L’ultimo Marx
Il 10 marzo 1883, dopo il controllo del dottor Donkin, Federico Engels comunica che le condizioni di Karl Marx, malato ormai da tempo, sembravano migliorate.
Era il canto del cigno del Moro – come veniva chiamato Marx –, quel momento in cui il corpo di un uomo sembra riprendersi per poi avviarsi definitivamente alla morte. E infatti il 14 marzo 1883 alle ore 14.45. Marx si spegne. Quando Engels arriva a casa del suo grande amico, alle 14.30, sale nella sua stanza e lo vede giacere nel letto addormentato, «ma per non risvegliarsi più. Non c’erano più né polso né respiro. In due minuti era spirato, serenamente e senza dolore».
Karl Marx fu sepolto il 17 marzo in un angolo del cimitero di Highgate nei sobborghi di Londra. Al funerale c’erano undici persone; l’Inghilterra non aveva mai amato quel barbuto rivoluzionario. Nell’orazione funebre Engels commosso lo descrisse come un grande genio rivoluzionario, l’uomo più amato e odiato del suo tempo e predisse: «il suo nome vivrà nei secoli e così la sua opera».
la sua opera». Nel suo ultimo lavoro (L’ultimo Marx 1881-1883, Roma, Donzelli, 2016, pp. 147), Marcello Musto, che ha dedicato il suo impegno culturale alla studio di Marx, descrive gli anni della decadenza fisica, dell’appressamento alla morte del filosofo di Treviri, con un affresco di grande efficacia che intreccia sofferenze esistenziali e impegno politico-culturale, impegno che Marx porterà avanti fino alla vigilia della sua scomparsa.
La cifra interpretativa dell’ultimo Marx sta fondamentalmente nell’intervista che questi concesse al giornalista statunitense John Swinton nell’agosto del 1880 (apparve sul New York Sun del 6 settembre di quell’anno) con cui inizia il libro di Musto. Swinton presenta Marx come «uno degli uomini più straordinari del tempo, colui che aveva giocato un ruolo imperscrutabile, eppure poderoso nella politica rivoluzionaria» del secolo diciannovesimo. «Parlammo del mondo e dell’uomo, dei tempi e delle idee, con il rumore del mare che faceva da sottofondo al tintinnio dei nostri bicchieri. Il treno non aspetta nessuno e la notte è imminente. Levandosi al di sopra del confuso brusio degli anni e delle epoche, oltre i discorsi del giorno e le immagini della serata, affiorò nella mia mente una domanda sulla legge ultima dell’esistenza per la quale avrei voluto una risposta da parte di quel saggio. Durante una pausa di silenzio mi rivolsi al rivoluzionario e filosofo con queste fatidiche parole, emerse dalla profondità del linguaggio e scandite al culmine dell’enfasi: “Che cos’è?”. Sembrò che la sua mente si distraesse mentre guardava il mare che tumultuava davanti a noi e la moltitudine si agitava sulla spiaggia. Che cos’è? avevo chiesto e in tono profondo e solenne egli rispose: “La lotta!”. Per un attimo mi parve di aver udito l’eco della disperazione, ma forse era la legge della vita».
Marx ormai in là con gli anni non ha esitazione, risponde con chiarezza guardando indietro alla sua vita e al futuro della storia del mondo che la legge ultima del – l’esistenza è la lotta. Solo così gli uomini possono dare senso alla loro vita. E il libro di Musto mostra come anche negli ultimi anni della sua esistenza Marx sia stato guidato da questo anelito. La sua vita era trascorsa tra pene e stenti, in inverno era spesso malato, stanco, debilitato; la vecchiaia cominciava a farsi sentire intaccando il suo abituale vigore e la salute della moglie era sempre più precaria. Nonostante ciò egli con grande perseveranza portava avanti il compito che aveva assegnato alla sua esistenza: «fornire al movimento operaio le basi teoriche per distruggere il modo di produzione capitalistico» (p. 7).
Continuò quindi a lavorare e ad ampliare le sue conoscenze imparando nuove lingue come il russo, studiando la matematica, che rappresentò spesso un conforto psicologico di fronte alle avversità della vita, e mantenendosi sempre aggiornato sulle vicende politiche in tutto il mondo e in rapporto con esponenti del movimento operaio internazionale.
Il Marx che emerge dal libro di Musto è un Marx che corregge il tiro sulla storia, su un’idea troppo deterministica o positivistica dello sviluppo sociale ed economico. Importante in questo senso fu lo studio approfondito dell’antropologia e delle società antiche e in particolare il tema del succedersi dei modi di produzione che gli permise di respingere «le rigide rappresentazioni che legavano i mutamenti sociali alle sole trasformazioni economiche» e comprendere «la specificità delle condizioni storiche, le molteplici possibilità che il corso del tempo offriva e la centralità dell’intervento umano per modificare l’esistente e realizzare il cambiamento» (p. 30).
Secondo questa linea viene dato ampio spazio alla controversia sullo sviluppo del capitalismo in Russia che si apre quando nel febbraio 1881 la populista russa Vera Zasulič, chiede a Marx un parere se la comune rurale russa (Obšcina) fosse in grado di «svilupparsi sulla strada socialista» e di organizzare la sua produzione «su basi collettiviste» o se al contrario la comune era destinata a perire e cedere allo sviluppo ineluttabile del capitalismo.
Il confronto su questo tema portò Marx a riconsiderare il tema della transizione dal capitalismo. Dopo lunga riflessione in tre lunghe bozze sostenne che le analisi sul passaggio dalla produzione feudale in produzione capitalistica era espressamente limitato ai paesi dell’Europa occidentale. Per cui ne derivava che il passaggio al socialismo non dovesse avvenire ovunque allo stesso modo e che la obščina avrebbe perciò potuto rappresentare il germe di una futura società socialista, «il fulcro della rigenerazione sociale in Russia».
Questa conclusione assume nell’analisi di Musto una grande rilevanza perché comporta come conseguenze strategiche in primo luogo la rottura dell’equiparazione fra socialismo e forze produttive e al contempo l’impossibilità di definire un modello o una ricetta di socialismo come Marx ebbe a dire più volte.
E in secondo luogo un’idea non lineare dello sviluppo storico, in cui diventa centrale il protagonismo degli uomini. Insomma il Marx maturo vicino alla morte muta in parte la sua prospettiva e guarda il mondo con uno sguardo multipolare e più complesso.
Ma la morte si avvicinava sempre più, la sua salute precaria lo costrinse a interrompere di fatto la sua ricerca e a migrare continuamente, talvolta all’isola di Wight o addirittura ad Algeri, per trovare un clima che facesse bene ai suoi polmoni, ma invano. La scomparsa della moglie e di una delle figlie fece il resto prostrandolo psicologicamente. Fino a quel 14 marzo del 1883.
Marcello
Musto