Ripensare Marx e i marxismi. Studi e saggi
Che negli ultimi anni si stia verificando una vera e propria Marx-Renaissance è un dato di fatto: riferimenti al filosofo di Treviri sono sempre più diffusi nella carta stampata e un crescente interesse per la sua riflessione politica, economica e filosofica si va manifestando in ambito accademico, italiano e non solo (si pensi solo all’ultima monografia di M. Tomba, Strati di tempo. Karl Marx materialista storico, Jaca Book, Milano, 2011, o al saggio di E. Hobsbawm, Come cambiare il mondo. Perché riscoprire l’eredità del marxismo, Rizzoli, Milano, 2011).
Entro tale tendenza il saggio di Musto si inserisce appieno: giunto ormai alla seconda ristampa (marzo 2013), il volume raccoglie saggi già pubblicati fra il 2005 e il 2010 «su Marx e sui marxismi» (p. 15), come afferma l’Autore riecheggiando il titolo. Questo, invero, è quantomai emblematico nella sua duplice chiave di lettura: se Ripensare Marx e i marxismi implica, da un lato, la convinzione della rinnovata attualità del pensiero marxiano nel presente quadro storico-politico mondiale, dall’altro rappresenta un esplicito richiamo al contesto di ricerche sul pensiero marxiano che si sono andati sviluppando a partire dal 1990 con la ripresa dei lavori all’edizione critica delle opere di Marx e di Engels, la Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA2). Ciò che del libro di Musto balza subito all’occhio è d’altronde il suo carattere metodologicamente avanzato: forte di una lunga pratica dei testi marxiani – Musto ha recentemente pubblicato una nuova edizione dell’Introduzione del ’57 (K. Marx, Introduzione alla critica dell’economia politica, Quodlibet, Macerata, 2010) oltre che un’antologia di testi sull’alienazione (K. Marx, L’alienazione, Donzelli, Roma, 2010) – l’Autore ha saputo coniugare la discussione teorica con un accurato lavoro di analisi storica, di indagine delle fonti e di ricostruzione delle vicende relative alla travagliata genesi delle opere di Marx, mettendo a frutto le più recenti acquisizioni filologiche emerse dalla pubblicazione degli ultimi volumi della MEGA2. Proprio questo elemento “critico” rappresenta a mio avviso la parte migliore del lavoro, che ha ben assolto alla «duplice esigenza» a cui in sede di premessa si riproponeva di rispondere, ovvero alla necessità di «approfondire alcune tappe della biografia di Marx e di porre in risalto i limiti interpretativi di numerosi commentatori della sua opera e presunti seguaci del suo pensiero» (p. 15). La stessa struttura della raccolta appare improntata a tale duplice scopo: il volume è suddiviso in due parti, una dedicata allo studio delle vicende biografiche e dell’opera di Marx fra il 1818 e il 1860 (pp. 23-186) e l’altra all’analisi della diffusione e della ricezione del suo pensiero nel marxismo successivo (pp. 189-341). Nella prima sezione Musto va delineando alcune tappe di una biografia marxiana che appare peculiare per due motivi: in primo luogo perché, come egli stesso ammette (pp. 15-16), estremamente parziale; quindi perché “letterariamente” orientata. Più che sui rivolgimenti storico-politici del XIX secolo o sulla “microstoria” dell’esistenza quotidiana del filosofo è infatti soprattutto sugli scritti di Marx che si concentra l’attenzione di Musto, che, attingendo a piene mani dal ricco epistolario marxiano (e in particolare dal carteggio con Engels), ricostruisce nel dettaglio il contesto nel quale essi sorgono e rende conto dei successivi momenti dell’elaborazione marxiana attingendo al voluminoso materiale preparatorio (manoscritti e quaderni di estratti) di recente pubblicato nella quarta sezione della MEGA2 (Exzerpte, Notizen, Marginalien) o, talvolta, ancora inedito (cfr. ad esempio il riferimento alle citazioni marxiane dalla Letteratura del Sud dell’Europa di Sismondi – p. 145). Assai preziose sono, in tale contesto, le tabelle cronologiche relative ai manoscritti e ai quaderni di appunti marxiani che l’Autore pone in appendice al secondo e al terzo capitolo (cfr. pp. 63-67 e 104-105). Oltre che scrupolo filologico, la sua insistenza sulla rilevanza delle fasi “intermedie” della ricerca di Marx è d’altra parte una conseguenza della convinzione, più volte ribadita nel corso nel testo, della natura perennemente in fieri del lavoro marxiano, del suo carattere “incompiuto” (cfr. p. 164 et passim – Musto non manca di rammentarlo continuamente al lettore attraverso l’espediente grafico di inserire i titoli dei testi non pubblicati da Marx tra parentesi quadre; cfr. p. 19). Ciò emerge con particolare evidenza qualora si prenda in considerazione la riflessione marxiana sull’economia politica, alla quale Musto accorda una netta preferenza nella sua trattazione (quattro dei sei capitoli “biografici” sono infatti dedicati a tale questione). Particolarmente significativo è sotto questo punto di vista il terzo capitolo, dedicato agli studi economici marxiani fra la metà degli anni Quaranta e la stesura dei Grundrisse (pp. 69-105, che insieme al secondo (pp. 45-67), dedicato agli studi economici del 1844, e al quinto (pp. 151-169), nel quale si analizza il contesto biografico in cui sono sorti i Grundrisse, costituisce una sorta di “trittico” dedicato agli anni centrali e più “movimentati” della vita di Marx, fra il soggiorno parigino e i primi tempi dell’esilio londinese. Ivi l’Autore compie una disamina puntuale dei numerosi quaderni di estratti e di appunti compilati fra il trasferimento in Belgio (1845) e il crack finanziario del 1857, mettendo in rilievo come, a partire dal 1850, vada emergendo nel pensiero di Marx il tema della crisi economica nonché quello, ad esso strettamente correlato, della previsione della crisi e quindi della rivoluzione («Attraverso questi nuovi studi [quelli sull’analisi della congiuntura economica degli anni antecedenti al 1848] la crisi economica acquisì definitivamente un’importanza fondamentale nel suo pensiero e non soltanto in termini economici, ma anche dal punto di vista sociologico e politico» – p. 78). Il Leitmotiv che tiene assieme tutti (o quasi) i saggi contenuti della prima parte del volume è del resto proprio l’incessante lavorio alla sua «“Economia”» (p. 101 et passim), la cui pubblicazione fu più volte annunciata e poi rimandata, oltre che per contingenze esterne, anche e soprattutto a causa della «natura ipercritica» di Marx nei confronti delle sue stesse elaborazioni concettuali (p. 163). Che egli non si risolvesse a rendere pubbliche le sue teorie economiche non significa tuttavia che non fosse convinto della necessità di uno scoppio rivoluzionario più o meno a breve termine; come ha ben messo in rilievo l’Autore, nella figura di Marx sono imbricati in maniera indissolubile lo storico dell’economia e il teorico della rivoluzione (cfr. p. 160). Che proprio questa compresenza di passione politica e di analisi scientifica sia alla base della “fortuna” (e al tempo stesso della “sfortuna”) del pensiero marxiano, Musto lo dimostra nella seconda parte del libro, dedicata alla ripresa dell’opera di Marx da parte del marxismo successivo. Dopo un primo capitolo in cui introduce la questione facendo il punto sulle vicende relative all’edizione delle opere di Marx e di Engels dalle origini sino alla MEGA2 (pp. 189-224), nei saggi successivi egli approfondisce i casi di singole opere marxiane (edite durante la vita di Marx, come il Manifesto, o inedite, come i Manoscritti economico-filosofici del ’44 e i Grundrisse) nonché di uno dei concetti marxiani più famosi, quello di alienazione (pp. 307-341). L’impegno “critico” dell’Autore si manifesta in questo caso su due fronti, quello dell’analisi delle circostanze storiche e politiche che hanno visto la pubblicazione degli scritti di Marx e quello della discussione delle interpretazioni del marxismo successivo e della loro fedeltà al pensiero marxiano. Per quanto riguarda il primo aspetto, la trattazione di Musto è a mio avviso particolarmente interessante: sulla scorta di una minuta ricostruzione dei tempi e dei modi della pubblicazione delle opere di Marx (si segnalano ancora una volta le utilissime tabelle riassuntive inserite dall’Autore; cfr. pp. 270-272, 290-292 e 304-305) egli ha messo in evidenza il fatto che il significato politico dei suoi scritti sia spesso prevalso sul loro effettivo contenuto e che la vulgata del materialismo storico sia qualcosa di ben diverso e più “povero” rispetto all’autentico pensiero marxiano (il riferimento è ovviamente, in primo luogo, alle forzature e ai tagli imposti a Marx da parte del regime sovietico in nome della costruzione del marxismo-leninismo – cfr. pp. 194-198). A partire dalle vicissitudini del Nachlaß marxiano l’Autore passa quindi a trattare la questione delle letture di Marx da parte degli interpreti successivi, sottolineandone gli aspetti problematici. Un caso esemplare è rappresentato da quello che Musto definisce «il mito del “giovane Marx”» e su cui si sofferma nell’ottavo capitolo (pp. 225-272). Sulla base della ricostruzione delle vicende relative alla sua pubblicazione egli mostra come sull’inedito marxiano si siano sviluppate nel tempo tre diverse posizioni: una prima, inaugurata nel 1932 dai socialdemocratici tedeschi Landshut e Mayer e quindi fatta propria da «una minoranza eterogenea di marxisti eterodossi, pensatori cristiani progressisti e filosofi esistenzialisti» secondo la quale i Manoscritti del ’44 costituirebbero «il testo di maggior valore di Marx», il cui pensiero andrebbe dunque interpretato come una «dottrina etico-umanistica» (pp. 264-266); una seconda che afferma l’esistenza di una netta “cesura” fra il Marx “minore” degli scritti giovanili e quello “maggiore” del Capitale, diffusa perlopiù in Unione Sovietica ma assai popolare anche in Occidente grazie all’influenza di Althusser (pp. 266-267); una terza posizione, infine, di «continuità» fra le opere giovanili e quelle della maturità condivisa da «autori di diverse matrici politiche e teoriche» e che, se «originò lo sviluppo di alcune delle migliori interpretazioni dei [Manoscritti economico-filosofici del 1844]», non fu però del tutto priva di difetti (p. 267-268). L’obiettivo perseguito dall’Autore è insomma quello di liberare Marx dalle “incrostazioni” che nel corso dei decenni ne hanno stravolto la fisionomia, riconsegnando ai lettori un pensiero che, proprio in quanto ricondotto alla sua forma autentica, possa fungere da utile strumento per affrontare le difficili sfide della contemporaneità (che lo sguardo di Musto sia puntato sul presente emerge da numerose osservazioni disseminate nel testo; cfr. ad esempio pp. 303-304). L’auspicio è, in conclusione, che l’approccio a Marx qui suggerito possa essere ripreso e applicato anche ad altri “tasselli” della riflessione del filosofo tedesco (e in primis a mio avviso alla sua opera storica, troppo spesso trascurata dagli studiosi – sulla questione anche l’Autore non si sofferma, sebbene qualche cenno sia contenuto nel capitolo dedicato all’analisi de Il signor Vogt – cfr. p. 173) completando il lavoro di ricostruzione dell’autentico pensiero marxiano.
Marcello
Musto