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Odissea e nuove prospettive dell’opera di Marx

I. Incompiutezza versus sistematizzazione
Pochi uomini hanno scosso il mondo come Karl Marx. Alla sua scomparsa, passata pressoché inosservata, fece immediatamente seguito, con una rapidità che nella storia ha rari esempi ai quali poter essere confrontata, l’eco della fama. Ben presto, il nome di Marx fu sulle bocche dei lavoratori di Chicago e Detroit, così come su quelle dei primi socialisti indiani a Calcutta. La sua immagine fece da sfondo al congresso dei bolscevichi a Mosca dopo la rivoluzione. Il suo pensiero ispirò programmi e statuti di tutte le organizzazioni politiche e sindacali del movimento operaio, dall’intera Europa sino a Shanghai. Le sue idee hanno irreversibilmente stravolto la filosofia, la storia, l’economia.

Eppure, nonostante l’affermazione delle sue teorie, trasformate nel XX secolo in ideologia dominante e dottrina di Stato per una gran parte del genere umano e l’enorme diffusione dei suoi scritti, egli rimane, ancora oggi, privo di un’edizione integrale e scientifica delle proprie opere. Tra i più grandi autori, questa sorte è toccata esclusivamente a lui.

Ragione primaria di questa particolarissima condizione risiede nel carattere largamente incompleto della sua opera. Se si escludono, infatti, gli articoli giornalistici editi nel quindicennio 1848-1862, gran parte dei quali destinati al «New-York Tribune», all’epoca uno dei più importanti quotidiani del mondo, i lavori pubblicati furono relativamente pochi, se comparati ai tanti realizzati solo parzialmente ed all’imponente mole di ricerche svolte. Emblematicamente, quando nel 1881, in uno dei suoi ultimi anni di vita, Marx fu interrogato da Karl Kautsky, circa l’opportunità di un’edizione completa delle sue opere, egli rispose: «queste dovrebbero prima di tutto essere scritte» [3].

Marx lasciò, dunque, molti più manoscritti di quanti non ne diede invece alle stampe. Contrariamente a come in genere si ritiene, la sua opera fu frammentaria e talvolta contraddittoria, aspetti che ne evidenziano una delle caratteristiche peculiari: l’incompiutezza. Il metodo oltremodo rigoroso e l’autocritica più spietata, che determinarono l’impossibilità di condurre a termine molti dei lavori intrapresi; le condizioni di profonda miseria ed il permanente stato di cattiva salute, che lo attanagliarono per tutta la vita; l’inestinguibile passione conoscitiva, che restò inalterata nel tempo spingendolo sempre verso nuovi studi; ed infine, la gravosa consapevolezza acquisita con la piena maturità della difficoltà di rinchiudere la complessità della storia in un progetto teorico, fecero proprio dell’incompiutezza la fedele compagna e la dannazione dell’intera produzione di Marx e della sua stessa esistenza. Il colossale piano della sua opera non fu portato a termine che per un’esigua parte, risolvendo in un fallimento letterario le sue incessanti fatiche intellettuali, che non per questo si mostrarono meno geniali e feconde di straordinarie conseguenze.

Tuttavia, nonostante la frammentarietà del Nachlass [lascito] di Marx e la sua ferma contrarietà ad erigere un’ulteriore dottrina sociale, l’opera incompiuta fu sovvertita e un nuovo sistema, il «marxismo», poté sorgere. Dopo la morte di Marx, avvenuta nel 1883, fu Friedrich Engels a dedicarsi per primo alla difficilissima impresa, stante la dispersività dei materiali, l’astrusità del linguaggio e l’illeggibilità della grafia, di dare alle stampe l’eredità letteraria dell’amico. Il lavoro si concentrò sulla ricostruzione e selezione degli originali, sulla pubblicazione dei testi inediti o incompleti e, contemporaneamente, sulle riedizioni e traduzioni degli scritti già noti.

Anche se vi furono delle eccezioni, come nel caso delle Tesi su Feurbach, edite nel 1888 in appendice al suo Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, e della Critica al programma di Gotha, uscita nel 1891, Engels privilegiò quasi esclusivamente il lavoro editoriale per il completamento de Il capitale, del quale era stato portato a termine soltanto il libro primo. Questo impegno, durato oltre un decennio, fu perseguito con il preciso intento di realizzare «un’opera organica e il più possibile compiuta». Tale scelta, seppur rispondente ad esigenze comprensibili, produsse il passaggio da un testo parziale e provvisorio, composto in molte parti da «pensieri scritti in statu nascendi» e da appunti preliminari che Marx era solito riservarsi per ulteriori elaborazioni dei temi trattati, ad un altro unitario, dal quale originava la parvenza di una teoria economica sistematica e conclusa. Così, nel corso della sua attività redazionale, basata sulla cernita di quei testi che si presentavano non come versioni finali quanto, invece, come vere e proprie varianti e sulla esigenza di uniformarne l’insieme, Engels più che ricostruire la genesi e lo sviluppo del secondo e del terzo libro de Il capitale, ben lontani dalla loro definitiva stesura, consegnò alle stampe dei volumi finiti [4].

D’altronde, in precedenza, egli aveva contribuito a generare un processo di sistematizzazione teorica già direttamente con i suoi scritti. L’Anti-Dühring, apparso nel 1878, da lui definito l’«esposizione più o meno unitaria del metodo dialettico e della visione comunista del mondo rappresentati da Marx e da me» [5], divenne il riferimento cruciale nella formazione del «marxismo» come sistema e nella differenziazione di questo dal socialismo eclettico, in quel periodo prevalente.

Ancora maggiore incidenza ebbe L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza, rielaborazione, a fini divulgativi, di tre capitoli dello scritto precedente che, pubblicata per la prima volta nel 1880, conobbe fortuna analoga a quella del Manifesto del partito comunista. Seppur vi fu una netta distinzione tra questo tipo di volgarizzazione, compiuta in aperta polemica con le scorciatoie semplicistiche delle sintesi enciclopediche, e quello di cui si rese invece protagonista la successiva generazione della socialdemocrazia tedesca, il ricorso di Engels alle scienze naturali aprì la strada alla concezione evoluzionistica che, di lì a poco, si sarebbe affermata anche nel movimento operaio.

Il pensiero di Marx, pur se a volte attraversato da tentazioni deterministiche, indiscutibilmente critico ed aperto, cadde sotto i colpi del clima culturale dell’Europa di fine Ottocento, pervaso, come non mai, da concezioni sistematiche, prima tra tutte il darwinismo. Per rispondere ad esse ed al bisogno di ideologia che avanzava anche tra le file del movimento dei lavoratori, il neonato «marxismo», che andava sempre più estendendosi da teoria scientifica a dottrina politica – divenuto precocemente ortodossia sulle pagine della rivista «Die Neue Zeit» diretta da Kautsky – assunse rapidamente medesima conformazione sistemica. In questo contesto, la diffusa ignoranza ed avversione all’interno del partito tedesco nei riguardi di Hegel, vero e proprio arcano impenetrabile, e della sua dialettica, ritenuta finanche «l’elemento infido della dottrina marxista, l’insidia che intralcia ogni considerazione coerente delle cose» [6], giocarono un ruolo decisivo.

Ulteriori fattori che contribuirono a consolidare definitivamente la trasformazione dell’opera di Marx in sistema, sono rintracciabili nelle modalità che ne accompagnarono la diffusione. Com’è dimostrato dalla tiratura ridotta delle edizioni dell’epoca dei suoi testi, ne furono privilegiati opuscoli di sintesi e compendi molto parziali. Alcune delle sue opere, inoltre, recavano gli effetti delle strumentalizzazioni politiche. Comparvero, infatti, le prime edizioni rimaneggiate dai curatori, pratica che, favorita dall’incertezza del lascito marxiano, andò, in seguito, sempre più imponendosi insieme con la censura di alcuni scritti.

La forma manualistica, notevole veicolo di esportazione del pensiero di Marx nel mondo, rappresentò sicuramente uno strumento molto efficace di propaganda, ma anche l’alterazione fatale della concezione iniziale. La divulgazione della sua opera, dal carattere complesso ed incompiuto, nell’incontro col positivismo e per meglio rispondere alle esigenze pratiche del partito proletario, si tradusse, infine, in impoverimento e volgarizzazione del patrimonio originario [7], fino a renderlo irriconoscibile trasfigurandolo da Kritik a Weltanschauung.

Dallo sviluppo di questi processi, prese corpo una dottrina dalla schematica ed elementare interpretazione evoluzionistica, intrisa di determinismo economico: il «marxismo» del periodo della Seconda Internazionale (1889-1914). Guidata da una ferma quanto ingenua convinzione del procedere automatico della storia, e dunque dell’ineluttabile successione del socialismo al capitalismo, essa si mostrò incapace di comprendere l’andamento reale del presente e, rompendo il necessario legame con la prassi rivoluzionaria, produsse una sorta di quietismo fatalistico che si tramutò in fattore di stabilità per l’ordine esistente. Si palesava in questo modo la profonda lontananza da Marx, che già nella sua prima opera aveva dichiarato: «la storia non fa niente (…) non è la ‘storia’ che si serve dell’uomo come mezzo per attuare i propri fini, come se essa fosse una persona particolare; essa non è altro che l’attività dell’uomo che persegue i suoi fini» [8].

La «teoria del crollo», ovvero la tesi della fine incombente della società capitalistico-borghese, che ebbe nella crisi economica della Grande Depressione, dispiegatasi lungo il ventennio successivo al 1873, il contesto più favorevole per esprimersi, fu proclamata come l’essenza più intima del socialismo scientifico. Le affermazioni di Marx, volte a delineare i principi dinamici del capitalismo e, più in generale, a descriverne una tendenza di sviluppo, furono trasformate in leggi storiche universalmente valide dalle quali far discendere, sin nei particolari, il corso degli eventi.

L’idea di un capitalismo agonizzante, autonomamente destinato al tramonto, fu presente anche nell’impianto teorico della prima piattaforma interamente «marxista» di un partito politico, Il programma di Erfurt del 1891, e nel commento che ne fece Kautsky che enunciava come «l’inarrestabile sviluppo economico porta alla bancarotta del modo di produzione capitalistico con necessità di legge naturale. La creazione di una nuova forma di società al posto di quella attuale non è più solo qualcosa di desiderabile ma è diventata inevitabile» [9]. Esso fu la rappresentazione, più significativa ed evidente, dei limiti intrinseci all’elaborazione dell’epoca, nonché dell’abissale distanza prodottasi da colui che ne era stato l’ispiratore.

Lo stesso Eduard Bernstein, che concependo il socialismo come possibilità e non come ineluttabilità aveva segnato una discontinuità con le interpretazioni in quel periodo dominanti, operò una lettura di Marx altrettanto artefatta che non si discostava minimamente da quelle del tempo e contribuì a diffonderne, mediante la vasta risonanza che ebbe il Bernstein-Debatte, un’immagine egualmente alterata e strumentale.

Il «marxismo» russo, che nel corso del Novecento svolse un ruolo fondamentale nella divulgazione del pensiero di Marx, seguì questa traiettoria di sistematizzazione e volgarizzazione con un irrigidimento persino maggiore. Per il suo più importante pioniere, Gheorghi Plekhanov, infatti, «il marxismo è una completa concezione del mondo» [10], improntata ad un semplicistico monismo in base al quale le trasformazioni sovrastrutturali della società procedono in maniera simultanea alle modificazioni economiche. In Materialismo ed empiriocriticismo del 1909, Lenin definisce il materialismo come «il riconoscimento della legge obiettiva della natura, e del riflesso approssimativamente fedele di questa legge nella testa dell’uomo». La volontà e la coscienza del genere umano devono «inevitabilmente e necessariamente»[11] adeguarsi alla necessità della natura. Ancora una volta a prevalere è l’impostazione positivistica.

Dunque, a dispetto dell’aspro scontro ideologico apertosi durante quegli anni, molti degli elementi teorici caratteristici della deformazione operata dalla Seconda Internazionale trapassarono in quelli che avrebbero contrassegnato la matrice culturale della Terza Internazionale. Questa continuità si manifestò, con ancora più evidenza, in Teoria del materialismo storico, pubblicato nel 1921 da Nikolaj Bucharin, secondo il quale «sia nella natura che nella società, i fenomeni sono regolati da determinate leggi. Il primo compito della scienza è scoprire questa regolarità». L’esito di questo determinismo sociale, interamente incentrato sullo sviluppo delle forze produttive, generò una dottrina secondo la quale «la molteplicità delle cause che fanno sentire la loro azione nella società non contraddice affatto l’esistenza di una legge unica dell’evoluzione sociale» [12].

La critica di Antonio Gramsci, che si oppose a siffatta concezione, per la quale la «posizione del problema come una ricerca di leggi, di linee costanti, regolari, uniformi è legata a una esigenza, concepita in modo un po’ puerile e ingenuo, di risolvere perentoriamente il problema pratico della prevedibilità degli accadimenti storici», riveste particolare interesse. Il suo netto rifiuto a restringere la filosofia della praxis marxiana a grossolana sociologia, a «ridurre una concezione del mondo a un formulario meccanico che dà l’impressione di avere tutta la storia in tasca» [13], fu tanto più importante poiché si spingeva oltre lo scritto di Bucharin e mirava a condannare quell’orientamento assai più generale che sarebbe poi prevalso, in maniera incontrastata, in Unione Sovietica.

Con l’affermazione del «marxismo-leninismo», il processo di snaturamento del pensiero di Marx conobbe la sua definitiva manifestazione. La teoria fu estromessa dalla funzione di guida dell’agire, divenendone, viceversa, giustificazione a posteriori. Il punto di non ritorno fu raggiunto con il «Diamat» (Dialekticeskij materialzm), «la concezione del mondo del partito marxista-leninista». L’opuscolo di Stalin del 1938, Del materialismo dialettico e del materialismo storico, che ebbe una straordinaria diffusione, ne fissava i tratti essenziali: i fenomeni della vita collettiva sono regolati da «leggi necessarie dello sviluppo sociale», «perfettamente conoscibili»; «la storia della società si presenta come uno sviluppo necessario della società, e lo studio della storia della società diventa una scienza».

Ciò «vuol dire che la scienza della storia della società, nonostante tutta la complessità dei fenomeni della vita sociale, può diventare una scienza altrettanto esatta quanto, ad esempio, la biologia, capace di utilizzare le leggi di sviluppo della società per servirsene nella pratica» [14] e che, di conseguenza, compito del partito del proletariato è fondare la propria attività in base a queste leggi. È evidente come il fraintendimento intorno ai concetti di «scientifico» e «scienza» fosse giunto al suo culmine. La scientificità del metodo marxiano, fondata su criteri teorici scrupolosi e coerenti, fu sostituita con il modo di procedere delle scienze naturali che non contemperava contraddizione alcuna.

Accanto a questo catechismo ideologico, trovò terreno fertile il più rigido ed intransigente dogmatismo. Completamente estraneo ed avulso dalla complessità sociale, esso si sosteneva, come sempre accade quando si propone, con un’arrogante quanto infondata cognizione della realtà. Circa l’inesistente legame con Marx, basta ricordare il suo motto preferito: de omnibus dubitandum.

L’ortodossia «marxista-leninista» impose un’inflessibile monismo che non mancò di produrre effetti perversi anche sugli scritti di Marx. Inconfutabilmente, con la Rivoluzione Sovietica il «marxismo» visse un significativo momento di espansione e circolazione in ambiti geografici e classi sociali dai quali era, sino ad allora, stato escluso.

Tuttavia, ancora una volta, la diffusione dei testi, più che riguardare direttamente quelli di Marx, concerneva manuali di partito, vademecum, antologie «marxiste» su svariati argomenti. Inoltre, invalse sempre più la censura di alcune opere, lo smembramento e la manipolazione di altre, così come la pratica dell’estrapolazione e dell’astuto montaggio delle citazioni. A queste, il cui ricorso rispondeva a fini preordinati, venne destinato lo stesso trattamento che il brigante Procuste riservava alle sue vittime: se troppo lunghe venivano amputate, se troppo corte allungate.

In conclusione, il rapporto tra la divulgazione e la non schematizzazione di un pensiero, a maggior ragione per quello critico e volutamente non sistemico di Marx, tra la sua popolarizzazione e l’esigenza di non impoverirlo, è senz’altro impresa difficile da realizzare. In ogni caso a Marx non poté capitare di peggio.
Piegato da più parti in funzione di contingenze e necessità politiche, venne a queste assimilato e nel loro nome vituperato. La sua teoria, da critica quale era, fu utilizzata a mo’ di esegesi di versetti biblici.

Nacquero così i più impensabili paradossi. Contrario a «prescrivere ricette (…) per l’osteria dell’avvenire» [15], fu trasformato, invece, nel padre illegittimo di un nuovo sistema sociale. Critico rigorosissimo e mai pago di punti d’approdo, divenne la fonte del più ostinato dottrinarismo. Strenuo sostenitore della concezione materialistica della storia, è stato sottratto al suo contesto storico più d’ogni altro autore. Certo «che l’emancipazione della classe operaia dev’essere opera dei lavoratori stessi» [16], venne ingabbiato, al contrario, in una ideologia che vide prevalere il primato delle avanguardie politiche e del partito nel ruolo di propulsori della coscienza di classe e di guida della rivoluzione. Convinto assertore dell’abolizione dello Stato, si ritrovò ad esserne identificato come suo baluardo. Interessato come pochi altri pensatori al libero sviluppo delle individualità degli uomini, affermando, contro il diritto borghese che cela le disparità sociali dietro una mera uguaglianza legale, che «il diritto, invece di essere uguale, dovrebbe essere diseguale» [17], è stato accomunato ad una concezione che ha neutralizzato la ricchezza della dimensione collettiva nell’indistinto dell’omologazione.

L’incompiutezza originaria del grande lavoro critico di Marx soggiacque alle spinte della sistematizzazione degli epigoni che produssero, inesorabilmente, lo snaturamento del suo pensiero sino ad obliterarlo ed a divenirne sua manifesta negazione.

II. Un autore misconosciuto
«Gli scritti di Marx ed Engels (…) furon essi mai letti per intero da nessuno, il quale si trovasse fuori dalla schiera dei prossimi amici ed adepti, e quindi, dei seguaci e degl’interpreti diretti degli autori stessi?» Così Antonio Labriola andava interrogandosi, nel 1897, su quanto fosse sino ad allora conosciuto delle loro opere. Le sue conclusioni furono inequivocabili: «il leggere tutti gli scritti dei fondatori del socialismo scientifico è parso fino ad ora come un privilegio da iniziati»; il «materialismo storico» era giunto fra i popoli di lingue neolatine «attraverso una infinità di equivoci, di malintesi di alterazioni grottesche, di strani travestimenti e di gratuite invenzioni» [18]. Un «marxismo» immaginario.

In effetti, come poi dimostrato dalla successiva ricerca storiografica, la convinzione che Marx ed Engels fossero stati veramente letti è stata il frutto di una leggenda agiografica. Al contrario, molti dei loro testi erano rari o irreperibili anche in lingua originale e, dunque, l’invito dello studioso italiano: dare vita ad «una edizione completa e critica di tutti gli scritti di Marx ed Engels», indicava un’ineludibile necessità generale. Per Labriola, non bisognava compilare antologie, bensì «tutta la operosità scientifica e politica, tutta la produzione letteraria, sia pur essa occasionale, dei due fondatori del socialismo critico, deve essere messa alla portata dei lettori (…) perché essi parlino direttamente a chiunque abbia voglia di leggerli» [19]. Oltre un secolo dopo il suo auspicio, questo progetto non è stato ancora realizzato.

Accanto a queste valutazioni prevalentemente filologiche, Labriola ne avanzava altre di carattere teorico, di sorprendente lungimiranza in relazione all’epoca nella quale visse. Egli considerava tutti gli scritti ed i lavori di circostanza di Marx ed Engels non portati a termine come «i frammenti di una scienza e di una politica, che è in continuo divenire». Per evitare di cercare al loro interno «ciò che non c’è, e non ci ha da essere», ovvero «una specie di volgata o di precettistica per la interpretazione della storia di qualunque tempo e luogo», essi potevano essere pienamente compresi solo se ricollegati al momento ed al contesto della loro genesi. Diversamente, coloro i quali «non intendono il pensare ed il sapere come operosità che sono in fieri», ossia «i dottrinari e i presuntuosi d’ogni genere, che han bisogno degl’idoli della mente, i facitori di sistemi classici buoni per l’eternità, i compilatori di manuali e di enciclopedie, cercheranno per torto e per rovescio nel marxismo ciò che esso non ha mai inteso di offrire a nessuno» [20]: una soluzione sommaria e fideistica ai quesiti della storia.

Naturale esecutore della realizzazione dell’opera omnia non avrebbe potuto essere che la Spd, detentrice del Nachlass e delle maggiori competenze linguistiche e teoriche. Tuttavia, i conflitti politici in seno alla Socialdemocrazia, non solo impedirono la pubblicazione dell’imponente e rilevante massa dei lavori inediti di Marx, ma produssero anche la dispersione dei suoi manoscritti, compromettendo ogni ipotesi di edizione sistematica. Incredibilmente il partito tedesco non ne curò alcuna, trattando l’eredità letteraria di Marx ed Engels con la massima negligenza. Nessuno tra i suoi teorici si occupò di stilare un elenco del lascito intellettuale dei due fondatori, composto da molti manoscritti incompleti e progetti incompiuti. Tanto meno vi fu chi si dedicò a raccogliere la corrispondenza, voluminosissima ma estremamente disseminata, pur essendo utilissima come fonte di chiarimento, quando non addirittura continuazione, dei loro scritti. La biblioteca, infine, contenente i libri da loro posseduti recanti gli interessanti marginalia e sottolineature, fu ignorata, dispersa e solo in seguito parzialmente ricostruita e catalogata.

La prima pubblicazione delle opere complete, la Marx Engels Gesamtausgabe (MEGA), prese avvio solamente negli anni Venti, per iniziativa di David Borisovič Rjazanov, principale conoscitore di Marx nel Novecento e direttore dell’Istituto Marx-Engels di Mosca. Anche quest’impresa, però, naufragò a causa delle tempestose vicende del movimento operaio internazionale che troppo spesso ostacolarono anziché favorire l’edizione dei loro testi. Le epurazioni dello stalinismo in Unione Sovietica, che s’abbatterono anche sugli studiosi che guidavano il progetto, e l’avvento del nazismo in Germania, portarono alla precoce interruzione dell’edizione, vanificando anche questo tentativo. Si produsse così la contraddizione assoluta della nascita di un’ideologia inflessibile che s’ispirava ad un autore la cui gigantesca opera era in parte ancora inesplorata. L’affermazione del «marxismo» e la sua cristallizzazione in corpus dogmatico precedettero la conoscenza di testi la cui lettura era indispensabile per comprendere la formazione e l’evoluzione del pensiero di Marx [21].

I principali lavori giovanili, infatti, furono dati alle stampe solo con la MEGA: Dalla critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico nel 1927, i Manoscritti economico-filosofici del 1844 e L’ideologia tedesca nel 1932. Ancora successivamente, in tirature che riuscirono ad assicurare soltanto una scarsissima diffusione, furono pubblicati alcuni importanti lavori preparatori de Il capitale: nel 1933 il Capitolo VI inedito e tra il 1939 ed il 1941 i Grundrisse. Questi inediti, inoltre, come gli altri che seguirono, quando non celati nel timore che potessero erodere il cànone ideologico dominante, furono accompagnati da un’interpretazione funzionale alle esigenze politiche che, nella migliore delle ipotesi, apportava scontati aggiustamenti a quella già predeterminata e che mai si tradusse in seria ridiscussione complessiva dell’opera.

Il tortuoso processo della diffusione degli scritti di Marx e l’assenza di una loro edizione integrale, insieme con la primaria incompiutezza, il lavoro scellerato degli epigoni, le letture tendenziose e le più numerose non letture, sono le cause principali del grande paradosso: Karl Marx è un autore misconosciuto[22], vittima di una profonda e reiterata incomprensione. Lo è stato nel periodo durante il quale il «marxismo» era politicamente e culturalmente egemone, tale rimane ancora oggi[23].

III. Un’opera per l’oggi
Liberata dall’odiosa funzione di instrumentum regni, cui in passato è stata destinata, e dalla fallacia del «marxismo», dal quale viene definitivamente separata, l’opera di Marx, in parte ancora inedita, riemerge nella sua originale incompiutezza ed è riconsegnata ai liberi campi del sapere. Sottratta a sedicenti proprietari ed a costrittivi modi d’impiego, il pieno dispiegarsi della sua preziosa ed immensa eredità teorica è reso finalmente possibile.

Con l’ausilio della filologia trovano risposta l’esigenza non più eludibile di ricognizione delle fonti, per tanto tempo avvolte e mistificate dalla propaganda apologetica, ed il bisogno di disporre di un indice certo e definitivo di tutti i manoscritti di Marx. Essa si offre come imprescindibile mezzo per far luce sul suo testo, ristabilendone l’originario orizzonte problematico e polimorfo ed evidenziandone l’enorme divario con molte delle interpretazioni e delle esperienze politiche che, pur essendosi a lui richiamate, ne hanno trasmesso una percezione oltremodo sminuente.

Leggere Marx con l’intento di ricostruirne la genesi degli scritti e il quadro storico nel quale nacquero, di evidenziarne l’importanza del debito intellettuale dell’elaborazione, di considerarne il carattere costantemente multidisciplinare [24]: è l’impegnativo compito che la nuova Marx Forschung [la ricerca su Marx] ha innanzi a sé e che necessita, per essere perseguito, di un orientamento permanentemente critico e lontano dal fuorviante condizionamento dell’ideologia. Tuttavia, quella di Marx non è soltanto un’opera priva di un’adeguata interpretazione critica in grado di rendere giustizia al suo genio, ma è anche un’opera in costante ricerca d’autore.

Le riflessioni di Marx sono attraversate da una differenza irriducibile, da un carattere del tutto particolare rispetto a quelle della maggior parte degli altri pensatori. Esse racchiudono un inscindibile legame tra teoria e prassi e sono persistentemente rivolte ad un soggetto privilegiato e concreto: «il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente», al quale viene affidato il «rovesciamento pratico dei rapporti sociali esistenti» [25].

Credere di poter relegare il patrimonio teorico e politico di Marx ad un passato che non avrebbe più niente da dire ai conflitti odierni, di circoscriverlo alla funzione di classico mummificato con un interesse inoffensivo per l’oggi o di rinchiuderlo in specialismi meramente speculativi, si rivelerebbe impresa errata al pari di quella che lo ha trasformato nella sfinge del grigio socialismo reale del Novecento. La sua opera conserva confini e pretese ben più vasti degli àmbiti delle discipline accademiche. Senza il pensiero di Marx mancherebbero i concetti per comprendere e descrivere il mondo contemporaneo, così come gli strumenti critici per invertire la subalternità al credo imperante che presume di poter raffigurare il presente con le sembianze antistoriche della naturalità e dell’immutabilità. Senza Marx saremmo condannati ad una vera e propria afasia critica.

Non tragga in inganno l’apparente inattualità, l’assoluto ed unanime dogma che ne decreta con certezza l’oblio. Le sue idee potranno invece suscitare nuovi entusiasmi e stimolare ulteriori feconde riflessioni. La causa dell’emancipazione umana dovrà ancora servirsi di lui. Critico ineguagliato del sistema di produzione capitalistico, Karl Marx sarà fondamentale fino al suo superamento. Il suo «spettro» è destinato ad aggirarsi per il mondo ed a far agitare l’umanità ancora per molto.

References
1. Il testo è un estratto dell’Introduzione al volume collettaneo Sulle tracce di un fantasma. L’opera di Karl Marx tra filologia e filosofia, a cura di Marcello Musto, Manifestolibri, Roma 2005.
2. Boris Nikolaevskij– Otto Maenchen-Helfen, Karl Marx. La vita e l’opera, Einaudi, Torino 1969, p. 7.
3. Hans Magnus Enzensberger (a cura di), Colloqui con Marx e Engels, Einaudi, Torino 1977, p. 438.
4. Le più recenti acquisizioni filologiche valutano che gli interventi eseguiti da Engels, durante il suo lavoro di curatore, sui manoscritti del secondo e del terzo libro de Il capitale, ammontano a circa cinquemila: una quantità di gran lunga superiore a quella sino ad oggi presunta.
5. Friedrich Engels, Anti-Dühring, Marx Engels Opere, vol. XXV, Editori Riuniti, Roma 1974, p. 6.
6. Eduard Bernstein, I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia, Laterza, Bari 1968, p. 58.
7. Cfr. Franco Andreucci, La diffusione e la volgarizzazione del marxismo, in Aa. Vv., Storia del marxismo, vol. secondo, Einaudi, Torino 1979, p. 15.
8. Friedrich Engels-Karl Marx, La sacra famiglia, Marx Engels Opere, vol. IV, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 103.
9. Karl Kautsky, Il programma di Erfurt, Samonà e Savelli, Roma 1971, p. 123.
10. Gheorghi Plekhanov, Le questioni fondamentali del marxismo, in Gheorghi Plekhanov, Opere Scelte, Edizioni Progress, Mosca 1985, p. 366.
11. Vladimir Ilic Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo, in Vladimir Ilic Lenin, Opere complete, vol. XIV, Editori Riuniti, Roma 1963, pp. 152 e 185.
12. Nikolaj I. Bucharin, Teoria del materialismo storico, La Nuova Italia, Firenze 1977, pp. 16 e 252.
13. Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino 1975, pp. 1403 e 1428.
14. Josef Stalin, Del materialismo dialettico e del materialismo storico, Edizioni Movimento Studentesco, Milano 1973, pp. 919 e 926-927.
15. Karl Marx, Poscritto alla seconda edizione de Il capitale, Libro primo, Editori Riuniti, Roma 1964, p. 42.
16. Karl Marx, Statuti provvisori dell’Associazione internazionale degli operai, Marx Engels Opere, vol. XX, Editori Riuniti, Roma 1987, p. 14.
17. Karl Marx, Critica al programma di Gotha, Editori Riuniti, Roma 1990 (1976), p. 17.
18. Antonio Labriola, Discorrendo di socialismo e filosofia. Scritti filosofici e politici, Einaudi, Torino 1973, pp. 667-669.
19. Ivi , pp. 671-672.
20. Ivi , pp. 673-677.
21. Cfr. Maximilien Rubel, Marx critico del marxismo, Cappelli, Bologna, 1981, p. 88.
22. Sull’argomento è intervenuto di recente Lucien Sève, Penser avec Marx aujourd’hui, La Dispute, Paris 2004. Peccato che l’autore francese, nel suo tardo ravvedimento dal «marxismo» ufficiale, si sia guardato bene dal riconoscere i meriti – pur avendone plagiato molte argomentazioni – di colui che più di ogni altro ha denunciato questa realtà: Maximilien Rubel.
23. Accanto al misconoscimento «marxista», che si è voluto sin qui tratteggiare, andrebbe considerato anche quello «antimarxista» di parte liberale e conservatrice, ben più grave perché carico di prevenuta ostilità. Questo tema sarà oggetto di successivi approfondimenti.
24. In proposito si veda Bruno Bongiovanni, Leggere Marx dopo il marxismo, «Belfagor», n. 5 (1995), p. 590.
25. Friedrich Engels-Karl Marx, L’ideologia tedesca, Marx Engels Opere, vol. V, Editori Riuniti, Roma 1972, pp. 34 e 39.

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Sondaggio BBC: sconfitto l’Economist: vince Marx

Durante gli ultimi mesi, il programma In Our Time, della rete Radio 4 della BBC, ha organizzato un concorso via internet volto a designare il più grande filosofo della storia secondo gli inglesi. Al termine della prima fase, il sondaggio, che tanto ha interessato il pubblico anglosassone, ha avuto un’inaspettata eco internazionale.

Tra lo stupore di molti, infatti, in cima alla lista dei principali pensatori indicati dai britannici si trovava Karl Marx. La stampa di molti paesi ne ha dato notizia in seguito all’insolita presa di posizione dell’Economist, che invitava i propri lettori a votare compatti per Hume (terzo in classifica), per scongiurare la vittoria dell’acerrimo nemico

La mobilitazione promossa dal quotidiano liberale è valsa a ben poco. L’annuncio dei risultati di ieri ha sancito, oltre ogni previsione, la schiacciante vittoria di Marx. L’autore de Il manifesto del partito comunista ha raggiunto il 28% delle preferenze, oltre la metà di quelle raccolte da Hume, che si è fermato sulla soglia del 12.6%. Terzo Wittgenstein con il 6.8% dei consensi, seguito da Nietzsche (6.5%) e Platone (5.6%). Completano l’elenco dei primi dieci: Kant, Tommaso d’Aquino, Socrate, Aristotele e Popper.

Contrariamente al dogma che ne decretava con certezza l’oblio, il pensiero di Marx, dunque, va suscitando, sempre più, nuove aspettative e diviene, frequentemente ed in ambiti diversi, oggetto di ulteriore interesse. La sua opera, insostituibile per descrivere la società capitalistica, è indiscutibilmente patrimonio di seguaci ed avversari. Uno strumento indispensabile per comprendere il mondo contemporaneo. Vi è, tuttavia, una ragione ancora più profonda di questa rinnovata passione per Marx: egli appare non soltanto come uno dei più grandi interpreti della storia dell’umanità, ma come un autore al quale poter ancora rivolgersi per la trasformazione del presente.

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Breve ritratto di Karl Marx

Karl Marx nacque a Treviri, da una famiglia di origini ebraiche, il 5 maggio del 1818. Dal 1835 fu studente di Diritto alle università di Bonn e Berlino, ma ben presto il suo interesse principale si volse alla filosofia, in particolare a quella hegeliana allora dominante.

Nel 1841 fu promosso dottore in Filosofia all’Università di Jena, con una tesi sulla Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro . Un amico del tempo lo descriveva così: «immagina Rousseau, Voltaire, Holbach, Lessing, Heine e Hegel uniti in una persona (e dico uniti, non messi insieme alla rinfusa) e avrai Karl Marx».

Anche il suo aspetto esteriore non passava inosservato. La carnagione scura, accentuata dai peli neri e fittissimi che gli spuntavano dovunque, e la vistosa capigliatura corvina, gli valsero, infatti, il soprannome che lo accompagnò per tutta la vita: il Moro.

La partecipazione al movimento dei Giovani Hegeliani gl’impedì la carriera accademica cui aspirava. Così, nel 1842-43, le sue brillanti doti di polemista furono al servizio del liberalismo democratico della «Gazzetta Renana», della quale divenne, giovanissimo, redattore capo. Quando la censura colpì il quotidiano di Colonia, Marx scelse l’esilio, prima a Parigi e poi a Bruxelles.

In questo periodo, il suo pensiero compì un’importante maturazione. Egli si separò dalla filosofia che intendeva il cambiamento del mondo come mero compito teoretico: «I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo; si tratta di trasformarlo»; scoprì la potenzialità rivoluzionaria del proletariato; aderì al comunismo ed iniziò lo studio critico dell’economia politica. L’incontro con Friedrich Engels, infine, sancì un’amicizia e collaborazione che durarono quarant’anni. I lavori giovanili, tra i quali figurano i Manoscritti economico-filosofici e L’ideologia tedesca, rimasero incompleti e furono pubblicati soltanto nel 1932. Essi, tuttavia, permisero a Marx di elaborare il filo conduttore dei suoi studi, la concezione materialistica della storia, che in seguito definì così: «L’insieme dei rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita».

Nel 1847, in polemica col socialista francese Proudhon, diede alle stampeMiseria della filosofia. Nel 1848, scrisse insieme con Engels Il manifesto del partito comunista. Il suo incipit, «Uno spettro si aggira per l’Europa – lo spettro del comunismo», non è meno celebre della sua tesi di fondo: «la storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi». Dopo lo scoppio delle rivoluzioni, fu direttore della «Nuova Gazzetta Renana», ma nel 1849, con la sconfitta del movimento rivoluzionario, fu costretto a rifugiarsi a Londra, dove vivrà in esilio fino alla morte, che lo colpì nel 1883.

I primi anni Cinquanta furono il peggior periodo dell’esistenza di Marx. Egli visse in condizioni di profonda miseria, a causa della quale perse tre figli, e tormentato dalla malattia. Riuscì a sopravvivere soltanto grazie all’aiuto di Engels e con i ricavi della sua corrispondenza con il «New-York Tribune», all’epoca il quotidiano più venduto al mondo. Nonostante le terribili condizioni di vita, Marx riuscì a proseguire gli studi di economia politica. Sono gli anni trascorsi, in totale isolamento, nella biblioteca del British Museum. Dal 1857, pervaso da una rinnovata produttività intellettuale, riprese il progetto della sua «Economia» e nel 1859 ne pubblicò il primo fascicolo: Per la critica dell’economia politica. Tuttavia, il colossale piano della sua opera non fu portato a termine che per un’esigua parte. A complicare le già difficili circostanze fu l’impegno che egli assunse, dal 1864 al periodo successivo alla Comune di Parigi, a capo dell’«Associazione Internazionale dei Lavoratori», della quale redasse indirizzi, risoluzioni, programmi e ne fu la figura principale.

Il libro primo de Il capitale, uscì soltanto nel 1867 e Marx non riuscì a completarne il secondo ed il terzo volume, che furono, invece, dati alle stampe da Engels. Manoscritti non ultimati, abbozzi provvisori e progetti abbandonati. Contrariamente al carattere di sistematicità che gli è stato spesso attribuito, la gran parte dei suoi lavori è segnata dall’incompiutezza, caratteristica che non impedì, però, alle sue analisi, di mostrarsi meno geniali e feconde di straordinarie conseguenze. Marx trascorse gli ultimi anni di vita svolgendo ulteriori ricerche. Il metodo oltremodo rigoroso, l’autocritica più spietata, l’inestinguibile passione conoscitiva e la difficoltà di rinchiudere la complessità della storia in un progetto teorico, resero ancor più vera la descrizione che una volta diede di sé: «Sono una macchina condannata a trangugiare i libri per buttarli fuori in forma diversa sul letamaio della storia».

La sorte toccatagli è stata di tutt’altra natura. La sistematizzazione da parte degli epigoni della sua teoria critica, l’impoverimento che ne ha accompagnato la divulgazione, la manipolazione e la censura dei suoi scritti ed il loro utilizzo strumentale in funzione delle necessità politiche, lo hanno reso vittima di una profonda e reiterata incomprensione. «Tutto ciò che so è che io non sono marxista», disse poco prima di morire, quasi avesse potuto prevedere il futuro.

Liberato dall’odiosa funzione di instrumentum regni, cui in passato è stato destinato, e dalla fallacia di alcuni «marxismi», oggi Marx è riconsegnato ai liberi campi del sapere. Sottratto a sedicenti proprietari ed a costrittivi modi d’impiego, il pieno dispiegarsi della sua preziosa ed immensa eredità teorica è reso finalmente possibile.

La parola torni a lui, alla sua opera, alla sua critica della società capitalistica così tanto attuale.

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Filosofi: Marx il più amato in Europa

Con sempre maggiore frequenza, durante gli ultimi anni, reti televisive, giornali ed emittenti radiofoniche promuovono concorsi-sondaggi tra i propri ascoltatori e lettori al fine di conoscere le loro preferenze circa le più grandi personalità della storia. Puntualmente, tra lo stupore di molti, sorpresa di questi concorsi si rivela un pensatore tanto apparentemente fuori moda quanto invece ancora rilevante: Karl Marx.

L’episodio più recente di queste competizioni viene dall’Inghilterra. Nel corso di questi mesi, infatti, il programma del canale radiofonico della Bbc 4 “In Our Time” ha organizzato un sondaggio via internet che ambisce, in base alle preferenze che saranno espresse, a designare il più grande filosofo di tutti i tempi. Dopo una prima fase di voto, conclusasi il 6 di giugno, è stata compilata la lista dei venti filosofi più votati. Le posizioni della classifica avrebbero dovute rimanere segrete per non alterare la seconda fase, quella che permette di scegliere il preferito tra i soli venti più votati. Tuttavia, il direttore del programma ha deciso di rendere note le stime parziali. Ironia della storia, in cima ad essa si trova l’autore de Il capitale. Questa notizia, che ha appassionato ancora di più gli inglesi alla competizione e che ha fatto il giro del mondo, ha letteralmente scatenato le reazioni di commentatori, accademici e dell’intero mondo politico anglosassone. Si sono susseguite, così, le più svariate argomentazioni che, pur se rilasciate con la massima serietà, non mancano di apparire divertenti quando non surreali. Diversi i toni utilizzati. Ce n’è per tutti i gusti. Puerile: «lo votano perché è un vecchio con la barba bianca ed è così che la gente si immagina un filosofo»; altezzoso: «è votato da radical chic sempre più separati dalla realtà»; pedante: «in un suo libro ci sono delle citazioni sbagliate»; bigotto: «parlava tanto di comunismo, ma si comportò male con la sua cameriera»; drammatico: «è colpa sua se l’umanità nello scorso secolo ha vissuto senza libertà e tra le guerre»; biblico: «aveva una visione del mondo diabolica ed era pervaso da una malvagità altrettanto diabolica. Talvolta sembrava consapevole del fatto di star compiendo l’opera del demonio»; arrogante: «era solo un giornalista che sapeva di economia, non dovrebbe neppure partecipare alla gara».

La presa di posizione più inattesa è venuta dall’Economist, sulle cui pagine è comparso un intervento dal titolo “Uno spettro s’aggira per la Bbc”. Più che di un articolo, si tratta di un vero e proprio appello al voto per fermare Marx e la sua nuova pericolosa avanzata. Ai propri lettori, infatti, il quotidiano di Londra ha richiesto una sorta di “voto utile”. Poiché John Locke ed Adam Smith, naturali riferimenti della testata, sono stati esclusi dalla top twenty e considerato che John Stuart Mill si trova tra le ultime posizioni di questa, non resta che fare la scelta più saggia: concentrare tutti i voti su David Hume, attualmente terzo in classifica. E così, sul sito internet del giornale, si può leggere l’invito che, singolarmente, compare da diversi giorni tra le principali notizie: “Help Hume beat Marx”.

Per un pensatore consegnato unanimemente e definitivamente all’oblio, il tutto è senz’altro molto lusinghevole. Spiace soltanto che il celebre quotidiano britannico abbia avuto una caduta di stile e, tra le argomentazioni volte a spiegare l’incredulità delle circostanze, paventi addirittura l’ipotesi di brogli ed intromissioni nel meccanismo di voto telematico (ubiquità di uno “spettro”!). Comunque vadano le cose, bisogna constatare che a distanza di oltre centocinquant’anni dal Manifesto del partito comunista, Marx è ancora capace di turbare l’aplomb del liberalismo inglese. In realtà, l’anonimo editorialista dell’Economist, se non in cattiva fede, è poco informato. Già nel 1999, infatti, un analogo sondaggio tra gli inglesi aveva affidato a Marx il titolo di maggiore pensatore del millennio. Lo scorso anno, in Germania, la televisione di stato tedesca Zdf aveva promosso il concorso Wer sind die grossten Duetschen? (Chi sono i più grandi tedeschi?). Anche in quel caso Marx fu la rivelazione della competizione. Con oltre 500.000 voti arrivò terzo dietro Adenauer e Lutero – ma primo in tutti i Lande dell’ex Ddr ed in quelli di Berlino, Brema ed Amburgo – e, soprattutto, al primo posto nella categoria attualità. Anche in Italia, infine, la recente iniziativa dell’Istituto e Museo di storia della scienza di Firenze, Premio Nobel alla memoria, aveva proclamato, nella disciplina “Economia”, la vittoria di Marx.

Insomma, qualsiasi sia il campo ed a dispetto del passar degli anni, Karl Marx pare avviato a destare ulteriore interesse ed i suoi decenni di studio, volti a tentare di comprendere il mondo per poterlo trasformare, vedono sorgere nuove aspettative. Gli studiosi della sua opera, troppo poco conosciuta e spesso scambiata con quella degli epigoni, sostengono addirittura che la sua eredità teorica appartenga al futuro. Chissà. Certo la causa dell’emancipazione umana saprà ancora servirsi di lui.

Le preoccupazioni dei commentatori inglesi, invece, sembrano avverare l’«anatema» di Marx che promise che la borghesia avrebbe avuto buoni motivi per ricordare i favi che lo tormentavano durante la scrittura de Il capitale.

Le votazioni sono aperte a tutti e chi volesse prendervi parte può farlo, fino alla conclusione del concorso fissata per i primi di luglio, sul sito:

http://www.bbc.co.uk/radio4/history/inourtime/greatest_philosopher_vote_6to10.shtml

Mobilitarsi è sempre piacevole. Ma in questa circostanza facciamolo senza troppa apprensione. Per una volta godiamoci lo spettacolo dei tanti liberali in affanno ad inseguire Marx. La rinascita del loro spirito militante è una delle tante ed inaspettate virtù del Moro di Treviri.

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Dario Sefano Dell’Aquila

Il Fantasma Ritrovato, La Nuova Opera Di Marx

Pochi pensatori hanno scosso il mondo come Karl Marx, ma, paradossalmente, ancora oggi Marx rimane un autore, “misconosciuto” o “idolatrato”, del quale manca un’edizione integrale e scientifica delle sue opere.

E’ per questo che l’ottimo e corposo volume, Sulle Tracce di un fantasma.

L’opera di Karl Marx tra filologia e filosofia, a cura di Marcello Musto, (Manifesto Libri 2005, pp.392 € 30) costituisce uno dei più interessanti e importati contributi alla riscoperta e all’interpretazione dell’opera di Marx. Il libro raccoglie gli interventi presentati all’omonima conferenza internazionale, promossa da un ampio arco di università e svoltasi a Napoli, dal 1 al 3 aprile 2004.

Si divide in quattro sezioni (La nuova edizione delle opere complete (MEGA²); Il giovane Marx; Il capitale; Un oggi per Marx) e presenta saggi dei più importanti studiosi del pensiero di Marx, provenienti da dieci diversi paesi (tra gli altri Enrique Dussel, Jacques Bidet, Fritz Wolfgang Haug, Gian Mario Bravo, Domenico Losurdo).

L’introduzione di Musto costituisce un buon punto di partenza, per comprendere il nesso tra la questione filologica e quella filosofica. L’edizione delle opere complete di Marx ed Engels è cominciata nel 1975 ed interrotta nel 1989. L’anno successivo è nata l’IMES (Fondazione Internazionale Marx Engels) con lo scopo di completare la pubblicazione (su 114 volumi previsti ne sono stati pubblicati 50).

La difficoltà del lavoro (che si svolge attraverso gruppi di ricerca in Università di Germania, Russia, Francia, Olanda, Giappone, Usa, Danimarca e Italia), nonché i risultati raggiunti (www.bbwa.de/vh/mega) sono ben esposti dagli interventi di Manfred Neuhaus, segretario dell’IMES e direttore del progetto MEGA², e da Gerald Hubmann, collaboratore della MEGA².

La gran mole di manoscritti, estratti, annotazioni, lettere (15.000 quelle ritrovate) da il senso della complessità di una lavoro filologico che, portato a compimento, può restituire un Marx privo dei soffocamenti e delle manipolazioni testuali che hanno violato il senso e lo spirito del suo lavoro.

E a testimonianza che il risveglio di interesse per l’opera del Moro non ha confini, si può leggere l’intervento del giapponese Izumi Omura (che tratta, tra l’altro, le versioni digitali dei manoscritti di Marx, disponibili sul sito dell’Università di Sendai www.tohoku.ac.ip) o quelli di Alex Callinicos e Wei Xiaoping, relativi alle vicende delle interpretazioni critiche dell’opera marxiana nel mondo anglosassone e in Cina.

Ma la parte filologica è strettamente connessa alle analisi delle opere giovanili e a quella del Capitale, ovvero la seconda e la terza sezione del volume.

L’attenzione al giovane Marx è soprattutto rivolta ai primi scritti politici (Giuseppe Cacciatore, Stathis Kouvélakis) e ai Manoscritti economico-filosofici del 1844 (Mario Cingoli, Musto); l’analisi del Capitale, che contiene i principali contributi teorici del libro, dedica molto spazio al rapporto tra Marx ed Hegel (Cristopher Arthur, Roberto Finelli, Riccardo Bellofiore, Dussel), alla sostanza e alla forma del valore della merce (Geert Reuten), al processo di costruzione del testo marxiano (Haug), alla struttura della società capitalistica (Bidet).

L’attualità del pensiero di Marx, la necessità di liberare la sua opera da strategie di dominio del discorso e dalla polvere degli archivi, diventa fondamentale per chi parla del “comunismo della finitudine”, la formula che adoperano André Tosel e Domenico Jervolino per indicare l’esigenza di un nuovo paradigma, di una società comunista intesa come possibilità, desiderio, frutto di lotte, ma non esito fatale del divenire storico.

Michael Krätke, infine, evidenzia la peculiarità della critica marxiana dell’economia politica e la sua indispensabilità per la comprensione del capitalismo contemporaneo.

Un volume ricco, che non rende possibile dare conto di tutti gli interventi che ospita e che, evitando il difetto che spesso presentano i lavori collettivi, ha non solo un preciso filo conduttore, ma una forte identità narrativa.

C’è la sensazione che questa nuova riscoperta dell’immenso lavoro di Marx, in senso fisico prima che teorico, getti una luce inaspettata su un autore più citato che studiato.

Merito di questo libro è di trasmettere pienamente al lettore la consapevolezza che quello che il ‘900 ha chiuso così frettolosamente si riapre.

Se la globalizzazione è, tra l’altro, la velocità con cui circolano le merci, i lavoratori, i capitali; c’è qualcuno che non desidera, nella propria cassetta degli attrezzi, un nuovo-vecchio Marx, libero da cerimonie di Stato e da piccoli tatticismi interpretativi?

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Sulle tracce di un fantasma

Su mille socialisti, forse uno solo ha letto un’opera economica di Marx, su mille antimarxisti, neppure uno ha letto Marx.

La Critica di Marx: Incompiutezza Versus Sistematizzazione
Pochi uomini hanno scosso il mondo come Karl Marx. Alla sua scomparsa, passata pressoché inosservata, fece immediatamente seguito, con una rapidità che nella storia ha rari esempi ai quali poter essere confrontata, l’eco della fama. Ben presto, il nome di Marx fu sulle bocche dei lavoratori di Chicago e Detroit, così come su quelle dei primi socialisti indiani a Calcutta. La sua immagine fece da sfondo al congresso dei bolscevichi a Mosca dopo la rivoluzione. Il suo pensiero ispirò programmi e statuti di tutte le organizzazioni politiche e sindacali del movimento operaio, dall’intera Europa sino a Shanghai.

Le sue idee hanno irreversibilmente stravolto la filosofia, la storia, l’economia. Eppure, nonostante l’affermazione delle sue teorie, trasformate nel XX secolo in ideologia dominante e dottrina di Stato per una gran parte del genere umano e l’enorme diffusione dei suoi scritti, egli rimane, ancora oggi, privo di un’edizione integrale e scientifica delle proprie opere. Tra i più grandi autori, questa sorte è toccata esclusivamente a lui.

Ragione primaria di questa particolarissima condizione risiede nel carattere largamente incompleto della sua opera. Se si escludono, infatti, gli articoli giornalistici editi nel quindicennio 1848-1862, gran parte dei quali destinati al «New-York Tribune», all’epoca uno dei più importanti quotidiani del mondo, i lavori pubblicati furono relativamente pochi, se comparati ai tanti realizzati solo parzialmente ed all’imponente mole di ricerche svolte . Emblematicamente, quando nel 1881, in uno dei suoi ultimi anni di vita, Marx fu interrogato da Karl Kautsky, circa l’opportunità di un’edizione completa delle sue opere, egli rispose: «queste dovrebbero prima di tutto essere scritte» .

Marx lasciò, dunque, molti più manoscritti di quanti non ne diede invece alle stampe . Contrariamente a come in genere si ritiene, la sua opera fu frammentaria e talvolta contraddittoria, aspetti che ne evidenziano una delle caratteristiche peculiari: l’incompiutezza. Il metodo oltremodo rigoroso e l’autocritica più spietata, che determinarono l’impossibilità di condurre a termine molti dei lavori intrapresi; le condizioni di profonda miseria ed il permanente stato di cattiva salute, che lo attanagliarono per tutta la vita; l’inestinguibile passione conoscitiva, che restò inalterata nel tempo spingendolo sempre verso nuovi studi; ed infine, la consapevolezza acquisita con la piena maturità della difficoltà di rinchiudere la complessità della storia in un progetto teorico, fecero proprio dell’incompiutezza la fedele compagna e la dannazione dell’intera produzione di Marx e della sua stessa esistenza. Il colossale piano della sua opera non fu portato a termine che per un’esigua parte, risolvendo in un fallimento letterario le sue incessanti fatiche intellettuali, che non per questo meno si mostrarono meno geniali e feconde di straordinarie conseguenze. Tuttavia, nonostante la frammentarietà del Nachlass di Marx e la sua ferma contrarietà ad erigere un’ulteriore dottrina sociale, l’opera incompiuta fu sovvertita e un nuovo sistema, il «marxismo», poté sorgere.

Dopo la morte di Marx, avvenuta nel 1883, fu Friedrich Engels a dedicarsi per primo alla difficilissima impresa, stante la dispersività dei materiali, l’astrusità del linguaggio e l’illeggibilità della grafia, di dare alle stampe il lascito dell’amico. Il lavoro si concentrò sulla ricostruzione e selezione degli originali, sulla pubblicazione dei testi inediti o incompleti e, contemporaneamente, sulle riedizioni e traduzioni degli scritti già noti.

Anche se vi furono delle eccezioni, come nel caso delle [Tesi su Feurbach] , edite nel 1888 in appendice al suo Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, e della [Critica al programma di Gotha] uscita nel 1891, Engels privilegiò quasi esclusivamente il lavoro editoriale per il completamento de Il capitale, del quale era stato portato a termine soltanto il libro primo. Questo impegno, durato oltre un decennio, fu perseguito con il preciso intento di realizzare «un’opera organica e il più possibile compiuta» . Tale scelta, seppur rispondente ad esigenze comprensibili, produsse il passaggio da un testo parziale e provvisorio, composto in molte parti da «pensieri scritti in statu nascendi» e da appunti preliminari che Marx era solito riservarsi per ulteriori elaborazioni dei temi trattati, ad un altro unitario, dal quale originava la parvenza di una teoria economica sistematica e conclusa. Così, nel corso della sua attività redazionale, basata sulla cernita di quei testi che si presentavano non come versioni finali quanto, invece, come vere e proprie varianti e sulla esigenza di uniformarne l’insieme, Engels più che ricostruire la genesi e lo sviluppo del secondo e del terzo libro de Il Capitale, ben lontani dalla loro definitiva stesura, consegnò alle stampe dei volumi finiti .

D’altronde, in precedenza, egli aveva contribuito a generare un processo di sistematizzazione teorica già direttamente con i suoi scritti. L’Anti-Dühring, apparso nel 1878, da lui definito l’«esposizione più o meno unitaria del metodo dialettico e della visione comunista del mondo rappresentati da Marx e da me» , divenne il riferimento cruciale nella formazione del «marxismo» come sistema e nella differenziazione di questo dal socialismo eclettico, in quel periodo prevalente. Ancora maggiore incidenza ebbe L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza, rielaborazione, a fini divulgativi, di tre capitoli dello scritto precedente che, pubblicata per la prima volta nel 1880, conobbe fortuna analoga a quella del Manifesto del partito comunista. Seppur vi fu una netta distinzione tra questo tipo di volgarizzazione, compiuta in aperta polemica con le scorciatoie semplicistiche delle sintesi enciclopediche, e quello di cui si rese invece protagonista la successiva generazione della socialdemocrazia tedesca, il ricorso di Engels alle scienze naturali aprì la strada alla concezione evoluzionistica che, di lì a poco, si sarebbe affermata anche nel movimento operaio.

Il pensiero di Marx, pur se a volte attraversato da tentazioni deterministiche, indiscutibilmente critico ed aperto, cadde sotto i colpi del clima culturale dell’Europa di fine Ottocento, pervaso, come non mai, da concezioni sistematiche, prima tra tutte il darwinismo. Per rispondere ad esse ed al bisogno di ideologia che avanzava anche tra le file del movimento dei lavoratori, il neonato «marxismo», che andava sempre più estendendosi da teoria scientifica a dottrina politica – divenuto precocemente ortodossia sulle pagine della rivista «Die Neue Zeit» diretta da Kautsky – assunse rapidamente medesima conformazione sistemica. In questo contesto, la diffusa ignoranza ed avversione all’interno del partito tedesco nei riguardi di Hegel, vero e proprio arcano impenetrabile , e della sua dialettica, ritenuta finanche «l’elemento infido della dottrina marxista, l’insidia che intralcia ogni considerazione coerente delle cose» , giocarono un ruolo decisivo.

Ulteriori fattori che contribuirono a consolidare definitivamente la trasformazione dell’opera di Marx in sistema, sono rintracciabili nelle modalità che ne accompagnarono la diffusione. Com’è dimostrato dalla tiratura ridotta delle edizioni dell’epoca dei suoi testi, ne furono privilegiati opuscoli di sintesi e compendi molto parziali. Alcune delle sue opere, inoltre, recavano gli effetti delle strumentalizzazioni politiche. Comparvero, infatti, le prime edizioni rimaneggiate dai curatori, pratica che, favorita dall’incertezza del lascito marxiano, andò, in seguito, sempre più imponendosi insieme con la censura di alcuni scritti. La forma manualistica, notevole veicolo di esportazione del pensiero di Marx nel mondo, rappresentò sicuramente uno strumento molto efficace di propaganda, ma anche l’alterazione fatale della concezione iniziale. La divulgazione della sua opera, dal carattere complesso ed incompiuto, nell’incontro col positivismo e per meglio rispondere alle esigenze pratiche del partito proletario, si tradusse, infine, in impoverimento e volgarizzazione del patrimonio originario , fino a renderlo irriconoscibile trasfigurandolo da Kritik a Weltanschauung.

Dallo sviluppo di questi processi, prese corpo una dottrina dalla schematica ed elementare interpretazione evoluzionistica, intrisa di determinismo economico: il «marxismo» del periodo della Seconda Internazionale (1889-1914). Guidata da una ferma quanto ingenua convinzione del procedere automatico della storia, e dunque dell’ineluttabile successione del socialismo al capitalismo, essa si mostrò incapace di comprendere l’andamento reale del presente e, rompendo il necessario legame con la prassi rivoluzionaria, produsse una sorta di quietismo fatalistico che si tramutò in fattore di stabilità per l’ordine esistente . Si palesava in questo modo la profonda lontananza da Marx, che già nella sua prima opera aveva dichiarato: «la storia non fa niente (…) non è la ‘storia’ che si serve dell’uomo come mezzo per attuare i propri fini, come se essa fosse una persona particolare; essa non è altro che l’attività dell’uomo che persegue i suoi fini» .

La teoria del crollo (Zusammenbruchstheorie), ovvero la tesi della fine incombente della società capitalistico-borghese, che ebbe nella crisi economica della Grande Depressione, dispiegatasi lungo il ventennio successivo al 1873, il contesto più favorevole per esprimersi, fu proclamata come l’essenza più intima del socialismo scientifico. Le affermazioni di Marx, volte a delineare i principi dinamici del capitalismo e, più in generale, a descriverne una tendenza di sviluppo , furono trasformate in leggi storiche universalmente valide dalle quali far discendere, sin nei particolari, il corso degli eventi.

L’idea di un capitalismo agonizzante, autonomamente destinato al tramonto, fu presente anche nell’impianto teorico della prima piattaforma interamente «marxista» di un partito politico, Il programma di Erfurt del 1891, e nel commento che ne fece Kautsky che enunciava come «l’inarrestabile sviluppo economico porta alla bancarotta del modo di produzione capitalistico con necessità di legge naturale. La creazione di una nuova forma di società al posto di quella attuale non è più solo qualcosa di desiderabile ma è diventata inevitabile» . Esso fu la rappresentazione, più significativa ed evidente, dei limiti intrinseci all’elaborazione dell’epoca, nonché dell’abissale distanza prodottasi da colui che ne era stato l’ispiratore.

Lo stesso Eduard Bernstein, che concependo il socialismo come possibilità e non come ineluttabilità aveva segnato una discontinuità con le interpretazioni in quel periodo dominanti, operò una lettura di Marx altrettanto artefatta che non si discostava minimamente da quelle del tempo e contribuì a diffonderne, mediante la vasta risonanza che ebbe il Bernstein-Debatte, un’immagine egualmente alterata e strumentale.

Il «marxismo» russo, che nel corso del Novecento svolse un ruolo fondamentale nella divulgazione del pensiero di Marx, seguì questa traiettoria di sistematizzazione e volgarizzazione con un irrigidimento persino maggiore. Per il suo più importante pioniere, Gheorghi Plekhanov, infatti, «il marxismo è una completa concezione del mondo» , improntata ad un semplicistico monismo in base al quale le trasformazioni sovrastrutturali della società procedono in maniera simultanea alle modificazioni economiche. In Materialismo ed empiriocriticismo del 1909, Lenin definisce il materialismo come «il riconoscimento della legge obiettiva della natura, e del riflesso approssimativamente fedele di questa legge nella testa dell’uomo» . La volontà e la coscienza del genere umano devono «inevitabilmente e necessariamente» adeguarsi alla necessità della natura. Ancora una volta a prevalere è l’impostazione positivistica.

Dunque, a dispetto dell’aspro scontro ideologico apertosi durante quegli anni, molti degli elementi teorici caratteristici della deformazione operata dalla Seconda Internazionale trapassarono in quelli che avrebbero contrassegnato la matrice culturale della Terza Internazionale. Questa continuità si manifestò, con ancora più evidenza, in Teoria del materialismo storico, pubblicato nel 1921 da Nikolaj Bucharin, secondo il quale «sia nella natura che nella società, i fenomeni sono regolati da determinate leggi. Il primo compito della scienza è scoprire questa regolarità» . L’esito di questo determinismo sociale, interamente incentrato sullo sviluppo delle forze produttive, generò una dottrina secondo la quale «la molteplicità delle cause che fanno sentire la loro azione nella società non contraddice affatto l’esistenza di una legge unica dell’evoluzione sociale» .

La critica di Antonio Gramsci che si oppose a siffatta concezione, per la quale la «posizione del problema come una ricerca di leggi, di linee costanti, regolari, uniformi è legata a una esigenza, concepita in modo un po’ puerile e ingenuo, di risolvere perentoriamente il problema pratico della prevedibilità degli accadimenti storici» , riveste particolare interesse. Il suo netto rifiuto a restringere la filosofia della praxis marxiana a grossolana sociologia, a «ridurre una concezione del mondo a un formulario meccanico che dà l’impressione di avere tutta la storia in tasca» , fu tanto più importante poiché si spingeva oltre lo scritto di Bucharin e mirava a condannare quell’orientamento assai più generale che sarebbe poi prevalso, in maniera incontrastata, in Unione Sovietica.

Con l’affermazione del «marxismo-leninismo», il processo di snaturamento del pensiero di Marx conobbe la sua definitiva manifestazione. La teoria fu estromessa dalla funzione di guida dell’agire, divenendone, viceversa, giustificazione a posteriori. Il punto di non ritorno fu raggiunto con il «Diamat» (Dialekticeskij materialzm), «la concezione del mondo del partito marxista-leninista» . L’opuscolo di Stalin del 1938, Del materialismo dialettico e del materialismo storico, che ebbe una straordinaria diffusione, ne fissava i tratti essenziali: i fenomeni della vita collettiva sono regolati da «leggi necessarie dello sviluppo sociale», «perfettamente conoscibili»; «la storia della società si presenta come uno sviluppo necessario della società, e lo studio della storia della società diventa una scienza». Ciò «vuol dire che la scienza della storia della società, nonostante tutta la complessità dei fenomeni della vita sociale, può diventare una scienza altrettanto esatta quanto, ad esempio, la biologia, capace di utilizzare le leggi di sviluppo della società per servirsene nella pratica» e che, di conseguenza, compito del partito del proletariato è fondare la propria attività in base a queste leggi. È evidente come il fraintendimento intorno ai concetti di «scientifico» e «scienza» fosse giunto al suo culmine. La scientificità del metodo marxiano, fondata su criteri teorici scrupolosi e coerenti, fu sostituita con il modo di procedere delle scienze naturali che non contemperava contraddizione alcuna.

Accanto a questo catechismo ideologico, trovò terreno fertile il più rigido ed intransigente dogmatismo. Completamente estraneo ed avulso dalla complessità sociale, esso si sosteneva, come sempre accade quando si propone, con un’arrogante quanto infondata cognizione della realtà. Circa l’inesistente legame con Marx, basta ricordare quello che era il suo motto preferito: De omnibus dubitandum .

L’ortodossia «marxista-leninista» impose un’inflessibile monismo che non mancò di produrre effetti perversi anche sugli scritti di Marx. Inconfutabilmente, con la Rivoluzione Sovietica il «marxismo» visse un significativo momento di espansione e circolazione in ambiti geografici e classi sociali dai quali era, sino ad allora, stato escluso. Tuttavia, ancora una volta, la diffusione dei testi, più che riguardare direttamente quelli di Marx, concerneva manuali di partito, vademecum, antologie «marxiste» su svariati argomenti. Inoltre, invalse sempre più la censura di alcune opere, lo smembramento e la manipolazione di altre, così come la pratica dell’estrapolazione e dell’astuto montaggio delle citazioni. A queste, il cui ricorso rispondeva a fini preordinati, venne destinato lo stesso trattamento che il brigante Procuste riservava alle sue vittime: se troppo lunghe venivano amputate, se troppo corte allungate.

In conclusione, il rapporto tra la divulgazione e la non schematizzazione di un pensiero, a maggior ragione per quello critico e volutamente non sistemico di Marx, tra la sua popolarizzazione e l’esigenza di non impoverirlo, è senz’altro impresa difficile da realizzare. In ogni caso a Marx non poté capitare di peggio.

Piegato da più parti in funzione di contingenze e necessità politiche, venne a queste assimilato e nel loro nome vituperato. La sua teoria, da critica quale era, fu utilizzata a mo’ di esegesi di versetti biblici. Nacquero così i più impensabili paradossi. Contrario a «prescrivere ricette (…) per l’osteria dell’avvenire» , fu trasformato, invece, nel padre illegittimo di un nuovo sistema sociale. Critico rigorosissimo e mai pago di punti d’approdo, divenne la fonte del più ostinato dottrinarismo. Strenuo sostenitore della concezione materialistica della storia, è stato sottratto al suo contesto storico più d’ogni altro autore. Certo «che l’emancipazione della classe operaia dev’essere opera dei lavoratori stessi» , venne ingabbiato, al contrario, in una ideologia che vide prevalere il primato delle avanguardie politiche e del partito nel ruolo di propulsori della coscienza di classe e di guida della rivoluzione. Convinto assertore dell’abolizione dello Stato, si ritrovò ad esserne identificato come suo baluardo. Interessato come pochi altri pensatori al libero sviluppo delle individualità degli uomini, affermando, contro il diritto borghese che cela le disparità sociali dietro una mera uguaglianza legale, che «il diritto, invece di essere uguale, dovrebbe essere diseguale» , è stato accomunato ad una concezione che ha neutralizzato la ricchezza della dimensione collettiva nell’indistinto dell’omologazione.

L’incompiutezza originaria del grande lavoro critico di Marx soggiacque alle spinte della sistematizzazione degli epigoni che produssero, inesorabilmente, lo snaturamento del suo pensiero sino ad obliterarlo ed a divenirne sua manifesta negazione.

UN AUTORE MISCONOSCIUTO
«Gli scritti di Marx ed Engels (…) furon essi mai letti per intero da nessuno, il quale si trovasse fuori dalla schiera dei prossimi amici ed adepti, e quindi, dei seguaci e degl’interpreti diretti degli autori stessi?» Così Antonio Labriola andava interrogandosi, nel 1897, su quanto fosse sino ad allora conosciuto delle loro opere. Le sue conclusioni furono inequivocabili: «il leggere tutti gli scritti dei fondatori del socialismo scientifico è parso fino ad ora come un privilegio da iniziati»; il «materialismo storico» era giunto fra i popoli di lingue neolatine «attraverso una infinità di equivoci, di malintesi di alterazioni grottesche, di strani travestimenti e di gratuite invenzioni» . Un «marxismo» immaginario. In effetti, come poi dimostrato dalla successiva ricerca storiografica, la convinzione che Marx ed Engels fossero stati veramente letti è stata il frutto di una leggenda agiografica. Al contrario, molti dei suoi testi erano rari o irreperibili anche in lingua originale e, dunque, l’invito dello studioso italiano: dare vita ad «una edizione completa e critica di tutti gli scritti di Marx ed Engels» , indicava un’ineludibile necessità generale. Per Labriola, non bisognava né compilare antologie, né redigere un Testamentum juxta canonem receptum, bensì «tutta la operosità scientifica e politica, tutta la produzione letteraria, sia pur essa occasionale, dei due fondatori del socialismo critico, deve essere messa alla portata dei lettori (…) perché essi parlino direttamente a chiunque abbia voglia di leggerli» . Oltre un secolo dopo il suo auspicio, questo progetto non è stato ancora realizzato.

Accanto a queste valutazioni prevalentemente filologiche, Labriola ne avanzava altre di carattere teorico, di sorprendente lungimiranza in relazione all’epoca nella quale visse. Egli considerava tutti gli scritti ed i lavori di circostanza di Marx ed Engels non portati a termine come «i frammenti di una scienza e di una politica, che è in continuo divenire». Per evitare di cercare al loro interno «ciò che non c’è, e non ci ha da essere», ovvero «una specie di volgata o di precettistica per la interpretazione della storia di qualunque tempo e luogo», essi potevano essere pienamente compresi solo se ricollegati al momento ed al contesto della loro genesi. Diversamente, coloro i quali «non intendono il pensare ed il sapere come operosità che sono in fieri», ossia «i dottrinari e i presuntuosi d’ogni genere, che han bisogno degl’idoli della mente, i facitori di sistemi classici buoni per l’eternità, i compilatori di manuali e di enciclopedie, cercheranno per torto e per rovescio nel marxismo ciò che esso non ha mai inteso di offrire a nessuno» : una soluzione sommaria e fideistica ai quesiti della storia.

Naturale esecutore della realizzazione dell’opera omnia non avrebbe potuto essere che la Sozialdemokratischen Partei Deutschlands, detentrice del Nachlaß e delle maggiori competenze linguistiche e teoriche. Tuttavia, i conflitti politici in seno alla socialdemocrazia, non solo impedirono la pubblicazione dell’imponente e rilevante massa dei lavori inediti di Marx, ma produssero anche la dispersione dei suoi manoscritti, compromettendo ogni ipotesi di edizione sistematica. Incredibilmente il partito tedesco non ne curò alcuna, trattando l’eredità letteraria di Marx ed Engels con la massima negligenza . Nessuno tra i suoi teorici si occupò di stilare un elenco del lascito intellettuale dei due fondatori, composto da molti manoscritti incompleti e progetti incompiuti. Tanto meno vi fu chi si dedicò a raccogliere la corrispondenza, voluminosissima ma estremamente disseminata, pur essendo utilissima come fonte di chiarimento, quando non addirittura continuazione, dei loro scritti. La biblioteca, infine, contenente i libri da loro posseduti recanti gli interessanti marginalia e sottolineature, fu ignorata, in parte dispersa e solo in seguito ricostruita e catalogata.

La prima pubblicazione delle opere complete, la Marx Engels Gesamtausgabe (MEGA), prese avvio solamente negli anni Venti, per iniziativa di David Borisovič Rjazanov, principale conoscitore di Marx nel Novecento e direttore dell’Istituto Marx-Engels di Mosca. Anche quest’impresa, però, naufragò a causa delle tempestose vicende del movimento operaio internazionale che troppo spesso ostacolarono anziché favorire l’edizione dei loro testi. Le epurazioni dello stalinismo in Unione Sovietica, che s’abbatterono anche sugli studiosi che guidavano il progetto, e l’avvento del nazismo in Germania, portarono alla precoce interruzione dell’edizione, vanificando anche questo tentativo. Si produsse così la contraddizione assoluta della nascita di un’ideologia inflessibile che s’ispirava ad un autore la cui gigantesca opera era in parte ancora inesplorata. L’affermazione del «marxismo» e la sua cristallizzazione in corpus dogmatico precedettero la conoscenza di testi la cui lettura era indispensabile per comprendere la formazione e l’evoluzione del pensiero di Marx . I principali lavori giovanili, infatti, furono dati alle stampe solo con la MEGA: [Dalla critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico] nel 1927, i [Manoscritti economico-filosofici del 1844] e [L’ideologia tedesca] nel 1932. Ancora successivamente, in tirature che riuscirono ad assicurare soltanto una scarsissima diffusione, furono pubblicati alcuni importanti lavori preparatori de Il capitale: nel 1933 il [Capitolo VI inedito] e tra il 1939 ed il 1941 i quaderni dei [Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica], meglio noti come Grundrisse. Questi inediti, inoltre, come gli altri che seguirono, quando non celati nel timore che potessero erodere il cànone ideologico dominante, furono accompagnati da un’interpretazione funzionale alle esigenze politiche che, nella migliore delle ipotesi, apportava scontati aggiustamenti a quella già predeterminata e che mai si tradusse in seria ridiscussione complessiva dell’opera.

Il tortuoso processo della diffusione degli scritti di Marx e l’assenza di una loro edizione integrale, insieme con la primaria incompiutezza, il lavoro scellerato degli epigoni, le letture tendenziose e le più numerose non letture, sono le cause principali del grande paradosso: Karl Marx è un autore misconosciuto, vittima di una profonda e reiterata incomprensione . Lo è stato nel periodo durante il quale il «marxismo» era politicamente e culturalmente egemone, tale rimane ancora oggi.

UN’OPERA PER L’OGGI
Liberata dall’odiosa funzione di instrumentum regni, cui in passato è stata destinata, e dalla fallacia del «marxismo», dal quale viene definitivamente separata, l’opera di Marx riemerge nella sua originale incompiutezza ed è riconsegnata ai liberi campi del sapere. Sottratta a sedicenti proprietari ed a costrittivi modi d’impiego , il pieno dispiegarsi della sua preziosa ed immensa eredità teorica, in parte ancora inedita, è reso finalmente possibile.

Con l’ausilio della filologia trovano risposta l’esigenza non più eludibile di ricognizione delle fonti, per tanto tempo avvolte e mistificate dalla propaganda apologetica, ed il bisogno di disporre di un indice certo e definitivo di tutti i manoscritti di Marx. Essa si offre come imprescindibile mezzo per far luce sul suo testo, ristabilendone l’originario orizzonte problematico e polimorfo ed evidenziandone l’enorme divario con molte delle interpretazioni e delle esperienze politiche che, pur essendosi a lui richiamate, ne hanno trasmesso una percezione oltremodo sminuente. Leggere Marx con l’intento di ricostruirne la genesi degli scritti e il quadro storico nel quale nacquero, di evidenziarne l’importanza del debito intellettuale dell’elaborazione, di considerarne il carattere costantemente multidisciplinare : è l’impegnativo compito che la nuova Marx Forschung ha innanzi a sé e che necessita, per essere perseguito, di un orientamento permanentemente critico e lontano dal fuorviante condizionamento dell’ideologia. Tuttavia, quella di Marx non è soltanto un’opera priva di un’adeguata interpretazione critica in grado di rendere giustizia al suo genio , ma è anche un’opera in costante ricerca d’autore.

Le riflessioni di Marx sono attraversate da una differenza irriducibile, da un carattere del tutto particolare rispetto a quelle della maggior parte degli altri pensatori. Esse racchiudono un inscindibile legame tra teoria e prassi e sono persistentemente rivolte ad un soggetto privilegiato e concreto: «il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente» (die wirkliche Bewegung welche den jetzigen Zustand aufhebt), al quale viene affidato il «rovesciamento pratico dei rapporti sociali esistenti» (den praktischen Umsturz der realen gesellschaftlichen Verhältnisse) . Credere di poter relegare il patrimonio teorico e politico di Marx ad un passato che non avrebbe più niente da dire ai conflitti odierni, di circoscriverlo alla funzione di classico mummificato con un interesse inoffensivo per l’oggi o di rinchiuderlo in specialismi meramente speculativi, si rivelerebbe impresa errata al pari di quella che lo ha trasformato nella sfinge del grigio socialismo reale del Novecento.

La sua opera conserva confini e pretese ben più vasti degli àmbiti delle discipline accademiche. Senza il pensiero di Marx mancherebbero i concetti per comprendere e descrivere il mondo contemporaneo, così come gli strumenti critici per invertire la subalternità al credo imperante che presume di poter raffigurare il presente con le sembianze antistoriche della naturalità e dell’immutabilità.

Senza Marx saremmo condannati ad una vera e propria afasia critica. Non tragga in inganno l’apparente inattualità, l’assoluto ed unanime dogma che ne decreta con certezza l’oblio. Le sue idee potranno invece suscitare nuovi entusiasmi, stimolare ulteriori feconde riflessioni e subire altre alterazioni. La causa dell’emancipazione umana dovrà ancora servirsi di lui. Critico insuperato del sistema di produzione capitalistico, Karl Marx sarà fondamentale fino al suo superamento. Il suo «spettro» è destinato ad aggirarsi per il mondo ed a far agitare l’umanità ancora per molto.

APPENDICE: CRONOLOGIA DELLE OPERE DI MARX

ANNO TITOLO DELL’OPERA INFORMAZIONI SULLE EDIZIONI
1841 [Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro]

1902: in Aus dem literarischen Nachlass von Karl Marx, Friedrich Engels und Ferdinand Lassalle, a cura di Mehring (versione parziale).

1927: in MEGA I/1.1, a cura di Rjazanov.

1842-43 Articoli per la «Gazetta Renana» Quotidiano stampato a Colonia.
1843 [Dalla critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico] 1927: in MEGA I/1.1, a cura di Rjazanov.
1844 Saggi per gli «Annali Franco-Tedeschi» Sono inclusi Sulla questione ebraica e Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione. Unico numero pubblicato a Parigi. La maggior parte delle copie furono confiscate dalla polizia.
1844 [Manoscritti economico-filosofici del 1844] 1932: in Der historische Materialismus, a cura di Landshut e Mayer ed in MEGA I/3, a cura di Adoratskij (le edizioni differiscono per contenuto e ordine delle parti). Il testo fu escluso dai volumi numerati della MEW e pubblicato separatamente.
1845 La sacra famiglia (con Engels) Pubblicato a Francoforte sul Meno.
1845 [Tesi su Feuerbach] 1888: in appendice alla ristampa del Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca di Engels.
1845-46 [L’ideologia tedesca] (con Engels)

1903-1904: in «Dokumente des Sozialismus», a cura di Bernstein (versione parziale e rimaneggiata).

1932: in Der historische Materialismus, a cura di Landshut e Mayer ed in MEGA I/3, a cura di Adoratskij (le edizioni differiscono per contenuto e ordine delle parti).

1847 Miseria della filosofia Stampato a Bruxelles e Parigi. Testo in francese.
1848 Discorso sulla questione del libero scambio Pubblicato a Bruxelles. Testo in francese.
1848 Manifesto del partito comunista (con Engels) Stampato a Londra. Conquistò una certa diffusione a partire dagli anni Settanta.
1848-49 Articoli per la «Nuova Gazzetta Renana» Quotidiano uscito a Colonia. Vi è incluso Lavoro salariato e capitale.
1850 Articoli per la «Nuova Gazzetta Renana. Rivista politico-economica» Fascicoli mensili stampati ad Amburgo in tiratura esigua. Comprendono Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850.
1852 Il diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte Pubblicato a New York nel primo fascicolo di «Die Revolution». La maggior parte delle copie non furono ritirate dalla stamperia per difficoltà finanziarie. In Europa giunse solo un numero insignificante di esemplari. La seconda edizione – rielaborata da Marx – comparve solo nel 1869.
1851-62 Articoli per il «New-York Tribune» Molti degli articoli furono redatti da Engels.
1852 [I grandi uomini dell’esilio] (con Engels) 1930: in «Archiv Marksa i Engel’sa» (edizione russa). Il manoscritto era stato precedentemente occultato da Bernstein.
1853 Rivelazioni sul processo contro i comunisti a Colonia Stampato come opuscolo anonimo a Basilea (quasi tutti i duemila esemplari furono sequestrati dalla polizia) ed a Boston. Nel 1874 la ristampa sul «Volksstaat» nella quale Marx appariva come autore, nel 1875 la versione in libro.
1853-54 Lord Palmerston Testo in inglese. Pubblicato inizialmente in forma di articoli su «New-York Tribune» e «The People’s Paper». In seguito divenne un opuscolo.
1854 Il cavaliere dalla nobile coscienza Pubblicato a New York in forma di opuscolo.
1856-57 Rivelazioni sulla storia diplomatica del diciottesimo secolo Testo in inglese. Nonostante fosse stato già pubblicato da Marx, venne successivamente omesso e pubblicato ad Est solo nel 1986 nelle MECW.
1857 [Introduzione ai Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica] 1903: in «Die Neue Zeit», a cura di Kautsky con notevoli discordanze con l’originale.
1857-58 [Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica]

1939-1941: edizione di esigua diffusione.

1953: ristampa che ne permise l’effettiva circolazione.

1859 Per la critica dell’economia politica Stampato in mille copie a Berlino.
1860 Herr Vogt Stampato a Londra con scarsa risonanza.
1861-63 [Per la critica dell’economia politica (Manoscritto 1861-1863)]

1905-1910: Teorie sul plusvalore, a cura di Kautsky (versione rimaneggiata). Il testo conforme all’originale apparve solo nel 1954 (edizione russa) e nel 1956 (edizione tedesca).

1976-1982: pubblicazione integrale di tutto il manoscritto, in MEGA² II/3.1-3.6.

1863-64 [Sulla questione polacca] 1961: Manuskripte über die polnische Frage, a cura dell’IISG.
1863-67 [Manoscritti economici 1863-1867]

1894: Il capitale. Libro terzo. Il processo complessivo della produzione capitalistica, a cura di Engels (basato anche su manoscritti successivi, editi in MEGA² II/14 ed in preparazione in MEGA² II/4.3).

1933: Libro primo. Capitolo VI inedito, in «Archiv Marksa i Engel’sa».

1988: pubblicazione di manoscritti del Libro primo e del Libro secondo, in MEGA² II/4.1.

1992: pubblicazione di manoscritti del Libro terzo, in MEGA² II/4.2.

1864-72 Indirizzi, risoluzioni, circolari, manifesti, programmi, statuti per la «Associazione Internazionale degli Operai». Testi per lo più in inglese. Includono l’Indirizzo inaugurale dell’Associazione internazionale degli operai e Le cosiddette scissioni nell’Internazionale (con Engels).
1865 [Salario, prezzo e profitto] 1898: a cura di Eleonor Marx. Testo in inglese.
1867 Il capitale. Libro primo. Il processo di produzione del capitale Stampato in mille esemplari ad Amburgo. Seconda edizione nel 1873 in tremila copie. Traduzione russa nel 1872.
1870 [Manoscritto al libro secondo de „Il capitale“] 1885: Il capitale. Libro secondo. Il processo di circolazione del capitale, a cura di Engels (basato anche sul manoscritto del 1880-1881 e su quelli più brevi del 1867-1868 e del 1877-1878, in preparazione in MEGA² II/11).
1871 La guerra civile in Francia Testo in inglese. L’opera conobbe in breve tempo numerose edizioni e traduzioni.
1872-75 Il capitale. Libro I: Il processo di produzione del capitale (edizione francese) Testo rielaborato per la traduzione francese uscita in fascicoli. Secondo Marx dotato di un «valore scientifico indipendente dall’originale».
1874-75 [Note su „Stato e Anarchia“ di Bakunin] 1928: in «Letopisi marxisma», prefazione di Rjazanov (edizione russa). Manoscritto con estratti in russo e commenti in tedesco.
1875 [Critica al programma di Gotha] 1891: in «Die Neue Zeit», a cura di Engels che modificò alcuni passi dell’originale.
1875 [Il rapporto tra saggio del plusvalore e saggio del profitto sviluppato matematicamente] 2003: in MEGA² II/14.
1877 Dalla «Storia critica» (capitolo dell’Anti-Dühring di Engels) Pubblicato parzialmente sul «Vorwärts» e poi integralmente nell’edizione in volume.
1879-80 [Annotazioni su „La proprietà comune rurale“ di Kovalevskij] 1977: in Karl Marx über Formen vorkapitalistischer Produktion, a cura dell’IISG.
1879-80 [Glosse marginali al „Manuale di economia politica“ di Wagner] 1932: in Das Kapital (versione parziale).
1933: in SOČ XV (edizione russa).
1880-81 [Estratti da „La società antica“ di Morgan] 1972: in The Ethnological Notebooks of Karl Marx, a cura dell’IISG. Manoscritto con estratti in inglese.
1881-82 [Estratti cronologici 90 a. C. – 1648 ca.] 1938-1939: in «Archiv Marksa i Engel’sa» (versione parziale, edizione russa).
1953: in Marx, Engels, Lenin, Stalin Zur deutschen Geschichte (versione parziale).

Riferimenti
1. Boris Nikolaevskij-Otto Maenchen-Helfen, Karl Marx. La vita e l’opera, Einaudi, Torino 1969, p. 7.
2. La testimonianza più significativa del ciclopico lavoro di Marx è resa dai compendi e dagli appunti di studio pervenutici. Fin dal periodo universitario, infatti, Marx aveva assunto l’abitudine, mantenuta per tutta la vita, di compilare quaderni di estratti dai libri che leggeva, intervallandoli, spesso, con le riflessioni che essi gli suggerivano. Il Nachlaß di Marx contiene circa duecento quaderni e taccuini di riassunti, essenziali per la conoscenza e la comprensione della genesi della sua teoria e delle parti di essa che non ebbe modo di sviluppare. I suoi estratti conservati, che coprono il lungo arco di tempo dal 1838 fino al 1882, sono scritti in 8 lingue – tedesco, greco antico, latino, francese, inglese, italiano, spagnolo e russo – e ineriscono alle più svariate discipline. Essi furono desunti da testi di filosofia, arte, religione, politica, diritto, letteratura, storia, economia politica, relazioni internazionali, tecnica, matematica, fisiologia, geologia, mineralogia, agronomia, etnologia, chimica e fisica; oltre che da articoli di quotidiani e riviste, resoconti parlamentari, statistiche, rapporti e pubblicazioni di uffici governativi – è il caso dei famosi Blue Books, in particolare i Reports of the inspectors of factories, le cui indagini furono di grande importanza per i suoi studi. Questa sterminata miniera di sapere, in larga parte ancora inedita, fu il cantiere della teoria critica di Marx. La quarta sezione della MEGA², Exzerpte, Notizen, Marginalien, concepita in trentadue volumi, ne permetterà, quando completata, finalmente l’accesso.
3. Benedikt Kautsky (a cura di), Friedrich Engels’ Briefwechsel mit Karl Kautsky, Danubia Verlag, Wien 1955, p. 32; tr. it. parz. Hans Magnus Enzensberger (a cura di), Colloqui con Marx e Engels, Einaudi, Torino 1977, p. 438 (tr. modificata).
4. In proposito si veda la cronologia delle sue opere in appendice.
5. Cfr. Maximilien Rubel, Marx critique du marxisme, Payot, Paris 2000 (1974), pp. 439-440; tr. it. parz. Marx critico del marxismo, Cappelli, Bologna 1981, p. 109 e Bruno Bongiovanni, Le repliche della storia, Bollati Boringhieri, Torino 1989, p. 7.
6. Nel presente saggio i manoscritti incompiuti di Marx, pubblicati da editori successivi, sono inseriti tra parentesi quadre.
7. Friedrich Engels, Vorwort a Karl Marx, Das Kapital, Zweiter Band, Marx Engels Werke, Band 24, Dietz Verlag, Berlin 1963, p. 7; tr. it. Prefazione a Karl Marx, Il capitale, Libro secondo, Editori Riuniti, Roma 1965, p. 9.
8. Friedrich Engels, Vorwort a Karl Marx, Das Kapital, Dritter Band, MEGA² II/15, Akademie Verlag, Berlin 2004, p.7; tr. it. Prefazione a Karl Marx, Il capitale, Libro terzo, Editori Riuniti, Roma 1965, p. 10.
9. Le più recenti acquisizioni filologiche valutano che gli interventi eseguiti da Engels, durante il suo lavoro di curatore, sui manoscritti del secondo e del terzo libro de Il capitale, ammontano a circa cinquemila. Una quantità di gran lunga superiore a quella sino ad oggi presunta. Le modifiche al testo, che consistono in aggiunte di passaggi, sostituzioni di concetti, trasformazioni di alcune formulazioni di Marx e traduzioni di parole da lui utilizzate in altre lingue, saranno disponibili nella loro interezza con la conclusione, prevista per il 2007, della seconda sezione della MEGA², Das Kapital und Vorarbeiten. Essa comprenderà la pubblicazione integrale di tutte le edizioni autorizzate de Il capitale (comprese le traduzioni) e di tutti i suoi manoscritti preparatori, a partire da quelli del 1857-58. Il completamento di questa impresa consentirà, finalmente, la valutazione critica certa sullo stato degli originali lasciati da Marx e sul ruolo svolto da Engels in qualità di editore.
10. Friedrich Engels, Vorworte zu den drei Auflagen de Herrn Eugen Dührings Umwälzung der Wissenschaft, MEGA² I/27, Dietz Verlag, Berlin 1988, p. 492; tr. it. Anti-Dühring, Marx Engels Opere, vol. XXV, Editori Riuniti, Roma 1968, p. 6.
11. Cfr. Hans Josef Steinberg, Il socialismo tedesco da Bebel a Kautsky, Editori Riuniti, Roma 1979, pp. 72-77.
12. Eduard Bernstein, I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia, Laterza, Bari 1968, p. 58.
13. Cfr. Franco Andreucci, La diffusione e la volgarizzazione del marxismo, in Aa. Vv., Storia del marxismo, vol. secondo, Einaudi, Torino 1979, p. 15.
14. Cfr. Erich Matthias, Kautsky e il kautskismo, De Donato, Bari 1971, p. 124.
15. Friedrich Engels-Karl Marx, Die heilige Familie, Marx Engels Werke, Band 2, Dietz Verlag, Berlin 1962, p. 98; tr. it. La sacra famiglia, Marx Engels Opere, vol. IV, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 103.
16. Cfr. Paul M. Sweezy, La teoria dello sviluppo capitalistico, Boringhieri, Torino 1970, p. 225.
17. Cfr. Hans Josef Steinberg, Il partito e la formazione dell’ortodossia marxista, in Aa. Vv., Storia del marxismo, vol. secondo, op. cit., p. 190.
18. Karl Kautsky, Il programma di Erfurt, Samonà e Savelli, Roma 1971, p. 123.
19. Gheorghi Plekhanov, Le questioni fondamentali del marxismo, in Gheorghi Plekhanov, Opere Scelte, Edizioni Progress, Mosca 1985, p. 366.
20. Vladimir Ilic Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo, in Vladimir Ilic Lenin, Opere complete, vol. XIV, Editori Riuniti, Roma 1963, p. 152.
21. Ivi, p. 185.
22. Nikolaj I. Bucharin, Teoria del materialismo storico, La Nuova Italia, Firenze 1977, p. 16.
23. Ivi, p. 252.
24. Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, (a cura di Valentino Gerratana) Einaudi, Torino 1975, p. 1403.
25. Ivi, p. 1428.
26. Josef Stalin, Del materialismo dialettico e del materialismo storico, Edizioni Movimento Studentesco, Milano 1973, p. 919.
27. Ivi, p. 926-927.
28. Cfr. Izumi Omura, Valerij Fomičev, Rolf Hecker, Shun-ichi Kubo (a cura di), Familie Marx privat, Akademie Verlag, Berlin 2005, p. 235; tr. it. Karl Marx biografia per immagini, Editori Riuniti, Roma 1983, (senza numeri di pagina) immagine 111.
29. Karl Marx, Nachwort a Das Kapital, Erster Band, MEGA² II/6, Dietz Verlag, Berlin 1987, p. 704; tr. it. Poscritto alla seconda edizione de Il capitale, Libro primo, Editori Riuniti, Roma 1964, p. 42.
30. Karl Marx, Provisional Rules of the International Working Men’s Association, MEGA², I/20, Akademie Verlag, Berlin 2003 (1992); tr. it. Statuti provvisori dell’Associazione internazionale degli operai, Marx Engels Opere, vol. XX, Editori Riuniti, Roma 1987, p. 14.
31. Karl Marx, Kritik des Gothaer Programms, Marx Engels Werke, Band 19, Dietz Verlag, Berlin 1962, p. 21; tr. it. Critica al programma di Gotha, Editori Riuniti, Roma 1990 (1976), p. 17.
32. Antonio Labriola, Discorrendo di socialismo e filosofia, Scritti filosofici e politici, (a cura di Franco Sbarberi), Einaudi, Torino 1973, pp. 667-669.
33. Nel suo testo Labriola tracciava uno schema preciso dei caratteri dell’edizione, che avrebbe dovuto essere «corredata, caso per caso, di prefazioni dichiarative, di indici di riferimento, di note e di rimandi. (…) Agli scritti già apparsi in forma di libri o di opuscoli converrebbe aggiungere gli articoli di giornali, i manifesti, le circolari, i programmi, e tutte quelle lettere, che, per essere di pubblico e di generale interesse, per quanto dirette a privati, hanno importanza politica o scientifica». Ivi, p. 671.
34. Ivi, p. 672.
35. Ivi, pp. 673-677.
36. Cfr. Maximilien Rubel, Bibliographie des œuvres de Karl Marx, Rivière, Paris, 1956, p. 27.
37. Cfr. David Rjazanov, Neueste Mitteilungen über den literarischen Nachlaß von Karl Marx und Friedrich Engels, in «Archiv für die Geschichte des Sozialismus und der Arbeiterbewegung», Hirschfeld, Leipzig, 1925, in particolare pp. 385-386.
38. In proposito si rimanda all’Einführung del volume MEGA² IV/32, Die Bibliotheken von Karl Marx und Friedrich Engels, Akademie Verlag, Berlin 1999, pp. 7-97.
39. Cfr. Maximilien Rubel, Marx critique du marxisme, op. cit., p. 81; tr. it. parz. Marx critico del marxismo, op. cit., p. 88. L’infaticabile opera di denuncia della ricerca marxologica di Maximilien Rubel sulla profonda differenza tra Marx ed il «marxismo» giunse a considerare quest’ultimo come «il più grande, se non il più tragico, malinteso del secolo». A riguardo si veda anche l’opuscolo di Louis Janover, Maximilien Rubel: un impegno per Marx, Colibrì, Milano 2001, in particolare p. 19.
40. Accanto al misconoscimento «marxista», che si è voluto sin qui tratteggiare, andrebbe considerato anche quello «antimarxista» di parte liberale e conservatrice, ben più grave perché carico di prevenuta ostilità. Non offrendo questa sede l’opportunità per una sua valutazione, sarà oggetto di successivi approfondimenti.
41. Cfr. Daniel Bensaïd, Passion Karl Marx, Textuel, Paris 2001, p. 181.
42. In proposito si veda Bruno Bongiovanni, Leggere Marx dopo il marxismo, «Belfagor», n. 5 (1995), p. 590.
43. Cfr. Maximilien Rubel, Karl Marx, Colibrì, Milano 2001, p. 18.
44. Karl Marx, Friedrich Engels, Joseph Weydemeyer, Die deutsche Ideologie. Artikel, Druckvorlagen, Entwürfe, Reinschriftenfragmente und Notizen zu “I. Feuerbach” und “II. Sankt Bruno”, in «Marx-Engels-Jahrbuch» 2003, Akademie Verlag, Berlin 2004, pp. 21 e 29; tr. it. L’ideologia tedesca, Marx Engels Opere, vol. V, Editori Riuniti, Roma 1972, pp. 34 e 39.
45. Considerata la mole della produzione intellettuale di Marx, la cronologia non è stata redatta in base al criterio della completezza, ma si riferisce esclusivamente alle opere più significative. L’intento è quello di porre in evidenza il carattere incompiuto di tanti scritti di Marx e le vicissitudini relative alla loro pubblicazione. Per rispondere al primo proposito, i titoli dei manoscritti che non furono da lui dati alle stampe sono inseriti tra parentesi quadre, differenziandoli così dai volumi e dagli articoli invece completati. Emerge in questo modo il rapporto prevalente della parte incompiuta su quella finita. Per mettere in risalto il secondo obiettivo, invece, una colonna contenente informazioni sulle edizioni dei lavori apparsi postumi ne specifica l’anno della prima pubblicazione, il riferimento bibliografico e, dove rilevante, il curatore. Eventuali modifiche all’originale sono segnalate. Inoltre, quando il testo o il manoscritto di Marx non è stato redatto in tedesco, ne viene indicata la lingua di stesura. Abbreviazioni utilizzate: MEGA (Marx-Engels-Gesamtausgabe, 1927-1935); SOČ (K. Marks i F. Èngel’sa Sočinenija, 1928-1946); MEW (Marx-Engels-Werke, 1956-1968); MECW (Marx-Engels-Collected-Works, 1975-2005); MEGA² (Marx-Engels-Gesamtausgabe, 1975-…).

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Le inesauribili avventure delle edizioni di Marx ed Engels

Da qualche anno è ritornato all’attenzione degli studiosi internazionali un autore misconosciuto: Karl Marx. Il suo pensiero, tanto apparentemente fuori moda quanto ancora irrinunciabile per la comprensione del presente, è riconsegnato ai liberi campi del sapere.

La sua opera, liberata dall’odiosa funzione di instrumentum regni cui era stata in passato strumentalmente destinata, diviene oggetto di rinnovato interesse.

Le pubblicazioni della Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA²), ricominciate nel 1998 dopo l’interruzione seguita al crollo dei paesi socialisti, l’impegnativa fase di riorganizzazione delle direttive editoriali (Richard Sperl, Edition auf hohem Niveau. Zu den Grundsätzen der Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA), pp. 215, € 12,90, Argument, Hamburg 2004) e il trasferimento della sua direzione presso la Berlin-Brandenburgische Akademie der Wissenschaften, ne sono l’esempio più significativo. Dei 114 volumi previsti, ognuno dei quali consta di due tomi, il testo più l’apparato critico, è stato di recente raggiunto l’importante traguardo del cinquantesimo volume, il decimo dalla ripresa.

Molte delle acquisizioni filologiche insite nella nuova edizione storico-critica evidenziano una caratteristica peculiare dell’opera di Marx: l’incompiutezza. Egli lasciò, infatti, più manoscritti incompleti di quanti non ne avesse, invece, dati alle stampe e ciò avvenne anche con Il capitale, la cui intera pubblicazione, comprensiva cioè di tutti i lavori preparatori a partire del 1857, troverà finalmente ultimazione nella seconda sezione della MEGA² entro il 2007.

Dopo la morte di Marx, fu Engels a dedicarsi per primo alla difficilissima impresa, stante la dispersività dei materiali, l’astrusità del linguaggio e l’illeggibilità della grafia, di dare alle stampe il Nachlass frammentario dell’amico. L’uscita del terzo libro de Il capitale (MEGA², II/15. Karl Marx, Das Kapital. Kritik der politischen Ökonomie. Dritter Band. Hamburg 1894 , pp. 1420, € 178, Akademie Verlag, Berlin 2004), l’unico cui Marx non riuscì, neanche approssimativamente, a dare una forma definitiva, ripropone anch’essa questo aspetto. L’intensa attività redazionale di Engels, nella quale profuse le migliori energie nel lungo arco di tempo compreso tra il 1885 ed il 1894, produsse il passaggio da un testo molto provvisorio, composto di «pensieri scritti in statu nascendi» e appunti preliminari, ad un altro unitario dal quale si originò la parvenza di una teoria economica sistematica e conclusa, successivamente foriera di molti malintesi interpretativi. Di maggiore interesse al riguardo, il volume precedente (MEGA², II/14. Karl Marx-Friedrich Engels, Manuskripte und redaktionelle Texte zum dritten Buch des „Kapitals“, 1871 bis 1895 , pp. 1183, € 168, Akademie Verlag, Berlin 2003). Esso contiene, infatti, gli ultimi sei manoscritti di Marx relativi al terzo libro de Il capitale stesi tra il 1871 ed il 1882, il più importante dei quali è il voluminoso Mehrwertrate und Profitrate mathematisch behandelt del 1875, nonché i testi aggiunti da Engels durante il suo lavoro di curatore. Proprio questi ultimi mostrano, con inequivocabile esattezza, il percorso compiuto sino alla versione pubblicata e, ponendo in risalto la quantità degli interventi sul testo, di gran lunga superiori a quelli sino ad ora ipotizzati, permettono finalmente di formulare una valutazione certa sul suo ruolo di editore, evidenziandone valore e limiti. Ad ulteriore conferma del pregio di questo libro, si sottolinea che 45 dei 51 testi presentati vengono dati alle stampe per la prima volta.

La ricerca filologica della MEGA² ha prodotto risultati di rilievo anche nella prima sezione, quella che comprende le opere, gli articoli e le bozze di Marx ed Engels. Due i volumi ultimamente apparsi. Il primo (MEGA², I/14. Karl Marx-Friedrich Engels, Werke, Artikel, Entwürfe. Januar bis Dezember 1855, pp. 1695, € 188, Akademie Verlag, Berlin 2001) include duecento articoli e bozze, redatti dai due autori nel 1855 per il «New-York Tribune» e la «Neue Oder-Zeitung» di Breslau. Accanto all’insieme degli scritti più noti, inerenti la politica e la diplomazia europea, le riflessioni sulla congiuntura economica internazionale e la guerra di Crimea, gli studi condotti hanno reso possibile aggiungere, altri ventuno testi, a loro non attribuiti precedentemente perché pubblicati in anonimato sull’importante quotidiano americano. Il secondo, invece, (MEGA², I/31. Friedrich Engels, Werke, Artikel, Entwürfe. Oktober 1886 bis Februar 1891, pp. 1440, € 168, Akademie Verlag, Berlin 2002) presenta parte dei lavori dell’ultimo Engels. Nel volume si alternano progetti e appunti, tra i quali il manoscritto Rolle der Gewalt in der Geschichte, privato degli interventi di Bernstein che ne aveva curato la prima edizione; indirizzi alle organizzazioni del movimento operaio; prefazioni alle ristampe di scritti già pubblicati ed articoli. Tra questi ultimi, sono di particolare interesse Die auswärtige Politik des russischen Zarentums, la storia di due secoli di politica estera russa apparsa su «Die Neue Zeit» ma poi proibita da Stalin nel 1934, e Juristen-Sozialismus, scritto con Kautsky, del quale è riconosciuta, per la prima volta con certezza, la paternità delle singole parti.

Le novità dell’edizione storico-critica sono riscontrabili anche nella terza sezione, quella relativa al carteggio. Tema principale di un recente volume (MEGA², III/13. Karl Marx-Friedrich Engels, Briefwechsel Oktober 1864 bis Dezember 1865, pp. 1443, € 168, Akademie Verlag, Berlin 2002), l’attività politica di Marx in seno alla International Working Men’s Association, costituitasi a Londra il 28 settembre del 1864. Le lettere documentano l’operato di Marx nel periodo iniziale della vita dell’organizzazione, durante il quale acquisì rapidamente il ruolo di maggior prestigio, ed il suo tentativo di tenere insieme l’impegno pubblico, che lo vedeva dopo sedici anni nuovamente in prima linea, con il lavoro scientifico. Tra le questioni dibattute: la funzione delle organizzazioni sindacali delle quali sottolineò l’importanza schierandosi, al contempo, contro Lassalle e la sua proposta di formare cooperative finanziate dallo Stato prussiano: «la classe operaia è rivoluzionaria o non è niente»; la polemica contro l’owenista Weston, che approdò nel ciclo di conferenze raccolte postume nel 1898 con il nome di Salario, prezzo e profitto; le considerazioni sulla guerra civile negli Stati Uniti; l’opuscolo di Engels La questione militare prussiana e il partito operaio tedesco. L’altro volume di corrispondenza da poco edito (MEGA², III/9. Karl Marx-Friedrich Engels, Briefwechsel Januar 1858 bis August 1859, pp. 1301, € 168, Akademie Verlag, Berlin 2003) ha come sfondo la recessione economica del 1857. Essa riaccese in Marx la speranza di una ripresa del movimento rivoluzionario dopo il decennio di riflusso apertosi con la sconfitta del 1848: «la crisi ha scavato come una valente vecchia talpa». Questa aspettativa lo pervase di una rinnovata produttività intellettuale e lo spinse a delineare i lineamenti fondamentali della sua teoria economica «prima del déluge», tanto sperato, ma ancora una volta irrealizzato. Proprio in questo periodo, Marx stese gli ultimi quaderni dei suoi Grundrisse – osservatorio privilegiato per seguire l’evolversi della concezione dell’autore – e decise di pubblicare la sua opera in fascicoli, il primo dei quali, edito nel giugno del 1859, s’intitolò Per la critica dell’economia politica. Sul piano personale, questa fase è segnata dalla «miseria incancrenita»: «non credo che mai nessuno abbia scritto su ‘il denaro’ con una tale mancanza di denaro». Marx lotta disperatamente perché la precarietà della propria condizione non gli impedisca di portare a termine la sua «Economia» e dichiara: «io devo perseguire il mio scopo a tutti i costi e non permettere alla società borghese di trasformarmi in una money-making machine ». Tuttavia, sebbene si dedicasse totalmente alla stesura del secondo fascicolo, questo non vedrà mai la luce e per la conclusione del primo libro de Il capitale, l’unico ultimato, bisognerà attendere il 1867. La restante parte del suo immenso progetto, contrariamente al carattere di sistematicità che gli è stato spesso assegnato, sarà realizzata soltanto parzialmente e resterà straordinariamente piena di manoscritti abbandonati, abbozzi provvisori e progetti incompiuti.

Fedele compagna e dannazione dell’intera produzione letteraria di Marx, l’incompiutezza vive egualmente nelle sue opere giovanili. Il primo numero della nuova serie del Marx-Engels-Jahrbuch (Karl Marx, Friedrich Engels, Joseph Weydemeyer, Die deutsche Ideologie, pp. 400, € 59,80, Akademie Verlag, Berlin 2004), interamente dedicato a L’ideologia tedesca, ne è prova inconfutabile. Questo libro, anticipazione del volume I/5 della MEGA², la cui uscita prevista per il 2008 offrirà parti del manoscritto correttamente ascritte a Moses Heß, differentemente dalle edizioni succedutesi sino ad oggi, pubblica le carte di Marx ed Engels così come sono state da loro lasciate, ovvero senza alcun tentativo di ricostruzione. Le parti incluse nell’annuario corrispondono ai capitoli I. Feuerbach e II. Sankt Bruno. I sette manoscritti sopravvissuti alla «critica roditrice dei topi» sono raccolti come testi indipendenti e ordinati cronologicamente. Da questa edizione si evince, con chiarezza, il carattere non unitario dello scritto e, in particolare, che il capitolo su Feuerbach fu tutt’altro che compiuto. Nuove e definitive basi, dunque, vengono fornite all’indagine scientifica per risalire, con attendibilità, all’elaborazione teorica di Marx. L’ideologia tedesca, considerata a volte finanche come l’esposizione esaustiva della concezione materialistica di Marx, è restituita nella sua originaria frammentarietà.

Sempre sul giovane Marx, infine, si segnala la riedizione della raccolta delle opere giovanili a cura degli studiosi socialdemocratici Landshut e Mayer (Karl Marx, Die Frühschriften, pp. 670, € 19,80, Kröner, Stuttgart 2004) che nel 1932, in contemporanea con la prima Marx-Engels Gesamtausgabe, resero possibile la diffusione, pur se con diversi errori circa i contenuti e la sistemazione delle varie parti dei testi e con una cattiva decifrazione degli originali, deiManoscritti economico-filosofici del 1844 e de L’ideologia tedesca, sino ad allora inediti.

Dopo le tante stagioni contrassegnate da una profonda e reiterata incomprensione di Marx, inverata dalla sistematizzazione della sua teoria critica, dall’impoverimento che ne ha accompagnato la divulgazione, dalla manipolazione e la censura dei suoi scritti e dal loro utilizzo strumentale in funzione delle necessità politiche, l’incompiutezza della sua opera si mostra con fascino indiscreto, priva di soluzioni di continuità con le interpretazioni che la hanno precedentemente snaturata sino a diventarne manifesta negazione.

Da essa riemerge la ricchezza di un pensiero, problematico e polimorfo, e dell’orizzonte lungo il quale la Marx Forschung ha ancora tanti sentieri da percorrere.

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Roberto Finelli, Critica Marxista

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Marx a Parigi

I. Parigi: Capitale del mondo nuovo
Parigi è una «mostruosa meraviglia, stupefacente insieme di movimenti, macchine e pensieri, la città dai centomila romanzi, la testa del mondo» [1]. Così Balzac descriveva, in uno dei suoi racconti, l’effetto che la capitale francese produceva su quanti non la conoscevano a fondo.

Durante gli anni precedenti la rivoluzione del 1848, la città era abitata da artigiani ed operai in continua agitazione politica; da colonie di esuli, rivoluzionari, scrittori ed artisti di più paesi ed il fermento sociale che la attraversava, aveva raggiunto un’intensità riscontrabile in pochi altri periodi storici[2]. Donne ed uomini, dalle doti intellettuali più svariate pubblicarono libri, riviste e giornali; scrissero poesie; presero parola nelle assemblee; si dedicarono ad interminabili discussioni nei caffè, per le strade, nei banchetti pubblici. Vissero nello stesso luogo esercitando, tra di loro, reciproca influenza[3].

Bakunin aveva deciso di andare al di là del Reno, per trovarsi «di colpo in mezzo a quei nuovi elementi, che in Germania non sono ancora neppure nati. [Primo tra questi] la diffusione del pensiero politico in tutti gli strati della società» [4]. Von Stein sostenne che «nel popolo stesso era cominciata una vita propria che creava nuove associazioni, che pensava nuove rivoluzioni» [5]. Ruge affermò: «a Parigi vivremo le nostre vittorie e le nostre sconfitte» [6].

Era, insomma, il luogo dove farsi trovare in quel preciso momento storico.Sempre Balzac asseriva che «le vie di Parigi hanno qualità umane, ed imprimono in noi con la loro fisionomia certe idee da cui non possiamo difenderci» [7]. Molte di queste idee colpirono anche Karl Marx, che, venticinquenne, vi si era recato nell’ottobre del 1843 [8]; esse segnarono profondamente la sua evoluzione intellettuale che, proprio nel corso del soggiorno parigino, compì una decisiva maturazione.

La disponibilità teorica con la quale vi giunse [9], in seguito all’esperienza giornalistica presso la «Rheinische Zeitung» [10] e all’abbandono dell’orizzonte concettuale dello Stato razionale hegeliano e del radicalismo democratico al quale era approdato, fu scossa dalla visione concreta del proletariato. L’incertezza generata dall’atmosfera problematica dell’epoca, che vedeva consolidarsi rapidamente una nuova realtà economico-sociale, si dissolse al contatto, sul piano teorico quanto su quello dell’esperienza vissuta, con la classe lavoratrice parigina e le sue condizioni di lavoro e di vita.

La scoperta del proletariato e, per suo tramite, della rivoluzione; l’adesione, seppur ancora in forma indeterminata e semiutopistica, al comunismo; la critica alla filosofia speculativa di Hegel e alla Sinistra hegeliana; il primo abbozzo della concezione materialistica della storia e l’avvio della critica dell’economia politica, sono l’insieme dei temi fondamentali che Marx andò maturando durante questo periodo. Le note che seguono, tralasciando volutamente l’interpretazione critica del suo celebre scritto giovanile, i cosiddetti [Manoscritti economico-filosofici] [11], redatto proprio nel corso della permanenza a Parigi, privilegiano il merito delle questioni filologiche ad esso relative.

II. L’approdo all’economia politica
Durante il rapporto di collaborazione con la «Rheinische Zeitung», Marx si era già misurato con singole questioni economiche, seppure sempre dal punto di vista giuridico e politico [12]. Successivamente, nelle riflessioni sviluppate a Kreuznach nel 1843, dalle quali scaturì il manoscritto[Dalla critica della filosofia hegeliana del diritto] [13], avendo concepito la società civile come base reale dello Stato politico, giunse alla prima formulazione della rilevanza del fattore economico nei rapporti sociali [14]. Tuttavia, soltanto a Parigi, spinto dalle contraddittorietà del diritto e della politica, insolubili nel loro stesso ambito, ovvero dalla incapacità che entrambe avevano mostrato di dare soluzione ai problemi sociali, e colpito in maniera decisiva dalle considerazioni contenute nei Lineamenti di una critica dell’economia politica [15], uno dei due articoli di Engels pubblicati nel primo e unico volume dei «Deutsch-französische Jahrbücher» [16], diede inizio ad uno «studio critico scrupoloso dell’economia politica» [17]. Da quel momento, le sue indagini, di carattere preminentemente filosofico, politico e storico, si indirizzarono verso questa nuova disciplina che divenne il fulcro delle sue ricerche e preoccupazioni scientifiche, delimitando un nuovo orizzonte che mai più sarà abbandonato [18].

Sotto l’influsso de L’essenza del denaro [19] di Hess e della trasposizione, da lui operata, del concetto di alienazione dal piano speculativo a quello economico-sociale, il primo stadio di queste analisi si concentrò nella critica alla mediazione economica del denaro, ostacolo alla realizzazione dell’essenza dell’uomo. Nella polemica contro Bruno Bauer Sulla questione ebraica [20], Marx considera quest’ultima come un problema sociale che rappresenta il presupposto filosofico e storico-sociale dell’intera civiltà capitalistica [21]. L’ebreo è la metafora e l’avanguardia storica dei rapporti che questa produce, la sua figura mondana diviene sinonimo di capitalista tout court [22].

Subito dopo, Marx inaugura il nuovo campo di studi con una grande mole di letture e note critiche che alternava, come meglio si illustrerà in seguito, nei manoscritti e nei quaderni di estratti e annotazioni che era solito compilare dai testi che leggeva. Il filo conduttore del suo lavoro è il bisogno di disvelare e contrastare la maggiore mistificazione dell’economia politica: la tesi secondo la quale le sue categorie fossero valide in ogni tempo ed in ogni luogo. Marx fu profondamente colpito da questa cecità e mancanza di senso storico degli economisti che, in realtà, tentavano così di dissimulare e giustificare l’inumanità delle condizioni economiche del tempo in nome del loro carattere naturale. Nel commentare un testo di Say, egli nota che «la proprietà privata è un fatto la cui costituzione non attiene all’economia politica, ma che ne costituisce il fondamento. (…) L’intera economia politica si fonda dunque su un fatto privo di necessità» [23]. Analoghe osservazioni sono svolte nei [Manoscritti economico-filosofici] nei quali Marx sottolinea che «l’economia politica parte dal fatto della proprietà privata. Ma non ce la spiega» [24], «presuppone in forma di fatto, di accadimento, ciò che deve dedurre» [25].

L’economia politica considera, cioè, il regime della proprietà privata, il modo di produzione ad esso congiunto e le categorie economiche corrispondenti, come immutabili e durevoli per l’eternità. L’uomo membro della società borghese appare come l’uomo naturale. Insomma, «quando si parla della proprietà privata, si crede di avere a che fare con una cosa fuori dell’uomo» [26], commenta Marx, il cui rifiuto per questa ontologia dello scambio non avrebbe potuto essere più netto.

Al contrario, sorretto da diversi ed approfonditi studi storici, che gli avevano fornito una prima chiave di lettura dell’evoluzione temporale delle strutture sociali[27], e recependo quelle che riteneva le migliori intuizioni di Proudhon, ovvero la sua critica contro l’idea di proprietà come diritto naturale [28], Marx aveva già colto la centrale cognizione della provvisorietà storica. Gli economisti borghesi avevano presentato le leggi del modo di produzione capitalistico come leggi eterne della società umana. Marx, viceversa, ponendo come esclusivo e distinto oggetto d’indagine la natura specifica dei rapporti del suo tempo, «la realtà lacerata dell’industria» [29], ne sottolinea la transitorietà, il carattere di stadio storicamente prodotto e intraprende la ricerca delle contraddizioni che il capitalismo produce e che portano al suo superamento.

Questo differente modo di intendere i rapporti sociali avrebbe determinato importanti ricadute, la più significativa delle quali è, senz’altro, quella relativa al concetto di lavoro alienato. Contrariamente agli economisti, così come allo stesso Hegel [30], che lo concepivano come una condizione naturale ed immutabile della società, Marx avviò quel percorso che lo avrebbe portato a respingere la dimensione antropologica dell’alienazione in favore di una concezione su base storico-sociale che riconduceva il fenomeno ad una determinata struttura di rapporti produttivi e sociali [31]: l’estraneazione umana entro le condizioni del lavoro industriale.

Le note che accompagnano gli estratti da James Mill, evidenziano «come l’economia politica stabilisca la forma estraniata delle relazioni sociali come la forma essenziale e originaria e corrispondente alla destinazione umana» [32]. Lungi dall’essere una condizione costante dell’oggettivazione, della produzione dell’operaio, il lavoro alienato è per Marx, al contrario, l’espressione della socialità del lavoro entro i limiti dell’ordinamento attuale, della divisione del lavoro, che considera l’uomo come «un tornio (…) e lo trasforma in un aborto spirituale e fisico» [33].

Nell’attività lavorativa si afferma la peculiarità dell’individuo, l’attuazione di un suo bisogno necessario; tuttavia, «questa realizzazione del lavoro appare nello stadio dell’economia privata come un annullamento dell’operaio» [34]. Il lavoro sarebbe affermazione umana, libera azione creatrice, «ma nelle condizioni della proprietà privata la mia individualità è alienata al punto che questa attività mi è odiosa, è per me un tormento e solo la parvenza di un’attività, ed è pertanto anche soltanto una attività estorta ed impostami soltanto da un accidentale bisogno esteriore» [35].

Marx pervenne a queste conclusioni raccogliendo le teorie valide della scienza economica, criticandone gli elementi costitutivi ed invertendone gli esiti [36]. Ciò avvenne attraverso un impegno intensissimo e senza tregua. Quello di Parigi è un Marx famelico di letture [37], alle quali dedica giorno e notte. È un Marx pieno di entusiasmi e progetti, che traccia piani di lavoro talmente grandi da non poterli mai condurre a termine, che studia ogni documento relativo alla questione in esame, per poi essere assorbito dal rapidissimo progredire della sua conoscenza e dai mutamenti d’interesse che lo traghettano, puntualmente, verso nuovi orizzonti, ulteriori proponimenti ed ancora altre ricerche [38].

Sur la rive gauche de la Seine, pianifica la stesura di una critica della filosofia del diritto di Hegel, conduce studi sulla rivoluzione francese per scrivere una storia della Convenzione, progetta una critica delle dottrine socialiste e comuniste esistenti [39]. Si getta poi in uno studio forsennato dell’economia politica che, d’improvviso, preso dalla priorità di sgomberare definitivamente il terreno tedesco [40] dalla critica trascendente di Bauer e soci, interrompe, per scrivere la sua prima opera: La sacra famiglia [41]. E poi, ancora, altri cento propositi: se c’era da fare una critica, questa passava per la sua testa e per la sua penna. Eppure, il giovane più prolifico del movimento della sinistra hegeliana era anche quello che aveva pubblicato meno di tanti altri.

L’incompiutezza, che caratterizzerà tutta la sua opera, è già presente nei lavori del suo anno parigino. La sua scrupolosità aveva dell’incredibile: si rifiutava di scrivere una frase se non riusciva a dimostrarla in dieci modi diversi [42]. Il convincimento dell’insufficienza delle informazioni e dell’immaturità delle sue valutazioni, gli impediva di pubblicare gran parte dei lavori a cui si era dedicato che rimanevano, perciò, abbozzati e frammentari [43]. I suoi appunti, dunque, sono preziosissimi. Misurano l’ampiezza delle sue ricerche, contengono alcune delle sue riflessioni e vanno valutati parte integrante della sua opera. Ciò vale anche per il periodo parigino durante il quale, manoscritti e note di lettura, testimoniano lo stretto ed inscindibile legame tra scritti ed appunti[44].

III. Manoscritti e quaderni di estratti: le carte del 1844
Nonostante l’incompiutezza e la forma frammentaria che li contraddistingue, i [Manoscritti economico-filosofici] del 1844, sono stati quasi sempre letti prestando scarsa attenzione ai problemi filologici insiti, ignorati o ritenuti poco importanti [45]. Essi furono pubblicati, interamente, per la prima volta, soltanto nel 1932 e per giunta in due diverse edizioni [46]. Nella raccolta a cura degli studiosi socialdemocratici Landshut e Mayer, intitolata Der historische Materialismus, comparvero sotto il titolo « Nationalökonomie und Philosophie» [47]; mentre nella Marx Engels Gesamtausgabe come «Ökonomisch-philosophische Manuskripte aus dem Jahre 1844» [48]. Oltre che per il nome, le due pubblicazioni si distinguevano anche per il contenuto e per l’ordine delle varie parti che evidenziavano grandi differenze. La prima, che brulicava di errori dovuti alla cattiva decifrazione dell’originale, mancò di pubblicare il primo gruppo di fogli, il cosiddetto primo manoscritto, ed attribuiva in modo erroneo direttamente a Marx un quarto manoscritto che invece era un riassunto del capitolo finale della Fenomenologia dello Spirito di Hegel [49]. Tuttavia, troppo poco si è tenuto da conto che anche gli editori della prima MEGA, nell’assegnargli un nome, nel collocare la prefazione al principio – in realtà si trova nel terzo manoscritto – e nel riorganizzarne l’insieme, finirono col far credere che Marx avesse avuto, sin dal principio, l’idea di scrivere una critica dell’economia politica e che il tutto fosse stato originariamente diviso in capitoli [50].

Inoltre, fu generalmente assunta la tesi, inesatta, secondo la quale Marx, avesse redatto questi testi solo dopo aver letto e compendiato le opere di economia politica[51]; quando, in realtà, il processo di scrittura si svolse alternato tra gruppi di manoscritti ed estratti [52] ed anzi, questi ultimi intervallarono tutta la produzione parigina, dai saggi per i «Deutsch-französische Jahrbücher» a La sacra famiglia.

Malgrado la loro evidente forma problematica, la confusione seguita alle diverse versioni date alle stampe e, soprattutto, la consapevolezza dell’assenza della gran parte del secondo manoscritto, il più importante e purtroppo andato disperso, nessuno, tra interpreti critici e curatori di nuove edizioni, si dedicò al riesame degli originali che pure, per quel testo che tanto pesava nel dibattito tra le differenti interpretazioni critiche di Marx, risultava così necessario.

Scritti tra maggio ed agosto, i [Manoscritti economico-filosofici] non possono essere considerati un’opera, un testo coerente steso in maniera sistematica e preordinata. Le tante interpretazioni che hanno voluto attribuirvi il carattere di un orientamento concluso, tanto quelle che vi rivelavano la piena completezza del pensiero marxiano, quanto quelle che li indicavano come una concezione definita e opposta a quella della maturità scientifica [53], sono confutate dall’esame filologico. Disomogenei e ben lungi dal presentare una stretta connessione tra le parti, sono, piuttosto, evidente espressione di una posizione in movimento[54]. Il modo di assimilare ed utilizzare le letture di cui esso si nutriva è mostrato dalla disamina dei nove quaderni pervenutici, con oltre 200 pagine di estratti e commenti [55].

Nei quaderni parigini sono raccolte le tracce dell’incontro di Marx con l’economia politica e del processo di formazione delle sue primissime elaborazioni di teoria economica. Dal confronto di questi quaderni con gli scritti del periodo, editi e non, si evince decisamente l’importanza delle letture nello sviluppo delle sue idee [56]. Circoscrivendo l’elenco ai soli autori di economia politica, Marx redige estratti dai testi di Say, Schüz, List, Osiander, Smith, Skarbek, Ricardo, James Mill, MacCulloch, Prevost, Destutt de Tracy, Buret, de Boisguillebert, Law e Lauderdale[57]. Inoltre, nei [Manoscritti economico-filosofici], negli articoli e nella corrispondenza del tempo, appaiono riferimenti a Proudhon, Schulz, Pecquer, Loudon, Sismondi, Ganihl, Chevalier, Malthus, de Pompery e Bentham [58].

Marx stese i primi estratti dal Traité d’économie politique di Say [59], del quale trascrisse intere parti, nel mentre andava assimilando conoscenze elementari di economia. L’unica annotazione è posteriore e si concentra sul lato destro del foglio destinato, come era solito fare, a questa funzione. Anche i compendi da Smith [60], cronologicamente successivi, perseguirono l’analoga finalità di acquisizione basilare delle nozioni economiche. Infatti, sebbene siano i più estesi, non presentano quasi alcun commento. Ciò nonostante, il pensiero di Marx risulta chiaro dallo stesso montaggio dei passaggi e, come spesso avviene altrove, dal suo modo di mettere in contrapposizione tesi divergenti di diversi economisti. Mutato carattere, mostrano invece, quelli da Ricardo [61], nei quali compaiono le sue prime osservazioni. Esse si concentrarono sui concetti di valore e prezzo, concepiti ancora come perfettamente identici. Questa uguaglianza tra valore delle merci e prezzi risiede nell’iniziale concezione di Marx che conferiva realtà al solo valore di scambio prodotto dalla concorrenza, relegando il prezzo naturale nel regno dell’astrazione, quale pura chimera. Col procedere degli studi, queste note critiche non sono più sporadiche, ma intervallano i riassunti delle opere, aumentando, con l’avanzare della conoscenza, di autore in autore. Singole frasi, poi considerazioni più estese fino a che, concentratosi, attraverso gli Élémens d’économie politique di James Mill, sulla critica dell’intermediazione del denaro quale completo dominio della cosa estraniata sull’uomo, il rapporto si capovolge e non sono più i suoi testi ad intervallare gli estratti, ma avviene esattamente l’opposto [62].

Infine, per evidenziare ancora una volta l’importanza degli estratti, si ritiene utile segnalare l’utilizzo di queste note, sia quando vennero redatte che successivamente. Parte di esse, furono pubblicate, nel 1844, sul «Vorwärts!», il bisettimanale degli emigrati tedeschi a Parigi, per contribuire alla formazione intellettuale dei lettori [63]. Soprattutto, essendo così esaurienti, furono in seguito utilizzate da Marx, che aveva l’abitudine di rileggere i suoi appunti a distanza di tempo [64], nei manoscritti economici del 1857-58, meglio conosciuti come i [Grundrisse], in quelli del 1861-63 e nel primo libro de Il capitale [65].

In conclusione, Marx sviluppò i suoi pensieri tanto nei [Manoscritti economico-filosofici] quanto nei quaderni di estratti dalle letture. I manoscritti sono pieni di citazioni, il primo ne è quasi una raccolta, ed i quaderni di compendi, pur se maggiormente incentrati sui testi che leggeva, sono corredati dai suoi commenti. Il contenuto di entrambi, così come la modalità della scrittura – caratterizzata dalla divisione dei fogli in colonne –, la numerazione delle pagine ed il momento della stesura, confermano che i [Manoscritti economico-filosofici] non sono un’opera a se stante [66], ma una parte della sua produzione critica che in questo periodo si compone di estratti dai testi che studiava, di riflessioni critiche in merito a questi ed elaborazioni che, di getto o in forma più ragionata, metteva su carta. Separare questi manoscritti dal resto, estrapolarli dal loro contesto, può pertanto indurre ad errore interpretativo [67]. Il solo complesso di queste note, insieme con la ricostruzione storica della loro maturazione, mostrano realmente l’itinerario e la complessità del suo pensiero critico durante l’intensissimo anno di lavoro parigino [68].

IV. Critica della filosofia e critica della politica
L’ambiente che circondò il progredire delle idee di Marx e l’influenza che esercitò, sul piano teorico e pratico, merita un’ulteriore breve riflessione. Esso si caratterizzava per una profonda trasformazione economico-sociale e, in primo luogo, per la grande espansione proletaria. Con la scoperta del proletariato, Marx poté scomporre, in termini di classe, la nozione hegeliana di società civile. Inoltre, assunse la consapevolezza che il proletariato era una classe nuova, diversa dai poveri, giacché la propria miseria derivava dalle sue condizioni di lavoro. Si trattava della dimostrazione di una delle principali contraddizioni della società borghese: «l’operaio diventa tanto più povero quanto maggiore è la ricchezza che produce, quanto più la sua produzione cresce di potenza e di estensione» [69].

La rivolta dei tessitori slesiani, avvenuta in luglio, offrì a Marx un’ulteriore occasione per lo sviluppo del suo orientamento. Nelle Glosse critiche [70] pubblicate sul «Vorwärts!», attraverso la critica a Ruge e ad un suo precedente articolo che addebitava a quella lotta mancanza di spirito politico, egli prese le distanze dalla concezione hegeliana che identificava nello Stato il solo rappresentante dell’interesse generale e relegava ogni movimento della società civile nell’ambito della parzialità e della sfera privata [71]. Al contrario, per Marx, «una rivoluzione sociale si trova dal punto di vista della totalità» [72] e sulla spinta di questa vicenda dal considerevole ed esplicito carattere rivoluzionario, egli sottolineò l’abbaglio di quanti cercavano il fondamento dei problemi sociali «non già nell’essenza dello Stato ma in una determinata forma di Stato» [73].

Più in generale, la riforma della società, obiettivo delle dottrine socialiste, l’uguaglianza del salario e una nuova organizzazione del lavoro nel quadro del regime capitalistico, furono da lui reputate come proposte di chi era ancora prigioniero dei presupposti che combatte (Proudhon) e di chi, soprattutto, non comprendeva il vero rapporto tra proprietà privata e lavoro alienato. Infatti «anche se la proprietà privata appare come il fondamento, la causa del lavoro alienato, essa ne è piuttosto la conseguenza» [74], «la proprietà privata è il prodotto, il risultato, la conseguenza necessaria del lavoro alienato» [75]. Alle teorie socialiste, Marx oppose un disegno di trasformazione radicale del sistema economico per il quale era «il capitale, che deve essere soppresso “come tale”» [76].

Quanto più avvertita sarà la vicinanza di queste dottrine al suo pensiero, tanto più la critica ad esse, rafforzata dal bisogno di fare chiarezza, andrà accentuandosi[77]. L’elaborazione della sua concezione lo spinse ad un continuo raffronto tra le idee che lo circondavano e i diversi risultati che nascevano dal procedere degli studi. E’ il percorso fulmineo della sua maturazione ad imporglielo. Stessa sorte tocca alla Sinistra hegeliana. Anzi, i giudizi nei confronti dei suoi esponenti furono i più severi, poiché rappresentano anche l’autocritica verso il proprio passato [78].

L’«Allgemeine Literatur-Zeitung», il mensile diretto da Bruno Bauer, affermava perentoriamente dalle sue pagine: «il critico si astenga dal prender parte ai dolori o alle gioie della società (…) segga maestosamente nella solitudine» [79]. Per Marx, invece, «la critica non è una passione del cervello, (…) un coltello anatomico, è un’arma. Il suo oggetto è il suo nemico, che essa non vuole confutare bensì annientare. (…) Essa non si pone più come fine a se stessa, ma ormai soltanto come mezzo» [80]. Contro il solipsismo della «critica critica» [81], che muoveva dall’astratta convinzione secondo la quale riconoscere un’estraneazione voleva dire averla già superata, gli era apparso, in modo chiaro, che «la forza materiale non può essere abbattuta che dalla forza materiale» [82] e che l’essere sociale poteva essere cambiato soltanto ad opera della prassi umana. Scoprire la condizione alienata dell’uomo, prenderne coscienza, doveva significare, nello stesso tempo, operare per la sua effettiva soppressione. Tra la filosofia chiusa nell’isolamento speculativo, che produceva soltanto sterili battaglie di concetti [83], e la sua critica, «che sta in mezzo alla mischia» [84], non poteva esservi divario maggiore. Era quanto separava la ricerca della libertà dell’autocoscienza da quella della libertà del lavoro.

V. Conclusioni
Il pensiero di Marx compie durante questo anno cruciale, una decisiva evoluzione. Egli è ormai certo che la trasformazione del mondo è questione di prassi «che la filosofia non poteva adempiere, proprio perché essa intendeva questo compito soltanto come un compito teoretico» [85]. Dalla filosofia che non ha raggiunto questa consapevolezza e che non ha compiuto la necessaria modifica in filosofia della praxis, si congeda in maniera definitiva. La sua analisi, d’ora in poi, non trae più origine dalla categoria di lavoro alienato, ma dalla realtà della miseria operaia. Le sue conclusioni non sono speculative, ma indirizzate all’azione rivoluzionaria [86].

La sua stessa concezione politica muta profondamente. Senza adottare nessuna delle anguste dottrine socialiste e comuniste esistenti, anzi prendendone distanza, matura la piena consapevolezza che sono i rapporti economici ad intessere la rete connettiva della società e che «la religione, la famiglia, lo Stato, il diritto, la morale, la scienza, l’arte ecc. non sono che modi particolari della produzione e cadono sotto la sua legge universale» [87]. Lo Stato ha perso così la posizione prioritaria che deteneva nella filosofia politica hegeliana e, assorbito nella società, è concepito come sfera determinata e non determinante dei rapporti tra gli uomini. Secondo Marx, «solo la superstizione politica immagina ancora oggi che la vita civile debba di necessità essere tenuta unita dallo Stato, mentre, al contrario, nella realtà, lo Stato è tenuto unito dalla società civile» [88].

Il suo impianto concettuale cambia radicalmente anche rispetto al soggetto rivoluzionario. Dal riferimento iniziale all’«umanità che soffre» [89], Marx approda all’individuazione del proletariato. Esso è considerato, dapprima, come nozione astratta fondata su antitesi dialettiche, «elemento passivo» [90] della teoria, per poi divenire, sulla base di una prima analisi economico-sociale, l’elemento attivo della sua stessa liberazione, l’unica classe dotata di potenzialità rivoluzionaria nell’ordinamento sociale capitalistico.

Infine, alla critica, alquanto vaga, della mediazione politica dello Stato e di quella economica del denaro, ostacoli alla realizzazione dell’essenza in comune dell’uomo di matrice feuerbachiana, subentra quella di un rapporto storico che comincia a delineare nella produzione materiale la base per ogni analisi e trasformazione del presente: «Nel rapporto dell’operaio con la produzione è incluso tutto l’asservimento dell’uomo, e tutti i rapporti di servaggio altro non sono che modificazioni e conseguenze del primo rapporto» [91]. Dunque, Marx non avanza più una generica rivendicazione di emancipazione, ma la trasformazione radicale del processo reale di produzione.

Nel mentre giunge a queste conclusioni, pianifica ancora altri lavori: dopo La sacra famiglia continua gli studi e gli estratti di economia politica, delinea una critica di Stirner, abbozza il «Piano di uno scritto sullo Stato» [92], stende appunti su Hegel[93], programma di scrivere una critica dell’economista tedesco List che realizzerà poco dopo [94]. E’ inarrestabile. Engels lo prega di lanciare il suo materiale per il mondo perché «il tempo stringe maledettamente» [95] e Marx prima di essere espulso da Parigi [96], firma con l’editore Leske un contratto per la pubblicazione di un’opera in due volumi da intitolarsi «Critica della politica e dell’economia politica» [97]. Eppure, bisognerà attendere 15 anni, il 1859, affinché una prima parte della sua opera, Per la critica dell’economia politica, sia data alle stampe.

I [Manoscritti economico-filosofici] ed i quaderni di estratti ed annotazioni rendono il senso dei primi passi di questa impresa. I suoi scritti sono pieni di elementi teorici derivati da predecessori e contemporanei. Nessuno degli abbozzi o delle opere di questo periodo può essere classificato in una specifica disciplina. Non vi sono scritti puramente filosofici, né essenzialmente economici né solamente politici. Ciò che ne deriva non è un nuovo sistema, un insieme omogeneo, ma una teoria critica.

Il Marx del 1844 è contemporaneamente la capacità di combinare le esperienze delle proletarie e dei proletari di Parigi con gli studi sulla Rivoluzione francese, la lettura di Smith con le intuizioni di Proudhon, la rivolta dei tessitori slesiani con la critica alla concezione hegeliana dello Stato, le analisi della miseria di Buret [98] con il comunismo. E’ un Marx che sa cogliere queste differenti conoscenze ed esperienze e, che tessendone il legame, dà vita ad una teoria rivoluzionaria.

Il suo pensiero, in particolare le osservazioni economiche che cominciano a svilupparsi durante il soggiorno parigino, non sono il frutto di un’improvvisa fulminazione, ma l’esito di un processo. L’agiografia marxista-leninista, per tanto tempo dominante nel passato, presentandolo con improponibile immediatezza e preordinando un risultato finale strumentale, ne ha stravolto il cammino conoscitivo, raffigurandone la riflessione più povera. La Marx Forschung, invece, ricostruendo genesi, debiti e conquiste dei lavori di Marx, ne evidenzia la complessità dell’elaborazione, consente nuove interpretazioni e soprattutto restituisce un metodo ed un’opera che parlano ancora ad ogni pensiero critico del presente.

Riferimenti
1. Honoré de Balzac, La commedia umana, (a cura di Mariolina Bongiovanni Bertini), Mondadori, Milano 1994, p. 1189.
2. Cfr. il «Rapporto informativo della polizia tedesca da Magonza» in Hans Magnus Enzensberger (a cura di), Colloqui con Marx ed Engels, Einaudi, Torino 1977, p. 30.
3. Cfr. Isaiah Berlin, Karl Marx, La Nuova Italia, Firenze 1994, p. 90.
4. Michail Bakunin, Ein Briefwechsel von 1843, MEGA², Dietz Verlag, Berlin 1982, I/2, p. 482; tr. it. in Gian Mario Bravo (a cura di), Un carteggio del 1843, Annali franco-tedeschi, Edizioni del Gallo, Milano 1965, p. 72.
5. Lorenz von Stein, Der Socialismus und Communismus des heutigen Frankreichs. Ein Beitrag zur Zeitgeschichte, Otto Wigand Verlag, Leipzig 1848, p. 509.
6. Arnold Ruge, Zwei Jahre in Paris. Etudien und erinnerungen, Zentralantiquariat der Ddr, Leipzig 1975, p. 59.
7. Honoré de Balzac, La commedia umana, op. cit., p. 1187.
8. Per la biografia intellettuale del soggiorno parigino di Marx si vedano, tra i diversi studi disponibili, Auguste Cornu,Karl Marx et Friedrich Engels. III. Marx a Paris, PUF, Paris 1962; Jacques Grandjonc, Studien zu Marx erstem Paris-Aufenthalt und zur Entstehung der „Deutschen Ideologie“, Schriften aus dem Karl Marx Haus, n. 43, Trier 1990, pp. 163-212 ed il più recente Jean-Louis Lacascade, Les métamorphoses de jeune Marx, PUF, Paris 2002, pp. 129-162.
9. «Ciascuno dovrà confessare a se stesso non soltanto che si è manifestata una anarchia generale tra i riformatori, ma che egli stesso non ha una visione esatta di ciò che si deve fare» in Karl Marx, Ein Briefwechsel von 1843, MEGA² I/2, op. cit., p. 486; tr. it. Lettere dai Deutsch-Französisce Jahrbücher, Marx Engels Opere, vol. III, Editori Riuniti, Roma 1976, p. 154.
10. La «Rheinische Zeitung für Politik, Handel und Gewerbe» apparve come quotidiano, a Colonia, dal 1° gennaio 1842 al 31 marzo 1843. Marx vi scrisse il suo primo articolo il 5 maggio del 1842 e dal 15 ottobre 1842 al 17 marzo del 1843 ne fu redattore capo.
11. Nel presente saggio i manoscritti incompleti di Marx, pubblicati da editori successivi, sono inseriti tra parentesi quadre. Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, MEGA² I/2, op. cit., pp. 323-438; tr. it. Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino 1968.
12. Cfr. Karl Marx, Verhandlungen des 6. Rheinischen Landtags. Dritter Artikel: Debatten über das Holzdiebstahlsgesetz e Rechtfertigung des ††-Korrespondenten von der Mosel, MEGA² I/1, Dietz Verlag, Berlin 1975, pp. 199-236 e 296-323; tr. it. Le discussioni alla sesta dieta renana. Terzo articolo: Dibattiti sulla legge contro i furti di legna e Giustificazione di ††, corrispondente dalla Mosella, Marx Engels Opere, vol. I, Editori Riuniti, Roma 1980, pp. 222-264 e pp. 344-375. Su questo punto cfr. Louis Althusser, Per Marx, Editori Riuniti, Roma 1970 (1967), p. 135; Walter Tuchscheerer, Prima del «Capitale», La Nuova Italia, Firenze 1980, p. 30.
13. Karl Marx, Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie, MEGA² I/2, op. cit., pp. 3-137; tr. it. Dalla critica della filosofia hegeliana del diritto, Marx Engels Opere, vol. III, Editori Riuniti, Roma 1976, pp. 3-143.
14. «Lo Stato politico non può essere senza la base naturale della famiglia e la base artificiale della società civile, che sono la sua conditio sine qua non», ivi, p. 9; tr. it ivi p. 9; «Famiglia e società civile sono i presupposti dello Stato, sono essi propriamente gli attivi. Ma nella speculazione diventa il contrario», ivi, p. 8; tr. it. ivi, p. 8,. Proprio qui, dunque, risiede l’errore di Hegel che vuole che «lo Stato politico, non sia determinato dalla società civile, ma, all’inverso, la determini », ivi, p. 100; tr. it. ivi, p. 102. In proposito cfr. Walter Tuchscheerer, op. cit., p. 49.
15. Cfr. Friedrich Engels, Umrisse zu einer Kritik der Nationalökonomie, MEGA², I/3, Dietz Verlag, Berlin 1985, pp. 467-494; tr. it. Lineamenti di una critica dell’economia politica, Marx Engels Opere, vol. III, op. cit., p. 454-481. Del saggio, Marx ricopia brevi parti in uno dei suoi quaderni di estratti.
16. Il numero, in realtà doppio, degli «Annali franco tedeschi», diretti da A. Ruge e K. Marx, apparve alla fine del febbraio 1844.
17. Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, MEGA² I/2, op. cit., p. 325; tr. it. Manoscritti economico-filosofici del 1844, op. cit., p. 4.
18. Cfr. Maximilien Rubel, Introduction a Karl Marx Œuvres. Economie II, Gallimard, Paris 1968, pp. LIV-LV che data in questo preciso momento l’origine del lungo incubo di tutta la vita di Marx, l’ossessione teorica che non abbandonerà mai più: la critica dell’economia politica.
19. Moses Hess, L’essenza del denaro, Filosofia e socialismo. Scritti 1841-1845, (a cura di GiovamBattista Vaccaro), Milella, Lecce 1988, pp. 203-227. Questo articolo, in un primo tempo destinato ai «Deutsch-franzosische Jahrbücher», viene pubblicato solo in seguito nei «Rheinische Jahrbücher zur Gesellschaftlichen Reform».
20. Karl Marx Zur Judenfrage, MEGA² I/2, op. cit., pp. 141-169; tr. it. Sulla questione ebraica, Marx Engels Opere, vol. III, op. cit., pp. 158-189. Cfr. anche Bruno Bauer-Karl Marx, La questione ebraica, (a cura di Massimiliano Tomba), Manifestolibri, Roma 2004 che raccoglie insieme gli scritti di Bauer ed il testo di Marx.
21. In proposito cfr. Bruno Bongiovanni, Figure della mediazione: l’ebreo e il denaro, Le repliche della storia, Bollati Boringhieri, Torino 1989, pp. 90-100, che considera questo momento come l’inizio, generalmente misconosciuto, della critica economica di Marx.
22. Cfr. Walter Tuchscheerer, op. cit., p. 56.
23. Karl Marx, Exzerpte aus Jean Baptiste Say: Traité d’economie politique, MEGA² IV/2, Dietz Verlag, Berlin 1981, p. 316; tr. it. parz. La scoperta dell’economia, Editori Riuniti, Roma 1990, p. 3.
24. Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, MEGA² I/2, op. cit., p. 363; tr. it. Manoscritti economico-filosofici del 1844, op. cit., p. 69.
25. Ivi , p. 364; tr. it. ivi, pp. 70-71.
26. Ivi , p. 374; tr. it. ivi, p. 85.
27. Cfr. Maximilien Rubel, Karl Marx, Colibrì, Milano 2001, p. 78.
28. Pierre-Joseph Proudhon, Che cos’è la proprietà, Zero in Condotta, Milano 2000, p. 51 ss.
29. Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, MEGA I/2, op. cit., p. 384; tr. it. Manoscritti economico-filosofici del 1844, op. cit., p. 103.
30. Cfr. György Lukács, Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, Einaudi, Torino 1975 (1960), pp. 748 ss. e Jean Hyppolite, Saggi su Marx e Hegel, Bompiani, Milano 1965, pp. 97 ss.
31. Cfr. Ernest Mandel, La formazione del pensiero economico di Karl Marx, Laterza, Bari 1970, pp. 180-181.
32. Karl Marx, Exzerpte aus James Mill: Élémens d’économie politique, MEGA² IV/2, op. cit., p 453; tr. it. parz. Estratti dal libro di James Mill «Élémens d’économie politique», Marx Engels Opere, vol. III, op. cit., p. 236.
33. Ivi , p. 456; tr. it. ivi, p. 239.
34. Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, MEGA I/2, op. cit., p. 365; tr. it. Manoscritti economico-filosofici del 1844, op. cit., p. 71.
35. Karl Marx, Exzerpte aus James Mill: Élémens d’économie politique, MEGA² IV/2, op. cit., p 466; tr. it. parz. Estratti dal libro di James Mill «Élémens d’économie politique», Marx Engels Opere, vol. III, op. cit., p. 248.
36. Cfr. Walter Tuchscheerer, op. cit., pp. 142, 154-155.
37. Cfr. Maximilien Rubel, Elogio del giovane Marx, «Vis-à-vis», n. 3 (1995), p. 32.
38. A riguardo, si rimanda alle testimonianze di Arnold Ruge: «Legge molto, lavora con intensità non comune (…) ma non porta mai niente alla fine, lascia tutto a mezzo per tuffarsi ogni volta da capo in uno sterminato mare di libri», lavora «sin quasi a star male, senza andare a letto per tre o quattro notti di fila», lettera di A. Ruge a L. Feuerbach del 15 maggio 1844, in Hans Magnus Enzensberger (a cura di), Colloqui con Marx ed Engels, op. cit., p. 22; «Se Marx non si ammazza da solo con la sregolatezza, la superbia e il lavoro disperatissimo, e se la stravaganza comunista non cancella in lui ogni sensibilità per la semplicità e la nobiltà della forma, dalle sue sterminate letture e perfino dalla sua dialettica senza coscienza c’è pur da aspettarsi qualcosa (…) Vuole sempre scrivere sulle cose che ha appena finito di leggere, ma poi ricomincia sempre a leggere e a prendere appunti. Eppure penso che, prima o poi, riuscirà a portare a termine un’opera lunghissima e astrusissima, in cui riverserà alla rinfusa tutto il materiale che ha ammucchiato» in A. Ruge a M. Duncker, 29 agosto 1844, ivi, p. 28. In proposito cfr. Mario Rossi, Da Hegel a Marx. III. La scuola hegeliana. Il giovane Marx, Feltrinelli, Milano 1974 (1963), pp. 152 e 211.
39. Cfr. lettera di A. Ruge a M. Duncker del 29 agosto 1844, in Hans Magnus Enzensberger (a cura di), op. cit., p. 28.
40. Cfr. Maximilien Rubel, Karl Marx, op. cit., p. 133.
41. Friedrich Engels-Karl Marx, Die heilige Familie, Marx Engels Werke, Band 2, Dietz Verlag, Berlin 1962, pp. 3-223; tr. it. La sacra famiglia, Marx Engels Opere, vol. IV, Editori Riuniti, Roma 1972, pp. 3-234. In realtà Engels contribuisce allo scritto soltanto per una decina di pagine.
42. Cfr. la testimonianza di Paul Lafargue che riporta i racconti di Engels sull’autunno del 1844: «Engels e Marx presero l’abitudine di lavorare insieme. Engels, che pure era di una precisione estrema, perse la pazienza più di una volta davanti alla scrupolosità di Marx, che si rifiutava di scrivere una frase se non era in grado di provarla in dieci modi diversi» in Hans Magnus Enzensberger (a cura di), Colloqui con Marx ed Engels, op. cit., p. 29.
43. Cfr. la testimonianza di Heinrich Bürgers: «In quel periodo la severa autocritica che era abituato ad esercitare verso se stesso gli impedì di realizzare l’opera maggiore», ivi, p. 41.
44. Su questo complicato rapportocfr. David Rjazanov, Einleitung a MEGA I/1.2, Marx-Engels-Verlag, Berlin 1929, p. XIX, che per primo ha segnalato la grande difficoltà relativa alla definizione di una precisa linea di confine tra i semplici quaderni di estratti e quelli che, invece, vanno considerati veri e propri lavori preparatori.
45] Cfr. Jürgen Rojahn, Il caso dei cosiddetti «manoscritti economico-filosofici dell’anno 1844», «Passato e presente», n. 3 (1983), p. 42.
46. Per una descrizione degli originali, si rimanda a Jürgen Rojahn, Il caso dei cosidetti «manoscritti economico-filosofici dell’anno 1844», op. cit., pp. 47-52; Bert Andréas, Karl Marx/Friedrich Engels, Das Ende der klassischen deutschen Philosophie. Bibliographie, Schriften aus dem Karl Marx Haus, n. 28, Trier 1983, pp. 64-66.
47. Karl Marx, Der historische Materialismus. Die Frühschriften, (a cura di Siegfried Landshut e Jacob Peter Mayer), Alfred Kröner Verlag, Leipzig 1932, pp. 283-375. Una nuova edizione, stavolta a cura del solo Landshut, comparve nel 1953: per l’ultima ristampa cfr. Karl Marx, Die Frühschriften, Alfred Kröner Verlag, Stuttgart 2004.
48. Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte aus dem Jahre 1844, MEGA I/3, Marx-Engels-Verlag, Berlin 1932, pp. 29-172.
49. Queste pagine, a testimonianza della difficoltà di operare una classificazione, appaiono nella MEGA² sia nella prima sezione, che contiene le opere e gli abbozzi, sia nella quarta, che raccoglie gli estratti. Cfr. Karl Marx, MEGA², I/2, op. cit., pp. 439-444; Karl Marx, MEGA², IV/2, op. cit., pp. 493-500.
50. Cfr. Jürgen Rojahn, Il caso dei cosiddetti «manoscritti economico-filosofici dell’anno 1844», op. cit., p. 43; Jürgen Rojahn, The emergence of a theory: the importance of Marx’s notebooks exemplified by those from 1844, «Rethinking Marxism», vol. 14, n. 4 (2002), p. 33.
51. Cfr. David McLellan, Marx prima del marxismo, Einaudi, Torino 1974, p. 189.
52. Cfr. Nikolai Lapin, Der junge Marx, Dietz Verlag, Berlin, 1974, p. 304 ss.
53. Senza voler in alcun modo presentare l’infinito dibattito su questo scritto di Marx, si circostanzia il riferimento a due tra i più importanti lavori che avanzano queste posizioni. Al primo orientamento appartengono Landshut e Meyer che, per primi, vi hanno letto «in un certo senso l’opera più centrale di Marx (…) [che] forma il punto nodale del suo intero sviluppo concettuale» e «nel nocciolo anticipa già Il capitale». Cfr. Karl Marx, Der historische Materialismus. Die Frühschriften, op. cit., pp. XIII e V. Al secondo, invece, va ascritta la celebre tesi di coupure épistémologique di Althusser cfr. Louis Althusser, Per Marx, op. cit., pp. 15 ss.
54. Cfr. Emile Bottigelli, Présentation a Karl Marx, Manuscrits de 1844, Editions Sociales, Paris 1962, pp. XXXVII-XL; Ernest Mandel, La formazione del pensiero economico di Karl Marx, Laterza, Bari 1970 (1969), p. 175.
55. Essi sono contenuti in Karl Marx, MEGA², IV/2, op. cit., pp. 279-579 e Karl Marx, MEGA², IV/3, Akademie Verlag, Berlin 1998, pp. 31-110.
56. «I suoi manoscritti del 1844 nacquero letteralmente dagli estratti di quel periodo» in Jürgen Rojahn, The emergence of a theory: the importance of Marx’s notebooks exemplified by those from 1844, op. cit., p. 33.
57. In quel periodo, gli economisti inglesi sono letti da Marx ancora in traduzione francese. Per una descrizione degli originali dei quaderni cfr. Jürgen Rojahn, Il caso dei cosiddetti «manoscritti economico-filosofici dell’anno 1844», op. cit., pp. 52-56.
58. Sui testi posseduti da Marx nella biblioteca personale e su quelli che aveva intenzione di procurarsi si veda Karl Marx, «Notizbuch aus den Jahren 1844-1847», MEGA² IV/3, op. cit., pp. 5-10, 12-13, 483-487.
59. Cfr. Karl Marx, Exzerpte aus Jean Baptiste Say : Traité d’économie politique, MEGA² IV/2, op. cit., pp. 301-327.
60. Ivi , pp. 332-386.
61. Cfr. Karl Marx, Exzerpte aus David Ricardo: Des principes de l’économie politique et de l’impôt, MEGA² IV/2, op. cit., pp. 392-427; tr. it. parz. in La scoperta dell’economia, op. cit., pp. 5-19.
62. Karl Marx, Exzerpte aus James Mill: Élémens d’économie politique, MEGA² IV/2, op. cit., pp. 428-470; tr. it. parz. Estratti dal libro di James Mill «Élémens d’économie politique», Marx Engels Opere, vol. III, op. cit., pp. 229-248. Cfr. Jürgen Rojahn, Il caso dei cosiddetti «manoscritti economico-filosofici dell’anno 1844», op. cit., p. 71.
63. Cfr. Jacques Grandjonc, Marx et les communistes allemands à Paris 1844, Maspero, Paris 1974, pp. 61-62 e si veda la lettera di K. Marx a H. Börnstein, scritta al più tardi nel novembre 1844, MEGA² III/I, Dietz Verlag, Berlin 1975, p. 248; tr. it. Marx Engels Opere, vol. XXXVIII, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 431.
64. Cfr. le memorie di Paul Lafargue nelle quali si ricorda come Marx «aveva l’abitudine di rileggere dopo parecchi anni i suoi taccuini e i passi segnati nei suoi libri» in Hans Magnus Enzensberger (a cura di), Colloqui con Marx ed Engels, op. cit., p. 244.
65. Cfr. Friedrich Engels, Zur vierten Auflage, MEGA² II/10, Dietz Verlag, Berlin 1991, p. 23;tr. it. Per la quarta edizione in Karl Marx, Il capitale, Editori Riuniti, Roma 1964 (V ed.), pp. 59-60. A riguardo cfr. anche Karl Marx, MEGA² IV/3, op. cit., pp. 613-640 e Maximilien Rubel, Les premières lectures économiques de Karl Marx (II), «Etudes de marxologie», n. 2 (1959), pp. 67 ss.
66. «Non esiste nessun appiglio a cui appoggiarsi per stabilire che i manoscritti formano un complesso a sé», in Jürgen Rojahn, Il caso dei cosiddetti «manoscritti economico-filosofici dell’anno 1844», op. cit., p. 57.
67. Ivi, p. 79.
68. Cfr. Jürgen Rojahn, The emergence of a theory: the importance of Marx’s notebooks exemplified by those from 1844, op. cit., p. 45.
69. Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, MEGA² I/2, op. cit., p. 364; tr. it. Manoscritti economico-filosofici del 1844, op. cit., p. 71.
70. Karl Marx, Kritische Randglossen zu dem Artikel “Der König von Preußen und die Sozialreform. Von einem Preußen“, MEGA² I/2, op. cit., pp. 445-463; tr. it. Glosse critiche in margine all’articolo «Il re di Prussia e la riforma sociale. Di un prussiano», Marx Engels Opere, vol. III, op. cit., pp. 206-224.
71. Cfr. Michael Löwy, Il giovane Marx, Massari Editore, Bolsena (VT) 2001, p. 57.
72. Karl Marx, Kritische Randglossen zu dem Artikel “Der König von Preußen und die Sozialreform. Von einem Preußen“, MEGA² I/2, op. cit., p. 462; tr. it. Glosse critiche in margine all’articolo «Il re di Prussia e la riforma sociale. Di un prussiano», Marx Engels Opere, vol. III, op. cit., p. 223.
73. Ivi , p. 455; tr. it. ivi, p. 215.
74. Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, MEGA² I/2, op. cit., pp. 372-373; tr. it. Manoscritti economico-filosofici del 1844, op. cit., p. 83.
75. Ivi , p. 372; tr. it. ivi, pp. 82-83.
76. Ivi , p. 387; tr. It. ivi, p. 107.
77. Cfr. Mario Rossi, op. cit., p. 591.
78. Ivi , pp. 148-149 e 599.
79. Bruno Bauer (a cura di), «Allgemeine Literatur-Zeitung», Heft 6., Verlag von Egbert Bauer, Charlottenburg 1844, p. 32. Cfr. lettera di K. Marx a L. Feuerbach dell’11 agosto 1844, MEGA² III/1, Dietz Verlag, Berlin 1975, p. 65; tr. it. Marx Engels Opere, vol. III, op. cit., p. 386.
80] Karl Marx, Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie. Einleitung, MEGA ² I/2, op. cit., p. 172; tr. it. Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, Marx Engels Opere, vol. III, op. cit., p. 192.
81. L’epiteto è utilizzato da Marx ne La sacra famiglia per indicare e deridere Bruno Bauer e gli altri giovani hegeliani che collaboravano all’«Allgemeine Literatur-Zeitung».
82. Ivi , p. 177; tr. it. ivi, p. 197.
83. Cfr. Mario Rossi, op. cit., p. 585.
84. Karl Marx, Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie. Einleitung, MEGA² I/2, op. cit., p. 173; tr. it. Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, Marx Engels Opere, vol. III, op. cit., p. 193.
85. Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, MEGA² I/2, op. cit., p. 395; tr. it. Manoscritti economico-filosofici del 1844, op. cit., p. 120.
86. Cfr. Ernest Mandel, op. cit., p. 175.
87. Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, MEGA² I/2, op. cit., p. 390; tr. it. Manoscritti economico-filosofici del 1844, op. cit., p. 112.
88. Friedrich Engels-Karl Marx, Die heilige Familie, op. cit., p. 128; tr. it. La sacra famiglia, op. cit., p. 135.
89. Karl Marx, Ein Briefwechsel von 1843, MEGA² I/2, op. cit., p. 479; tr. it. Lettere dai Deutsch-Französisce Jahrbücher, Marx Engels Opere, vol. III, op. cit., p. 153.
90. Karl Marx, Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie. Einleitung, MEGA² I/2, op. cit., p. 178; tr. it., Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, Marx Engels Opere, vol. III, op. cit., p. 198.
91. Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, MEGA² I/2, op. cit., p. 374; tr. it. Manoscritti economico-filosofici del 1844, op. cit., p. 84.
92. Karl Marx, Die Entstehungsgeschichte des modernen Staats oder die französische Revolution, MEGA² IV/3, op. cit., p. 11; tr. it. Piano di uno scritto sullo Stato, Marx Engels Opere, vol. IV, op. cit., p. 658.
93. Karl Marx, Hegel’sche Construction der Phänomenologie, ibidem; tr. it. Costruzione hegeliana della fenomenologia, ivi, p. 657.
94. Karl Marx, Über Friedrich Lists Buch “Das nationale System der politischen Ökonomie“, «Beiträge zur Geschichte der Arbeiterbewegung», Jg. 14. H. 3. (1972), pp. 425-446; tr. it. A proposito del libro di Friedrich List «Das nationale System der politischen Ökonomie», ivi, pp. 584-614.
95. Lettera di F. Engels a K. Marx dei primi di ottobre 1844, MEGA² III/I, Dietz Verlag, Berlin 1975, p. 245; tr. it. Marx Engels Opere, vol. XXXVIII, op. cit., p. 8; cfr. inoltre F. Engels a K. Marx, 20 gennaio 1845: «Guarda di portare a termine il tuo libro di economia politica; anche se tu stesso dovessi rimanere scontento di molte cose, non fa niente, gli animi sono maturi, e dobbiamo battere il ferro finché è caldo», ivi, p. 260; trad. it., ivi, p. 17. Scrivendo così, Engels dimostra di non conoscere ancora Marx quanto lo conosceva A. Ruge che, nella lettera a K. M. Fleischer del 9 luglio 1844, al contrario, affermava: «sarebbe un gran peccato se non scrivesse dei libri. Ma dobbiamo rassegnarci ad aspettare» in Hans Magnus Enzensberger (a cura di), op. cit., p. 26.
96. Su pressione del governo prussiano, le autorità francesi spiccano un ordine di espulsione contro diversi collaboratori del «Vorwärts!». Marx è costretto a lasciare Parigi il 1 febbraio 1845.
97. Marx Engels Werke, Band 27, Dietz Verlag, Berlin 1963, p. 669; tr. it. in Marx Engels Opere, vol. XXXVIII, op. cit., p. 666.
98. Cfr. Eugène Buret, De la misère des classes laborieuses en Angleterre et en France, EDHIS, Paris 1979.

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Maria Cristina Basso, Studi Filosofici

Un Pensiero Ricorrente: La (ri)scoperta dell’opera di Marx

Risultato della conferenza internazionale omonima, svoltasi a Napoli dall’1 al 3 aprile 2004 e organizzata dallo stesso curatore del volume Marcello Musto, Sulle tracce di un fantasma.

L’opera di Karl Marx tra filologia e filosofia (Manifestolibri 2005, pp. 392 € 30), raccoglie gli interventi di alcuni tra i più rilevanti nomi della riflessione contemporanea sull’opera marxiana. Benché il sottotitolo evidenzi lo sdoppiamento tra ricostruzione filologica e pensiero filosofico, il lavoro si muove parallelamente ed organicamente su entrambi i vettori, laddove essi non si presentano come linee di ricerca disgiunte bensì reciprocamente implicate e funzionali.

È infatti in occasione della presentazione della nuova edizione storico-critica della Marx-Engels Gesamtausgabe (MEGA²) che l’intera opera marxiana trova un tardivo quanto essenziale lavoro di sistematizzazione che, in maniera solo apparentemente contraddittoria, la riconsegna all’originaria incompiutezza. È sotto questa cifra che gli scritti di Marx aprono da un lato ad una «scoperta» dell’opera marxiana in quanto tale, ovvero alleggerita del pesante nonché deformante fardello del marxismo e delle esperienze storico-politiche ad esso ispirate, e dall’altro ad inedite e feconde possibilità interpretative. Far luce sulla genesi del testo, principio guida dei lavori della Mega², si rivela strumento essenziale per una lettura critica dell’opera marxiana e per una sua «riconsegna ai liberi campi del sapere», come sottolinea il curatore.

La prima sezione del libro apre con l’intervento di Manfred Neuhaus (direttore del progetto della MEGA²) che ne ripercorre il tortuoso percorso filologico-editoriale dal prologo russo di David Rjazanov, interrotto e penalizzato dalla congiuntura storica della presa del potere hitleriana e dal terrore staliniano, attraverso la lenta e problematica ripresa della monumentale opera a Mosca e a Berlino negli anni del disgelo, sino al definitivo avvio del decennio Sessanta-Settanta con il progetto riveduto e corretto che prese il nome di «seconda MEGA». Neuhaus evidenzia i cruciali aspetti teorici e metodologici della ricostruzione filologica dei testi centrando il punto d’arrivo del «principio della genesi del testo», il cui imperativo della ricostruzione per elaborazioni successive – dalla bozza alla stesura finale – sostituisce il vecchio paradigma della verosimiglianza alle intenzioni dell’autore.

Ancora dal lato storico si collocano i contributi di Izumi Omura (Università di Sendai), responsabile dei lavori della sezione giapponese della MEGA², di considerevole ampiezza e ad alto tasso di informatizzazione; di Malcom Sylvers (Università di Venezia), le cui ricerche si focalizzano sulla ricostruzione dell’epistolario marx-engelsiano; di Gian Mario Bravo (Università di Torino) che attraversa approfonditamente la storia del marxismo teorico italiano evidenziandone la marginalità all’interno del quadro internazionale, colmata solo alla fine degli anni Cinquanta – con le uniche eccezioni di Labriola e Gramsci – e rintracciandone le cause non solo nella situazione politica del paese dominato dal fascismo, ma nella contraddizione interna tra una teoria marxista, mai realmente approfondita dunque compresa, e la prassi politica di un «socialismo locale» da essa enormemente distante.

Sempre al vettore storico-filolgico appartiene la seconda sezione di studi dedicata alla critica filosofica e politica nell’opera giovanile di Marx: dal rapporto con il materialismo, approfondito da Mario Cingoli (Università di Milano – Bicocca) all’idea di democrazia nel giovane Marx, attraversata da Giuseppe Cacciatore (Università di Napoli – Federico II). Quest’ultimo ne estrapola soprattutto il ripensamento marxiano del dispositivo liberale moderno di stampo giuridico-politico, non pensato unicamente nei termini di un rovesciamento rivoluzionario, ma di un traghettamento verso una concretezza contenutistica che veicoli istanze popolari non mediate ma auto-rappresentate. Ancora in questa sessione, la comparazione filologica dei Manoscritti economico-filosofici con i quaderni di estratti raccolti da Marx durante il soggiorno parigino del 1844, attraverso la quale Musto (Università di Napoli – L’Orientale) evidenzia una nuova possibile chiave interpretativa del celebre lavoro giovanile marxiano. La riflessione di Gianfranco Borrelli (Università di Napoli – Federico II), infine, si concentra sugli scritti prettamente politici degli anni 1843-1852. Da essi emerge un discorso sulla politica profondamente controverso: dalla problematica coestensività tra il breve ed il lungo periodo ed i relativi dispostivi politici (l’utilizzo temporaneo dello strumento repubblicano e la necessità assoluta del suo oltrepassamento), Borrelli prende spunto per aprire ad una serie di interrogativi sulle opzioni possibili di mediazione politica e per una riflessione sulle nuove forme di legittimazione tramite governance.

La terza sezione, dedicata a Il Capitale, sposta il proprio baricentro analitico su una riflessione più marcatamente economico-filosofica. Dal vertice ottico del «circolo del presupposto-posto» come sintesi del percorso dell’idealismo tedesco, proponendo una visione continuista tra il sistema hegeliano e quello marxiano, Roberto Finelli (Università di Bari) giunge ad un articolato confronto tra la scienza de Il Capitale e l’imperativo post-moderno del decostruzionismo. Notevole inoltre, all’interno del nucleo di lavori su Il Capitale, la duplice re-interpretazione della critica dell’economia politica da parte di Enrique Dussel (Università di Città del Messico) il quale evidenzia, con puntuale sistematicità, da un lato una sottovalutata contiguità categoriale tra la Logica hegeliana e Il Capitale, attraverso l’individuazione di coppie concettuali bivalenti, dall’altro un’ancor più inedita eredità schellinghiana stante nella mutuazione della «Fonte creativa» all’interno della teoria del plusvalore, da cui emerge il «lavoro vivo quale Fonte creativa del plusvalore». Infine, molto rilevante per interesse ed originalità è la «trasformazione»di Jacques Bidet (Università di Parigi) della teoria filosofica de Il Capitale attraverso la categoria di «Metastruttura» – intesa come contrattualità, insieme interindividuale e sociale – quale elemento di una «bifaccialità» al cui polo opposto si trova la struttura economica del capitalismo. Da questo «complesso metastrutturale», che costituisce la cifra propria della modernità, si apre una profonda riflessione sulle contraddizioni del post o tardo moderno, che trovano tragici iceberg nelle categorie/realtà di centro-periferia e di guerra.

Nell’attualità – la sezione «Un oggi per Marx» – si distingue la suggestiva proposta di André Tosel (Università di Nizza) di un «comunismo della finitudine» concepita non come «astuzia retorica», ma quale risposta ad un’esigenza storica: l’inversione del capitalismo liquido, la cui stessa ontologia ne denota il potere pervasivo di produzione distruttrice e desimbolizzante, e la sua sostituzione con un irrinunciabile «referente simbolico» che, contro ogni reductio ad unum (omogeneità, partito, Stato), è imperativamente declinato al plurale. Sullo stesso piano concettuale si muove la riflessione di Domenico Jervolino (Università di Napoli – Federico II), che specifica la pluralità del «comunismo della finitudine» attraversoil «linguaggio», strumento privilegiato del molteplice ma anche dell’unità. Esso infatti se da un lato «esiste solo nella pluralità delle lingue storiche» dall’altro è strumento universale di comunicabilità. Il linguaggio come metafora del politico, per una società comunista che sostituisca dunque il «discorso alla violenza», e in grado di interpretare e «tradurre» la pluralità delle istanze che l’attraversano. Originale anche la rivisitazione «letteraria» dei testi marxiani ad opera di Domenico Losurdo (Università di Urbino), che scorrendoli cronologicamente li ordina su una precisa linea evolutiva. Dalla letteratura utopica dell’Ideologia tedesca, secondo cui una grande rivoluzione avrebbe dato vita ad una nuova società, quella comunista, abitata da una nuova umanità liberata ed emancipata da ogni costrizione, compreso il lavoro, al genere storico-politico del Manifesto del partito comunista e della Critica del programma di Gotha, laddove però un limen essenziale li separa: il primo inserisce la grande rivoluzione che avrebbe definitivamente cambiato il mondo all’interno di quella che è la longue durée dello sviluppo dell’umanità, la seconda fornisce al proletariato che abbia conquistato il potere gli strumenti concreti per la sua gestione. Chiudono i 25 contributi che compongono il volume Alex Callinicos, (Università York – UK) con un attraversamento storico del marxismo teorico anglosassone – rivisto alla luce di una subalternità, tardivamente colmata, rispetto a quello continentale, ma anche dell’alterità del suo portato concettuale –, e Wei Xiaoping (Accademia Cinese delle Scienze Sociali) con la presentazione della ricerca attuale su Marx in Cina.

Le riflessioni contemporanee del marxismo teorico risultano in definitiva, dall’efficace specchio di questo volume, frastagliate per gli angoli di visuale e le proposte delineate, ma proprio in quanto tali irrinunciabilmente plurali. L’orizzonte di senso di tale molteplicità, attingendo alla riscoperta di una fonte propulsiva quale l’opera marxiana, apre dunque alla concretezza della possibilità. Teorica e pratica.

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Vicissitudini e nuovi studi de «L’ideologia tedesca»

In occasione della pubblicazione del primo volume della nuova serie del «Marx-Engels Jahrbuch», la storia e le più recenti acquisizioni filologiche del famoso manoscritto marxiano e delle sue edizioni. Dai lavori della nuova edizione storico-critica emerge un autore misconosciuto. I molteplici tentativi di pubblicazione delle opere complete di Marx ed Engels hanno visto fiorire, contestualmente alle loro edizioni, alcuni periodici che avevano lo scopo di accompagnarne e promuoverne i lavori, nonché offrire un contributo alla ricerca.

I. Riviste di studi marxiani
Anche questo capitolo della Marx Forschung (la ricerca su Marx), si apre, come molti altri, con le imprese di David Borisovič Rjazanov, curatore della prima edizione storico-critica dell’opera completa di Marx ed Engels, la Marx Engels Gesamtausgabe e, senza dubbio, il più importante Marx-Forscher del Novecento. Grazie alla sua iniziativa ed a cura dell’Istituto Marx Engels di Mosca, da lui stesso diretto, apparvero infatti, nel biennio 1926/27, i due volumi del «Marx Engels Archiv». L’intento di questo progetto, dal quale era escluso in via di principio ogni riferimento al dibattito politico del tempo, mirava a fornire anticipazioni sui manoscritti dei due pensatori per renderli accessibili alla critica, ancor prima dell’edizione dell’opera completa. Com’è noto, sulla Mega s’abbatté la mannaia dello stalinismo, responsabile, oltre ai tanti e atroci crimini commessi, anche di aver interrotto la pubblicazione dell’opera di Marx.

Durante i quarant’anni trascorsi dall’interruzione del primo tentativo di Gesamtausgabe, datata 1935, e l’inizio della stampa della seconda, il primo volume risale al 1975, nonostante dal 1956 al 1968 fosse apparsa la Marx Engels Werke (MEW) e tra il 1955 ed il 1966, in Unione Sovietica, la seconda K. Marks i F. Èngel’sa Sočinenija, in campo socialista non vi furono serie analoghe iniziative editoriali. L’unica rivista di questo ciclo, fu il del tutto dottrinale «Naučno-informacionnyj bjulleten’ sektora proizvedenij K. Marksa i F. Èngel’sa» che sorse nel 1958, presso l’Istituto per il marxismo-leninismo di Mosca, e proseguì, in 47 numeri, fino al 1989. Al contrario, nello stesso periodo, ad occidente sono da annoverare numerosi e qualificati strumenti di ricerca su Marx e ad almeno due di essi, è obbligatorio fare riferimento.

In Francia, sotto la direzione del grande marxologo Maximilien Rubel, nacque la rivista «Etudes de marxologie». I 31 numeri di questi quaderni, alcuni dei quali doppi, apparsi in modo discontinuo dal 1959 al 1994, grazie alle analisi critiche, gli studi storici, le bibliografie e le traduzione d’inediti in essi ospitati, rappresentano un insostituibile tentativo di documentazione dell’opera di Marx e di critica del marxismo. Essi, ancora oggi, risultano essere uno strumento indispensabile per chi voglia cimentarsi, in maniera rigorosa, con questi temi. A Treviri, nella Repubblica Federale Tedesca, invece, comparvero, negli anni dal 1969 al 2000, in 49 numeri, gli «Schriften aus dem Karl Marx Haus». Anche questa collana, con le sue monografie sulle edizioni dell’opera di Marx ed Engels e sulla ricezione che essa ebbe nel mondo, sui rapporti che essi intrattennero con terzi, nonché con la presentazione di saggi sulla storia del movimento operaio, rappresenta una delle più specializzate fonti di ricerca del campo.

Dopo la nascita della MEGA², gli istituti per il marxismo-leninismo di Mosca e Berlino, diedero vita al «Marx-Engels-Jahrbuch». Questo annuario, edito dalla Dietz Verlag in tredici numeri, nel periodo tra il 1978 ed il 1991, seppur concepito per contribuire alla divulgazione del marxismo ed al suo trionfo ideologico e dunque, privo di quel carattere scientifico che Rjazanov aveva fortemente voluto cinquant’anni prima, accompagnò la stampa dei primi volumi della MEGA², annoverando al proprio interno importanti contributi di studio. All’incirca nello stesso tempo, nella Repubblica Democratica tedesca, sorsero diverse altre riviste per documentare il lavoro editoriale in corso sull’opera di Marx. Dal 1976 al 1988, editi dalla Martin-Luther Universität di Halle-Wittenberg, per un insieme di 23 numeri, uscirono gli «Arbeitsblätter zur Marx-Engels-Forschung»; dal 1978 al 1989 in 29 numeri e per iniziativa dell’Istituto per il marxismo-leninismo di Berlino, apparvero i «Beiträge zur Marx-Engels-Forschung» (la nuova serie è ripresa, con cadenza annuale, nel 1991); infine, editi dalla Karl-Marx-Universität di Lipsia, vennero stampati, in maniera irregolare dal 1981 al 1990, i 6 numeri della «Marx-Engels-Forschungsberichte».

In seguito agli avvenimenti dell’autunno del 1989, per iniziativa dell’Internationaal Instituut voor Sociale Geschiedenis di Amsterdam e della Karl Marx Haus di Treviri, nacque nel 1990 l’Internazionale Marx Engels Stiftung (IMES). Questa fondazione, sorta con il gravoso compito di completare la MEGA², assunse l’impegno di pubblicare ad Amsterdam i «MEGA-Studien», usciti in 11 numeri tra il 1994 ed il 1999. Questa rivista, esclusivamente incentrata sui lavori di edizione della MEGA, affermò, in questo modo, il ritorno ad una rinnovata obiettività nella ricerca scientifica.

II. «Marx-Engels Jahrbuch»
La recente edizione del primo volume del «Marx-Engels Jahrbuch», anch’esso a cura dell’IMES, ma stavolta con redazione presso la Berlin-Brandenburgische Akademie der Wissenschaften, segna un nuovo inizio nella storia delle riviste della Marx-Forschung. In seguito al consolidamento della MEGA², conseguito attraverso la pubblicazione, dal 1998 ad oggi, di ben nove nuovi volumi accompagnati da grande risonanza internazionale, questa nuova impresa, tenta di spingersi oltre l’esperienza dei «MEGA-Studien», dedicati unicamente alle questioni editoriali, e mira a dar vita ad un vero e proprio forum scientifico sull’opera di Marx ed Engels.

Con l’ausilio di saggi, atti di convegni e recensioni della letteratura specializzata, l’annuario ambisce definire lo stato attuale della ricerca su Marx, ospitando sulle sue pagine i contributi utili a ricostruire il quadro storico di elaborazione delle sue opere, documentandone contesto e fonti. I volumi conterranno appendici, errata corrige, documenti integrativi e materiali d’archivio – anche relativi alla storia della MEGA – nonché apporti inerenti le problematiche legate ai lavori dell’edizione. L’auspicio è di realizzare un rapporto di stimolo reciproco tra lavoro editoriale e ricerca scientifica grazie al quale, in mutua reciprocità, le nuove acquisizioni filologiche possano fornire nuovi impulsi al dibattito sulla teoria marxiana e questo, a sua volta, influire produttivamente sulla preparazione dei volumi.

Ulteriore intenzione del progetto è di dare alle stampe, proprio come avvenne con la «Marx Engels Archiv», stralci delle opere più significative dei due autori, come anticipazione dell’opera completa. Il primo numero, che qui si presenta – Marx-Engels Jahrbuch 2003, 2 voll., pp. 400, € 59.80, Akademie Verlag, Berlin 2004 -, infatti, è interamente dedicato a L’ideologia tedesca. A tal riguardo, questa recensione intende ripercorrere le tappe della storia editoriale, tralasciando volutamente le questioni teoriche.

III. La rodente critica dei topi
Nel febbraio del 1845, in seguito all’ordine di espulsione, emanato contro di lui dalle autorità francesi, Marx è costretto a lasciare Parigi. Dopo aver cominciato gli studi di economia politica, sintetizzati nei quaderni di estratti e annotazioni dai testi letti e nei celebri Manoscritti economico-filosofici, e dopo la firma con l’editore Leske di Darmstadt di un contratto per un’opera in due volumi, da intitolarsi Critica della politica e dell’economia politica, egli parte per una nuova destinazione. Teatro del nuovo esilio, fino allo scoppio della rivoluzione nel marzo 1848, è, questa volta, la città di Bruxelles.

I progetti di Marx, proseguire le ricerche per dare alla luce il libro che si era impegnato a realizzare, così come pubblicare, offrendone la traduzione tedesca, una «Biblioteca dei più eccellenti scrittori socialisti stranieri», vennero alterati dall’uscita, nell’ottobre del 1844, del testo di Stirner, L’unico e la sua proprietà. La prima opera comune di Engels e Marx, La sacra famiglia, critica della filosofia speculativa di Bauer e consorti, non poté darne conto, essendo stata redatta all’incirca nello stesso periodo. Era allora necessario combattere anche questa ultima manifestazione del neohegelismo. Inoltre, Marx riteneva importante preparare il pubblico al punto di vista della sua «Economia», attraverso uno scritto polemico contro le più recenti concezioni della scienza tedesca.

Con questo intendimento, dunque, il piano dell’opera andò ad ingrandirsi sino a comprendere ben due volumi. Marx ed Engels vi lavorarono a lungo insieme a Moses Hess. Nel maggio del 1846, la parte principale del manoscritto del primo volume, fu inviata in Vestfalia a Joseph Weydemeyer che doveva predisporne l’edizione. Tuttavia, diverse circostanze ne impedirono la pubblicazione. Negli anni 1846-1847, Marx ed Engels tentarono altre volte, e sempre senza successo, di trovare un editore. Il titolo dell’opera e dei due volumi che avrebbero dovuta comporla non sono riportati nel manoscritto. Gli editori postumi le hanno aggiunte in base ad una dichiarazione di Marx contro Grün, pubblicata nell’aprile del 1847, nella quale egli riferisce di uno «scritto, redatto in comune con Fr. Engels, L’ideologia tedesca (Critica della più recente filosofia tedesca nei suoi rappresentanti Feuerbach, Bruno Bauer e Stirner, e del socialismo tedesco nei suoi vari profeti)».

Di questo, solamente pochissime parti furono stampate con gli autori in vita e, tutte, nel 1847. Di Marx, la rivista mensile tedesca «Das Westphälische Dampfboot» ospitò l’articolo La storiografia del vero socialismo (contro Karl Grün). Di Hess uscì, presso la «Deutsche-Brüsseler-Zeitung», un testo, scritto con la collaborazione di Marx: il Dottore Graziano’s Werke, come critica, destinata anch’essa al lavoro comune, al libro di Arnold Ruge Due anni a Parigi. Di Engels, la stessa rivista, diede alle stampe K. Beck: “Canti del pover’uomo”, o la poesia del vero socialismo. Tuttavia questo fallimento non costituì per Marx un grande problema; nel rapido schizzo di autobiografia intellettuale, utilizzato come prefazione alla Critica dell’economia politica del 1859, infatti, riassunse così l’accaduto: «Abbandonammo tanto più volentieri il manoscritto alla rodente critica dei topi, in quanto avevamo già raggiunto il nostro scopo principale, che era di veder chiaro in noi stessi».

IV. Le edizioni postume
Le vicende della pubblicazione postuma non sono meno intricate di quelle della loro preparazione e stesura. Anzi. Sulle edizioni di Marx ed Engels hanno sempre pesato i conflitti delle varie correnti, teoriche e politiche, del movimento operaio. Relativamente a L’ideologia tedesca, Eduard Bernstein, che dopo la morte di Engels era entrato in possesso di gran parte del lascito dei due autori, ha enormi responsabilità. Nel 1899 si limitò a ristampare su «Die Neue Zeit» l’invettiva contro Grün che Marx aveva già pubblicato nel 1847. Solo più tardi, negli anni 1903-1904, si decise a consegnare alle stampe, nei «Dokumente des Sozialismus», rivista da lui diretta, la parte inedita riguardante Stirner.

Nell’introduzione che l’accompagnava, non veniva però fornita una chiara presentazione dello stato dell’originale. Soltanto molti anni dopo e ad opera del primo e più prestigioso biografo di Engels, Gustav Mayer, ne fu elaborata una valida descrizione; questi, infatti, durante la fase di documentazione del suo lavoro, aveva convinto Bernstein a consentirgli di consultare alcune parti del manoscritto. Risalgono, dunque, al 1920, anno della prima edizione del Friedrich Engels, le prime attendibili notizie a riguardo.

Nel 1923, Rjazanov si mise in viaggio per Berlino e, al suo ritorno in Unione Sovietica, presentò all’Accademia Socialista di Mosca una comunicazione sull’eredità letteraria di Marx ed Engels. In quella circostanza, si poté finalmente apprendere la reale situazione del testo divenuto così controverso. Le colpe e le lacune scientifiche di Bernstein si rivelarono molteplici. Si scoprì infatti, che aveva pubblicato meno della metà della critica di Stirner, attribuendo falsamente alla «rodente critica dei topi», quelli che invece erano stati suoi tagli arbitrari; inoltre, si poté constatare che aveva creduto a torto che le parti su Feuerbach e Bauer appartenessero ad un unico capitolo, al quale aveva attribuito poca importanza, decidendo di non pubblicarlo! Solo utilizzando la sua straordinaria erudizione, che gli consentì di risalire ad ogni parte dell’originale, e con la sua grande abilità diplomatica, Rjazanov riuscì a procurarsi da Bernstein, con enorme fatica, ma soltanto in quattro settimane, tutte le parti del testo.

Fotografato il tutto, fece ritorno a Mosca. La prima parte de L’ideologia tedesca, incompiuta, verosimilmente tutta di Marx e senz’altro, la più importante dell’intero lavoro, venne pubblicata per la prima volta a cura dello stesso Rjazanov nel 1926, nel primo volume del «Marx Engels Archiv». Questa, intitolata «Feuerbach», ma dedicata soprattutto alla sua concezione della storia, contiene la prima esposizione della teoria che Marx aveva elaborato nel corso di anni di studi filosofici, storici ed economici, quella che in seguito definirà il «filo conduttore» delle proprie ricerche.

Nell’introduzione che ne accompagnò l’edizione, Rjazanov riassunse le tante vicissitudini del manoscritto del quale sia Engels, pur se comprensibilmente alle prese con i libri II e III de Il capitale, che Mehring avevano sottostimato il valore. La sua importanza, al contrario, era fondamentale poiché consentiva di colmare il vuoto tra La sacra famiglia e le Tesi su Feuerbach e la successiva Miseria della filosofia. Esso venne pubblicato per intero soltanto nel 1932, nel volume I/5 della prima MEGA. Come per i Manoscritti economico-filosofici del 1844, tra la data della stesura e quella della pubblicazione, trascorse quasi un secolo. Se così non fosse stato, alla «concezione materialistica della storia», la celebre espressione fu coniata e utilizzata da Engels, sarebbero stati evitati parecchi malintesi e confusioni. Nel 1962, infine, dopo che il testo era già uscito nell’edizione MEW, apparvero in un articolo di Siegfried Bahne sull’«International Review of Sociali History», altre tre pagine dell’originale, anche queste erroneamente addebitate all’appetito dei topi, ma in realtà conservate sotto una falsa intestazione.

Il testo compreso nel primo numero del «Marx-Engels Jahrbuch», è un’anticipazione del volume I/5 della MEGA²: Karl Marx, Friedrich Engels, Moses Heβ: Die duetsche Ideologie. Manuskripte und Drucke (November 1845 bis Juni 1846), la cui uscita è prevista nel 2008. Questa edizione offrirà, tra le altre novità, per la prima volta alcune parti del manoscritto correttamente attribuite ad Hess. Quelle incluse nell’annuario corrispondono ai capitoli: I. «Feuerbach» e II. «Sankt Bruno». Differentemente dai sei diversi tentativi di ricostruzione del famoso capitolo «I. Feuerbach. Antitesi fra concezione materialistica e concezione idealistica» effettuati sino ad oggi, questa nuova versione pubblica i manoscritti di Marx ed Engels così come sono stati da loro lasciati.

Essi sono raccolti come sette testi indipendenti e ordinati cronologicamente. Da questa edizione si evince, con chiarezza, il carattere frammentario dello scritto e che, in particolare, il capitolo su Feuerbach è tutt’altro che compiuto. Nuove e definitive basi, dunque, vengono fornite all’indagine scientifica per risalire, con esattezza, al pensiero di Marx. Del tutto inedito, invece, è un brano di Joseph Weydemeyer, redatto con la collaborazione di Marx, incluso in appendice. Infine accanto all’opera, così come per i volumi della MEGA², vi è un imponente tomo di apparato, contenente la descrizione del testo, i suoi chiarimenti, l’elenco delle varianti e delle correzioni, gli indici.

Questi ultimi risultati della ricerca e le conseguenti possibili nuove interpretazioni critiche, possono bastare a far sorgere qualche dubbio a quanti, siano essi sedicenti seguaci o avversari, credono di conoscere Karl Marx in maniera definitiva? Dai lavori della nuova edizione storico-critica emerge sempre più un autore misconosciuto. Il divario che lo separa dalle realizzazioni e dalle concezioni delle esperienze politiche, che a lui si sono richiamate, è troppo grande per non far sorgere il sospetto che il suo spettro, prima o poi, tornerà ancora ad agitarsi. Per il momento, le ricerche filologiche, lontane dal retaggio esercitato per il passato dal fuorviante condizionamento ideologico, contribuiscono a far luce sulla sua opera e sul suo pensiero.

L’ideologia tedesca, considerata a volte finanche come l’esposizione esaustiva della concezione materialistica di Marx, è restituita nella sua originaria incompiutezza che la rende indisponibile ad ogni ipotesi di sistematizzazione. La fallacia dei marxismi dominanti del Novecento e le tante carenze e strumentalizzazioni delle diverse edizioni e letture di Marx susseguitesi, fanno risuonare una sua frase, contenuta in questo testo, non solo e ancora una volta contro la critica tedesca a lui contemporanea, ma anche come sarcastico monito per il futuro: «Non solo nelle risposte, ma già negli stessi problemi c’era una mistificazione».

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La «Nuova MEGA» e il carteggio Marx-Engels del 1858-1859

Le vicende della pubblicazione delle opere complete di Marx ed Engels e lo stato attuale della «MEGA²». L’ultimo volume edito presenta la corrispondenza del 1858-1859. Sono gli anni dei Grundrisse, di Per la critica dell’economia politica e della collaborazione con la «New-York Tribune», tra crisi economica e indicibili ristrettezze personali.

I. Da Rjazanov alla MEGA²
A dispetto dell’enorme diffusione dei loro scritti, Marx ed Engels rimangono ancora privi di un’edizione integrale e scientifica delle proprie opere. La prima ragione di questo paradosso risiede senz’altro nell’incompiutezza e nella frammentarietà dell’opera di Marx. Durante gli ultimi anni di vita, infatti, interrogato da Kautsky a proposito di un’eventuale pubblicazione delle proprie opere complete, egli risponde: «queste opere dovrebbero innanzitutto essere scritte!» In secondo luogo, sulla pubblicazione dei lavori dei due autori hanno influito le vicende del movimento operaio, che troppo spesso hanno ostacolato anziché favorito l’edizione dei loro testi.

Il primo tentativo di pubblicare tutti gli scritti di Marx ed Engels risale agli anni Venti quando, David Borisovič Rjazanov, formidabile studioso e conoscitore di Marx, direttore nella neonata repubblica dei Soviet dell’Istituto Marx-Engels, avviò la pubblicazione in lingua originale dell’opera completa, la Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA). Le epurazioni dello stalinismo però s’abbatterono anche sugli studiosi dell’istituto, lo stesso Rjazanov fu destituito e condannato alla deportazione nel 1931, ed il progetto venne interrotto nel 1935. Dei 42 volumi inizialmente previsti, soltanto 12 furono dati alle stampe. Ancora in Unione Sovietica, dal 1928 al 1946, fu pubblicata la prima edizione in russo delle opere complete, la Sočinenija, che ad onta del nome riproduceva un numero parziale di scritti, ma che con i suoi 28 volumi (in 33 tomi) fu comunque, per l’epoca, la raccolta quantitativamente più considerevole.

Dal 1956 al 1968 nella Repubblica democratica tedesca, per iniziativa del Comitato Centrale della Sed, furono stampati 41 volumi (in 43 tomi) della Marx Engels Werke (MEW). Tale edizione, però, era tutt’altro che completa ed era appesantita dalle introduzioni e dalle note che, concepite sul modello dell’edizione sovietica, ne orientavano la lettura secondo la concezione del marxismo-leninismo. Ciò nonostante, essa costituì la base di numerose edizioni analoghe in altre lingue tra cui anche le Opere italiane, le quali in realtà non sono mai state completate e sono apparse solo in 32 dei 50 volumi previsti.

Il progetto di una “seconda” MEGA, che si prefiggeva di riprodurre in maniera fedele e con un ampio apparato critico, tutti gli scritti dei due pensatori, rinacque durante gli anni Sessanta. Le pubblicazioni, avviate nel 1975, furono tuttavia anch’esse interrotte, stavolta in seguito al crollo del blocco dei paesi socialisti.

Nel 1990, con lo scopo di completare l’edizione storico critica delle opere di Marx ed Engels, diversi istituti in Olanda, Germania e Russia hanno costituito la Fondazione Internazionale Marx Engels (Imes). Dopo un’impegnativa fase di riorganizzazione, nella quale sono stati approntati nuovi principi editoriali, e dopo il passaggio di casa editrice, dalla Dietz Verlag all’Akademie Verlag, dal 1998 è ripresa la pubblicazione della Marx-Engels-Gesamtausgabe, la cosiddetta MEGA². Questa impresa è tanto più importante se si considera che una parte notevole dei manoscritti, dell’imponente corrispondenza e dell’immensa mole di estratti e annotazioni che Marx era solito compilare dai testi che leggeva, è ancora inedita.

Il progetto complessivo, al quale partecipano studiosi che operano in Germania, Russia, Olanda, Francia, Stati Uniti, Giappone, Danimarca ed Italia, si divide in quattro sezioni: la prima comprende tutte le opere, gli articoli e le bozze escluso Il capitale; la seconda Il capitale e tutti i suoi lavori preparatori a partire dal 1857; la terza l’epistolario; la quarta gli estratti, le annotazioni e i marginalia. Fino ad oggi dei 114 volumi previsti ne sono stati pubblicati 49, ognuno dei quali consta di due tomi: il testo più l’apparato che contiene gli indici ed ogni tipo di informazione aggiuntiva.

II. Carteggio
Il volume che qui si vuole presentare – Marx-Engels, Gesamtausgabe (MEGA²), Dritte Abteilung, Band 9: Briefwechsel Januar 1858 bis August 1859, Berlin, Akademie Verlag, 2003, 2 voll., pp. 1301, euro 188 – è l’ultimo edito. Esso include una parte del carteggio che per tutta la vita si è svolto tra Marx ed Engels e tra loro e tantissimi altri corrispondenti. L’ammontare complessivo del numero delle lettere è enorme. Ne sono state ritrovate oltre 4.000 scritte da Marx ed Engels, di cui 2.500 sono quelle che si sono scambiate tra di loro, e 10.000 quelle ricevute da terzi. Altre 6.000, inoltre, pur non essendoci pervenute, hanno lasciato testimonianza certa della loro esistenza.

In seguito alle nuove linee editoriali, tutte le lettere seguono rigorosamente il criterio della successione cronologica e non sono più divise, come una volta, in due parti distinte, l’una con le lettere scritte da Marx ed Engels e l’altra con quelle da essi ricevute. Il testo in questione, presenta la corrispondenza intercorsa tra il gennaio del 1858 e l’agosto del 1859. Questo periodo racchiude uno snodo importante nell’elaborazione dell’opera di Marx che si dedica febbrilmente ai suoi studi affrontando al contempo una vita di stenti. Delle 311 lettere conservate 115 sono di Marx e 45 di Engels, 127 di queste sono quelle che si sono indirizzate reciprocamente, mentre quelle a loro inviate da terzi sono 151 di cui ben 92 inedite.

Nel 1858, Marx ha quarant’anni. La crisi economica sviluppatasi nel ’57 riaccende in lui la speranza di una ripresa del movimento rivoluzionario dopo il decennio di riflusso seguito alla sconfitta del 1848. Pervaso da una nuova produttività intellettuale, ritorna alla stesura della sua «Economia», della quale espone per la prima volta il progetto in una lettera a Lassalle, a cui chiede di trovargli un editore. Definisce il suo lavoro una «critica delle categorie economiche» ovvero uno studio che è «contemporaneamente descrizione del sistema e, attraverso la descrizione, critica del medesimo».

Poco oltre è contenuta la celebre suddivisione del piano della sua opera in 6 libri in cui Marx si propone di trattare in successione: il capitale, la proprietà fondiaria, il lavoro salariato, lo Stato, il commercio internazionale ed il mercato mondiale. Infine, nella stessa lettera, Marx accenna a due ulteriori lavori: la critica e la storia dell’economia politica e del socialismo ed un breve schizzo storico sullo sviluppo delle categorie e delle relazioni economiche.

Proprio in vista di questo progetto, Marx redige durante i primi mesi del 1858, quattro degli otto quaderni che costituiscono i famosi Grundrisse, i lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica. Non destinati alla stampa, ma concepiti al fine di meglio chiarire il proprio pensiero, i Grundrisse sono un osservatorio privilegiato attraverso cui seguire il formarsi delle concezioni del loro autore. Pur interamente dedicati al «capitolo del capitale», in essi il discorso si allarga continuamente ai temi degli altri sei libri originariamente previsti. L’impeto della scrittura è tale che Marx, dopo una pausa dovuta all’aggravarsi delle sue condizioni di salute, quando rilegge il testo, vi rileva problemi sia rispetto all’ordine e l’equilibrio delle parti che rispetto alla chiarezza dell’esposizione.

Questi manoscritti, sconosciuti allo stesso Engels e così decisivi per l’interpretazione di Marx, saranno pubblicati per la prima volta a Mosca, all’insaputa di tutti e svincolati da ogni riferimento alla MEGA, tra il 1939 ed il 1941. Soltanto la ristampa del 1953 permetterà la conoscenza di quella che possiamo considerare la prima redazione de Il capitale, a ben cento anni di distanza dalla sua stesura. Ancora di più si dovrà attendere per le traduzioni: la versione francese uscirà nel 1967-68, quella italiana nel 1968-70, mentre quella spagnola e quella inglese giungeranno solo nel 1973.

Attanagliato dai problemi materiali durante il giorno, Marx intraprende il suo lavoro ai «principles economici» soprattutto di notte, sostenendosi soltanto con limonate e con una quantità enorme di tabacco. Dalle lettere ad Engels, emergono tutte le difficoltà della sua condizione: «Non augurerei ai miei peggiori nemici di passare attraverso il pantano in cui mi trovo da otto settimane, con la rabbia per giunta che il mio cervello va in malora e la mia capacità di lavoro se ne va in pezzi con tutte queste schifezze»; «sono completamente incapace di lavorare, perché in parte perdo il meglio del tempo correndo di qua e di là e facendo inutili tentativi per scovare denaro, in parte la mia capacità di concentrazione, forse in seguito al mio maggiore esaurimento fisico, non resiste più ai guai domestici».

Proprio alla vita domestica egli riserva un’amara considerazione: «privatamente, penso, vivo la più tormentata vita che si possa immaginare… Per gente che abbia delle aspirazioni più vaste non c’è peggior stupidaggine che sposarsi e consegnarsi così alle petites misères de la vie domestique et privée». Assillato dai creditori e dalla «miseria incancrenita», in assenza di carbone giunge una volta ad affermare: «se questa situazione dura, preferirei stare 100 tese sotto terra piuttosto che seguitare a vegetare così».

Eppure, Marx non si lascia sopraffare dalla precarietà della propria condizione ed in una lettera all’amico Weydemeyer, riferendosi all’intento di portare a termine la sua opera, dichiara: «io devo perseguire il mio scopo a tutti i costi e non permettere alla società borghese di trasformarmi in una money-making machine». Dunque si applica con tenacia agli studi di economia politica e comunica ad Engels i suoi passi in avanti: «tutta la teoria del profitto, qual è stata finora, l’ho mandata a gambe all’aria». Inoltre si dedica all’apprendimento dell’algebra per superare le difficoltà incontrate nei calcoli aritmetici. A dare ulteriore impulso al suo lavoro è un dono che riceve da Ferdinand Freiligrath, il più importante poeta tedesco della rivoluzione del 1848: dei vecchi libri di Hegel che erano appartenuti a Bakunin. Tra questi, Marx rilegge la Logica che renderà «un grandissimo servizio» al suo metodo espositivo. Ed a tal proposito nella medesima lettera ad Engels afferma: «Se tornerà mai il tempo per lavori del genere, avrei una gran voglia di rendere accessibile all’intelletto dell’uomo comune in poche pagine, quanto vi è di razionale nel metodo che Hegel ha scoperto ma nello stesso tempo mistificato».

Nel frattempo riesce a stipulare l’accordo con l’editore di Berlino Franz Duncker per pubblicare la sua opera in fascicoli, il primo dei quali si intitolerà Per la critica dell’economia politica. Alle gravi ristrettezze finanziarie, però, si uniscono le complicazioni dovute ai ripetuti attacchi di mal di fegato che gli impediscono finanche di tenere in mano la penna. La consegna del testo viene così continuamente rinviata anche perché a rallentarne la stesura, oltre alla malattia e ai lavori a cui è costretto per sostentarsi, contribuisce sia la meticolosità di un metodo di lavoro che impone la ricerca di prove sempre più scrupolose per le proprie tesi, sia l’esigenza di migliorare lo stile della propria scrittura. Su quest’ultimo punto, Marx, riferendosi alla sua opera, scrive a Lassalle: «Essa è il risultato di quindici anni di ricerche, dunque del periodo migliore della mia vita.

Essa rappresenta per la prima volta in modo scientifico una importante concezione dei rapporti sociali. È dunque mio dovere di fronte al partito impedire che la cosa venga deformata da quella maniera di scrivere pesante e legnosa che è tipica di un fegato malato». Quando finalmente termina il «povero manoscritto», tarda a spedirlo perché non ha i soldi per effettuare l’invio! Rivolgendosi al solito Engels, trova un po’ di conforto nell’autoironia «Non credo che mai nessuno abbia scritto su “il denaro” con una tale mancanza di denaro».

III. Giornalismo
Spinto soprattutto da queste difficoltà materiali, Marx continua la sua collaborazione con il «New-York Tribune», il più importante quotidiano americano che contava all’epoca circa 200.000 abbonati. Anche di questa esperienza vi sono tracce nella corrispondenza attraverso cui si comprende, a volte con maggiore chiarezza che nei loro articoli, con quale attenzione Marx ed Engels seguano gli avvenimenti politici contemporanei. In seguito alla crisi del 1857 ed ai problemi finanziari del giornale, Marx è uno dei due soli corrispondenti europei a non essere licenziato. I molti articoli redatti durante questo periodo trattano ogni avvenimento di rilievo: il fallito attentato di Felice Orsini contro Napoleone III; il commercio estero ed il pauperismo industriale in Inghilterra; la rivolta in India; la crisi della circolazione monetaria; l’ultimo manifesto di Mazzini; le sorti della Compagnia delle Indie; l’emancipazione dei servi in Russia.

Nello stesso periodo Charles Dana, direttore del giornale, invita Marx a collaborare al progetto della «New American Cyclopædia», pubblicata a New York tra il 1858 ed il 1863. Egli vi partecipa con l’incarico di compilare alcuni lemmi biografici e storici. Ma è Engels a scrivere la maggior parte degli articoli, come spesso accadeva anche per gli articoli del «New-York Tribune», in modo da permettere a Marx di avanzare nei suoi studi economici.

Nel carteggio, troviamo anche tutte le informazioni relative alla nascita dell’opuscolo di Engels Po e Reno. Progettato dal «generale» nel febbraio 1859 con l’esigenza di valutare il quadro internazionale in cui si poneva il problema dell’unificazione dell’Italia e della Germania e per esporre il punto di vista del «partito» sulla guerra che si preparava tra la Francia, alleata del Piemonte, e l’Austria, compare anonimo in mille copie a Berlino nell’aprile 1859. Questa è la prima pubblicazione di Engels in tedesco dopo quasi dieci anni e non manca di avere il successo previsto da Marx, influendo notevolmente sull’opinione pubblica in Germania.

La paternità dell’opuscolo è in seguito rivelata per evitare confusione dopo la diffusione anonima dello scritto di Lassalle La guerra italiana e il compito della Prussia, in cui si auspica l’alleanza dei tedeschi con Napoleone III e con i Savoia contro l’Austria ritenuta vero impedimento all’unificazione tedesca. Marx qualifica questa iniziativa come una violazione della «disciplina di partito» augurandosi, al contrario, una partecipazione prussiana nel conflitto a fianco dell’Austria per la sconfitta dello zarismo di cui Napoleone III era il giullare.

Il rapporto con Lassalle, autore di 16 lettere nel volume, può essere ben osservato nella corrispondenza di questo periodo anche attraverso un’altra vicenda. Proprio in questi anni, infatti, egli dà alle stampe due opere: La filosofia di Eraclito, l’Oscuro di Efeso ed il dramma Franz von Sickingen. Una tragedia storica. Marx ed Engels, nelle lettere che indirizzano direttamente all’autore, esprimono su questi testi il proprio commento che, seppur critico, è sempre accompagnato da grande riguardo. Nel carteggio che collega Londra e Manchester, invece, i giudizi sono caustici e nei confronti di Lassalle il sentimento che prevale, ora come in seguito, è la diffidenza.

Ultimo tema di rilievo è l’impegno col quale i due sostengono il giornale «Das Volk», organo dell’Associazione di cultura degli operai tedeschi di Londra, redigendo articoli relativi alla guerra italiana, raccogliendo sussidi, promuovendo la diffusione del settimanale ed assumendone infine la direzione. Nel giro di pochi numeri, però, la pubblicazione cessa per mancanza di fondi ed i due devono rinunciare ad esprimere il proprio parere su un giornale di Londra.

Nel giugno del 1859, compare presso l’editore di Berlino Franz Duncker in una tiratura di mille copie, Per la critica dell’economia politica. Primo fascicolo. Marx è convinto che, con l’uscita del suo libro, il proudhonismo allora di moda in Francia sarà «stroncato alla radice», ma nonostante le sue attese e le sue speranze, le recensioni sono molto scarse e nessuna risonanza viene data all’impresa. Sebbene si dedichi alla stesura del secondo fascicolo, questo non vedrà mai la luce. Il lavoro va avanti, ma subisce molte altre interruzioni e per il primo volume di Das Kapital, il primo libro del piano della sua opera, bisognerà attendere il 1867.

La restante parte del suo immenso progetto, contrariamente al carattere di sistematicità che spesso gli è stato attribuito, resterà un colossale, geniale e fecondissimo fallimento letterario costituito da manoscritti abbandonati, abbozzi provvisori e progetti incompiuti. Tuttavia questo materiale, per la complessità della sua natura frammentaria, è di enorme interesse e conserva, ancora oggi, tutta la sua efficacia come strumento per la critica del mondo contemporaneo.

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MEGA², Rieditare Marx ed Engels

La sorte delle differenti edizioni delle opere di Marx ed Engels è stata sempre in strettissima relazione con le vicende del movimento operaio. Il primo tentativo di pubblicare tutti gli scritti dei due autori risale agli anni ’20 quando il pioniere degli studi su Marx, David Borisovič Rjazanov, direttore in Unione Sovietica dell’Istituto Marx-Engels, diede inizio alla pubblicazione dell’opera completa, Marx-Engels Gesamtausgabe (MEGA). Negli anni ‘30 però le epurazioni dello stalinismo s’abbatterono anche sugli studiosi dell’Istituto (Rjazanov fu destituito e condannato alla deportazione nel ’31) e nel 1935 il progetto venne interrotto. Dei 42 volumi previsti dal progetto iniziale, soltanto 12 furono dati alle stampe.

Dal 1956 al 1968, per iniziativa del Comitato Centrale della SED, furono pubblicati i 41 volumi della Marx Engels Werke (MEW) che costituirono la base di numerose edizioni analoghe in altre lingue. Tale edizione però non solo non era completa ma era segnata dalle introduzioni e dalle note che, concepite sul modello dell’edizione sovietica dei Sočinenija, ne orientavano la lettura secondo la concezione del marxismo-leninismo.

Negli anni ’60 nasce il progetto di una “seconda” MEGA per portare alla luce, in maniera rigorosamente fedele e con un ampio apparato critico, tutta la produzione dei due pensatori. Le pubblicazioni, che cominceranno nel 1975, saranno tuttavia anch’esse interrotte, stavolta in seguito agli avvenimenti del 1989. Nel 1990, con lo scopo di completare la pubblicazione dell’edizione storico critica delle opere di Marx ed Engels, diversi istituti e gruppi di lavoro – in Olanda, Germania e Russia – hanno costituito la Fondazione Internazionale Marx Engels (IMES). Dopo un’impegnativa fase di riorganizzazione, dal 1998 è ripresa la pubblicazione. Il progetto complessivo si divide in quattro sezioni: la prima comprende tutte le opere, gli articoli e le bozze escluso Il capitale; la seconda contiene Il capitale e tutti i suoi lavori preparatori a partire dal 1857; la terza l’epistolario; la quarta è costituita da estratti, annotazioni e marginalia. Fino ad oggi dei 114 volumi previsti ne sono stati pubblicati 47 in 54 tomi.

L’ultimo volume edito, che consta come tutti gli altri che lo hanno preceduto di due tomi (il testo più l’apparato, che contiene indici e molte informazioni aggiuntive), costituisce una parte del carteggio che per tutta la vita si è svolto tra “il moro ed il generale” e tra loro e tantissimi filosofi, scienziati, associazioni e organizzazioni, giornali, familiari e naturalmente centinaia di militanti del movimento operaio. La loro corrispondenza complessiva è imponente. Sono state ritrovate oltre 4.000 lettere scritte da Marx ed Engels (di cui 2.500 scambiate tra loro stessi) e 10.000 ricevute da terzi. Inoltre, di altre 6.000 non ritrovate, si hanno indicazioni certe della loro esistenza. In seguito alle nuove linee editoriali il testo non è più, come una volta, diviso in due parti distinte, l’una con le lettere scritte da Marx ed Engels e l’altra con quelle da essi ricevute, ma segue rigorosamente il criterio della successione cronologica.

La presente pubblicazione comprende la corrispondenza tra l’Ottobre del ’64 ed il Dicembre del ’65. Periodo durante il quale furono scritte più di 460 lettere. Delle 354 conservate, 120 sono di Marx ed Engels (76 sono state scambiate tra di loro e 44 sono state scritte ad altri) e 234 sono a loro indirizzate (di queste ben 153 sono inedite).

L’oggetto principale di questo volume è l’attività politica di Marx in seno all’International Working Men’s Association (passata alla storia come Prima Internazionale) costituitasi a Londra il 28 Settembre del 1864. Tale impegno rappresentò una svolta rispetto all’isolamento che aveva caratterizzato buona parte del primo quindicennio dell’esilio londinese. Infatti, come egli ebbe modo di scrivere, “sebbene per anni interi abbia rifiutato sistematicamente qualsiasi partecipazione a tutte le organizzazioni, questa volta ho accettato perché si trattava di una faccenda nella quale è possibile operare con effetti notevoli”. Nel libro viene soprattutto documentato, con l’aggiunta di molti particolari e chiarimenti finora sconosciuti, il periodo iniziale della vita dell’organizzazione durante il quale Marx acquisì rapidamente il ruolo di maggior prestigio.

Ciò avverrà anche attraverso la stesura dell’Indirizzo inaugurale, degli Statuti provvisori dell’associazione e delle dichiarazioni, a nome del Consiglio Centrale dell’Internazionale, ai presidenti degli Stati Uniti Lincoln e Johnson. In questa fase Marx si sforzò di portare avanti il tentativo di combinare l’attività pubblica, che lo vedeva dopo 16 anni di nuovo in prima linea, ed il lavoro scientifico. Ciò lo costrinse a sacrificare molto tempo e lavoro alla preparazione de Il capitale per il quale, proprio nel marzo del ‘65, aveva ricevuto la disponibilità alla pubblicazione da parte dell’editore Meissner di Amburgo.

Diverse le questioni che lo vedranno impegnato e delle quali si ha traccia nella corrispondenza. Marx sottolinea più volte l’importanza del movimento sindacale, “strumento dell’organizzazione della classe operaia per la lotta contro la borghesia”, ma si schiera nettamente contro la proposta di Lassalle, scomparso proprio nel ’64, di formare cooperative operaie finanziate dallo Stato prussiano: “la classe operaia è rivoluzionaria o non è niente”. Quello delle organizzazioni sindacali sarà un tema centrale anche in relazione alle rivendicazioni salariali ed all’ondata di scioperi del ’65. In seguito alla presa di posizione di John Weston, un owenista membro del consiglio centrale, il quale sosteneva che l’iniziativa delle Trade Unions non avrebbe recato alcun miglioramento alle condizioni reali degli operai poichè un aumento dei salari avrebbe portato soltanto un aumento del costo delle merci, Marx fu costretto ad intervenire in merito. Ciò avvenne attraverso due sedute che egli tenne presso il consiglio centrale. In queste conferenze, che saranno pubblicate postume nel 1898 con il nome di Salario, prezzo e profitto, egli confutò gli evidenti limiti di Weston ed espose pubblicamente, pur senza dilungarsi, importanti concetti della sua critica dell’economia politica quali forza-lavoro, plusvalore e valore-lavoro.

Altri temi di rilievo posti all’attenzione del lettore sono: le valutazioni di Marx, Engels e del loro intimo amico Joseph Weydemeyer (che emigrato negli USA era divenuto colonnello dell’esercito nordista) sulla guerra civile negli Stati Uniti; le controversie tra i membri della sezione parigina dell’Internazionale; i contatti col movimento operaio in Germania (in particolare con Wilhelm Liebknecht, autore (nel testo ?) di 46 lettere) al fine di contrastare la persistente egemonia lassalliana. Ed ancora la morte di Proudhon (Gennaio ’65), in occasione della quale Marx scriverà su «Der Social-Demokrat» alcune note intitolate Su P.-J. Proudhon; il reincontro dopo 16 anni tra Marx e Bakunin; lo scritto di Engels La questione militare prussiana e il partito operaio tedesco, che costituì la presa di posizione della classe operaia tedesca sulla crisi degli anni ’60 in Germania.

Dunque con la ripresa della pubblicazione della MEGA² (che nei propositi dell’IMES dovrebbe avvenire con la frequenza di 2 volumi l’anno) si riapre la possibilità di dare alla luce finalmente un’edizione integrale e scientifica dell’opus di Marx ed Engels in grado di ampliare le conoscenze sull’evoluzione dei testi e dei manoscritti e sul contesto storico della loro genesi. Tocca a noi adesso saper utilizzare questo strumento essenziale per tornare nuovamente sulle tracce di Marx.