L’Introduzione del 1857
Nei Quaderni del carcere Gramsci critica gli sviluppi dell’economia marxista, in particolare in Urss, osservando come quella dovrebbe essere una disciplina «critica», a differenza di quella accademica che riflette incessantemente sui propri metodi e strumenti di analisi, «si vale troppo spesso di espressioni stereotipate, e si esprime in un tono di superiorità a cui non corrisponde il valore dell’esposizione» (A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, vol. III, p. 1803). Per ovviare a questo limite egli ritiene necessaria un’«introduzione metodico-filosofica ai trattati di economia», prendendo a modello le «prefazioni al primo volume di Economia critica» (vale a dire Il Capitale) e alla «Critica dell’Economia politica» (ivi, p. 1844), cioè la celeberrima Prefazione del 1859.
Due anni prima, nel 1857, Marx aveva abbozzato in pochi giorni un’introduzione alla stessa opera (i cosiddetti Grundrisse), destinata a rimanere incompiuta e inedita fino al 1903, quando verrà pubblicata da Karl Kautsky sul giornale socialdemocratico tedesco «Die Neue Zeit». Successivamente tradotto in italiano da Giorgio Backhaus, questo testo ci viene ora riproposto in un’edizione riccamente commentata (K. Marx, Introduzione alla critica dell’economia politica, Commento storico critico di Marcello Musto, Macerata, Quodlibet, 2010, pp. 142, euro 12).
Come messo in evidenza dal curatore, l’Introduzione del 1857 rappresenta una tappa importante nello sviluppo del pensiero di Marx che, partito da studi prima giuridici e poi filosofici, si era avvicinato all’economia politica solo nel 1844, durante il breve soggiorno a Parigi, con le annotazioni su Smith e Ricardo nei Manoscritti economico-filosofici e grazie anche all’avvio del sodalizio con Engels. Approfondito con la Miseria della filosofia e con Lavoro salariato e capitale, l’interesse per l’economia conoscerà una forte ripresa, dopo il fallimento dei moti rivoluzionari quarantotteschi, per tutti gli anni Cinquanta dell’Ottocento, nel corso dei quali Marx si sforzerà di identificare i sintomi della crisi decisiva per il crollo del sistema capitalistico e il trionfo della rivoluzione proletaria. Ed è proprio in quella che gli pare la vigilia immediata di tale crollo che scrive le pagine in questione, «estremamente complesse e controverse» anche per la concitazione con la quale furono stese; eppure, «poiché contiene il più esteso e dettagliato pronunciamento sulle questioni epistemologiche mai compiuto da Marx, l’Introduzione costituisce un riferimento rilevante per la comprensione del suo pensiero e uno snodo obbligato per meglio interpretare l’intero corpo dei Grundrisse» (p. 74).
A differenza di quanto aveva fatto nei Manoscritti, dove il punto di partenza dell’analisi economica era costituito dal salario, dal profitto e dalla rendita (vale a dire le forme di reddito proprie rispettivamente di operai, industriali e proprietari terrieri), e di quanto farà nel Capitale, dove la critica dell’economia politica prende le mosse dal problema del valore, nell’Introduzione del 1857 Marx si sofferma innanzitutto sulla produzione, o meglio sul nesso inscindibile, di reciproca determinazione e influenza, tra produzione, consumo, distribuzione e scambio, che costituisce il processo della circolazione delle merci. Seguendo un procedimento che gli è peculiare fin dagli scritti giovanili, Marx alterna l’esposizione delle proprie tesi con la critica di quelle di predecessori e contemporanei, concentrandola in particolare sulle «robinsonate» di Smith e di Ricardo, ma anche di Proudhon e di Bastiat, che muovono tutti dalla «produzione dell’individuo isolato all’esterno della società» (p. 12), ignorandone il carattere sempre storicamente e socialmente determinato. L’altro obbiettivo polemico marxiano è costituito da chi, come Stuart Mill, tende a separare astrattamente il processo produttivo da quello distributivo, assimilando il primo ai fenomeni naturali, analizzabili con metodi matematico-fisici in quanto rispondenti esclusivamente a leggi eterne e immodificabili, mentre il secondo sarebbe relativamente esposto agli «arbitrii» degli uomini (p. 16).
Di più complessa decifrazione appaiono le pagine dedicate da Marx al metodo dell’economia politica: particolarmente prezioso risulta quindi a tal proposito l’ampio e puntuale commentario di Musto che, senza tacere le difficoltà, le ambiguità e le contraddizioni del testo, ne ricostruisce i fili conduttori, a partire dalla convinzione, ereditata da Hegel, secondo cui «il metodo di salire dall’astratto al concreto è il solo modo, per il pensiero, di appropriarsi il concreto» (p. 102), anche se naturalmente per Marx non è il pensiero a determinare la realtà, ma al contrario. L’altro aspetto metodologico fondamentale è costituito dal presupposto secondo cui il complesso spiega il semplice, il presente interpreta il passato, e non viceversa: opponendosi da un lato al cattivo empirismo degli economisti classici e dall’altro all’idealismo di Hegel e della sua scuola, Marx elabora strumenti in grado non solo di analizzare il modo di produzione capitalistico e, a partire da questo, quelli che l’hanno preceduto, ma anche di «scorgere nel presente le tendenze che lasciavano prefigurare lo sviluppo di un nuovo modo di produzione» (p. 113).
L’Introduzione si chiude con un elenco di argomenti che rimangono soltanto abbozzati, tra i quali merita di essere ricordata la questione del «rapporto ineguale dello sviluppo della produzione materiale con […] quella artistica» (p. 47); questa osservazione getta una luce diversa su quella, apparentemente più dogmatica, della Prefazione del 1859 secondo cui «il modo di produzione della vita materiale condiziona il processo sociale, politico e spirituale della vita in generale» che, a giudizio di Musto (ma anche del Gramsci dei Quaderni citato all’inizio) «non va interpretata, dunque, in chiave deterministica» (p. 118).
Marcello
Musto