Marx lo studioso, Marx il politico. Le indecisioni della sinistra

Tornare ai testi, senza vincoli e ideologismi, non è un vezzo da eruditi. La pubblicazione imminente di tutti gli originali sarà l’occasione per ripensare il marxismo nei conflitti di oggi

Il dibattito su Marx, nato in occasione della stampa del volume collettivo Sulle tracce di un fantasma. L’opera di Karl Marx tra filologia e filosofia (Manifestolibri, 2005), in corso da alcuni mesi sulle pagine di «Liberazione», ha fornito a studiosi e militanti interessanti spunti di riflessione e confronto. Replicherò a quelli per i quali sono stato chiamato in causa: la ricerca filologica e l’attualità di Marx.

Il primo tema è stato tra quelli più discussi, suscitando interesse, consensi, ma anche obiezioni. Tra queste le perplessità relative al «ritorno a un presunto Marx originario (…) depurato dal Novecento» che avrebbe la capacità di tramutare «la sconfitta epocale del movimento operaio (…) in una fortuna» (Bucci). In realtà, le mie osservazioni critiche in merito al rapporto tra Marx e i marxismi non erano indirizzate a un qualsiasi utilizzo di Marx da parte del movimento operaio (sarebbe un bel paradosso), all’auspicabile relazione tra le teorie di Marx e le vicende storiche che vi hanno fatto seguito, ma si concentravano, invece, su di un punto preciso che vorrei riaffermare: l’alterazione e l’impoverimento subiti dalle prime a causa dell’utilizzo strumentale al quale furono piegate e le conseguenze teoriche e politiche di questa realtà. Circoscriverò le mie considerazioni in proposito al caso del principale «marxismo» del secolo scorso: il «marxismo-leninismo».

In Unione Sovietica, le concezioni di Marx hanno subito un sistematico processo di manipolazione. La sua teoria critica fu sostituita da una dottrina, funzionale al potere, divenuta, in breve tempo, manifesta negazione della prima. Ciò nonostante, Marx fu assimilato ad essa e costrittivamente trasformato nel baluardo dello Stato sovietico che se ne attribuiva indebitamente il monopolio politico e ne possedeva di fatto, anche a causa dei gravi e colpevoli ritardi di studiosi e partiti europei, la proprietà letteraria. Non è, dunque, la più complessa sconfitta del movimento operaio, ma la fine di quella determinata vicenda, ad aver lentamente riaperto un nuovo orizzonte per Marx che – liberato dalle catene forzate del socialismo reale, non dalla connessione con la politica – torna ad essere letto, e a stimolare il pensiero critico, in tutto il mondo.

L’esigenza di riscoprire Marx nella sua autenticità non significa, pertanto, scinderlo dalle lotte concrete che lo hanno attraversato, ma rimanda alla necessità di riscattarne l’opera dalle mistificazioni che, contraffacendola, ne hanno sminuito il carattere critico. Se si ritiene che il pensiero di Marx parli ancora al presente e sia uno strumento indispensabile per poterlo comprendere e trasformare, occorre conoscere e rileggere i suoi scritti alla fonte. Essi vanno disgiunti dagli ideologismi che li hanno spesso accompagnati e – diversamente dalla diffusissima, quanto deleteria, pratica attraverso la quale sono stati letti, quella dell’estrapolazione delle citazioni – ricostruiti all’interno dell’orizzonte storico nel quale furono concepiti. Il riferimento alla loro incompiutezza, ovvero alla inesauribile volontà marxiana di proseguire le ricerche per verificare la validità delle proprie tesi, non è, allora, un vezzo da eruditi, ma un modo di ritrovare Marx e ripensarlo nei e per i conflitti odierni. Un Marx autentico e per l’oggi.

Due soli esempi: il carattere frammentario al quale è stata restituita, nella sua ultima edizione, L’ideologia tedescarende ancor più evidente la falsificazione interpretativa che aveva tramutato questi manoscritti nell’esposizione esaustiva del «materialismo dialettico» (espressione, per altro, mai utilizzata né da Marx, né da Engels). Ben lungi dal poter essere rinchiusa in epitaffi, la concezione marxiana della storia va ripercorsa nella totalità della sua opera. Il secondo e il terzo libro de Il capitale, dati alle stampe portando alla luce gli oltre 5.000 interventi redazionali compiuti da Engels, mostrano come essi non contenessero affatto una teoria economica conclusa, ma fossero, in buona parte, appunti provvisori destinati a ulteriori elaborazioni. L’imminente completamento della pubblicazione di tutti gli originali lasciati da Marx ne consentirà, finalmente, una valutazione certa e chiarirà il ruolo svolto da Engels in veste di editore.

In vero, contrariamente da come è stato dipinto da gran parte di avversari e sedicenti seguaci, Marx non volle costruire un nuovo sistema. Il primo, quindi, a non credere nella propria esaustività, o che «tutto si sia fermato nel 1867» (Bellofiore), sarebbe stato lui stesso, che, anzi, de Il capitale continuò a rivedere e cambiare anche il primo libro.

Ripartire da questo lascito incompiuto, ricostruire l’analisi marxiana, economica e politica, della società capitalistica – per poi tentare, con modestia e mediante un’impresa collettiva, di proseguirla –, non solo non significa, come è stato sarcasticamente affermato, «ridurre Marx a oggetto di esercizi filologici» (Bellofiore), ma dovrebbe, a mio avviso, fugare anche i legittimi timori di quanti vedono, in un simile lavoro teorico, il rischio di implicazioni impolitiche (Cavallaro).

Ribadite queste tesi – giungo alla seconda questione –, la riaffermazione del valore di Marx non può certo riemergere dalla mera dimostrazione filologica della sua diversità rispetto alla gran parte degli interpreti. L’occasione di un diffuso ritorno d’interesse nei suoi riguardi si fonda sulla crisi della società capitalistica e sulla persistente capacità esplicativa marxiana del mondo d’oggi e delle profonde contraddizioni che lo percorrono.

Naturalmente, una teoria che ripensi con serietà questo rapporto «non può proporsi, semplicemente, di ‘ritornare a Marx’; deve farci sapere su quale (…) Marx cade la sua scelta» (Prestipino). Detto altrimenti, essa dovrebbe saper indicare quale sia quello più efficace e attuale per i nostri tempi. Per ragioni di spazio, mi limiterò a suggerire soltanto due Marx.

Innanzitutto, quello critico del modo di produzione capitalistico. L’analitico, perspicace e instancabile ricercatore che, per primo, ne ha intuito e analizzato lo sviluppo su scala mondiale e, meglio di ogni altro, rovistandone i meandri, ha descritto la società borghese. Rinunciare a questo patrimonio – si badi, sempre più rivisitato da parte liberale –, significherebbe smarrire l’orientamento per intendere la realtà odierna e deporre le armi per trasformarla. La riappropriazione dell’indagine e del metodo di Marx fornisce, infatti, gli strumenti critici per contrastare, con fondatezza, l’ideologia dominante. Mostra il carattere antistorico dell’artefatta rappresentazione della naturalità e immutabilità del sistema capitalistico. Permette di opporsi ai proclami che osannano il dominio del mercato e ne diffondono il falso mito di efficienza e di migliore dei mondi realizzabili. Consente di avversare il mantra che ostenta, ossessivamente, l’assenza di alternative agli assetti economici, sociali e politici neoliberali.

L’altro Marx, di cui oggi si avverte la mancanza, è quello teorico del socialismo. L’autore che concepiva il socialismo come processo di autoemancipazione della classe operaia, «il grande scopo al quale ogni movimento politico deve essere subordinato come mezzo». Il militante che ripudiava totalmente l’idea di «Socialismo di Stato», al tempo già propugnata da Rodbertus e Lassalle. Lo studioso che intendeva il socialismo come possibile trasformazione dei rapporti produttivi e non come coacervo di blandi palliativi ai problemi della società. Il rivoluzionario che, anche quando lottò per ottenere riforme politiche e sociali, mai s’illuse circa la natura incontrovertibilmente antagonistica e ingiusta del capitalismo. Il caustico scrittore che irriderebbe gli ossimori, così tanto alla moda, quali banca etica, impresa cooperativa o commercio equo e solidale.

A prima vista questi due Marx possono sembrare disgiunti: il primo principalmente teorico, il secondo fondamentalmente politico. In realtà, la loro compenetrazione è non solo plausibile, ma contribuirebbe a risolvere il finto dualismo tra teoria e prassi, di cui si è molto discusso, e costituirebbe uno strumento imprescindibile affinché la sinistra si interroghi criticamente lungo il cammino delle sfide che l’attendono.

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Liberazione

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21 March, 2006

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