Una monografia imperdibile
Il Karl Marx di Marcello Musto
Il bicentenario della nascita di Marx, caduto l’anno scorso (1818-2018), ha riempito gli scaffali delle librerie con nuovi saggi, biografie, ristampe di testi di Marx e di libri a lui dedicati.
Purtroppo, per quanto ci è stato possibile vedere, da questa gran quantità di carta emergono non più di una manciata di titoli davvero interessanti in lingua italiana (tra questi segnaliamo l’antologia curata da Stefano Petrucciani, Il pensiero di Karl Marx, Carocci editore, con saggi di Sgrò, Cingoli, Fineschi, ecc.); e forse altri quattro o cinque pubblicazioni in lingue estere (vogliamo consigliare in particolare: Gustavo Machado, Marx e a historia, Editora Sundermann, in portoghese).
Tra i pochi titoli meritevoli, spicca sicuramente, per profondità, erudizione, qualità della scrittura, il lavoro di Marcello Musto: Karl Marx, Biografia intellettuale e politica. 1857-1883 (Einaudi, 2018).
Una lettura contro-corrente
Pur avendo ricevuto alcune recensioni di peso (un elogio da parte di Umberto Curi sul Corriere della Sera, Corrado Augias sul Venerdì e in tv, Guido Liguori su Critica Marxista), questo libro non ha evidentemente attirato le simpatie né della critica borghese né di quella riformista. E il motivo è presto detto: Musto presenta un Marx militante rivoluzionario quale punto di riferimento imprescindibile per chi voglia cambiare il mondo; un recupero possibile solo liberando Marx dalle tante deformazioni dei tanti che si sono richiamati al suo nome; sottraendolo in particolare alla vulgata stalinista che ha imperato nel secolo scorso. «Provarci ancora»: a battersi per realizzare la dittatura del proletariato che Marx indicava come via per la liberazione dell’umanità. Quel «provarci ancora» con cui Musto chiude il suo libro spiega il silenzio o l’insofferenza con cui è stato accolto in certi ambienti. Esemplificativa la recensione del Giornale: «Di fronte al fallimento catastrofico del comunismo persiste nell’area degli studiosi che si richiamano al marxismo l’incrollabile convinzione (… sulla) purezza benefica della dottrina elaborata da Marx. (…) Per carità, lasciamo stare, non è il caso».(1)
E’ chiaro che i critici borghesi, così come le loro code riformiste, preferiscono i libri in cui si presenta un Marx passato per le forbici del barbiere, ridotto a innocua icona, il Marx «filosofo utopista» o il Marx «che ha scritto cose interessanti sull’economia, purché siano separate dal progetto politico del comunismo». In definitiva, appunto, un Marx opposto a quello che presenta Musto, che invece coniuga lo scienziato col rivoluzionario.
L’uso scrupoloso delle fonti
Ma ciò che rende importante questo libro di Musto, così come i suoi lavori precedenti, non è ovviamente il fatto che sostenga una tesi molto prossima alla nostra: sono le profonde conoscenze della materia, l’analisi intelligente e fuori da ogni stereotipo, il rigore filologico. Rigore che questo giovane ricercatore ha già dimostrato producendo una fitta lista di titoli su Marx, tradotti in svariate lingue. Italiano, professore presso la York University di Toronto, Musto è tra i collaboratori della Mega 2, cioè del progetto, ripreso nel 1998, dopo l’interruzione prodotta dal crollo dello stalinismo, di pubblicare l’opera intera di Marx, che per quasi una metà (essenzialmente appunti e quaderni di studio) è ancora inedita. Da questi inediti, come precisa Musto, non escono scoperte che stravolgono quanto già si sapeva (o meglio: si poteva sapere) su Marx: ma certo aiutano a demistificare le false ricostruzioni con cui ci hanno sommersi liberali e stalinisti.
Gli altri importanti lavori di Musto
Tra i libri precedenti a questo, suggeriamo in particolare la lettura di Ripensare Marx e i marxismi (Carocci, 2011) e L’ultimo Marx. 1881-1883 (Donzelli editore, 2016). Nel primo dei due, una raccolta di saggi pubblicati su varie riviste, Musto prendeva in esame in particolare il periodo 1818-1860, cioè dalla nascita di Marx al periodo antecedente la battaglia nella Prima Internazionale. Nel secondo, riportava alla luce le riflessioni dell’ultimissimo Marx (gli ultimi tre anni di vita) su temi come il «dibattito russo» (su cui poi torniamo), il colonialismo e più in generale faceva emergere la falsità del mito di un presunto «eurocentrismo» di Marx. Un sentiero poco battuto dagli studiosi (perché contrasta tanto con la lettura liberale come con quella stalinista), eccezion fatta per gli importanti lavori di Michael Lowy (The politics of combined and uneven development, 2010) e di Kevin B. Anderson (Marx at the margins, 2010).(2)
Un Marx di carne e non di marmo
L’ultimo lavoro di Musto, per i tipi di Einaudi, di cui ci occupiamo qui, prende in esame il periodo che va dal 1857 (l’avvio del lavoro di Marx per i Grundrisse)(3) fino al 1883 (la morte). Costituisce cioè una specie di congiunzione, con alcuni periodi sovrapposti, dei due libri precedentemente citati.
Si tratta di un libro di piacevole lettura: Musto rifugge dal tipico linguaggio degli accademici, perché si rivolge non agli accademici ma piuttosto – in coerenza con la sua comprensione di Marx come imprescindibile strumento di emancipazione rivoluzionaria – al lettore comune, ai giovani, ai militanti. Il libro coniuga l’analisi delle opere di Marx di quel periodo con la descrizione dell’attività politica militante, inserendo qui e là anche gustosi aneddoti che oltre a rendere gradevole la lettura ci consegnano un Marx uomo e non statua di piombo, vivo, con i suoi limiti e difetti, con il suo genio, i suoi molti malanni e disgrazie familiari, la sua povertà, i suoi sigari, le sue letture enciclopediche, la sua grande passione per la letteratura.
Ma le parti più interessanti, come dicevamo, sono quelle che Musto riserva a dimostrare che la plumbea statua di Marx scolpita dallo stalinismo è, come tutto quello che lo stalinismo produsse, un falso.
Contro l’invenzione del Marx evoluzionista
Smentendo la gran parte delle letture ancora oggi circolanti, Musto dimostra che Marx non cessò mai, fino agli ultimi mesi di vita, né di fare militanza né di studiare né di sviluppare la sua teoria, che non era per niente quel sistema «chiuso» e dogmatico che ci viene in genere presentato. Ancora negli ultimi anni Marx avanzava nella elaborazione a partire dallo studio della realtà, approfondendo decine di discipline diverse, inclusa l’antropologia, l’algebra, le scienze naturali, ecc.
Anche il Marx «eurocentrico», determinista-meccanicista, viene demolito come un falso inventato da critici in malafede (e spesso pure ignoranti). Lo confermano gli studi dedicati da Marx alla Russia (per compierli apprese in pochi mesi, nell’autunno 1868, anche la lingua russa); la famosa lettera del 1881 a Vera Zasulich; il dibattito coi populisti russi (in cui compare il concetto di «sviluppo diseguale e combinato», poi rielaborato da Trotsky come base della teoria della rivoluzione permanente); la lettera alla rivista populista Otiecestvennye Zapiski (1877) in cui Marx chiarisce di non avere nulla a che fare con una teoria storico-filosofica per cui a ogni popolo sarebbe imposto un uguale cammino. Tutta una elaborazione, su cui Musto si sofferma, che evidenzia come il Marx dagli anni Settanta e seguenti ha conosciuto una evoluzione delle proprie posizioni rispetto agli anni Quaranta (sempre dell’Ottocento). Come sottolinea Musto, non si tratta di una «svolta» rispetto al Marx precedente – che già non aveva nulla a che fare col determinismo meccanicistico – ma certo è uno sviluppo importante.
Si tratta di questioni fondamentali non solo per respingere l’idea falsa del Marx (inventato dalla Seconda Internazionale nell’epoca del suo declino) sostenitore del colonialismo come «progresso»; ma soprattutto perché su questo presunto Marx «fatalista», teorico della storia come inevitabile successione di tappe, si poggiarono i menscevichi per definire «prematura» la rivoluzione socialista in Russia e in seguito si appoggiarono gli stalinisti per avanzare la loro politica tappista, base ideologica per sostenere la collaborazione di classe con la cosiddetta borghesia «progressista».
Tutta questa importantissima elaborazione di Marx lo condurrà, insieme ad Engels, a pronosticare, nella prefazione del 1882 alla seconda edizione russa del Manifesto, la possibilità che la rivoluzione russa «serva come segnale a una rivoluzione operaia in Occidente, in modo che entrambe si completino (…)». Non è certo la teoria trotskiana della rivoluzione permanente ma, come ha giustamente osservato Lowy, ne costituisce una parziale ma geniale intuizione. Senza per questo – è fondamentale la precisazione di Musto – pensare che l’ultimo Marx abbia anticipato in qualche modo posizioni «terzomondiste»: Marx non pensa a un comunismo della povertà; e continuerà, fino all’ultimo, a vedere nella classe operaia industriale il motore della rivoluzione socialista (v. il capitolo 9).
Musto demolisce, pagina dopo pagina, il Marx evoluzionista, pura invenzione di studiosi che ben poco conoscono di Marx. Scrive Musto: «A siffatta impostazione ritenuta da tanti “scientifica”, in cui si riconoscevano sia quella già affermatasi di natura borghese sia quella che iniziava a emergere nel fronte socialista, Marx seppe opporsi senza cedimenti a coloro che annunciavano il corso univoco della storia. Egli conservò il suo peculiare approccio: analitico, duttile e multilineare. Al cospetto di tanti oracoli darwinisti, Marx seppe sfuggire alla trappola del determinismo nella quale caddero, invece, molti dei suoi seguaci e dei suoi presunti continuatori» (p. 193). Sul tema, cruciale, insiste anche più avanti: «Per Marx il futuro restava nelle mani della classe lavoratrice e nella sua capacità di determinare, con le sue lotte e attraverso le proprie organizzazioni di massa, rivolgimenti sociali e la nascista di un sistema economico-politico alternativo» (p. 227). Ecco ben distrutta ogni pretesa di addebitare al povero Marx una concezione del socialismo come «inevitabile».
L’elaborazione del Capitale
Ma questi temi (che costituiscono in realtà la terza sezione in cui è diviso il libro), di un Marx meno conosciuto, non sono gli unici ad impegnare Musto. Altrettanto interessante è il percorso con cui veniamo accompagnati (prima sezione del libro) nel lavoro di elaborazione dell’opera principale di Marx, Il Capitale. Studi, idee, lavori preparatori, ripensamenti, tutto questo ci viene raccontato quasi fossimo lì presenti, seguendo la corrispondenza di Marx. E reso ancora una volta comprensibile proprio grazie all’intreccio con la vita politica e quella privata, le difficoltà gigantesche che Marx dovette scavalcare per proseguire il suo lavoro (che peraltro, come noto, rimarrà incompiuto, essendo pubblicato in vita solo il primo dei libri previsti; mentre gli altri saranno pubblicati da Engels).
Un Marx militante
La seconda sezione in cui è diviso il libro è dedicata prevalentemente alla militanza politica di Marx, alla Prima Internazionale, alla sua battaglia di frazione in essa, e a quell’evento capitale (nella vita di Marx così come nella storia dell’umanità) che fu la Comune.
Qui Musto ricostruisce i fatti, rifiutando la vulgata del «Marx fondatore» dell’Internazionale: ne divenne il principale dirigente, ma dopo una lunga battaglia di frazione. Ne scrisse il programma fondativo (l’Indirizzo inaugurale), ma a esso guadagnò la comprensione cosciente della maggioranza dell’Internazionale solo dopo anni di lotte, solo dopo la Comune del 1871. E’ quanto per parte nostra, su questa rivista, abbiamo in vari articoli cercato da anni di dimostrare, scontrandoci con le interpretazioni prevalenti. Per questo concordiamo pienamente con il giudizio di Musto: «(…) nel tempo, a volte anche attraverso scontri e rotture, grazie all’incessante tenacia del suo operato, il pensiero di Marx divenne la dottrina egemone» (p. 96).
Le dimensioni relativamente contenute del libro (circa 300 pagine) impediscono tuttavia a Musto di approfondire ulteriormente questa parte. E’ un peccato perché di conseguenza risulta un po’ debole la parte sulla Comune di Parigi (p. 122-128) e sui suoi effetti nello sviluppo del marxismo e delle organizzazioni rivoluzionarie. Qui la necessità di sintetizzare, ma forse anche uno scarso uso delle migliori fonti disponibili, induce Musto, a nostro avviso, a ripetere qualche luogo comune sul tema, pur in un libro che, come abbiamo detto, rifugge dai luoghi comuni. Ad esempio poco precise sono le annotazioni sulla composizione politica della Comune e sull’influsso politico che ebbe in essa la Prima Internazionale. Qui Musto usa, come fonti secondarie, i testi di storici come Haupt, Rougerie, ecc. Ma ci sarebbero fonti più aggiornate e che vanno più in profondità, basandosi su ricerche degli anni successivi. Ciò lo conduce a una interpretazione del dibattito successivo alla Comune che ci sembra non sempre condivisibile. Basandosi soprattutto sull’interpretazione di un vecchio libro di Molnar (Le déclin de la première internationale, 1963) e sui testi del «marxologo» (con lenti anarcoidi) Rubel, Musto vede nelle Conferenze di Londra (settembre 1871) e dell’Aja (settembre 1872) essenzialmente una «crisi dell’Internazionale». Mentre ci sembra più corretto affermare che in quelle due conferenze, grazie alla Comune, Marx vinse una delle battaglie più importanti, quella che (come spiegò anni dopo Engels), consentiva di sciogliere l’Internazionale per avviare la costruzione di una nuova Internazionale e di nuovi partiti basati integralmente sulle concezioni marxiane. Tutto ciò fu possibile grazie alla Comune: che in questo senso fu certo una «sconfitta» ma che contraddittoriamente portò al maggior sviluppo del marxismo e alla grande diffusione delle opere di Marx (lo stesso Manifesto del 1848 iniziò a conoscere traduzioni e una diffusione di massa appunto dopo e grazie alla Comune; come ricorda Dommanget fino ad allora era sconosciuto persino ai dirigenti comunardi).
Notevole e acuta è invece la sintesi che Musto fa del dibattito tra Marx e Bakunin: anche qui contribuendo ad eliminare tutta una serie di luoghi comuni che vengono ripetuti da decenni (tipo quelli sullo “scontro di personalità”, la “rivalità rancorosa”, ecc.). Le ragioni politiche e programmatiche della rottura tra marxismo e anarchismo sono analizzate con grande chiarezza.
Il socialismo degli utopisti e quello di Marx
Di grande interesse è pure la quarta e ultima sezione del libro, dedicata a ricostruire la teoria politica di Marx, a partire dalla sua critica alle varie concezioni utopistiche del socialismo, evidenziando la differenza di fondo con il socialismo «scientifico» (ricordiamo che Marx stesso aveva precisato che con questa espressione andava inteso solo che si trattava di un socialismo contrapposto appunto a quello utopistico, senza pretese di comparire tra le scienze matematiche…). Peccato solo che, immaginiamo sempre per ragioni di spazio, non venga qui sviluppato adeguatamente lo studio sull’importanza che ebbe per Marx (e per tutto il movimento operaio) la Congiura degli Eguali di Babeuf (Musto vi dedica solo una paginetta, nel cap. 10). Appare nel libro come un semplice episodio, tra le fantasie di Cabet (Viaggio a Icaria) e quelle di Dézamy (Codice della Comunità). In una nota Musto chiarisce correttamente che Marx distingueva in realtà Babeuf (e Weitling) dagli utopisti, perché i primi identificavano la classe operaia (o la nascente classe operaia, nel caso di Babeuf) come soggetto del cambiamento: ma sottovaluta la conclusione del ragionamento di Marx: proprio perché costruito nel vivo delle lotte operaie, come partito di militanti, centralizzato, d’avanguardia, quello di Babeuf era stato (a detta di Marx) il «primo partito comunista realmente operante». Non a caso ad esso si ispirerà la Lega dei Comunisti (e, aggiungiamo noi, a questi due precedenti si ispirerà Lenin nella costruzione del Partito bolscevico).
Un libro da non perdere
I pochi limiti che ci sembra di aver individuato nel libro di Musto – è bene precisarlo – sono contenuti in un libro di grande valore. Un testo di cui raccomandiamo la lettura e anche lo studio a ogni militante marxista, insieme alle altre opere di Musto, oggi di gran lunga uno dei pochi studiosi seri e profondi dell’opera, scientifica e militante, di Marx.
Note
(1) G. Berti, «A volte purtroppo ritornano, la seconda carriera di Marx», Il Giornale, 17/01/19.
(2) Sull’importanza di questi studi, anche per meglio comprendere il legame (continuità e sviluppo innovativo) tra Marx, la successiva elaborazione di Trotsky (teoria-programma della rivoluzione permanente) e il Lenin che «riarma» il Partito bolscevico con le Tesi di aprile, ci permettiamo di rimandare al nostro: «Il programma e il partito che vinsero a Ottobre. Il filo rosso da Marx ai bolscevichi», Trotskismo oggi, n. 11, ottobre 2017.
(3) Segnaliamo che Musto è anche curatore, per le Edizioni Ets, 2008, di una interessante antologia di saggi di vari autori sui Grundrisse (cioè i Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica, scritti da Marx nel 1857-1858).
Marcello
Musto