Rileggendo oggi Machiavelli e Marx il Principe “vince” per modernità
Nicolo Machiavelli non fu mai machiavellico e Karl Marx non fu mai marxista. Un desti- no comune ha sottovalutato la complessità della biografie intellettuali dei due più grandi filosofi della politica, sottomettendo le rispettive esistenze alle formule co-muni che ne hanno mummificato il pensiero.
E sarà quindi anche vero che il «fine giustifica i mezzi», ma Machiavelli fu tanto intransigente rispetto al valore della «norma» quanto lontana fu da lui quella concezione strumentale delle leggi su cui si e fondato l’edificio concettuale del «machiavellismo» politico di ogni epoca. Specularmente non e banale ricordare che l’espressione «dittatura del proletariato», su cui si e fondata la costruzione teorica del «marxismo», e citata solo sette volte nella sterminata opera di Marx. Al contrario, proprio nel Capitale, nella nota alla seconda edizione, con una incisiva battuta contro l’uso dog- matico del suo pensiero, il filosofo della «lotta di classe» rifiuta persino di proporre un «modello universale di società comunista», vi- sto che non ha nessuna intenzione di «prescrivere ricette… per l’osteria dell’avvenire».
I Regimi
A Marcello Musto, nella innovativa riscrittura della sua biografia intellettuale, bastano poche righe di Marx per spiegare quanto sia «fantasiosa» ogni «anticipazione dottrinaria… di una rivoluzione a venire»; al professore associato della York University di Toronto
preme soprattutto «distinguere la concezione di Marx da quei regi- mi che, nel XX secolo, dichiarando di agire in suo nome, perpetrarono, invece, crimini ed efferatezze». Così, che Machiavelli sia stato il fondatore della filosofia politica, tesi di Benedetto Croce ripresa poi da Antonio Gramsci, non basta a Michele Ciliberto. E invece l’uomo Machiavelli al centra della nuova lettura del professore di filosofia della Normale di Pisa, che affida al sottotitolo della sua ricerca, Ragione e pazzia, la chiave per restituire all’autore del Principe tutte le sue qualità di uomo politico del Rinascimento. Il tempo corrotto nel quale il destino l’ha costretto a vivere, lo aveva convinto che per riformare l’Italia non ci fosse altra strada che riformare gli stessi italiani. Filosofo della crisi, per il segretario della Cancelleria della Repubblica fiorentina (dal 1498 al 1512) la politica altro non poteva essere che «l’arte dello Stato».
Le Scelte
Ma discacciato dal centra del potere, dopo il ritorno dei Medici a Firenze, fu costretto a riversare nella riflessione filosofica e storica, ma soprattutto nel teatro e nella satira, l’impegno esistenziale che per 14 anni aveva dedicato alla sopravvivenza dello Stato. Riconoscendo i limiti della «ragione» pensava che la politica avesse bisogno di scelte eccezionali, audaci, estreme, insomma «pazze». C’è molta passione perciò all’origine non solo dei successi ma anche dei suoi fallimenti. Come il progetto del Principe, una proposta eccessiva che al tempo fu un fallimento, sottovalutato persino dalla più stretta cerchia delle sue amicizie.
Il Cibo
«Malcontento» nel profondo del suo animo amava pero le gioie della vita, il cibo come le donne e il denaro, fedele al precetto dell’amatissimo Boccaccio, «meglio fare e pentere che starsi e pentersi». Ciliberto, senza cedere alle lusinghe della divulgazione, e riuscito a far tornare fra noi Machiavelli, che co- si ci appare più moderno e con- temporaneo anche del “nuovo” Marx, che pure era stato ribattezzato da Croce come il «Machiavelli della classe operaia».
Marcello
Musto