Il filosofo di Treviri e la diffusione del suo pensiero in Italia e in Russia. Una storia tutta da ristudiare
Il nostro Marx. Sotto questo titolo del Il Grido del Popolo nel primo centenario della sua nascita Antonio Gramsci affermava: «Marx non ha scritto una dottrinetta, non è un messia che abbia lasciato una filza di parabole gravide di imperativi categorici, di norme indiscutibili, assolute, fuori delle categorie di tempo e di spazio […] Marx si pianta nella storia con la solida quadratura di un gigante: non è un mistico né un metafisico positivista; è uno storico, è un interprete dei documenti del passato, di tutti i documenti, non solo di una parte di essi […] Ma è inutile l’avverbio ‘marxisticamente’, e anzi esso può dare luogo ad equivoci e ad inondazioni fatue e parolaie. Marxisti, marxisticamente… aggettivo e avverbio logori come monete passate per troppe mani».
Karl Marx, questo sconosciuto. Icona delle rivoluzioni del novecento, nella crisi mondiale delle sinistre torna alla ribalta il filosofo che, un anno prima della morte, disse di odiare l’appellativo di marxista. Un altro secolo è trascorso e gran parte dei suoi manoscritti rimane inedita, mentre si moltiplicano gli studi che gettano luce su aspetti poco noti della sua ricerca, e sulle vicissitudini della diffusione degli scritti. Con l’intenzione di andare oltre la vulgata del “socialismo reale” che, nell’urgenza della lotta e per scopi di propaganda politica, a lungo ne ha ridotto il pensiero in schemi rigidi fino al dogmatismo, appiattendone il profilo su quello del sodale Friedrich Engels.
Tenace quanto marginale, l’indagine sul vero volto di Marx viene da lontano. Dalla svolta staliniana del 1930 per molti decenni pochi intellettuali eretici si volsero a studiare i suoi scritti giovanili, alla ricerca delle radici di una catastrofe sempre più evidente. A partire da Gramsci, che nella solitudine della cella traduceva dal tedesco quelli che riteneva più importanti, procedendo a ritroso nel tempo. Fino alla lettera al padre del 10 novembre 1837 in cui, accantonato lo studio di Hegel, lo studente diciannovenne, come evidenziato da Massimo Fagioli nel 1981, raccontava di essersi proposto una ricerca scientifica e artistica sulla realtà psichica umana, la perla delle perle sempre ignorata.
Esclusi dall’edizione critica Einaudi del 1975, i Quaderni di traduzioni rimasero inediti fino alla pubblicazione del 2007 nell’Edizione Nazionale degli scritti gramsciani. Tutt’altro che esercizi distensivi, le traduzioni rispondono, scrive Giuseppe Cospito, a un preciso programma di reinterpretazione della filosofia della prassi terzinternazionalista, offrendo una lettura decisamente alternativa rispetto a quella della vulgata che culminerà nel materialismo dialettico staliniano. Su questa linea di ricerca il recente saggio Marxismo e filosofia della praxis (Viella) di Marcello Mustè, docente di Filosofia teoretica alla Sapienza, ricostruisce il peculiare contributo del pensiero italiano allo sviluppo del marxismo europeo da Labriola, attraverso Croce, Gentile e Mondolfo, fino all’originale elaborazione di Gramsci, a cui è dedicata la preziosa seconda parte del libro.
Dagli scritti giovanili, l’interesse si è recentemente spostato su quelli della maturità del filosofo, come il saggio del 2016 di Marcello Musto L’ultimo Marx, 1881-1883 (Donzelli), che tra quaderni antropologici e lettere inedite presenta lo studio sulle società precapitaliste, che Marx ebbe modo di sviluppare durante il soggiorno per ragioni di salute ad Algeri, e sulle trasformazioni determinatesi in Russia in seguito all’abolizione della schiavitù. Dello stesso Musto, docente di Sociologia teorica alla York University di Toronto, arriva ora in libreria Karl Marx. Biografia intellettuale e politica 1857-1883 (Einaudi). Con precisi riferimenti alle movimentate vicende della sua vita e al contesto sociale in cui si svolse, attraverso scritti poco conosciuti il libro presenta il ritratto di un rivoluzionario tutt’altro che eurocentrico, economicista e assorbito dal solo conflitto di classe. Un pensatore a tutto tondo, animato fino all’ultimo da un profondo interesse per la realtà umana e per l’ambiente, e da uno sguardo globale sul mondo, dall’America alla Russia.
Contemporaneamente in Inghilterra James D. White, docente emerito dell’università di Glasgow, con il suo Marx and Russia. The fate of a doctrine (Bloomsbury) presenta uno studio innovativo, sintesi del lavoro di una vita sul pensiero di Marx e sulle vicende della sua ricezione in Russia, in stretta connessione con i movimenti rivoluzionari russi ed europei e la rivoluzione d’Ottobre. Un’eredità precocemente tradita a partire dallo stesso 1883, anno della morte del pensatore. Leggiamo così che Engels, nel sistemare il II e il III capitolo del Capitale per la pubblicazione, avvenuta l’anno dopo, intenzionalmente decise di ignorare l’ultimo decennio di studi di Marx sulla Russia, e sulla possibilità che dalla comune agricola (obščina) dell’impero degli zar si potesse attuare la transizione al socialismo senza la mediazione del capitalismo. Decisione motivata dall’insofferenza per le «finezze teoretiche» del materiale russo marxiano, che Engels «avrebbe dato volentieri alle fiamme», ovvero dalla mancata comprensione della direzione degli studi di Marx, che progressivamente si era allontanato dall’astratto schema del metodo hegeliano. I due libri del Capitale, a cui Marx aveva continuato a lavorare, apparvero nella forma in cui erano stati abbozzati nel 1860.
Già nell’Anti-Düring, con un tentativo mai riconosciuto da Marx, Engels aveva voluto dimostrare che la dialettica di Hegel poteva essere applicata alla natura, adattandola alle nuove scoperte scientifiche (la teoria dell’evoluzione di Darwin e la legge della conservazione dell’energia). L’operazione fu sistematizzata nel 1883 con La dialettica della natura. Un ulteriore allontanamento da Marx si registra nel saggio Ludvig Feuerbach che, con le ‘Tesi su Feuerbach’ di Marx riportate in appendice nel 1888, esercitò una grande influenza all’origine delle dottrine marxiste.
Scelte fatali, cristallizzate in Russia da Georgij Plekhanov nella dialettica come teoria e metodo della conoscenza, e infine codificate nel materialismo dialettico di Lenin. Alla brutale politica culturale del capo bolscevico, e alla critica costruttiva da parte di Aleksandr Bogdanov nei confronti del ‘marxismo assoluto’, nuova religione dogmatica e autoritaria, il libro di White dedica un’analisi illuminante, approfondita nel recentissimo Red Hamlet (Brill), prima biografia intellettuale del poliedrico ‘bolscevico di sinistra’.
In una una scena rivelatrice del recente film di Raoul Peck Il giovane Karl Marx, Engels sollecita l’amico ad abbandonare la ricerca sull’alienazione religiosa, e a dedicarsi all’economia politica. Caduto con il muro di Berlino il determinismo economico prevalso nel marxismo-leninismo, al di là della falsa alternativa tra idealismo e materialismo riemerge l’umanesimo di Marx. Un evergreen, offerto ai giovani lettori che ancora non conoscono i suoi scritti.
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