Il Marx di Musto
Diciamo fin dall’inizio che questa biografia di Musto su Karl Marx (per il periodo 1857-1883) ha il pregio della leggibilità ed è molto ben documentata.
Marcello Musto è un (giovane) studioso molto preparato e si avvale dei risultati più recenti degli studi del settore: primo tra tutti la Marx-Engels-Gesamtausgabe (chiamata anche MEGA2) che è il fiore all’occhiello dell’Europa degli studi marxisti, ripresa dopo il 1998. Unisce elementi biografici e analisi dei testi in maniera felice, aggiornando e rileggendo con occhi nuovi molte faccende.
Ricordo ancora il rinnovamento di studi che si ebbe negli anni Settanta dello scorso secolo, con la new left la cui rilettura degli Scritti giovanili di Marx (i Grundrisse) si contrappose alla ormai tradizionale e ortodossa lettura del marxismo-leninismo della scuola sovietica. Alcuni (si pensi ad Agnes Heller) preseguiranno oltre il marxismo. Fu, comunque la si voglia leggere, un’aria di rinnovamento – parallela al desiderio di rinnovamento che si avvertiva all’interno degli Stato democratici occidentali a partire dal Sessantotto. Dopo il 1989 sembrava che Marx dovesse essere definitivamente sepolto (almeno nella pubblicistica, perché poi nell’élite dominante Marx lo si è sempre letto, eccome) e invece, proprio con la scomparsa dell’incomoda presenza dell’URSS, gli studiosi marxisti hanno continuato l’opera di scandaglio. Così del resto è avvenuto con Gramsci oggi più conosciuto in India o nel mondo accademico Nord americano che non in Italia.
È un riaccostarsi a Marx da nipoti, non da figli che a tutti i costi debbono difendere una eredità troppo pesante da portare sulle proprie spalle. Ne abbiamo avuto gradevole sentore con un film come “Il giovane Karl Marx” (2017) regia di Raoul Peck [1] che del resto sembra fare da anticamera a questo saggio di Musto, coprendo il film proprio gli anni antecedenti al 1857. Per chi anzi è alle prime armi può essere un’ottima introduzione a questo saggio. Come del resto un approfondimento su alcune tematiche lo si ha nella biografia che su Marx scrisse Nicolao Merker [2]: quello di Musto e quello di Merker andrebbero letti insieme, l’uno a integrare l’altro come due mani che si intrecciano.
C’è stato un tempo, gli anni Settanta del Novecento, che si era sviluppato in Italia un gergo linguistico che usava il marxismo come punto di riferimento esibito; il “sinistrese” permetteva ai giovani sacerdoti del culto politico di esibirsi in criptiche e perentorie affermazioni sull’inevitabilità della rivoluzione, parlando di “fase” e di “crisi”. Le loro venivano chiamate “analisi”, e il loro discorsi invece di risentite liste piccolo borghesi di formulari imparate a memoria venivano spacciate come profetiche rivelazioni iniziatiche; loro, nel ruolo dei profeti e tutti gli altri il volgo che doveva seguirli pendenti dalle loro bocche -. Per rigetto, dopo gli anni “di piombo”, negli anni Ottanta cominciò il riflusso: le nuove generazioni hanno smesso di leggere, la campana dominante stavolta era il neoliberismo e la prevalenza del più ricco. Rigetto del politichese, a favore di una diffusa ignoranza della politica, a beneficio delle classi al potere che ne hanno presto approfittato per abbattere welfare e conquiste/elargizioni democratiche. Strani andamenti sinusoidali della storia. La lettura che si è fatta di Marx ha seguito gli andazzi di questa storia: un marxismo degli anni Settanta da cui Marx si era già dissociato quando era in vita (“Io non sono marxista” [3]), e il marxismo letto dalle classi al potere, arma usata contro quelle classi subalterne che Marx avrebbe invece voluto aiutare con le sue analisi e i suoi scritti.
In questa storia ci sono state poche luci. Alcune cose, certamente, provenienti dagli ultimi studi del new left. La rilettura dirompente che il femminismo ha fatto della biografia di Marx, liberandolo dagli impaludamenti del dogma. Una delle cose migliori che mi capitò di vedere a teatro: Marx, la moglie e la fedele governante, scritto da Adele Cambria e andata in scena la prima volta, per volontà di Elsa dè Giorgi, nel 1981. Per me fu la prima volta in cui sono inciampato nella biografia reale di Marx: i figli morti di fame, la governante incinta ecc_. I tempi cambiavano, il punto di vista permetteva – mutando – di vedere luci e ombre. Lo sberleffo può essere necessario per fuoriuscire dall’impaludamento del dogmatismo.
E oggi, ancora una volta, possiamo riaddattare i nostri occhi a una rilettura di Marx. Musto fa un’ottima commistione tra biografia e Marx studioso, senza nulla nascondere. Senza scadere nel biografismo (ma Marx scrisse “proletari di tutto il mondo unitevi” perché allora soffriva di prurito alle parti intime?). Il Marx che leggeva gialli e che si allenava con esercizi matematici quando la malattia gli impediva di scrivere. La curiosità intellettuale di Marx che si occupava di fisica, di geologia, e di mille altre cose. Giustamente Musto rileva le proiezioni del pensiero di Marx oltre l’eurocentrismo (che è stata la lettura dominante nel Novecento), verso i Paesi che emergevano via via all’attenzione degli studiosi: l’Africa, la Russia, i Paesi orientali ecc_, quelli che sarebbero divenuti Terzomondo; ma anche l’attenzione verso gli Stati Uniti che cominciavano allora a evolversi da paese di frontiera a paese economicamente avanzato. Un orizzonte, una visuale che Marx aveva, enormemente più grande e avanzata rispetto ai suoi contemporanei – anche grazie alle biblioteche di Londra che potevano usufruire della centralità economica dell’Inghilterra nell’Ottocento -, e spesso molto più avanzata di molti studiosi e politici a noi contemporanei. Rileggere Marx oggi, con i nostri occhi di nipoti e non di figli, è quanto mai necessario e utile.
Marcello
Musto