Solo tre ore in fabbrica. La proposta di Lafargue

Nel 1849, Adolphe Thiers, futuro presidente della Francia, affermò che occorreva “insegnare all’uomo che egli si trova sulla terra per soffrire”.

Molti economisti della stessa epoca dichiararono che la povertà dei lavoratori era causata dal loro scarso spirito di sacrificio.
Il bersaglio principale dello scritto di Lafargue, apparso nel 1880, non furono, però, i ceti dominanti, bensì il proletariato: “una strana follia si è impossessata delle classi operaie, nelle nazioni dove regna la civiltà capitalistica. Questa follia è l’amore per il lavoro”. I salariati avevano inteso il “diritto al lavoro” – rivendicazione primaria dei movimenti socialisti del tempo – come principio rivoluzionario. Si erano lasciati “pervertire dal dogma del lavoro” e non avevano compreso che il suo eccesso li abbrutiva, era responsabile della loro ignoranza e produceva la deformazione dei loro corpi.
L’alternativa proposta da Lafargue fu radicale: il “lavoro sfrenato”, caratteristico della società capitalistica, doveva essere “saggiamente regolamentato” e divenire un “piacevole condimento della pigrizia”. Occorreva “vietare il lavoro, non imporlo” e il movimento operaio doveva fare promulgare una “ferrea legge che proibisse a tutti gli esseri umani di lavorare più di tre ore al giorno”. Lungi dall’essere un’utopia, ciò si rendeva possibile grazie alla tecnica. Con il socialismo, il lavoro delle macchine avrebbe dovuto creare tempo libero per gli operai e non arrecare loro – come con la sorveglianza, il lavoro notturno e la soppressione dei giorni festivi – ulteriore fatica.
In un’epoca nella quale il credo produttivistico del capitale ha raggiunto livelli patologici, le parole di Lafargue sono un invito stimolante a ripensare le priorità della nostra organizzazione sociale.

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Corriere della Sera (La Lettura)

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15 July, 2018

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