«L’umanità ora possiede una mente in meno, quella più importante che poteva vantare oggi. Il movimento proletario prosegue il proprio cammino, ma è venuto a mancare il suo punto centrale, quello verso il quale francesi, russi, americani e tedeschi si volgevano automaticamente nei momenti decisivi, per ricevere quel chiaro e inconfutabile consiglio che solo il genio e la completa cognizione di causa potevano offrire loro. I parrucconi locali, i piccoli luminari e forse anche gli impostori si troveranno ad avere mano libera. La vittoria finale resta assicurata, ma i giri tortuosi, gli smarrimenti temporanei e locali – già prima inevitabili – aumenteranno adesso più che mai. Bene, dovremo cavarcela. Altrimenti che cosa ci stiamo a fare?» (F. Engels, lettera a F. Sorge, 15 marzo 1883 – 24 ore dopo la morte di Karl Marx)
Marcello Musto, professore di Sociologia presso la York University di Toronto, può essere considerato tra i maggiori, se non il maggiore tra gli stessi, studiosi contemporanei di Karl Marx. Le sue pubblicazioni sono state tradotte in venticinque lingue e annoverano, tra le più recenti, dallo stesso scritte o curate: Karl Marx. Biografia intellettuale e politica (Einaudi 2018), Karl Marx. Scritti sull’alienazione (Donzelli 2018), Marx Revival. Concetti essenziali e nuove letture (Donzelli 2019), Karl Marx. Introduzione alla critica dell’economia politica (Quodlibet 2023) e Ricostruire l’alternativa con Marx. Economia, ecologia, migrazione (Carocci 2023 con M. Iacono).
L’attuale volume costituisce la riedizione ampliata di una ricerca già pubblicata nel 2016 dallo stesso editore che pone al centro dell’attenzione gli ultimi due anni di attività del Moro di Treviri prima della morte, giunta per lui alle 14,45 del 14 marzo 1883. Sono anni di sofferenza fisica e psicologica per Marx, segnati pesantemente, ancor più che dai malanni fisici che lo perseguitano, dalla morte della moglie (Jenny von Westphalen, 12 febbraio 1814 – 2 dicembre 1881) e della figlia maggiore Jenny (1° maggio 1844 – 11 gennaio 1883). Ancora nella stessa lettera citata in esergo, l’amico Engels avrebbe commentato:
Tutti gli eventi che accadono per necessità naturale recano in sé la propria consolazione, per quanto possano essere terribili. È stato così anche in questo caso. Forse, l’abilità dei medici gli avrebbe potuto assicurare ancora qualche anno di esistenza vegetativa; la vita di un essere impotente, il quale, per il trionfo della medicina, non muore d’un sol colpo, ma soccombe a poco a poco. Tuttavia, il nostro Marx non lo avrebbe mai sopportato. Vivere con tutti quei lavori incompiuti davanti a sé, anelando, come Tantalo, a portarli a termine senza poterlo fare, sarebbe stato per lui mille volte più amaro della dolce morte che lo ha sorpreso. «La morte non è una disgrazia per colui che muore, ma per chi rimane», egli soleva dire con Epicuro. E vedere quest’uomo geniale vegetare come un rudere a maggior gloria della medicina e per lo scherno dei filistei che lui, quando era nel pieno delle sue forze, aveva tanto spesso stroncato… no, mille volte meglio le cose così come sono andate. Mille volte meglio che dopodomani lo porteremo nella tomba dove riposa sua moglie. Dopo tutto quello che era successo precedentemente, di cui neanche i medici sono a conoscenza più di quanto lo sia io, secondo me non ci poteva essere che una scelta1.
Ma al di là delle considerazioni sulle afflizioni personali, è quell’annotazione engelsiana sui “lavori incompiuti” che ci proietta all’interno del lavoro condotto da Musto sugli ultimi anni del rivoluzionario tedesco, che, occorre qui subito dirlo, costituì, più che un’unica opera definitivamente compiuta, un gigantesco laboratorio di riflessioni, intuizioni e rielaborazioni che finiscono col costituire, ancora oggi, l’autentica eredità scientifica dello stesso Marx.
Una scienza definibile come tale non in virtù di dogmi, verità e affermazioni apodittiche espresse una volta per tutte, come molti seguaci e settari eredi ancora vorrebbero, ma proprio per la possibilità di falsificare tante affermazioni date per scontate, costringendo, così come l’autore del Capitale continuò a fare fino al momento della morte, lo scienziato a verificare e riverificare le proprie precedenti osservazioni e formulazioni. Non in nome del dubbio perenne, sempre insoddisfatto, ma della necessità di chiarire meglio concetti, problemi, sistemi di riferimento teorici che pur sempre nella concreta realtà materiale, sia che si trattasse della lotta di classe oppure delle trasformazione dei meccanismi di accumulazione e sfruttamento del capitalismo, dovevano piantare solidamente i piedi.
Una sfida che Marx accettò, e allo stesso si impose, durante l’intero corso del suo operato. Una sorta di gigantesco work in progress, condotto spesso in solitudine e talvolta nel confronto e con la collaborazione con Friedrich Engels, in cui è possibile inserire e verificare tutti i suoi scritti, dagli Annali Franco-tedeschi del 1844 fino agli ultimi scritti e lettere sulla Russia e le sue tradizioni comunalistiche in uso tra i contadini al servizio dei grandi proprietari terrieri ai tempi dello Zar.
Musto nel corso del suo lavoro, e non soltanto in questo caso, fa riferimento sia all’edizione delle opere di Marx-Engels già uscita in 50 volumi (più vecchia e dal travagliato percorso editoriale, soprattutto in Italia), sia a quella più recente, e tutt’ora i corso di pubblicazione, in 114 (che dovrebbe raccogliere tutti gli scritti e relative revisioni degli stessi, pubblicati e non, ad opera dell’autore). Mentre la prima iniziata ancora ai tempi dell’URSS doveva costituire una sorta di monumento all’opera dei due comunisti, trasformatosi, però, per carenza di materiali, rimozioni politiche e ideologiche e frettolose ricostruzioni in una sorta di fossile critico, l’attuale, pur di più difficile consultazione, finirà di fatto col costituire non tanto l’”opera definitiva” quanto piuttosto quella di riferimento filologico per tutti gli studi a venire.
Da questo punto di vista, all’interno del volume sugli ultimi anni di Marx, risultano importanti e utili le considerazioni contenute nella parte riguardante i motivi per cui Il capitale non fu mai davvero completato in vita dall’autore.
Tra il 1877 e l’inizio del 1881, Marx redasse nuove versioni di diverse parti del Libro Secondo del Capitale. Nel marzo del 1877, ripartì dalla compilazione di un indice, piuttosto esteso, dei materiali precedentemente raccolti. Si concentrò, poi, quasi esclusivamente sulla prima sezione, dedicata a «Le metamorfosi del capitale e il loro ciclo», eseguendo un’esposizione più avanzata del fenomeno della circolazione del capitale. In seguito, nonostante le cagionevoli condizioni di salute e seppure la necessità di effettuare ulteriori ricerche rendesse il lavoro molto saltuario, Marx continuò a occuparsi di diversi argomenti, tra i quali l’ultimo capitolo «Accumulazione e riproduzione allargata». Risale a questo periodo il cosiddetto «Manoscritto VIII» del Libro Secondo in cui, accanto alla ricapitolazione di testi precedenti, Marx preparò nuove bozze che riteneva utili per il proseguimento dell’opera. Egli comprese anche di avere commesso, e reiterato per lungo tempo, un errore di interpretazione, allorquando aveva ritenuto che le rappresentazioni monetarie fossero meramente un velo del contenuto reale delle relazioni economiche2.
Ma ciò che è stato appena qui riportato costituisce soltanto uno dei tanti ripensamenti che in qualche modo frenarono la definitiva stesura e pubblicazione di quella che avrebbe dovuto costituire l’opera definitiva del Moro di Treviri e che, invece, tale non fu e non avrebbe potuto essere. Ai problemi di carattere economico, politico, tecnologico, agrario e monetario che Marx si sforzò di comprendere per dare validità al proprio lavoro, si aggiunsero, oltre a quelli già segnalati di salute e gravi lutti famigliari, anche quelli legati alla traduzione in altre lingue del testo stesso. Fin dalla pubblicazione del primo volume dell’opera (l’unico comparso con l’autore ancora in vita).
Ecco allora che appare evidente la forzatura, iniziata già con Engels, di completare la pubblicazione del secondo e terzo volume basandosi (prima con il lavoro dello stesso amico e sodale tra il 1885 e il 1894 e poi per il quarto, noto anche come Teorie del plusvalore, pubblicato tra il 1905 e il 1910 a cura di Karl Kautsky, ex-segretario personale di Engels e all’epoca massimo esponente della socialdemocrazia tedesca e del marxismo cosiddetto ortodosso) sugli appunti sparsi e disordinatissimi, nonostante il rigore degli studi, dello stesso Marx. Errore che non è stato migliorato, e non poteva esserlo, nemmeno nell’edizione francese della Pléiade delle opere di Marx curata da Maximilien Rubel, in cui, grazie anche al contributo di Suzanne Voute, vecchia militante internazionalista di Marsiglia, sia il secondo che il terzo libro dell’opera stesso venivano, in qualche modo, risistemati sulla base di materiali tralasciati da Engels e Kautsky durante i precedenti lavori di sistemazione.
Riportare qui le vicende di quegli studi ripensati, sospesi e ripresi da Marx sarebbe troppo lungo nell’ambito di una recensione e per questo motivo non si può far altro che rinviare il lettore al teso pubblicato da Donzelli, in cui Musto sottolinea ancora come, ad ogni modo, «lo spirito problematico con il quale Marx scrisse e continuò a ripensare la sua opera palesa l’enorme distanza che lo separa dalla rappresentazione di autore dogmatico, proposta sia da molti avversari che da tanti presunti seguaci»3.
Ma questo carattere distintivo di Marx, questa sua estrema attenzione alla realtà delle cose e alla necessità di una spiegazione dei fatti sociali, economici e politici che fosse pienamente convincentte e utile ai fini dello sviluppo di un vittorioso confronto con l’avversario di classe, lo si può riscontrare anche nei confronti dell’”autonomia” della lotta di classe, del suo naturale svilupparsi a partire dall’azione dei lavoratori e delle loro lotte senza alcuna necessità di attori esterni che spingessero in tale direzione oppure, ancora,nei confronti sollevati dai socialisti rivoluzionari russi, quando questi si rivolsero a Marx e al suo giudizio proprio a proposito della comune contadina rssa e sulle sue potenzialità di sviluppo. Cui Marx rispose in maniera tale da demolire a priori qualsiasi tentativo di dare per scontati cicli storici di sviluppo sociale ed economici forzatamente uguali in ogni angolo del mondo.
Tanti, dopo la morte di Marx, avrebbero innalzato la sua o le sue bandiere, però, come ci ricorda in chiusura Marcello Musto:
Nel corso di questo lungo processo – durante il quale Marx è stato studiato a fondo, trasformato in icona, imbalsamato in manuali di regime, frainteso, censurato, dichiarato morto e, di volta in volta, sempre riscoperto – alcuni hanno completamente stravolto le sue idee con dottrine e prassi che, in vita, egli avrebbe irriducibilmente combattuto. Altri, invece, le hanno arricchite, aggiornate e ne hanno messo in evidenza problemi e contraddizioni, con spirito critico simile a quello da lui sempre adoperato e che egli avrebbe apprezzato.
Coloro che oggi ritornano a sfogliare le pagine dei suoi testi, o quanti si cimentano con essi per la prima volta, non possono che restare affascinati dalla capacità esplicativa dell’analisi economico-sociale di Marx e coinvolti dal messaggio che trapela, incessantemente, da tutta la sua opera: organizzare la lotta per porre fine al modo di produzione borghese e per la completa emancipazione delle lavoratrici e dei lavoratori, di tutto il mondo, dal dominio del capitale4.
Ancora oggi, dunque, è utile tornare ai suoi testi e al suo metodo, anche attraverso le pagine di questo libro.
[1] F. Engels a F. Sorge, cit. ora in M. Musto, L’ultimo Marx. Biografia intellettuale (1881-1883), Donzelli editore, Roma 2023, pp. 252-253.
[2] M. Musto, op. cit. pp. 172-173.
[3] Ibidem, p. 190.
[4] Ibid, pp. 253-254.
Marcello
Musto