I 150 anni della Prima Internazionale
Erano circa duemila i lavoratori e le lavoratrici che il 28 settembre 1864 si riunirono al St. Martin’s Hall di Londra per ascoltare i comizi di alcuni dirigenti sindacali.
L’incontro, cui erano presenti diversi delegati europei, era stato preparato con una certa accuratezza poiché nelle intenzioni degli organizzatori avrebbe dovuto dare vita a un ambito sovranazionale di studio sulle condizioni degli emergenti ceti operai.
I partecipanti, in realtà, non erano affatto consapevoli che dall’assise sarebbe sorta l’Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIL), la prima organizzazione socialista a carattere internazionale che, negli anni immediatamente successivi, anche in seguito alle prime adesioni di nuclei di muratori e calzolai inglesi, si sarebbe rivelata il punto di riferimento stabile per migliaia di lavoratori, in particolare europei e nordamericani. Ne ricostruisce la storia attraverso i documenti Marcello Musto, che ha curato il volume Prima Internazionale. Lavoratori di tutto il mondo unitevi! Indirizzi, Risoluzioni, Discorsi e Documenti (Roma, Donzelli, 2014, pp. 256).
Oltre l’estensione geografica del suo radicamento e il suo crescente peso quantitativo, per circa un decennio la Prima Internazionale costituì il laboratorio teorico-pratico delle lotte sindacali e politiche in diverse nazioni. Tale fu la novità rappresentata dalla sua nascita e tale fu il suo impatto sulle agitazioni operaie (in particolare negli scioperi avvenuti in Inghilterra, Francia, Belgio e Svizzera), che i ceti dominanti dell’epoca reagirono con una pervicace opera repressiva. La borghesia non si mostrò infatti per nulla disposta ad accettare l’iniziativa dei lavoratori che, finalmente, affermavano un proprio punto di vista indipendente, polarizzando intorno a sé i settori più reattivi del costituendo proletariato internazionale. La classe operaia non era più un mero oggetto di sfruttamento capitalistico, ma si presentava quale soggetto agente della propria liberazione e fulcro di una società futuribile complessivamente nuova.
Nata su presupposti più umanitari che conflittuali, l’Internazionale si trasformò presto in una fucina rivoluzionaria all’interno della quale si dispiegò un confronto ampio che coinvolse le diverse correnti socialiste in essa presenti. Seppure in un arco di tempo piuttosto breve,l’AIL costituì infatti la casa comune di approcci eterogenei volti al miglioramento immediato delle condizioni del lavoro nel quadro di un ribaltamento profondo del sistema di produzione capitalistico. Mutualisti, sindacalisti, utopisti, democratici, libertari, collettivisti e comunisti vi trovarono tutti cittadinanza, contribuendo a realizzare un ambito plurale di tensioni politico-culturali che si sarebbero meglio dispiegate nei decenni seguenti.
Con l’esplicito intento di celebrare i 150 anni trascorsi dalla sua fondazione, il volume curato da Musto fornisce una panoramica documentaria dell’AIL, restituendo la complessità e la ricchezza del dibattito che l’animò. Al lettore e alla lettrice la raccolta offre ottanta documenti, di cui ventisei inediti; un’antologia preziosa, costruita intorno agli aspetti tematici su cui ebbe luogo il confronto interno all’Associazione, quali il lavoro, l’organizzazione sindacale e quella politica, la cooperazione, il credito, gli scioperi, il diritto d’eredità, l’istruzione, la proprietà collettiva, lo Stato, l’istruzione, la guerra, l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti d’America, e altre questioni come quella di genere o l’utilizzo delle macchine. Una collezione dunque ampia che, oltre a favorire una ricostruzione d’insieme delle vicende dell’Internazionale, permette di leggerne le sfumature che l’attraversarono e sfatare ricostruzioni tendenti ad appiattirne l’esperienza alla sola influenza di Karl Marx.
Marx ne fu di certo tra i massimi animatori e teorici, capace di armonizzarne le diverse istanze, capacità che tuttavia perdurò fino alla conferenza di Londra del 1871, quando su sua iniziativa unilaterale venne approvata la nota IX risoluzione sull’Azione politica della classe operaia, che si rivelò motivo di profonda divisione. La questione era stata già al centro di delicate discussioni e aveva visto gli anarchici, ma non solo, contrapporsi a una proposta che, nella loro visione, avrebbe distratto dai compiti prioritari e irrinunciabili della lotta economica. Per i libertari, infatti, l’unica politica ammissibile per la classe operaia era quella della rivoluzione sociale.
Con la conferenza di Londra e la sconfitta della Comune di Parigi, l’esperienza della Prima Internazionale scemò, dividendosi in due correnti principali di cui quella centralista andò a esaurirsi negli Stati Uniti. La branca antiautoritaria avrebbe invece resistito ancora per qualche anno, in particolare in Italia, dove si dibatté tra tentativi insurrezionali e feroci repressioni, e in Spagna, dove sarebbe sfociata in una delle esperienze anarcosindacaliste tra le più notevoli del Novecento.
I documenti riportati permettono di leggere con maggiore precisione le sfumature tra le diverse correnti che animarono la straordinaria epopea della Prima Internazionale, come quella, ad esempio, degli esponenti formatisi intorno alle idee di Pierre-Joseph Proudhon, la cui incidenza fu molto più complessa e articolata di quanto sia stato in genere riconosciuto. Il volume assume un valore ulteriore nel suo approccio attualistico: in un’epoca come la nostra in cui le condizioni del lavoro (per precarietà, incremento dello sfruttamento, frammentazione sociale, ecc.) tendono a somigliare sempre più a quelle vigenti nella seconda metà dell’Ottocento, si fa urgente una riflessione sulle ipotesi originarie del movimento operaio e socialista e sulle caratteristiche radicalmente anticapitalistiche e largamente pluraliste che contraddistinsero l’esperienza primointernazionalista.
Marcello
Musto