Da quando sono stati pubblicati per la prima volta negli anni Trenta, i primi scritti di Karl Marx sull’alienazione sono serviti come pietra di paragone radicale nei campi del pensiero sociale e filosofico, dando vita a consensi, contestazioni e dibattiti. Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, Marx sviluppò per la prima volta il concetto di lavoro alienato, spingendosi oltre le nozioni filosofiche, religiose e politiche esistenti di alienazione per collocarlo nella sfera economica della produzione materiale. Si è trattato di una mossa rivoluzionaria e l’alienazione è stato un concetto che Marx non ha mai messo da parte e che avrebbe continuato a perfezionare e sviluppare nei decenni successivi. Sebbene i teorici sul tema dell’alienazione abbiano, per la maggior parte, continuato a fare uso dei primi scritti di Marx, è nell’opera successiva che Marx fornisce un resoconto più completo e sviluppato dell’alienazione, nonché una teoria del suo superamento. Nei taccuini dei Grundrisse (1857-58), così come in altri manoscritti preparatori de Il Capitale (1867), Marx propone una concezione dell’alienazione che trova storicamente fondamento nella sua analisi dei rapporti sociali sotto il capitalismo. Se questo importante aspetto della teoria di Marx è stato finora sottovalutato, resta la chiave per comprendere cosa intendesse il Marx maturo per alienazione – e contribuisce a dare gli strumenti concettuali che saranno necessari per trasformare il sistema economico e sociale dell’ipersfruttamento in cui viviamo oggi.
Una lunga traiettoria
Il primo resoconto sistematico dell’alienazione è stato fornito da Hegel ne La fenomenologia dello spirito (1807), dove i termini Entausserung («alienazione»), Entfremdung («straniamento») e Vergegenständlichung (letteralmente: «oggettivazione») sono stati usati per descrivere il divenire altro da sé dello Spirito nel regno dell’oggettività . Il concetto di alienazione continuò a occupare un posto di rilievo negli scritti della sinistra hegeliana e Ludwig Feuerbach sviluppò una teoria dell’alienazione religiosa in L’essenza del cristianesimo (1841) dove descrisse la proiezione dell’uomo della propria essenza su una divinità immaginaria. Ma il concetto di alienazione è in seguito sparito dalla riflessione filosofica, e nessuno dei maggiori pensatori della seconda metà dell’Ottocento vi prestò grande attenzione. Anche Marx usava raramente questo termine nelle opere pubblicate mentre era in vita, e la discussione sull’alienazione era palesemente assente dal marxismo della Seconda Internazionale (1889-1914). Fu durante questo periodo, tuttavia, che diversi pensatori svilupparono concetti che in seguito vennero associati all’alienazione. Nei suoi La divisione del lavoro sociale (1893) e Il suicidio. Studio di sociologia (1897), Émile Durkheim introdusse il concetto di «anomia» per indicare un insieme di fenomeni in base ai quali le norme che garantiscono la coesione sociale entrano in crisi a seguito di una maggiore estensione della divisione del lavoro. Alla base del pensiero dei sociologi tedeschi c’erano anche gli sconvolgimenti sociali associati ai grandi cambiamenti nel processo di produzione. Georg Simmel in La filosofia del denaro (1900) ha prestato grande attenzione al dominio delle istituzioni sociali sugli individui e alla crescente impersonalità delle relazioni umane. Max Weber, in Economia e società (1922), si sofferma sui fenomeni di «burocratizzazione» e di «calcolo razionale» nelle relazioni umane, ritenendoli l’essenza del capitalismo. Ma questi autori pensavano di descrivere tendenze inarrestabili delle relazioni umane e le loro riflessioni erano spesso guidate dal desiderio di migliorare l’ordine sociale e politico esistente, non certo di sostituirlo con uno diverso.
Il ritorno a una teoria marxista dell’alienazione avvenne in gran parte grazie a György Lukács, che in Storia e coscienza di classe (1923) introdusse il termine «reificazione» (Versachlichung) per descrivere il fenomeno per cui l’attività lavorativa si confronta con gli esseri umani come qualcosa di oggettivo e indipendente, dominandoli attraverso leggi autonome esterne. Quando i Manoscritti economici e filosofici del 1844 apparvero finalmente in tedesco nel 1932, il testo inedito della giovinezza di Marx fece scalpore in tutto il mondo. Il concetto di alienazione di Marx descriveva il prodotto del lavoro di fronte al lavoro «come qualcosa di estraneo, come un potere indipendente dal produttore». Elencò i quattro modi in cui l’operaio è alienato nella società borghese: (1) dal prodotto del suo lavoro, che diventa «un oggetto estraneo che ha potere su di lui»; (2) nella sua attività lavorativa, che percepisce come «diretta contro sé stesso», come se «non gli appartenesse»; (3) dall’«essere specie dell’uomo», che si trasforma in «un essere a lui estraneo»; e (4) da altri esseri umani, e in relazione «al loro lavoro e all’oggetto del lavoro». Per Marx, a differenza di Hegel, l’alienazione non coincideva con l’oggettivazione in quanto tale, ma piuttosto con un fenomeno specifico all’interno di una forma precisa di economia: cioè il lavoro salariato e la trasformazione dei prodotti del lavoro in oggetti contrapposti ai produttori. Mentre Hegel presentava l’alienazione come una manifestazione ontologica del lavoro, Marx la concepiva come caratteristica di una particolare fase della produzione: il capitalismo.
Divergendo fondamentalmente da Marx, nella prima parte del ventesimo secolo, la maggior parte degli autori che si sono occupati dell’alienazione la consideravano un aspetto universale della vita. In Essere e tempo (1927), Martin Heidegger affronta l’alienazione in termini puramente filosofici. La categoria da lui usata per la sua fenomenologia dell’alienazione era «caduta» [Verfallen], cioè la tendenza dell’esistenza umana a perdersi nell’inautenticità del mondo circostante. Heidegger considerava questa caduta non come una «proprietà cattiva e deplorevole di cui forse gli stadi più avanzati della cultura umana potrebbero liberarsi», ma piuttosto come «una forma esistenziale di Essere-nel-mondo», come una realtà che fa parte della dimensione fondamentale della storia. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’alienazione divenne un tema ricorrente – sia in filosofia che in letteratura – sotto l’influenza dell’esistenzialismo francese. Ma si identificava con un diffuso malcontento dell’uomo nella società , una scissione tra l’individualità umana e il mondo dell’esperienza, una condizione umana insormontabile. La maggior parte dei filosofi esistenzialisti non proponeva un’origine sociale per l’alienazione, la vedeva come inevitabilmente legata a tutta la «fatticità » (senza dubbio il fallimento dell’esperienza sovietica ha favorito tale visione) e l’alterità umana. Marx aveva contribuito a sviluppare una critica della sottomissione umana nei rapporti di produzione capitalistici. Gli esistenzialisti, al contrario, hanno cercato di assorbire quelle parti dell’opera di Marx che ritenevano utili per il loro approccio, ma in una discussione meramente filosofica priva di uno specifico resoconto storico.
Per Herbert Marcuse, come per gli esistenzialisti, l’alienazione era associata all’oggettivazione in quanto tale, piuttosto che a una condizione particolare sotto il capitalismo. In Eros e civiltà (1955), si allontanò da Marx, sostenendo che l’emancipazione umana può essere raggiunta solo con l’abolizione – non la liberazione – del lavoro e con l’affermazione della libido e del gioco nelle relazioni sociali. Marcuse alla fine si oppose al dominio tecnologico in generale, perdendo la specificità storica che legava l’alienazione ai rapporti capitalistici di produzione, e le sue analisi sul cambiamento sociale erano pessimiste al punto che spesso la classe operaia veniva associata ai soggetti che agivano in difesa del sistema.
L’irresistibilità delle teorie dell’alienazione
Un decennio dopo l’intervento di Marcuse, il termine alienazione è entrato nel vocabolario della sociologia nordamericana. La sociologia tradizionale lo ha trattato come un problema dell’essere umano individuale, non delle relazioni sociali, e la ricerca di soluzioni è stata centrata sulla capacità degli individui di adattarsi all’ordine esistente piuttosto che su pratiche collettive per cambiare la società . Questo importante cambiamento di approccio ha finito per mettere in secondo piano l’analisi dei fattori storico-sociali. Nella tradizione marxista il concetto di alienazione aveva contribuito ad alcune delle critiche più acute al modo di produzione capitalistico, ma la sua istituzionalizzazione nel campo della sociologia lo ha ridotto a fenomeno di disadattamento individuale alle norme sociali. Queste interpretazioni hanno contribuito a un impoverimento teorico del discorso sull’alienazione, che – lungi dall’essere un fenomeno complesso legato all’attività lavorativa dell’uomo – è diventato, per alcuni sociologi, un fenomeno positivo, un mezzo per esprimere la creatività . In questa veste, la categoria dell’alienazione è stata diluita al punto da essere virtualmente priva di significato.
Nello stesso periodo, la categoria dell’alienazione si è fatta strada nella psicoanalisi. Erich Fromm l’ha utilizzata per cercare di costruire un ponte verso il marxismo. Per Fromm, tuttavia, l’enfasi era sulla soggettività , e la sua nozione di alienazione, riassunta in Psicanalisi della società contemporanea (1955) come «una modalità di esperienza in cui l’individuo sperimenta sé stesso come estraneo», rimaneva ancora troppo centrata sull’individuo. Il resoconto di Fromm del concetto di Marx si basava esclusivamente sui Manoscritti economico-filosofici e metteva da parte il ruolo del lavoro alienato nel pensiero di Marx. Questa lacuna impediva a Fromm di dare il giusto peso all’alienazione oggettiva (quella del lavoratore nel processo lavorativo e in relazione al prodotto del lavoro).
Negli anni Sessanta, le teorie dell’alienazione sono diventate di moda e il concetto è parso esprimere alla perfezione lo spirito dell’epoca. In La società dello spettacolo di Guy Debord (1967), la teoria dell’alienazione si collegava alla critica della produzione immateriale: «Con la Seconda rivoluzione industriale, il consumo alienato è diventato un dovere per le masse tanto quanto la produzione alienata». In La società dei consumi (1970), Jean Baudrillard ha preso le distanze dall’attenzione marxista sulla centralità della produzione e ha identificato il consumo come il fattore primario nella società moderna. La crescita della pubblicità e dei sondaggi di opinione aveva creato bisogni spuri e consenso di massa in un’«era di consumo» e «alienazione radicale». La diffusione del termine, tuttavia, insieme alla sua applicazione indiscriminata, ha creato una profonda ambiguità concettuale. Nel giro di pochi anni, l’alienazione si è trasformata fino a descrivere quasi tutto nello spettro dell’infelicità umana; è diventato un fenomeno così totalizzante da generare la convinzione che non avrebbe mai potuto essere modificato. Con centinaia di libri e articoli pubblicati sull’argomento in tutto il mondo, ci si trovava nell’era dell’alienazione tout court. Autori di varie estrazioni politiche e discipline accademiche hanno identificato tra le sue cause la mercificazione, l’eccessiva specializzazione, l’anomia, la burocratizzazione, il conformismo, il consumismo, la perdita del senso di sé tra le nuove tecnologie, l’isolamento personale, l’apatia, l’emarginazione sociale o etnica e l’inquinamento ambientale. Il dibattito ha assunto tratti ancora più paradossali nel contesto accademico nordamericano, dove il concetto di alienazione ha subito una vera e propria distorsione e ha finito per essere utilizzato dai difensori delle stesse classi sociali contro cui per tanto tempo era stato diretto.
L’alienazione secondo Karl Marx
I Grundrisse, scritti nel 1857-1858, forniscono il miglior resoconto di Marx sul tema dell’alienazione, sebbene rimasti inediti anche in Germania fino al 1939. Quando il testo fu infine tradotto in lingue europee e asiatiche alla fine degli anni Sessanta, con l’edizione in inglese del 1973, gli studiosi concentrarono maggiormente la loro attenzione sul modo in cui Marx concettualizzava l’alienazione nei suoi scritti maturi. Il resoconto dei Grundrisse ricordava le analisi dei Manoscritti economico-filosofici del 1844, ma si arricchiva di una comprensione molto maggiore delle categorie economiche e di un’analisi sociale più rigorosa. Nei Grundrisse, Marx ha usato più di una volta il termine «alienazione» e ha sostenuto che nel capitalismo
Lo scambio generale delle attività e dei prodotti, che è diventato condizione di vita per ogni singolo individuo, il nesso che unisce l’uno all’altro, si presenta ad essi stessi estraneo, indipendente, come una cosa. Nel valore di scambio la relazione sociale tra le persone si trasforma in rapporto sociale tra cose; la capacità personale, in una capacità delle cose.
I Grundrisse non furono l’unico testo incompiuto della maturità di Marx a presentare un resoconto dell’alienazione. Cinque anni dopo la sua stesura, Il Capitale, Libro 1, Capitolo IV inedito (1863-1864) ha avvicinato le analisi economiche e politiche dell’alienazione. «Il dominio del capitalista sull’operaio – scriveva Marx – è il dominio delle cose sugli esseri umani, del lavoro morto sui vivi, del prodotto sul produttore». Nella società capitalistica, in virtù della «trasposizione della produttività sociale del lavoro negli attributi materiali del capitale», si ha una vera e propria «personificazione delle cose e reificazione delle persone», dando l’impressione che «le condizioni materiali del lavoro non siano soggette al lavoratore, ma lui a loro». Marx ha fornito un resoconto simile – molto più elaborato di quello dei suoi primi scritti filosofici – in una famosa sezione del Capitale: «Il feticismo della merce e il suo segreto». Per Marx, nella società capitalista, le relazioni tra le persone non appaiono «come relazioni sociali dirette tra le persone… ma piuttosto come rapporti materiali tra le persone e rapporti sociali tra le cose». Questo fenomeno è quello che definì «il feticismo che s’appiccica ai prodotti del lavoro appena vengono prodotti come merci, e che quindi è inseparabile dalla produzione delle merci». Il feticismo delle merci non ha sostituito l’alienazione dei suoi primi scritti. Nella società borghese, sosteneva Marx, le qualità e le relazioni umane si trasformano in qualità e relazioni tra le cose. Questa teoria di ciò che Lukács chiamerebbe reificazione illustrava questo fenomeno dal punto di vista delle relazioni umane, mentre il concetto di feticismo lo trattava in relazione alle merci. «Nella società borghese – sosteneva Marx – le qualità e le relazioni umane si trasformano in qualità e relazioni tra le cose».
La diffusione degli scritti di Marx sull’alienazione ha aperto la strada a un allontanamento dalla concettualizzazione del fenomeno da parte della sociologia e della psicologia tradizionali. Il resoconto dell’alienazione di Marx era orientato al suo superamento nella pratica, all’azione politica dei movimenti sociali, dei partiti e dei sindacati per cambiare le condizioni di lavoro e di vita della classe operaia. La pubblicazione di quella che, dopo i Manoscritti economico-filosofici del 1844 degli anni Trenta, può essere pensata come la «seconda generazione» degli scritti di Marx sull’alienazione ha quindi fornito non solo una base teorica coerente per nuovi studi sull’alienazione, ma soprattutto una piattaforma ideologica anticapitalista per gli straordinari movimenti politici e sociali esplosi nel mondo in quegli anni. L’alienazione è andata oltre i libri dei filosofi e le aule universitarie. È scesa in piazza ed è entrata nelle lotte operaie, è diventata una critica della società borghese in generale.
Dagli anni Ottanta del Novecento, il mondo del lavoro ha subito una sconfitta epocale, il sistema economico globale è più sfruttatore che mai e la sinistra è ancora nel bel mezzo di una profonda crisi. Certo, Marx non può dare una risposta a molti problemi contemporanei, ma individua le questioni essenziali. In una società dominata dal libero mercato e dalla concorrenza tra individui, il racconto dell’alienazione di Marx continua a fornire uno strumento critico indispensabile sia per comprendere che per criticare il capitalismo oggi.
Marcello
Musto