Marcello Musto, L’ultimo Marx
Il 30 marzo 1911, Giolitti dichiarava alla Camera che “Carlo Marx è stato mandato in soffitta”.
Da un secolo a questa parte, il vecchio Moro è stato mandato in soffitta più volte. Ultima, finora, in occasione della fine dell’Urss e dei paesi satelliti, tra il 1989 e il 1991, con la quale è stata dichiarata anche la fine del “comunismo”, oltre che, con una certa esagerazione, della storia.
Ma evidentemente in quella soffitta Marx non si sente a proprio agio, tanto da esserne ogni volta ridisceso. La recente crisi del capitalismo ha mostrato quanto le analisi del filosofo di Treviri siano necessarie alla comprensione del mondo presente. Il capitalismo del nuovo millennio, nonostante le sue mutazioni, presenta la stessa faccia feroce di quello ottocentesco: sfruttamento della forza lavoro, concorrenza spietata tra Stati, lotta per i mercati, crisi e guerre. Discesa dalla soffitta, la critica corrosiva e scientifica di Marx soffia ancora. Ce lo ricorda, in questo ultimo lavoro, anche Marcello Musto, professore di Sociologia teorica presso la York University di Toronto, studioso da oltre un decennio del pensiero marxista e collaboratore, tra gli altri, della Marx-Engels-Gesamtausgabe 2, l’edizione storico – critica delle opere complete di Marx ed Engels.
Il lavoro di Musto si concentra sull’ultimo periodo di vita di Marx, dal 1881 al 1883, apparentemente un Marx minore e fuori dagli schemi ai quali siamo abituati, soprattutto frutto della canonizzazione avvenuta in epoca staliniana. La biografia intellettuale si intreccia con gli avvenimenti politici di questi anni e con vicende personali drammatiche, dalla morte dell’adorata moglie Jenny von Westphalen, nel dicembre del 1881, a quella della figlia Jenny, avvenuta l’11 gennaio del 1883. Due anni contrassegnati da una salute malferma e difficoltà finanziarie, superate solo grazie all’aiuto dell’amico e compagno di lotte Engels; anni di studio e di approfondimento che in vari casi precisano e sviluppano ulteriormente le ricerche precedenti. E’ il caso, ad esempio, della ripresa dei lavori matematici o dei Quaderni antropologici, che mostrano l’interesse di Marx per le società precapitalistiche, e approfondiscono gli studi già delineati nei Grundrisse. I Quaderni servirono poi a Engels per il suo L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, come spiega l’amico di Marx nella prefazione alla prima edizione del 1884, parlandone di un “lascito ereditario” del compagno estinto.
In particolare l’interesse di Marx sulle forme di produzione non capitalistiche è il frutto dello scambio con i rivoluzionari russi, tra i quali Vera Zasulič, che ne chiedevano l’opinione sulle possibilità di passaggio in Russia al socialismo, in assenza delle condizioni che avevano permesso lo sviluppo del capitalismo in Occidente. Marx ribadisce il carattere metodologico del Capitale, nel quale non intendeva delineare una futura via univoca mondiale di sviluppo, ma affrontare esclusivamente l’evoluzione del capitalismo nell’Europa occidentale. Avendo ormai il capitalismo sorpassato la fase dello sviluppo nazionale, sarebbe stato impossibile pensare che tutti gli Stati dovessero pedissequamente ripercorrere le tappe che avevano condotto alla Rivoluzione industriale e alla Rivoluzione francese, con una borghesia autoctona in grado di compiere la propria rivoluzione democratico – borghese. Anzi, non escludeva che lo sviluppo del socialismo in Russia potesse basarsi su forme moderne del modello arcaico di proprietà collettiva, come l’Obščina. La novità di questo ragionamento consisteva nell’apertura alla possibilità teorica che il socialismo, in condizioni determinate, si sarebbe potuto realizzare seguendo itinerari inediti rispetto allo sviluppo dell’Europa occidentale, contrariamente a quello che ritenevano i marxisti russi, come Plechanov o i “marxisti legali”, mentre alcuni importanti esponenti del populismo, che attribuivano a Marx le posizioni dei suoi sostenitori in Russia, come Michajlovskij usavano quest’argomentazione in chiave polemica antimarxista. Le pagine del libro di Musto restituiscono dunque un Marx problematico, assolutamente scevro da ogni schematismo, che tra i tormenti della vita privata, delle malattie e degli stenti, non rinuncia a osservare la realtà: si aggiorna in permanenza e, se necessario, modifica o precisa i suoi precedenti punti di vista. Ma non fu solo la Russia oggetto dell’attenzione del Moro: pur nella malattia, che lo costringeva a volte settimane a letto, non cessò di studiare e appuntare scrupolosamente opere storiche, concentrando il suo interesse soprattutto sulle società precapitalistiche, sulle forme di transizione dall’antichità al feudalesimo e dal feudalesimo al capitalismo e sullo sviluppo ineguale e combinato che individuava nello sfruttamento coloniale dell’Asia e dell’Africa.
L’occasione per approfondire sul campo le sue ricerche gli è fornita dall’unico viaggio compiuto fuori d’Europa, allo scopo di curare i problemi respiratori che lo tormentavano ormai da anni. Consigliato da Engels, Paul Lafargue e dal dottor Donkin, Marx decise infine di trascorrere un periodo di convalescenza ad Algeri, dove giunse il 20 febbraio 1882. Tuttavia, a causa del clima umido e piovoso, ne trasse pochi benefici. Come osserva Musto, questo viaggio ha destato poca attenzione tra i biografi di Marx. Eppure i settantadue giorni africani, di cui ci restano 16 lettere, gli servirono per approfondire usi e costumi della popolazione musulmana in generale e algerina in particolare, alla cui questione aveva dedicato una certa attenzione un decennio prima.
Le ultime settimane della vita di Marx sono ricostruite grazie alla testimonianza dei famigliari e alla corrispondenza con Engels. Tormentato dalla pleurite e dalla tosse che non gli dava tregua, si spense serenamente il 14 marzo 1883 nella sua casa di Londra, poco dopo l’arrivo di Engels che ce ne riporta testimonianza in una lettera a Sorge.
Pur nella ricostruzione rigorosa degli ultimi due anni di ricerche e studi del fondatore del socialismo scientifico, che caratterizzano il suo lavoro, Marcello Musto, con una prosa piacevole e godibile, lontana dallo stile accademico, non nasconde l’empatia per la vicenda umana di Karl Marx e la solidarietà per la sua prospettiva politica: “la completa emancipazione delle lavoratrici e dei lavoratori, di tutto il mondo, dal dominio del capitale” (p. 132).
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