Per visitare Vallagrande, la località dove Ernesto Che Guevara trascorse le ultime settimane della sua esistenza, bisogna intraprendere un viaggio davvero lungo.
Innanzitutto, occorre arrivare a Santa Cruz, la città più popolosa della Bolivia e da lì prendere, poi, uno dei vecchi e malridotti autobus che percorrono una tratta di montagna tortuosa e in pessime condizioni.
Ciò nonostante, in questi giorni, Vallagrande è piena di militanti (soprattutto giovani), giunti da tante città boliviane, così come dalle più diverse nazioni, per commemorare il cinquantesimo anniversario della scomparsa del rivoluzionario latinoamericano. Quanti scendono dalla corriera sono circondati dagli sguardi incuriositi dei bambini. Essi sanno perché tutta quella gente si trova lì. Vogliono camminare anche loro su La ruta del Che.
Il teologo della liberazione
All’ingresso del paese c’è una grande statua di Gesù. Ai suoi piedi, salutando i compagni mentre aprono le bandiere rosse, c’è Anastasio Kohmann. Durante la dittatura di Alfredo Stroessner egli fu teologo della liberazione in Paraguay. Dopo esservi stato espulso, a causa del suo impegno sociale in favore delle comunità indigene guaranì, si trasferì in Bolivia e adesso è il coordinatore delle iniziative della Fondazione Che Guevara a Vallagrande. Chi conosce l’America latina sa bene che questa non è affatto una contraddizione.
In tanti si recano all’ospedale Nuestro Señor de Malta, nella cui lavanderia fu fotografato ed esposto al pubblico per l’ultima volta il corpo del Che, già privo di vita ma con gli occhi ancora aperti. Qui, come in altre province, operano oggi gruppi di medici cubani, che lavorano in Bolivia grazie a un progetto di solidarietà voluto da Fidel Castro dopo l’elezione di Evo Morales, volto a realizzare presidi sanitari per migliorare gli standard di cura e di assistenza della regione.
A qualche chilometro dal centro abitato si trova la fossa comune – recentemente trasformata in museo – dove, nella notte tra il 10 e l’11 di ottobre del 1967, il Che, al quale erano state amputate le mani, venne seppellito in segreto assieme ad altri sei guerriglieri della sua colonna. Questo luogo dista poche centinaia di metri dalla piccola pista di aviazione e dalla caserma militare presso le quali i rangers boliviani, coadiuvati da alcuni agenti della CIA, guidarono le operazioni di rastrellamento del territorio per catturare Guevara. I suoi resti riapparvero soltanto dopo trent’anni, grazie alle ricerche di un’équipe cubano-argentina. Oggi sono conservati in un mausoleo di Santa Clara, la città dove, nel dicembre del 1958, il Che guidò la battaglia decisiva che segnò la fine del regime di Fulgencio Batista e la vittoria della rivoluzione a Cuba.
Accanto alla visita di questi due luoghi, coloro che in questi giorni riempiranno le strade di Vallagrande parteciperanno a presentazioni di libri, dibattiti, mostre fotografiche e a un corteo finale, con la presenza di una folta delegazione cubana – incluso i familiari di Guevara (il programma della manifestazione è consultabile online: https://50aniversarioche.bo).
Cono Sur, un progetto sovranazionale
Per spostarsi da Vallagrande a La Higuera si impiegano tre ore. Ci si può arrivare solo in jeep poiché la strada che conduce a questo minuscolo villaggio, di appena una cinquantina di abitazioni e situato a oltre 2.000 metri di altitudine, non è asfaltata ed è piena di tornanti. È un luogo desolato, ancora oggi lontano dal mondo.
Lungo il percorso si incontrano alcuni campesinos. Attraversano la strada sconnessa, camminando a passo lento. Mesti, con i loro arnesi da lavoro in spalla e avvolti dalle tipiche coperte colorate di questi luoghi. Non sembra sia cambiato molto da quando il Che si accampò in queste valli, nel tentativo di nascondersi tra la folta vegetazione e tornare, appena possibile, a battersi per rovesciare la dittatura militare del generale René Barrientos.
Guevara scelse la Bolivia non perché fosse guidato, come talvolta gli è stato ingiustamente attribuito, dall’idea di riproporre meccanicamente le strategie politiche e militari attuate a Cuba. Egli era convinto, invece, della necessità di dover dare vita a un processo rivoluzionario in grado di investire tutto il Cono Sur. Un progetto sovranazionale, che dalla Bolivia si sarebbe poi potuto estendere anche a Perù e Argentina, per impedire agli Stati Uniti di intervenire e annientare i singoli, e perciò più deboli, focolai di resistenza locali. Al centro del continente e confinante con ben cinque paesi, la Bolivia gli sembrò il luogo più adatto dove poter avviare la formazione di un gruppo di quadri ai quali affidare, una volta addestrati, il compito di organizzare vari fronti di lotta in tutta l’America latina.
Pochi per un “compito gigantesco”
Il Che fondò l’Esercito di Liberazione Nazionale di Bolivia con appena 45 guerriglieri. Nell’introduzione al Diario in Bolivia Fidel Castro scrisse: “l’impresa di questo piccolo gruppo di rivoluzionari è impressionante. Già in lotta contro la natura ostile nella quale si svolgeva la loro azione, essa costituisce un’insuperabile pagina di eroismo. Mai nella storia si è visto un numero così ridotto di esseri umani intraprendere un compito tanto gigantesco”.
La morte colpì molti di loro all’improvviso, 11 mesi dopo l’inizio della guerriglia. L’otto di ottobre del 1967, infatti, il Che, sorpreso nella gola del Yuro assieme ad altri 16 compagni, fu ferito alla gamba sinistra e catturato dopo tre ore di combattimento. Trasportato nella vicina La Higuera, fu assassinato il giorno seguente, per ordine di Barrientos.
Nel suo zaino sequestrato
Dopo l’esecuzione, l’esercito boliviano sequestrò lo zaino del Che e tutti i documenti contenuti al suo interno. I due quaderni con il Diario in Bolivia riuscirono ad arrivare rapidamente a Cuba. Al contrario, un altro gruppo di testi più brevi riapparve molto tempo dopo e venne dato alle stampe, con il titolo Prima di morire: appunti e note di lettura, solo nel 1998. In queste pagine Guevara ricopiò i passi più significativi delle sue letture e riassunse alcuni degli studi che stava portando avanti, nonostante le proibitive condizioni nelle quali si trovava. Queste note furono scritte durante i rari momenti di pausa e costituiscono un’ulteriore prova della sua straordinaria determinazione.
Il Che lesse e compendiò I marxisti, del sociologo Charles Wright Mills. Ne criticò la scarsa profondità di analisi e lo definì un “chiaro esempio dell’intellettualità liberale della sinistra nordamericana”. György Lukács, al contrario, gli fu molto utile, poiché lo aiutò a comprendere la “complessa filosofia hegeliana”. Come guida ai suoi studi di filosofia il Che utilizzò il manuale curato dallo studioso sovietico Miguel Dynnik e l’ Antidüring di Engels, del quale apprezzò, più di ogni altra cosa, “i pensieri incompiuti riguardo la dialettica”. Diverse furono le parti dedicate alla Storia della rivoluzione russa di Trotsky, spesso criticata, ma da considerare, a suo giudizio, come “una fonte di primaria importanza” sulla nascita del potere sovietico. Infine, Guevara si dedicò anche allo studio di autori locali e, commentando un volume intitolato Sul problema nazionale e coloniale della Bolivia , affermò che in esso esposta la “tesi interessante” di considerare questo paese “come (uno) stato multinazionale”
Completano queste sue pagine di appunti l’indice di un progetto di studio sui differenti modi di produzione, da quelli precapitalistici al socialismo. In esso si trova affermato che “Marx aveva ragione” sulla pauperizzazione del proletariato, ma anche che egli “non vide il fenomeno imperialista. Adesso gli operai dei paesi imperialisti sono soci minori dell’impresa”.
La litania di Rubén Darío
Accanto agli studi teorici, nei suoi ultimi taccuini il Che ricopiò anche tre poemi dello scrittore nicaraguense Rubén Darío. Nelle strofe finali dell’ultimo di essi, Litania per nostro signore Don Chisciotte, viene descritto un personaggio che, per molti versi, gli somiglia: “Cavaliere errante dei cavalieri, (…) nobile pellegrino dei pellegrini, che santificasti tutti i sentieri con l’angusto passo del tuo eroismo, contro le certezze, contro le coscienze, e contro le leggi, e contro le scienze, contro la menzogna, contro la verità. (…) Dalla forza trai coraggio e di sogni ti vesti, cinto dall’aureo elmo dell’illusione; che nessuno ha potuto sconfiggere ancor, per lo scudo al braccio, tutta fantasia, e la lancia in resta, tutto cuore!”
È proprio ciò che di lui pensano i tanti giovani giunti questa settimana a La Higuera, per ricordare il Che e per imprimere nuove orme sulla lunga e difficile rotta da lui intrapresa.
Marcello
Musto