Marco Bertorello, Erre

Review of Sulle Tracce di un Fantasma. L’Opera di Karl Marx tra Filologia e Filosofia

1. Filologia e filosofia nella Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA²)

Ad oggi siamo ancora privi di un’edizione integrale e scientifico-critica delle opere di Marx e, tuttavia, è in corso da qualche anno un risveglio d’interesse per lo studio di questi scritti.

La persistente capacità critica delle contraddizioni dell’odierna società capitalista contenuta nella riflessione marxiana ripropone con forza al centro del dibattito contemporaneo il pensiero del “moro di Treviri”. E l’assenza d’una tale edizione critica dei suoi elaborati è tanto più grave se si considera che parte notevole dei suoi manoscritti, dell’immensa mole di estratti ed annotazioni dai libri e dell’imponente corrispondenza – 14.000 lettere rinvenute – rimane ancora inedita. Il volume curato da Marcello Musto Sulle tracce di un fantasma. L’opera di Karl Marx tra filologia e filosofia, ci presenta il significativo sforzo di sistematizzazione degli scritti marxiani: raccoglie le relazioni, spesso assai differenti, esposte durante la Conferenza Internazionale di studi sullo stesso tema, svoltasi a Napoli nell’aprile 2004. Questa prende vita da tale esigenza: presentare per la prima volta in Italia la nuova edizione storico-critica della Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA²), che dovrebbe dar conto delle nuove acquisizioni delle ricerche filologiche sul pensiero di Marx e della ripresa degli studi filosofici in merito, tanto in riferimento alle opere giovanili quanto a Il capitale. Il volume ci presenta 24 saggi, accompagnandoci nella disamina delle più recenti interpretazioni degli scritti di Marx in Italia e nel mondo, al fine di socializzare conoscenze e stabilire legami permanenti fra gruppi di ricerca e singoli studiosii. Tuttavia, nonostante gli sforzi del curatore, il volume presenta un aggregato d’elaborazioni eterogenee e nell’insieme non appare del tutto organico.

L’edizione storico-critica delle opere complete di Marx ed Engels (Marx-Engels Gesamtausgabe – MEGA), le cui pubblicazioni sono iniziate nel 1975, è stata interrotta in seguito alla sconfitta della transizione al socialismo nei paesi dell’est europeo dell 1989. Nel 1990, per iniziativa dell’Internationaal Instituut voor Sociale Geschiedenis (IISG) di Amsterdam, è nata la Internationale Marx Engels Stiftung (IMES), il cui fine è completarne l’impresa ii. Parrebbe pertanto giunto il momento di riprendere, usufruendo delle conquiste editoriali della MEGA², un confronto serio e rigoroso su Marx. Tuttavia il volume ci ripropone anzitutto una visione per cui, malgrado l’imponente raccolta di riflessioni, l’opera marxiana apparirebbe sostanzialmente incompiuta: dinanzi ad interpretazioni del passato tese a fare del pensiero di Marx una dottrina chiusa, il volume ne evidenzia il carattere di incompiutezza. Tuttavia, tale invito a tener conto della lettera dei testi marxiani, rischia di perder di vista la necessità di ricomprenderli anzitutto a partire dallo spirito unitario che li muove iii. Solo questa si dimostra, d’altra parte, chiave di lettura produttiva: per un verso consente si ricordare l’attualità della necessità d’un bilancio storico – più volte affrontato nel volume e non di rado con equilibrio antidogmatico nei confronti del pensiero marxiano da autori significativi come G. Bravo, S. Kouvélakis, R. Finelli e D. Losurdo; per l’altro permette d’evitare che l’esigenza di critica della riflessione marxiana prenda vita da giudizi viziati di antistoricismo, post-modernismo ed improduttivo empirismo – evidenti in diversi interventi. In particolare, nell’impostazione generale emergono i rischi di un simile filologismo, che potrebbe far perder di vista la complessità del concetto dovuta al suo radicale divenire nella determinatezza storica: l’approccio empirista, per dirla con la Scienza della Logica di Hegel, ci pone dinanzi alla separazione improduttiva di essere e pensiero, in ultima istanza si rivela rinuncia all’oggettività concreta e s’accontenta unicamente del valore soggettivo della conoscenza. In tal modo la feroce critica all’approccio dogmatico può condurre ad una visione sostanzialmente ingenua, quando non apertamente volta a mistificarne la complessità dialettica della realtà. Si giunge così alla perfetta unità di pensiero ed essere, testo scritto ed interpretazione contenutistica, unicamente attraverso un sapere immediato, ricadendo in tal modo in forme di misticismo e dogmatismo.

2. Un “ritorno” a Marx senza storia del marxismo?

I contributi contenuti nel volume dei diversi e noti marxisti nazionali ed internazionali, provenienti da dieci diversi paesi, hanno per un verso il fine di risvegliare l’interesse per l’opera di Marx, per l’altro sono essi stessi dimostrazione dello status della riflessione filosofica odierna in merito alle condizioni storico-sociali del nostro tempo. Se certamente meritevole è il tentativo di “restituire” l’elaborazione di Marx alla ricerca filologica, tuttavia esso conduce spesso ad una visione elitista ed accademica del sapere: Marx sarebbe stato «snaturato» nel processo di diffusione del suo pensiero, che avrebbe poi prodotto «effetti perversi» – scrive il curatore del volume, Marcello Musto –, fra cui un’«ortodossia» scaturita da «fini preordinati». La produzione marxiana sarebbe stata utilizzata per giustificare «a posteriori» teorie politiche che ne avrebbero «frainteso» la “purezza scientifica”. Tuttavia un simile approccio non ci pare renda pienamente giustizia ad un autore che ha costantemente tentato di intrecciare «prospettiva di lunga durata e compiti immediati» [p. 357], come ricorda Domenico Losurdo in un bel saggio dal titolo Marxismo, globalizzazione e bilancio storico del socialismo [pp. 347-357]. Se dunque può ritenersi vero per un verso che la nuova Marx Forschung ha innanzi a sé il compito «di un orientamento permanentemente critico», per l’altro bisogna intendersi sulla ricerca d’un tale marxismo «lontano dal fuorviante condizionamento dell’ideologia» [p. 23] e sul concetto stesso di ideologia. Questo ha una lunga e ben complessa storia dietro di sé, da cui ci pare impossibile prescindere iv. Da tali presupposti deriva l’interrogativo che attraversa il volume: è possibile un “ritorno” ad un pensiero “puro” di Marx? Se per un verso leggere Marx oggi vuol dire certamente affrontarne con pazienza i testi, d’altra parte l’esigenza di non pensarne una linea di sviluppo “predeterminata” rischia di far dimenticare che un testo s’interroga sempre a partire dalla determinatezza d’un punto di vista e nell’ottica d’un agire pratico – sebbene certo la sua lettura consenta di rivedere il proprio punto di vista e le modalità dell’azione. In tal senso Marx non pare davvero un classico sterile ed asettico: credere di poter circoscrivere Marx «alla funzione di classico mummificato con un interesse inoffensivo per l’oggi o di rinchiuderlo in specialismi meramente speculativi, si rivelerebbe impresa errata al pari di quella che lo ha trasformato nella sfinge del grigio socialismo reale del Novecento» [p. 24]. Per un verso si deve come possibile sfuggire dall’attribuzione di capacità profetico-utopiste all’autore o alle sue teorie; per l’altro nel volume più volte si invita a far astrazione dalla soggettività del filosofo – che Hegel avrebbe definito “punto di vista del cameriere” – e ad osservare il testo ed il contesto dello scritto, in uno sforzo di tensione interpretativa. Ma è poi tanto grigio quel panorama storico che in Europa Orientale ha tentato di dar voce al pensiero di quel vivace pesatore? Un “ritorno a Marx” privo degli oltre centocinquanta anni d’elaborazione e pratica marxista rischierebbe d’esser solamente l’esplicitazione d’un «culto formalistico dei martiri», quasi che vi fosse un «“autentico” messaggio di salvezza già consegnato, una volta per sempre, in testi sacri che si tratterebbe solo di riscoprire e rimeditare religiosamente!» v. Solamente una mera coscienza religiosa – ed in ultimo «profetica» –proclama e gode «narcisisticamente» della propria presunta immacolatezza vi: ricercare un Marx “puro” è sintomo d’arretratezza, quando non di vera subalternità nei confronti dell’ideologia dominante.

3. Alla riscoperta di lettere, annotazioni e d’una storia tutta politica

Dalla I sezione – dedicata all’esposizione della MEGA² – emergono i saggi di Manfred Neuhaus e di Gerald Hubmann. Il primo delinea i canoni filologico-editoriali della nuova MEGA²: genetica del testo, suddivisione di lavori preparatori da opere vere e proprie, ordine cronologico. Peraltro, dopo una contestualizzazione storica ed intellettuale dell’opera di Marx ed Engels, egli delinea i contenuti innovativi delle diverse sezioni della MEGA². Hubmann espone invece il lavoro per la rinnovata edizione dei testi di Marx ed illustra come accostarsi ad un testo classico è impegno che, avvalendosi della fatica filologica, è insieme un paziente rinvenimento d’un orizzonte ricco e problematico che il testo può offrirevii. Gian Mario Bravo ci conduce nella storia della ricezione della filosofia marxiana nella prima sinistra italiana, ripercorrendo le tappe d’un pensiero che «sia utile per concorrere a reinterpretare società in perenne evoluzione e cambiamento, dimensioni umane e culture affannate e incapaci di svecchiarsi anche sul piano etico, ingiustizie e differenze abissali fra gli uomini, del Sud e del Nord del pianeta» [p. 98]. Ricordiamo infine l’intervento del docente giapponese Izumi Omura – che tratta, fra l’altro, delle versioni digitali dei manoscritti di Marx, disponibili sul sito dell’Università di Sendai.

4. Il giovane Marx: Comune di Parigi, materialismo storico e questione democratica

Nella II sezione del volume – Critica della filosofia e critica della politica nel giovane Marx – troviamo interventi di autori significativi come Mario Cingoli, Giuseppe Cacciatore e Stathis Kouvélakis. Se è possibile affermare che Marx non adoperaun unico paradigma metodologico ma, al contrario, un approccio interdisciplinare che gli consente di comprendere e riconoscere nella dialettica stessa non un semplice metodo viii, Cingoli ripercorre nel corso del suo scritto le tappe mediante cui l’hegeliano automovimento dell’Idea diviene nel pensiero di Marx materiale «attività degli uomini reali, enti naturali che lavorando la restante natura producono ad un tempo la propria storia, attraverso lotte e opposizioni» [p. 125]. Se nell’Ideologia tedesca vediamo Marx affermare che «anche gli oggetti della più semplice “certezza sensibile” sono dati solo attraverso lo sviluppo sociale» [p. 128], si pone il problema: a) della configurazione materiale d’un tale sviluppo sociale, b) dei meriti della forma rappresentativa d’un contenuto materiale e, tuttavia c) della mancanza di democrazia propria di vincoli formali che non tengano conto della democrazia sostanziale necessaria ad una società progressista ed organizzata secondo ragione. Viene in tal modo alla luce l’attualità d’una riflessione che riapra un dibattito sul rapporto fra riflessione di Marx e questione democratica, affrontato diffusamente nelle pagine di Cacciatore. Egli, analizzando il commento analitico svolto da Marx nel 1843 ai §§ 261-313 dei Lineamenti di filosofia del diritto (1821) di Hegel, rileva come la critica a quest’ultimo sarebbe l’aver reso tendenzialmente autonomo il momento dell’universale da quello del particolare, cosicché lo Stato moderno hegeliano soffrirebbe d’astrazione nel senso d’una mancata rappresentanza della realtà che lo istituisce [p. 147 e ss] ed il fine di Marx in queste pagine giovanili è anzitutto «rendere plausibile la democrazia»ix. Kouvélakis ci propone una riflessione sulla teoria politica di Marx alla luce della rilettura di un suo testo celebre, La guerra civile in Francia (1871), sostenendo che «l’esperienza della Comune di Parigi consente a Marx di “ricreare” le rivoluzioni del 1848», cosicché Marx giunge ad una comprensione della politica nella sua doppia dimensione di a) «momento insurrezionale» e b) «processo di creazione di forme politiche adeguate all’emancipazione delle classi subalterne» [p. 195]. Marx giunge alla comprensione inoltre della «pratica rivoluzionaria come pratica politica specifica ed espansiva», processo di «distruzione creatrice» di istituzioni durevoli, che rivelino la rivoluzione proletaria non più «processo simmetrico alle rivoluzioni borghesi», ma «ripresa ed approfondimento della tendenza all’autogoverno popolare» [p. 207].

5. Marxismo oggi: presupposto-posto, autoapprendimento e bilancio del socialismo

La III sezione del volume ci pone il problema del Capitale quale «critica incompiuta». In merito si cimentano pensatori italiani come Roberto Finelli e l’economista Riccardo Bellofiore, ed internazionali come Jacques Bidet e Fritz Wofgang Haug. Finelli guarda alla pratica decostruzionista la quale «critica ogni narrazione che pretenda coerenza e sistematicità» e tenta di ricondurre la realtà a linguaggio [p. 211] e ci propone quattro tesi: la presenza della logica del presupposto-posto, di matrice hegeliana, nel Capitale di Marx [p. 212]; il concetto di astrazione reale da intendersi come passaggio del lavoro astratto «dal piano di un’astrazione solo mentale […] ad un’astrazione, come sostiene Marx nell’Introduzione del ‘57, “praticamente vera”» [p. 213]; la tesi del «circolo sincronico e del circolo diacronico», che vorrebbe porre in luce le divergenze fra filosofia hegeliana e marxiana [pp. 217-218]; la tesi infine «del postmoderno come svuotamento del concreto», che descrive il postmoderno come inveramento del moderno, ovvero «il tempo storico della piena diffusione, fino alla globalizzazione, di un’economia fondata sulla ricchezza astratta», cosicché non si dà comprensione del postmoderno senza la teoria marxiana dell’astrazione reale [p. 222]. Malgrado l’alto livello teoretico dell’analisi, il punto di vista assunto pare rischia di ricadere nell’empirismo e nell’esistente piuttosto che guardare al razionale: dello sfruttamento si prende atto ed il postmoderno, luogo dell’ipocondria dell’impolitico, viene sancito nella visione secondo cui l’astrazione reale è il nuovo «soggetto storico e impersonale, come l’accumulazione di ricchezza astratta attraverso l’uso e lo sfruttamento della forza-lavoro». Unica risposta possibile parrebbe un metafisico «agire di soggetti liberi e autonomamente responsabili» [223]. Ma non si intravede la conflittualità fra i capitali, la determinatezza storico-politica della lotta di classe ed infine alla «liquidazione della filosofia della storia» si sostituisce una «scienza della modernità che trova in sé la fondazione delle proprie categorie» [p. 220]. Bidet ci propone una ricostruzione “metastrutturale” del Capitale, tentando di svincolare il materialismo storico dalla dialettica e dall’impianto storicista, riproponendo l’elaborazione di nuovi concetti come quello di «moltitudine, di sistema del mondo, di altermondializzazione, di ultramodernità, di mondo e di Stato-mondo in gestazione» [pp. 281-2]. Tuttavia, l’analisi non si svincola del tutto dai limiti del postmoderno: l’eliminazione d’una concezione dialettica del divenire – fondata sul concetto di modo di produzione, in cui la contraddizione determinata dalla lotta fra le classi sia reale e non semplice proiezione metafisica di un’epoca barbara – espelle dal dialogo tollerante il progetto di emancipazione della classe proletaria in quanto sistemico e totalizzante; così anche i concetti d’analisi loro propri come la categoria d’ imperialismo. Haug rileva come dietro le critiche alla divulgazione del pensiero di Marx ed al presunto annacquamento del suo nucleo teorico che ne sarebbe scaturito si celi in realtà la liquidazione della «concezione dialettica» [p. 293]. Sebbene sia indubbio che sia avvenuto una sorta di cambiamento paradigmatico dalle Tesi su Feuerbach all’Ideologia tedesca a Per la critica dell’economia politica, d’altra parte ciò non è affatto «sintomo di decadimento né di volgarizzazione fuorviante», bensì di un mutamento che rivela un «processo di apprendimento» cui va il merito d’aver reso l’opera di Marx ancor oggi «contemporanea» e «contributo irrinunciabile alla comprensione teorica del capitalismo high-tech» transnazionale [p. 294].

La IV ed ultima sezione, Un oggi per Marx, si caratterizza per la presenza di tre saggi in particolare, due contigui nel merito ed il terzo di indubbio valore storico-teorico: si tratta degli scritti di André Tosel, Domenico Jervolino e Domenico Losurdo. Tosel e Jervolino ci reintroducono la proposta di un «comunismo della finitudine». A partire da una critica alla totalità “sistemica”, identificata con la «produzione post-capitalistica come produzione assoluta», Tosel ci delinea il rapporto fra filosofia hegeliana e marxiana nel senso che la seconda, dopo aver liquidato la prima, ci presenta come oggetto una «realtà sempre finita e definita» [p. 325]. E «la forma dell’associazione» in sostituzione della «forma capitale» rivelerebbe questo cambio di paradigma – per dirla con Kuhn, filosofo della scienza caro a Tosel – nell’individuazione del movimento di perpetua trasformazione di forme «fenomenali» della produzione. Tuttavia il limite più evidente è la miscomprensione del rapporto dialettico fra idealismo hegeliano e materialismo marxiano, da cui discende un’idea di comunismo evocativamente indeterminata: l’esigenza essenziale d’una «negazione determinata-finita» della forma-capitale – intesa astrattamente, senza comprensione del suo esser anzitutto rapporto sociale e dunque interdipendente con la forza-lavoro salariatax – si rovescia in utopismo xi. Non ci soffermiamo su riflessioni analoghe condotte da Jervolino, che ancor più esplicitamente ci propone il moralismo d’una «comune impresa etico-politica» [p. 343], una «forma di organizzazione sociale più complessiva in cui l’economico» non sia più determinante e prevalga il «comune» come «possibilità di essere se stessi per ciascuno e per tutti» [p. 344-5]. Losurdo tenta, al contrario, una lettura produttiva del farsi-storia della teoria marxista a partire dalla constatazione d’una mancata rivoluzione vittoriosa nei paesi a capitalismo avanzato – come da tesi marxiana. Egli ripercorre le proposte di forme di gestione del potere da parte della classe operaia nei paesi del “socialismo reale” in URSS con Trotski e Stalin ed in Cina. Una tale indicazione, presente peraltro nei testi di Marx a partire dal Manifesto, pone il problema dell’edificazione socialista a partire dal conflitto fra a) emergere d’uno strato borghese che prospera e b) settori non trascurabili della popolazione che «continuano a subire condizioni di vita e di lavoro propri del Terzo mondo». Losurdo richiama la lettura gramsciana di tale questione: il proletariato come non può conquistare, neppure può mantenere il potere se incapace di sacrificare interessi particolari e immediati «agli interessi generali e permanenti della classe» [p. 348] xii. L’agitazione della seducente bandiera dei diritti umani come forma egemonica del dominio imperialista attraversa un’esperienza storica in cui gli interessi particolari della classe borghese, dopo la sconfitta dell’esperienza di transizione al socialismo, hanno condotto a drammi esemplari, di cui poi quella stessa classe ha “ponzio-pilatescamente” rigettato le responsabilità – si pensi al Nicaragua sandinista, alla Jugoslavia, etc. [pp. 359-60]. Ricordiamo infine i contributi nel volume di Alex Callinicos e Wei Xiaoping, relativi alle vicende delle interpretazioni critiche dell’opera marxiana nel mondo anglosassone ed in Cina.

In conclusione il volume ha certamente il merito di riproporre all’ordine del giorno l’ineludibile attualità dell’opera di Karl Marx, che non è affatto un “moloch” indiscutibile di norme o precetti pratico-morali: esso è materia viva che pone in essere un rapporto proficuo con il mondo storico, con lo «stato di cose esistenti», di cui non solamente vuol tentare un’interpretazione, ma che essenzialmente si propone di trasformare in direzione maggiormente razionale. In tal senso la lettura dei testi di Marx può, oggi forse ancor più diieri, restituire un esempio pratico di libertà operante in campo filosofico nella misura in cui le sue idee potranno ancora «suscitare entusiasmi, stimolare ulteriori feconde riflessioni» [p. 24], ponendosi al servizio della causa dell’emancipazione umana, che ancora troppo ne abbisogna e che sempre più si trova ad invocare la Vecchia Talpa.

i I 24 saggi presentati nel volume suddivisi in IV sezioni, dedicate a: 1) nuova edizione storico-critica della MEGA²; 2) critica della filosofia e critica della politica nel giovane Marx; 3) Il Capitale: la critica incompiuta e 4) un oggi per Marx.

ii Dei 122 volumi previsti ne sono stati sinora editi 56. Dell’IMES fanno parte, accanto all’IISG, la Berlin-Brandenburgische Akademie der Wissenschaften (BBAW) ed il Rossiiskii gosudarstvennyi arkhiv sotsial’no-politicheskoi istorii (RGASPI) di Mosca. In questo momento partecipano ai suoi lavori studiosi che operano in Germania, Russia, Francia, Olanda, Danimarca, Italia, USA, Giappone.

iii Lo stesso Engels ci mette al corrente del preciso intento marxiano di realizzare nel Capitale «un’opera organica e il più possibile compiuta» [ Prefazione a K. Marx, Il Capitale, libro III, Editori Riuniti, Roma 1965, p. 10]. Non si comprende perché un tale metodo non dovrebbe valere per lo spirito dell’intera produzione di Marx.

iv Dalla riflessione gramsciana in poi il concetto di sovrastruttura ideologica assume accezione epistemologico-descrittiva e viene evidentemente ricondotto alla presa d’atto dell’esistenza oggettiva d’una storia delle classi dominanti in relazione a classi subalterne. Cfr. A. Gramsci, Quaderni del carcere, Edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, Q 4, 35, 453-4, testo A e Gramsci su Marx “ideologo” in A. Gramsci, Astrattismo intransigenza [11 maggio 1918], in id., Il nostro Marx 1918-1919, a cura di S. Caprioglio, Einaudi, Torino 1984, p. 17.

v D. Losurdo, Fuga dalla storia, La Città del Sole, Napoli 1999, p. 16.

vi Cfr. su ciò D. Losurdo, «Dopo il diluvio: ritorno a Marx?» in Utopia e stato d’eccezione. Sull’esperienza storica del «socialismo reale», Laboratorio politico, Napoli 1996, pp. 98-101.

vii Analizzando ad esempio gli studi-appunti marxiani di geologia si può notare che il concetto di «formazione sociale» pare trarre stimoli dall’idea di “formazione geologica” [p. 65]. Tuttavia il problema di Marx è lo studio scientifico d’una formazione sociale determinata e tale studio non può che svolgersi anzitutto nelle forme dell’elaborazione di costrutti teorici e della trattazione appropriata d’un dato materiale empirico, ovvero anzitutto sul piano di quello che Hegel definiva ‹‹pensiero riflettente››. D’altra parte, Marx pensa tale attività scientifica a partire da un’indagine generale riguardante la natura della società e della storia umana e le assegna un compito, altrettanto generale, riguardante la ricaduta dell’attività concettuale sul corso della società e della storia – di cui questa attività è, insieme, osservatorio critico e parte in causa. La storia pare dunque cominciare con il superamento della dimensione strettamente ‹‹riflettente›› (“accademica”) dell’indagine scientifica, con il suo divenire pensiero attivo o filosofia della prassi – per dirla con Gramsci – mediante cui la formazione sociale possa riconoscersi ed, in tale riconoscersi, acquisire una più alta consapevolezza di sé ed una nuova Weltanschauung che possa divenire senso comune della coscienza collettiva.

viii D’altra parte, nonostante la nota e dura critica di Marx in Miseria della filosofia alla forma della dialettica hegeliana ed alla dialettica come metodo, Marx è in realtà decisamente allievo di Hegel. Quest’ultimo infatti non intendeva affatto il metodo come qualcosa di meccanicistico. Al contrario il metodo «è la forza assoluta, unica, suprema, infinita, alla quale nessun oggetto può resistere; è la tendenza della ragione a ritrovarsi, a riconoscersi in ogni cosa» [G.W.F. Hegel, Scienza della Logica», vol. III, pp. 330-33]. Interessante anche la lettura leniniana della dialettica marxiana in V. I. Lenin, Karl Marx. A Brief Biographical Sketch With an Exposition of Marxism, Lenin Collected Works, Progress Publishers, Moscow 197(4), vol. XXI, p. 6.

ix Tuttavia Marx, allievo di Rousseau, intende porre in questione anzitutto il problema dei contenuti di democrazia che un popolo deve sistematizzare e del «rapporto fra la forma regolativi e giuridica e i contenuti cosiddetti sostanziali di emancipazione sociale e di uguaglianza» [p. 151]. Difatti «nella democrazia il principio formale è al tempo stesso il principio materiale» [K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del ’44, Einaudi, Torino 1968, p. 4].

x Marx intende sottolineare che il capitale non è solamente lavoro accumulato, ma lo è in modo storicamente determinato, entro un dato rapporto di produzione, quello della società borghese, fondato sullo sfruttamento della forza-lavoro del proletariato da parte della classe dei capitalisti. Cfr. K. Marx, Lavoro salariato e capitale, Collana “Il Milione”, Editori Riuniti, pp. 13-14.

xi Tosel invoca difatti una «soggettività politica del cittadino» e ben delineando (ma non esplicitandola) la formazione del sottoproletariato e della sua «violenza cieca», auspica la «formazione di una coscienza insurrezionale di massa»: di individui che si possano riconoscere nell’«Altro della legge» simbolico, di un «essere-in-comune di singolarità che debbono uscire da relazioni duali» e che si contrappongano al «panliberalismo consumatore» [p. 330-2].

xii A. Gramsci, Lettera dell’Ufficio politico del PCI al Comitato Centrale del Partito Comunista Sovietico (1926), in Id., La costruzione del partito comunista, Einaudi, Torino 1971, pp. 129-130; cfr. D. Losurdo, Antonio Gramsci dal liberalismo al «comunismo critico», Gamberetti, Roma 1997, pp. 249-50.

Published in:

Erre

Date Published

1 January, 2007

Author:

Marco Bertorello