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Sandro Moiso, Carmilla. Letteratura, immaginario e cultura d’opposizione

Si adopera l’espressione «marxismo» non nel senso di una dottrina scoperta o introdotta da Carlo Marx in persona, ma per riferirsi alla dottrina che sorge col moderno proletariato industriale e lo «accompagna» in tutto il corso di una rivoluzione sociale e conserviamo il termine «marxismo» malgrado il vasto campo di speculazioni e di sfruttamento di esso da parte di una serie di movimenti antirivoluzionari. (Amadeo Bordiga – Riunione di Milano, 7 settembre 1952).

Occorre iniziare dalla perentoria e sintetica frase pronunciata da Amadeo Bordiga più di settant’anni fa per cogliere lo smarrimento che al giorno d’oggi può cogliere un certo numero di militanti antagonisti ogni qualvolta sentono usare il nome del filosofo di Treviri oppure il termine che ne indica l’opera e la sua interpretazione da parte di terzi.

Condizione che, spesso, trasmette un’idea di inutile deja vù o, ancor peggio, di opportunistica rivendicazione di una dottrina ridotta a fantasma di se stessa proprio ad opera di coloro che un tempo, ora sempre meno, a Marx ed Engels si richiamavano, magari insieme al nome di Lenin o di altri appartenenti al periodo dello stalinismo trionfante e dell’opposizione allo stesso.

Per far uscire l’opera di Marx da questa sorta di terra di nessuno in cui è stata relegata, grazie anche all’assenza di una significativa ripresa della lotta di classe, può risultare utile la lettura del volume collettivo appena pubblicato da Carocci editore che raccoglie i contributi di quattordici studiosi di fama mondiale, appartenenti a diversi ambiti disciplinari e provenienti da vari paesi, nei quali si prova ad offrire uno sguardo più moderno e attualizzato sulle idee del filosofo tedesco riguardo all’ecologia, ai processi migratori, alle questioni di genere, al modo di produzione e riproduzione capitalistico, alla composizione del movimento operaio, alla globalizzazione e alle possibili caratteristiche di un’alternativa allo stato di cose presente.

Marcello Musto il primo dei due curatori, che insegna Sociologia alla York University di Toronto in Canada, può essere considerato forse il principale marxologo del tempo presente, grazie anche alla pubblicazione di opere quali L’ultimo Marx (Donzelli, 2016), Karl Marx – Biografia intellettuale e politica (Einaudi, 2018) e, ancora con Carocci editore, Ripensare Marx e i marxismi (2011).
Mentre Alfonso Maurizio Iacono, l’altro curatore, insegna Teoria e storia dei sistemi filosofici all’Università di Pisa ed è autore di numerose opere, tra le quali vanno ricordate Teorie del feticismo (Giuffrè, 1985), Autonomia, potere, minorità (Feltrinelli, 2000), L’illusione e il sostituto (Bruno Mondadori, 2010) e Studi su Marx (ETS, 2018).

Dopo aver sottolineato il rinnovato interesse nei confronti di Marx a partire dalla crisi iniziatasi nel 2008, Musto, nella sua introduzione al testo, ci ricorda che Il capitale non fu l’unico progetto rimasto incompiuto del filosofo e rivoluzionario tedesco.

La spietata autocritica di Marx aumentò le difficoltà di più di una delle sue imprese e la grande quantità di tempo che dedicò a molti progetti che voleva pubblicare era dovuta all’estremo rigore a cui sottoponeva tutto il suo pensiero. Quando Marx era giovane, era noto tra i compagni di università per la meticolosità. Si racconta che si rifiutasse «di scrivere una frase se non era in grado di dimostrarla in dieci modi diversi». E’ per questo che il giovane studioso della sinistra hegeliana pubblicò ancor meno di molti altri. La convinzione di Marx che le sue informazioni fossero insufficienti e i suoi giudizi immaturi gli impediva di pubblicare scritti che rimanessero sotto forma di abbozzi o frammenti [1].

Già questo basterebbe a differenziarlo da tanti suoi successivi emulatori e seguaci, sia nella superficialità con cui tante volte hanno dato alle stampe testi poco rigorosi, ma molto ideologici, quanto da coloro che hanno fatto di ogni sua affermazione un’autentica e immutabile parola di veritas.

Alcuni dei testi pubblicati da Marx non devono essere considerati come la sua parola definitiva sui temi in questione. Ad esempio, il Manifesto del Partito comunista è stato considerato da Friedrich Engels e Marx come un documento storico della loro giovinezza e non come il testo definitivo in cui venivano enunciate le loro principali concezioni politiche. Inoltre, bisogna tener presente che gli scritti di propaganda politica e quelli scientifici spesso non sono combinabili. Questo tipo di errori è molto frequente nella letteratura secondaria su Marx [2].

Questa mancata contestualizzazione dell’opera spesso si accompagna a un timore reverenziale nell’interpretarla, fin dalla sua morte, a partire dalla quale forse anche lo stesso Engels fu responsabile di un eccesso di imbalsamazione cercando di fissare in una forma definitiva, ad esempio, sia il secondo che il terzo libro del Capitale di cui esistevano varie stesure in forma di appunti, nessuna delle quali aveva convinto del tutto l’autore.

Nasceva così, probabilmente, proprio dal lavoro comprensibilmente rispettoso di Engels, nei confronti dell’amico scomparso, un’interpretazione “dottrinaria” che spesso si è preoccupata più del “monumento Marx” che dell’effettiva utilizzazione della sua opera. Cosicché spesso l’interpretazione della sua opera è stata fin troppo spesso collegata alla mera dinamica di sviluppo delle forze produttive, mentre, in particolare, è stata in seguito dimostrata anche la rilevanza che Marx assegnò alla questione ecologica, a quella delle migrazioni e a quella coloniale.

E proprio a questi tre, attualissimi, temi sono rivolti numerosi saggi tra quelli contenuti in Ricostruire l’alternativa Marx, in particolare in quelli di Silvia Federici su Genere, razza e riproduzione sociale in Marx: una prospettiva femminista; quello di Kohei Saito su L’accumulazione originaria come causa del disastro economico ed ecologico e, ancora, quello di Pietro Basso su Marx sull’esercito industriale di riserva e le migrazioni: vietato abusarne.

Ci si accontenterà qui, per necessità di spazio espositivo, di prendere in esame il saggio di Pietro Basso che, senza nulla togliere all’importanza degli altri citati e non, ha il merito di occuparsi di una questione particolarmente sentita all’interno del dibattito politico contemporaneo e, allo stesso tempo, di rivelare l’abuso fatto, in nome di un “marxismo” superficiale e travisato, dell’opera del rivoluzionario (autentico) tedesco.

Nella rinnovata attenzione al suo pensiero, è toccato a Marx esser chiamato in causa, da sinistra e perfino da destra, in particolare in Italia e in Germania, per legittimare con la sua autorità le politiche di “chiusura delle frontiere” agli immigrati che impazzano in Europa, e spesso fuori dall’Europa. Si tratta di uno sfacciato abuso del pensiero di Marx, compiuto facendo riferimento alla sua analisi della funzione dell’esercito industriale di riserva e delle migrazioni nel capitalismo, ma falsificandola (in parte) e amputandola (del tutto) delle sue conclusioni politiche. Mi occuperò qui di tale abuso prendendo in considerazione la logica di alcuni falsari di successo (Diego Fusaro, Wolfang Streeck, Sahra Wagenknecht) [3].

Per poter fare ciò, Basso riprende l’originale riflessione di Marx sull’importante categoria, ai fini dell’analisi della struttura sociale ed economica capitalistica, “esercito industriale di riserva”, presentata fin dai Grundrisse tra le contraddizioni chiave insopprimibili del modo di espansione del capitale. Per dirla con le parole dello stesso Marx: « Il capitale tende sia ad aumentare la popolazione lavoratrice [questo aumento è il primo presupposto dell’aumento del plusvalore – N.d.A.], sia a porre incessantemente una sua parte come sovrappopolazione – popolazione inutile fino al momento in cui il capitale può valorizzarla» [4].

Anche se ai tempi di Marx, che prendeva in esame soprattutto lo sviluppo del capitalismo in Gran Bretagna, il problema migratorio era rappresentato soprattutto dalle relazioni e dalle rivalità che intercorrevano tra la manodopera inglese e quella irlandese, ciò non toglie che il fondatore del pensiero e dell’agire rivoluzionario moderno fosse sufficientemente attento alle dinamiche e all’evoluzione di quel rapporto e, in particolare, a ciò che la forzata emigrazione irlandese finisse con l’avere sugli irlandesi stessi e le loro lotte, sia che queste fossero a carattere nazionale che sindacale.

In tale contesto, in cui il capitale tende ad usare ogni arma ideologica e non soltanto per dividere al suo interno il proletariato, Marx si schierò sempre apertamente e risolutamente a favore della «collaborazione sistematica tra occupati e disoccupati per infrangere o indebolire le conseguenze rovinose sulla propria classe di quella legge naturale della produzione capitalistica […] ogni solidarietà tra occupati e disoccupati turba infatti il “puro” gioco di quella legge» [5].

Per Marx, quindi, la produzione da parte del capitale di un esercito industriale di riserva è una legge, non un evento passeggero, un’occasionale disfunzione del capitalismo legata a questa o quella politica sociale, ovvero – per stare in tema – a questa o quella politica migratoria. E l’unica forza che può contrastarla è la lotta unitaria tra proletari occupati e disoccupati. Omettere tale doppia conclusione, storico-teorica e politica, è falsificare in modo impudente il pensiero marxiano e marxista in materia [6].

A più riprese, Marx, parlando dei vasti spostamenti forzati di popolazioni da un continente all’altro dovuti alle esigenze del colonialismo che alimentavano lo sviluppo del capitalismo, «sostiene a più riprese che il capitale si alimenta di una “doppia schiavitù”: la schiavitù salariata, indiretta, in Europa, e la schiavitù “pura e semplice”, diretta, degli sfruttati di colore nelle colonie» [7].

Veniamo ora gli utilizzatori/falsificatori del pensiero di Marx. Costoro si richiamano all’analisi marxiana dell’esercito di riserva e del suo inquadramento delle migrazioni come migrazioni forzate, distorcendoli e amputandoli delle loro conclusioni politiche, per tentare un’operazione impossibile: farne un argomento forte del loro nazionalismo “sociale”. […] Un fritto misto di verità e spudorate falsificazioni. La verità-confessione è che Fusaro e suoi sodali sognano l’avvento di uno Stato nazionale che sia capace di regolamentare l’anarchia del capitale e del mercato, e sia forte, italianissimo, fino al punto di essere sovrano rispetto alla “power-élite globalista” – un vuoto idealismo antistorico che ignora le barriere che si sono frapposte in passato, e ancor più si frappongono oggi, a un tale sogno retrogrado. A seguire un coacervo di mistificazioni sinistreggianti. Sfugge a questo “filosofo” (Diego Fusaro- N.d.R.) e ai suoi sodali rosso-bruni che nelle società occidentali è in atto una acutissima polarizzazione di classe, classe capitalistica versus classe-che-vive-del-proprio-lavoro, e la più radicale sussunzione di sempre del politico all’economico, anche nelle singole nazioni, non solo alla scala globale [8].

Il filo rosso del recupero moderno del pensiero e dell’opera di Karl Marx si svolge, tra le pagine e i saggi raccolti nel testo, attraverso queste e altre necessarie e importanti riflessioni che hanno, tutte, il merito di presentare un Marx svecchiato dalle antiche appropriazioni ideologiche e adattissimo, se interpretato conseguentemente e non “falsificato”, a funzionare ancora come metro di paragone per ciò che è rivoluzionario separandolo dalle vuote e, troppo spesso reazionarie, chiacchiere di maniera. Non resta dunque, a chi scrive, che lasciare ai lettori il piacere di scoprire, ancora una volta insieme a Marx, una possibile alternativa all’attuale modo di produzione e ai suoi flagelli ambientali, sociali, economici, militari, razziali e di genere.

 

 

[1] M. Musto, Introduzione a Marcello Musto, Alfonso Maurizio Iacono (a cura di), Ricostruire l’alternativa con Marx. Economia, ecologia, migrazione, Carocci editore, Roma 2023, pp.13-14.

[2] Ivi, p. 14.

[3] P. Basso, Marx sull’esercito industriale di riserva e le migrazioni: vietato abusarne in Ricostruire l’alternativa Marx, op. cit., p. 219.

[4] Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica 1857-1858, La Nuova Italia, Firenze 1968, p. 414.

[5] Marx, Il capitale, Libro I, a cura di A. Macchioro e B. Maffi, UTET, Torino 1974, p. 815.

[6] P. Basso, op. cit., p. 222.

[7] Ivi, p. 223.

[8] Ivi, pp. 227-229.

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Παναγιώτης Σωτήρης, In.gr

Μελέτη των προκαπιταλιστικών κοινωνιών
Μεγάλο χρόνο αφιέρωσε ο Μαρξ εκείνη την περίοδο σε μελέτες που αφορούσαν τις προκαπιταλιστικές κοινωνίες, τις περιοχές που βρίσκονταν υπό αποικιοκρατικό ζυγό αλλά και εκτεταμένες εθνολογικές και ιστορικές μελέτες. Επικεντρώνει στην προϊστορία, την εξέλιξη των οικογενειακών μορφών, την κατάσταση των γυναικών, την προέλευση των σχέσεων ιδιοκτησίας, τις προκαπιταλιστικές οικονομικές μορφές. Ταυτόχρονα, στα «Οικονομικά σημειωματάρια» κάνει επισημαίνει τις ρατσιστικές συνδηλώσεις αρκετών από τις ανθρωπολογικές μελέτες που διάβαζε. Κομμάτι της δραστηριότητας του Μαρξ εκείνη την περίοδο και η σύνταξη του «Εργατικού Ερωτηματολόγιου» για λογαριασμό της Ομοσπονδίας Σοσιαλιστών Εργατών της Γαλλίας, ένα κείμενο που στη δεκαετία του 1960 οι Ιταλοί εργατιστές θα θεωρήσουν υπόδειγμα για τη δική τους αντίληψη της εργατικής έρευνας.

Ουσιαστικά, ο Μαρξ προσπαθούσε να ανασυνθέσει τη σύνθετη ιστορία της μετάβασης από την αρχαιότητα έως τον καπιταλισμό. Αυτό που προκύπτει από την ανάλυση του Μούστο είναι ότι ο Μαρξ δεν ήταν οπαδός μιας άκαμπτης αντίληψης της ιστορικής προόδου και υπήρχε μεγάλη απόσταση ανάμεσα στη σκέψη του Μαρξ και μια παράδοση μαρξιστικού εξελικτικισμού που υποστήριξε μια γραμμική αντίληψη της ιστορικής προόδου, με συγκεκριμένα στάδια από τα οποία υποτίθεται ότι έπρεπε να περάσουν όλες οι κοινωνίες μέχρι την τελική εμφάνιση του κομμουνισμού. Αντιθέτως, ο Μαρξ «επεσήμανε την ιδιοτυπία των ιστορικών συνθηκών, τις πολλαπλές δυνατότητες που προσφέρει η πάροδος του χρόνου και τον κεντρικό ρόλο της ανθρώπινης παρέμβασης στη διαμόρφωση της πραγματικότητας και την επίτευξη αλλαγής» (σ. 67).

Από την αγροτική κοινότητα στον κομμουνισμό;
Το ζήτημα εάν υπάρχει μια αναπόδραστη ιστορική ακολουθία ανάμεσα στον καπιταλισμό και τον κομμουνισμό δεν είχε μόνο θεωρητικό χαρακτήρα αλλά και πολιτικό, καθώς για τα εργατικά κινήματα σε χώρες όπου ακόμη δεν είχε κυριαρχήσει ο καπιταλισμός ετίθετο το ερώτημα εάν έπρεπε να επιδιώξουν την ανάπτυξη του καπιταλισμού ως προϋπόθεση για τον σοσιαλισμό, πρώτα και κύρια τη Ρωσία. Ο Μαρξ αναμετριέται με αυτό το ζήτημα μέσα από τη μελέτη Ρώσων σοσιαλιστών όπως ο Νικολάι Τσερνισέφσκι και την επικοινωνία με την ναρόντνικη αγωνίστρια Βέρα Ζάσουλιτς. Το ερώτημα ήταν είναι εάν στη Ρωσία μπορούσε να υπάρξει πέρασμα από την αγροτική κοινότητα, την ομπτσίνα, στον σοσιαλισμό ή εάν αντιθέτως ήταν αναγκαίο ένα πέρασμα από τον καπιταλισμό.

Το ερώτημα απασχολεί ιδιαίτερα τον Μαρξ και όπως δείχνει ο Μούστο αυτό φαίνεται από τα μακροσκελή προσχέδια της απάντησης στη Ζάσουλιτς που συντάσσει. Η τελική του απάντηση θα είναι αρκετά συντομότερη των προσχεδίων, όμως ακόμη και έτσι κάνει σαφές ότι ο Μαρξ καθόλου δεν σκεφτόταν με όρους ενός υποχρεωτικού περάσματος από την καπιταλιστική ανάπτυξη ως προϋπόθεση για τον σοσιαλισμό και ότι μια μετάβαση από την αγροτική κοινότητα στον σοσιαλισμό ήταν ένα πραγματικό ενδεχόμενο, δείχνοντας πόσο απείχε η σκέψη του από μια αντίληψη που θα έβλεπε τον σοσιαλισμό ως απλή προέκταση της ανάπτυξης των καπιταλιστικών παραγωγικών δυνάμεων.

Ο θάνατος του Μαρξ στις 14 Μαρτίου 1883, ύστερα από μια περίοδο επιδείνωσης της υγείας του (αλλά και το βάρος της θλίψης από την απώλεια της συζύγου του) έβαλε τέλος σε ένα έργο εν εξελίξει και πολύ πιο ανοιχτό από όσο ήθελαν να πιστέψουν αρκετοί από τους μετέπειτα μαρξιστές.

«Ο αγώνας»
Ο Μούστο υπενθυμίζει τη συνέντευξη που δίνει ο Μαρξ στον Αμερικανό δημοσιογράφο Τζον Σουίντον, τον Αύγουστο του 1880. Στο τέλος της συνομιλίας ρωτά τον Μαρξ για το νόημα της ύπαρξης, όπως περιγράφει ο δημοσιογράφος αφού ο νους του Μαρξ «για μια στιγμή αναδιπλώθηκε προς τα μέσα, ενώ κοίταζε τη φουρτουνιασμένη θάλασσα μπροστά του και το ανήσυχο πλήθος στην παραλία», στο τέλος απάντησε «ο αγώνας!».