwa dalam kapitalisme, ‘individu-individu ditundukkan pada produksi sosial’, yang ‘hadir di luar diri mereka dan menjadi nasib bagi mereka’. Ini terjadi hanya melalui penyematan nilai-tukar pada hasil produksi, yang pembelian dan penjualannya terjadi setelah proses tersebut (post festum). Lebih jauh lagi, ‘seluruh kekuatan sosial produksi’ – termasuk penemuan-penemuan saintifik, yang nampak ‘asing dan eksternal’ bagi pekerja – diposisikan oleh kapital. Perserikatan para pekerja, dalam tempat-tempat dan kegiatan produksi, ‘dioperasikan oleh kapital’ dan karenanya ‘hanya bersifat formal’. Penggunaan barang-barang yang diciptakan oleh para pekerja ‘tidak dimediasi oleh pertukaran antara pekerja-pekerja independen atau produk-produk buruh’, melainkan ‘oleh keadaan-keadaan produksi sosial di mana individu menjalankan aktivitasnya’. Marx menjelaskan bagaimana aktivitas produksi di pabrik ‘berurusan dengan produk buruh semata, bukan para buruh sendiri’, karena ia ‘dibatasi pada tempat kerja umum di bawah pengarahan pengawas, kontrol ketat, disiplin, konsistensi, dan kebergantungan pada kapital dalam produksi itu sendiri’.

Dalam masyarakat komunis, secara kontras, produksi akan ‘langsung menjadi sosial’, ‘buah dari perserikatan yang mendistribusikan kerjanya secara internal’. Ia akan dikelola oleh individu-individu sebagai ‘kekayaan bersama’. ‘Karakter sosial produksi’ akan ‘sedari awal menjadikan produknya komunal dan umum’; karakter perserikatannya akan ‘menjadi dasar’ dan ‘kerja individu […] akan menjadi kerja sosial’. Sebagaimana ditekankan oleh Marx dalam Kritik Program Gotha, dalam masyarakat pasca-kapitalis, ‘kerja individu bukan lagi secara tidak langsung menjadi komponen dari kerja secara keseluruhan, melainkan secara langsung’. Sebagai tambahan, para pekerja akan mampu menciptakan kondisi-kondisi yang pada akhirnya akan melenyapkan ‘penundukan yang memperbudak atas individu pada pembagian kerja’.

III. Produksi Sosialis dan Pertanyaan Ekologis
Dalam Kapital, Volume I, Marx menekankan bahwa dalam masyarakat borjuis ‘buruh ada untuk proses produksi, bukan proses produksi untuk buruh’. Lebih-lebih, paralel dengan eksploitasi buruh, berkembang pula eksploitasi lingkungan. Kontras dengan penafsiran-penafsiran yang mereduksi konsepsi Marx tentang masyarakat komunis pada perkembangan kekuatan produksi belaka, ia menunjukkan minat besar pada apa yang kita kini sebut sebagai pertanyaan ekologis. Ia secara berulang kali mengutuk fakta bahwa ‘semua kemajuan dalam pertanian kapitalis adalah kemajuan dalam seni untuk bukan hanya merampok pekerja, tetapi juga merampok tanah’.

Dalam komunisme, kondisi-kondisi akan tercipta untuk pembentukan ‘kooperasi terencana’, yang melaluinya pekerja ‘melucuti belenggu individualitasnya dan mengembangkan kapabilitas spesiesnya’. Dalam Kapital, Volume II, Marx menunjukkan bahwa masyarakat kemudian akan berada dalam posisi untuk ‘mengenali di muka berapa banyak kerja, alat produksi, dan sarana mencukupi kebutuhan hidup yang dapat dikeluarkan, tanpa berdampak pada dislokasi’, tidak seperti dalam kapitalisme ‘di mana rasionalitas sosial hanya menegaskan diri belakangan (post festum)’ dan ‘gangguan-gangguan besar dapat dan harus terjadi secara konstan’. Dalam beberapa bagian Kapital, Volume III, Marx juga mengklarifikasi perbedaan-perbedaan antara moda produksi sosialis dengan moda produksi berbasis pasar, mengantisipasi kelahiran masyarakat ‘yang diorganisir sebagai perserikatan yang sadar’. Ia juga menambahkan: ‘hanya di mana produksi berlangsung di bawah kontrol dan penentuan masyarakatlah, masyarakat itu sendiri menetapkan hubungan antara jumlah waktu kerja sosial yang diaplikasikan untuk menghasilkan produksi dalam jumlah tertentu, dengan jumlah kebutuhan sosial yang hendak dipuaskan’.

Akhirnya, dalam catatan kecilnya tentang Traktat tentang Ekonomi Politik dari Adolf Wagner, Marx menjelaskan bahwa dalam masyarakat komunis ‘volume produksi’ akan ‘diregulasi secara rasional’. Ini memungkinkan dihapuskannya pemborosan karena ‘sistem kompetisi yang anarkis’, yang lewat krisis-krisis strukturalnya yang berulang, bukan hanya melibatkan ‘pemborosan luar biasa tenaga kerja dan sarana produksi sosial’, tetapi juga tak mampu menyelesaikan kontradiksi-kontradiksi yang pada dasarnya berakar dari ‘penggunaan mesin ala kapitalis’.

Berlawanan dengan pandangan banyak pemikir sosialis di masa Marx, redistribusi barang konsumsi tidaklah cukup untuk membalikkan keadaan ini. Perubahan pada akar dan batang dari aset-aset produktif masyarakat haruslah dilakukan. Maka dalam Grundrisse, Marx mencatat bahwa ‘membiarkan sistem upah dan pada saat yang sama menghapuskan kapital [adalah] tuntutan yang kontradiktif dan menegasikan dirinya sendiri’. Apa yang diperlukan adalah ‘penghapusan moda produksi ini dan bentuk masyarakat yang didasarkan pada nilai tukar’. Dalam pesannya yang diterbitkan dalam Nilai, Harga dan Profit, ia memanggil para pekerja untuk tidak ‘menuliskan pada bendera’ mereka ‘motto konservatif: ‘Upah harian yang layak untuk kerja harian yang layak!’ [tetapi] slogan revolusioner: ‘Penghapusan sistem perupahan!’

Lebih jauh lagi, Kritik Program Gotha dengan tepat menunjukkan bahwa dalam moda produksi kapitalis, ‘kondisi-kondisi material produksi ada di tangan non-pekerja dalam bentuk kapital dan kepemilikan tanah, sementara massa rakyat hanyalah pemilik syarat produksi yang personal, yakni tenaga kerja’. Karenanya, adalah esensial untuk menjungkirbalikkan relasi kepemilikan yang mendasari moda produksi borjuis. Dalam Grundrisse, Marx menyebut bahwa ‘hukum-hukum kepemilikan pribadi – kemerdekaan, kesetaraan, kepemilikan – kepemilikan atas kerja sendiri dan kemampuan untuk menyerahkannya secara bebas – dibalik menjadi ketakbermilikan pekerja dan alienasi kerjanya, relasi dengan hasil kerjanya sebagai properti asing dan sebaliknya’. Dan pada tahun 1989, dalam laporan pada Dewan Umum Perserikatan Pekerja Internasional, ia menegaskan bahwa ‘kepemilikan pribadi atas alat-alat produksi’ memberikan pada kelas borjuis ‘kekuatan untuk hidup tanpa bekerja, dari kerja orang lain’. Ia mengulangi poin ini dalam tulisan politik pendek lainnya, ‘Pendahuluan untuk Program Partai Pekerja Perancis’, dengan menambahkan bahwa ‘para produsen tidak mungkin merdeka kecuali mereka memiliki alat-alat produksi’ dan bahwa tujuan perjuangan proletar haruslah ‘mengembalikan seluruh alat produksi ke dalam kepemilikan kolektif’.

Dalam Kapital, Volume III, Marx mengamati bahwa ketika para pekerja telah menegakkan moda produksi komunis ‘kepemilikan pribadi atas bumi oleh individu-individu tunggal [akan] tampak sama absurdnya seperti halnya kepemilikan pribadi satu orang oleh orang lain’. Ia mengarahkan kritiknya yang paling radikal terhadap kepemilikan paling destruktif yang inheren dalam kapitalisme, dengan menekankan bahwa ‘bahkan seluruh masyarakat, bangsa, atau bahkan seluruh masyarakat yang ada yang digabungkan secara simultan, bukanlah pemilik bumi’. Bagi Marx, manusia ‘hanyalah penghuninya, penggunanya, dan mereka harus meninggalkannya [planet bumi] dalam keadaan yang lebih baik untuk generasi-generasi selanjutnya, seperti kepala keluarga yang baik’.

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Mauro Castelo Branco de Moura, Critica Marxista

Como o subtítulo indica, Marcello Musto, em sua biografia, não trata do “Marx maduro” em geral, cuja definição ensejaria controvérsias, mas se detém em um período menos frequentado, o do “último Marx” (conforme o título original italiano), mais precisamente, seus dois últimos anos de vida.

No entanto, o relato de Musto não se limita à descrição das vicissitudes do final da vida do ilustre renano (falecido em 14 de março de 1883), profundamente marcado pela doença e pelas perdas da companheira de toda a vida, Jenny von Westphalen (em 2 de dezembro de 1881), e da filha mais velha, Jenny Longuet, a Jennychen, como a família carinhosamente a denominava (em 11 de janeiro de 1883); mas trata, sobretudo, da relevante produção intelectual do período, nem sempre lembrada por muitos comentaristas.

A importância do texto de Marcello Musto reside precisamente aí: com competência e rigor, porém através de uma escrita cativante e agradável, o biógrafo traz à baila textos, reflexões e posicionamentos de Marx da maior relevância e que, no entanto, são menos considerados pela tradição. Destacam-se, neste contexto, seus estudos antropológicos (ou etnológicos, como preferiu designá-los Lawrence Krader, principal estudioso e divulgador destes apontamentos), aos quais Marx dedicou uma atenção muito especial. São diversos os autores por ele lidos neste período, porém, John Bud Phear, Henry Summer Maine, John Lubbock e, sobretudo, Lewis Henry Morgan mereceram um tratamento especial através de extensos extratos e comentários de leitura. Sua dedicação à temática foi de tal monta que sugere a natural conclusão de que almejava escrever algo sobre o assunto. Aliás, tal inferência está corroborada pelo fato de que Engels, em sua apresentação a A origem da família, da propriedade privada e do Estado, publicado em 1884, no ano subsequente ao da morte de Marx, apresenta a obra como “a execução de um testamento” (Rio: Vitória, 1964, p.7).

Destarte, também neste caso, embora a redação fosse do próprio Engels, ainda que sob a inspiração dos estudos efetuados por Marx, coube ao amigo efetivar aquilo que Marx não tivera condições de levar a cabo em vida, algo que seria feito, com pouca interveniência de Engels, com relação a O capital, publicando o Livro II em 1885 e o Livro III em outubro de 1894; descumprindo, porém, a promessa, reiterada no prefácio deste último, de publicar o Livro IV, as Theorien über den Mehrwert, pois o próprio Engels veio a falecer em 5 de agosto de 1895. Marcello Musto não questiona o fato de Marx, ao final da vida, ter dedicado tanta atenção à antropologia, tendo diante de si a ingente tarefa de concluir O capital. Abandonaria o projeto d’O capital e o substituiria por outro, como fizera anteriormente com a Contribuição à crítica da economia política, de 1859?

Nunca saberemos a resposta… Porém, com relação ao episódio anterior, sabemos que o projeto de 1859 foi abandonado e substituído pelo d’O capital, e a parte publicada, abordando a temática da mercadoria e do dinheiro, embora contando com uma nova redação do mesmo assunto, na Primeira Seção do Livro I (os três primeiros capítulos), não foi repudiada. Marx inicia O capital com uma citação da obra de 1859, como se quisesse advertir os seus leitores de que, apesar do novo tratamento dado à temática, o texto anterior continuava vigente. Com todas as possibilidades de interpretação que entranham a leitura de cadernos de notas que não estavam destinados à publicação, mas apenas endereçados ao próprio autor, estes apontamentos antropológicos sugerem, de imediato, a conclusão de que o contraste da sociedade burguesa com estas formas sociais atávicas não só evidenciam a contingência e transitoriedade histórica do capitalismo, como descortinam a possiblidade da emergência de uma sociedade radicalmente nova. Não há, em Marx, nestes apontamentos, qualquer nostalgia em relação a uma idílica idade de ouro pretérita, nem compromissos com interpretações economicistas ou deterministas da história.

Na mesma toada estão seus estudos sobre a realidade russa que o conduziram, dentre outros escritos, a uma correspondência com Vera Zasulitch, onde insinua claramente alternativas históricas plurais. O interesse de Marx pela Rússia é antigo e o levou ao estudo e domínio da língua russa; o que o permitiram acompanhar mais de perto a realidade do país e a ter um contato mais estreito com os revolucionários russos. Não se deve esquecer que a primeira tradução d’O capital, em 1872, sintomaticamente, foi para o russo. A pergunta formulada por Zasulitch, em 1881, acerca do destino da comuna rural russa, se fadada à dissolução em propriedade privada pelo desenvolvimento capitalista ou se poderia transitar diretamente ao socialismo no caso de uma revolução exitosa, é tratada por Marx com toda a cautela. Ele chega a redigir três versões da resposta, mais ou menos extensas, porém termina por enviar uma quarta mais curta, datada de 8 de março de 1881, na qual deixa em aberto ambas as possibilidades, sustentando não haver qualquer “fatalidade histórica” que obrigasse a um ou outro resultado.

Enfim, como bem destacou Marcello Musto, o Marx que emerge desta obra está muito longe da imagem caricata de um economicista eurocêntrico, apenas focado na luta de classes. Se tal retrato nunca expressou adequadamente, nem o Marx mais jovem e, portanto, mais afoito – embora encontrasse eco em certa vulgata espargida por manuais catequéticos –, fica totalmente confrontada pelo Marx dos últimos anos. Marcello Musto cumpre com competência e correção a tarefa a que se incumbiu e, embora jovem, este professor italiano radicado no Canadá granjeou uma merecida reputação acadêmica internacional. A revista Crítica Marxista já publicou instigantes artigos seus nos números 27, 33 e 43 que podem ser acessados livremente através do seguinte endereço: <https://www.ifch. unicamp.br/criticamarxista/index.php>.

Ao recomendar, sem reticências, a leitura deste livro e dos outros textos do autor, parece oportuno o ensejo, no entanto, para manifestar uma pequena estranheza. Não são compreensíveis as obscuras razões editoriais que levaram a que se traduzisse o título original da obra L’ultimo Marx (1881-1883): Saggio di biografia intellettuale pelo impreciso e pouco atilado O velho Marx: uma biografia de seus últimos anos, sobretudo quando se tem presente que já há certa tradição em designar por “último” ou “tardio” a este período da vida e da obra de Marx. Desde que Theodor Shanin organizou e editou a coletânea intitulada Late Marx and Russian Road que este período da vida de Marx começou a ser delimitado e constituído como objeto de pesquisa. Late Marx ou dernier Marx, embora os autores possam divergir quanto ao exato período de referência, já estão consagrados na literatura… Será que o “velho” Marx ajudaria a vender mais livros?