L’opera del fantasma
Avviato nel 1975 nella Ddr, il secondo tentativo di edizione integrale delle opere di Marx ed Engels (Marx-Engels, Gesamtausgabe, Mega), è entrato in crisi dopo il 1989. Il progetto avviato da Rjazanov negli anni ‘20 era stata interrotto dallo stalinismo, quello nuovo sembrava affondare con il socialismo reale.
Ha ridato fiato all’opera la realizzazione di una struttura internazionale, che l’ha sottratta sia all’oblio e alla denigrazione del valore scientifico di Marx, sia al controllo delle gerarchie di partito. La Mega è una vera edizione critica, secondo i criteri di “spoliticizzazione, internazionalizzazione, accademizzazione”.
Complessivamente sono previsti 114 volumi (ciascuno diviso in un tomo di testi e uno di apparati), in quattro sezioni: opere, articoli, abbozzi; Capitale e lavori preparatori (dal 1857); carteggio, comprese le risposte dei corrispondenti di Marx ed Engels; estratti, annotazioni, marginalia. Quanto già realizzato di questo progetto testimonia l’utilità di ripartire da un confronto diretto con i testi marxiani, al di là delle stratificazioni interpretative dei vari marxismi, che pure lasciano ancora molte tracce . Il libro che qui presentiamo, (Sulle tracce di un fantasma. L’opera di Karl Marx tra filologia e filosofia, a cura di Marcello Musto, manifestolibri, Roma 2005) raccoglie i risultati di alcune giornate di studio svolte attorno ai temi suscitati dalla nuova edizione. Il curatore sostiene che l’opera di Marx, liberata dalla vulgata novecentesca che l’ha ridotta a dottrina, reca il segno di una congenita incompiutezza.
Al di là delle congiunture e delle urgenze politiche, infatti, il rapporto tra le pochissime opere pubblicate e le innumerevoli concepite o abbozzate, ha un motivo strutturale: il tentativo di coniugare descrizione, critica, prospettiva – cuore del progetto scientifico di Marx – impone continui recuperi, approfondimenti, aggiustamenti delle ricerche. Il percorso e il metodo marxiani riproducono in qualche modo quella totalità aperta che si cerca continuamente di afferrare. Il paziente lavoro filologico permette nuove letture di moltissimi punti teorici, mostrandone la profondità e la problematicità.
Questa rigorosa ricostruzione è illustrata nella prima parte con l’intervento di alcuni dei curatori della nuova Mega. Spicca in quest’ambito l’analisi di Gian Mario Bravo della prima ricezione di Marx in Italia, tra Otto e Novecento, che mostra il singolare contrasto tra un’accentuata semplificazione della teoria di Marx e il contemporaneo robusto radicamento del socialismo italiano.
La seconda parte riprende le tappe della riflessione giovanile di Marx, per sé e in relazione al complesso dell’opera. La cesura a suo tempo indicata da Althusser (che vedeva nell’Ideologia tedesca il salto dall’utopia alla scienza), risulta meno netta, visto che le oscillazioni circa il significato della filosofia e la critica politica non sono risolte mai definitivamente.
Se il ruolo della “tradizione hegeliana” – per analogia o per contrasto – è abbastanza evidente nel Capitale, emerge come anche la riflessione politica di Marx, fino agli anni della Comune e della Critica del programma di Gotha, si aggiri attorno agli stessi nodi del 1843-44 o del 1848: la relazione stato-società civile, l’orizzonte storico della società comunista, la definizione delle forme proprie della fase di “transizione”, il significato della democrazia, senza fornire risposte definitive o formule rassicuranti.
La terza parte vede un serrato confronto sull’immane mole di lavoro sviluppato attorno alla critica dell’economia politica. E’ in primo luogo una discussione di metodo, in cui molti accostano il percorso di Marx a quello della Scienza della Logica hegeliana, e altri individuano – soprattutto nel passaggio dai Grundrisse al Capitale – un approccio improntato alle categorie degli economisti classici. Ma è anche un catalogo di risultati importanti e problemi irrisolti, attorno alle nozioni di lavoro astratto, surplus, valore-lavoro.
Da qui prende le mosse l’ultima parte, dedicata all’individuazione di un “oggi per Marx”. Michael Krätke sottolinea come, nel pieno di una crisi che investe contemporaneamente l’economia e i suoi paradigmi interpretativi, sia gli specialisti delusi dalle teorie neoclassiche, sia i movimenti antisistema, fatichino a entrare in sintonia con il metodo e le categorie della critica marxiana, che ha invece molto da offrire.
Su un analogo livello di attualizzazione si muove il contributo di Losurdo, che ricorda come Marx individui appieno il carattere pervasivo del capitalismo, la sua violenta dinamica di annessione, per cui il colonialismo ottocentesco (come nei casi di Cina e India) è simile in Marx all’odierna globalizzazione, ivi compresi i corollari ideologici della guerra civilizzatrice e della missione democratica, fatti propri allora come ora dall’ideologia liberale. Lo scacco strategico del Novecento è invece alla radice del tentativo – articolato da Tosel e Jervolino – di fondare un nuovo paradigma teorico-politico, definito “comunismo della finitudine”. La sostanza liberatrice del socialismo va preservata liberandolo dalla pretesa di un uomo artefice assoluto: l’uomo determina le condizioni della propria esistenza e della preservazione del mondo, non crea sé stesso e il mondo.
La coscienza della finitudine impedisce ogni finalismo subordinante, e affida ad un’opera mai definitiva di “traduzione” delle esperienze, dei linguaggi, delle culture, il compito di superare sfruttamento e oppressione senza sostituirle con analoghe strutture coercitive.
Occorre notare che l’accuratezza filologica delle nuove edizioni non rischia di rinchiudere nuovamente Marx in una gabbia: la forza critica e autocritica, l’implacabile verve polemica, la stessa ansia di revisione che condanna il trevirese all’incompiutezza, gli consentono di sfuggire all’indifferenza, di riaprire a ogni stagione domande attuali. Lo spettro dunque continua ad aggirarsi. Invece, se e dove stia scavando la “vecchia talpa”, se e quando possa incontrare ancora lo spettro, non è al momento dato saperlo. Per adesso temo che bisognerà accontentarsi.
Marcello
Musto