Il sesto paese per numero di abitanti dell’Unione Europea vira a destra. Dopo aver vinto le presidenziali di maggio, il partito populista Diritto e Giustizia è il grande favorito delle odierne elezioni polacche, che dovrebbero sancire la sconfitta di Piattaforma Civica, i liberal-conservatori – ma europeisti – al governo dal 2007.
A differenza dei frequenti richiami al nazionalismo e alla parola d’ordine “Prima ai polacchi”, le rivendicazioni in materia economica di Diritto e Giustizia sono state incentrate sulla promessa di aumentare la spesa sociale, migliorare il livello dei salari e abbassare l’età pensionabile. Un programma di sinistra, in un paese dove la sinistra ha difeso il neoliberismo e occupa, oggi, una posizione del tutto marginale. Una vicenda, quest’ultima, che si è ripetuta anche in altre parti del continente.
Negli ultimi anni, ovunque in Europa è aumentata l’ostilità, di larga parte dell’opinione pubblica, verso la politiche di austerità imposte dalla Troika.
Il panorama politico europeo è mutato per effetto del successo di movimenti populisti (come l’UKIP in Inghilterra e il M5S in Italia) e della significativa avanzata delle forze dell’estrema destra.
Il primo di questi fenomeni ha avuto quali comuni denominatori l’euroscetticismo e una generica denuncia della corruzione del sistema. Il secondo, invece, ha registrato un cambiamento nel discorso dei partiti xenofobi e nazionalisti che, alla classica distinzione tra destra e sinistra, hanno sostituito quella “tra l’alto e il basso”. In questa nuova polarizzazione, le forze dell’estrema destra si sono candidate a rappresentare quest’ultimo, il popolo, contro l’establishment e i poteri che hanno favorito lo strapotere del mercato.
Il “nuovo” volto della destra
L’impianto ideologico dell’estrema destra si è trasformato. La componente razzista è stata, in molti casi, messa in secondo piano rispetto alle tematiche economiche. L’opposizione alle, già cieche e restrittive, politiche sull’immigrazione, attuate dall’Unione Europea, si è rafforzata facendo leva sulla guerra tra poveri, ancor prima che sulla discriminazione basata sul colore della pelle o sul credo religioso. In un contesto di disoccupazione di massa e di grave conflitto sociale, la xenofobia è lievitata attraverso una propaganda che ha rappresentato i migranti quali principali responsabili dei problemi in materia di occupazione e servizi sociali.
Questo mutamento di rotta ha sicuramente influito sul risultato del Fronte Nazionale in Francia, che ha raggiunto il 25,2% alle amministrative del 2015.
In Europa, sono alleate del partito guidato da Marine Le Pen altre consolidate forze politiche, che chiedono, da tempo, l’uscita dall’euro, la revisione dei trattati sull’immigrazione e il ritorno alla sovranità nazionale. Tra esse, le più rappresentative sono il Partito della Libertà Austriaco, che la scorsa settimana ha sfiorato il 31% alle elezioni municipali di Vienna, e il Partito per la Libertà, terza forza politica in Olanda.
Le forze populiste hanno compiuto rilevanti avanzamenti anche in altre regioni d’Europa. Il Partito del Popolo Svizzero ha vinto, con quasi il 30% dei voti, le elezioni del 18 ottobre e in Scandinavia l’estrema destra costituisce, oramai, una realtà ben consolidata.
Nella patria del “modello nordico”, i Democratici Svedesi, nati attraverso la fusione di diversi gruppi neo-nazisti, sono stati, con il 12,8% delle preferenze, il terzo partito più votato alle legislative del 2014.
In Danimarca e in Finlandia vi sono stati risultati ancora più sorprendenti. Il Partito Popolare Danese è stato il movimento politico più votato alle ultime elezioni europee. Tale successo è stato confermato alle legislative del 2015, in seguito alle quali, con il 21% delle preferenze, è entrato nella maggioranza di governo. Dopo le elezioni del 2015, sugli scanni dell’esecutivo di Helsinki sono saliti anche i Veri Finlandesi, col 17,6% dei voti.
In Norvegia, infine, è arrivato per la prima volta al governo il Partito del Progresso, di vedute politiche analogamente reazionarie.
L’avanzata dell’estrema destra, in una regione dove le organizzazioni del movimento operaio hanno esercitato per lungo tempo un’indiscussa egemonia, non è avvenuta soltanto per merito di classiche campagne reazionarie, come quelle contro la globalizzazione, l’arrivo di nuovi richiedenti asilo e lo spettro della “islamizzazione” della società. Alla base del suo successo vi è stata la rivendicazione di politiche – tradizionalmente di sinistra, ma abbandonate dalle socialdemocrazie – in favore dello stato sociale. Si tratta, però, non più del welfare universale, inclusivo e solidale del passato, ma di un tipo diverso, basato sul principio di fornire diritti e servizi esclusivamente ai membri della già esistente comunità nazionale.
Al grande consenso ricevuto nelle zone rurali e di provincia, depopolate e con tassi di disoccupazione da primato (le stesse dove, in Grecia, raccolgono molti voti i neo-nazisti di Alba Dorata), i populisti scandinavi hanno, così, aggiunto quello di una parte della classe lavoratrice, che ha ceduto al ricatto “immigrazione o stato sociale”.
Pericolo a Est
L’estrema destra è riuscita a riorganizzarsi anche in diversi paesi dell’Est. L’Unione Nazionale Attacco in Bulgaria, il Partito Slovacco Nazionale e il Partito Grande Romania sono alcune delle forze politiche che hanno ottenuto buoni risultati elettorali e la presenza in parlamento.
In questa zona d’Europa, il caso più allarmante è quello dell’Ungheria. In seguito alla grave crisi deflazionistica, innescata dalle severe misure di austerità che sono state introdotte dai socialisti, in ossequio alle intimazioni della Troika, è giunto al potere il partito Fidesz. Dopo aver epurato la magistratura e messo sotto controllo i mass media, nel 2012 il governo ungherese ha introdotto una nuova costituzione dai connotati fortemente autoritari.
Inoltre, dal 2010, il Movimento per un’Ungheria Migliore (Jobbik) è diventato il terzo partito del paese (20,5% alle elezioni del 2014). A differenza delle forze presenti nell’Europa occidentale e scandinava, Jobbik rappresenta il classico esempio – oggi dominante a Est – di formazioni di estrema destra, che continuano a utilizzare l’odio contro le minoranze (in particolare quella Rom), l’antisemitismo e l’anticomunismo quali principali strumenti di propaganda e di azione.
In questi anni, dunque, i partiti della destra estrema hanno decisamente ampliato il loro consenso quasi in ogni parte d’Europa. In molte occasioni, sono stati in grado di egemonizzare il dibattito politico e, in alcuni casi, sono riusciti ad andare al governo. L’espansione dell’Unione Europea a levante ha decisamente spostato a destra il baricentro politico del continente, come hanno testimoniato le rigide posizioni oltranziste, assunte dai governi dell’Europa orientale, durante le recente crisi in Grecia e di fronte all’arrivo dei popoli in fuga dai teatri di guerra.
Si tratta di un’epidemia molto preoccupante, alla quale non si può certo pensare di rispondere senza combattere il virus che l’ha generata: il mantra neoliberista oggi ancora tanto in voga a Bruxelles.
Marcello
Musto