Categories
Reviews

Sean Sheehan, Scottish Left Review

The focus of this book is announced in the title, The Marx Revival: Key Concepts and New Interpretations, and its essays by 22 contributors are symptomatic of renewed interest in a thinker who can no longer be shackled with responsibility for abusive state power. Chapter headings are to the point – Communism, Class Struggle, State, Ecology, Migration, Colonialism and so on – and the prose mostly keeps to an equally no-nonsense approach. This makes the edited collection a Marx for our times.

The first essay kicks off with neat exposition of some basics: capitalism’s drive to create surplus value through commodity production; money as means and motive for creating capital and the consequent distorting of human relations; the system as a structure (capitalists die like everyone else but the system carries on) that is incredibly versatile but inherently unstable and, ultimately, its own gravedigger. Traditional readings emphasise economic crises and increasing immiseration as capitalism’s gravedigger but climate change calls for a rethink and an appreciation of Marx’s importance as an ecological thinker. Nature, seen as a ‘free gift to capital’ (the quote is from Capital) and not part of the system’s value algorithm, can be destroyed in the drive to accumulate profits. The ‘Ecology’ chapter makes clear Marx’s insight into what he called the ‘social metabolism’ between man and nature and the chapter goes on to relate this to climate scientists’ warnings about a planetary disaster.

There is no chapter on ideology, not even an index entry, but Marx was presciently aware of what he described as ‘the bewitched, distorted and upside-down world haunted by Monsieur le Capital’. Contemporary examples would be the marketing of zero-hour working and creeping privatisation of the NHS as a new freedom of choice. Not surprisingly, aspects of everyday life under corporate control can come to be experienced as a kind of alien rule. How easily people can be controlled into accepting this – as depicted in the superb Captive State movie – needs also to be examined through the lens of Marx; something that writers like China Mieville, Žižek, Terry Eagleton or Paul Mason could tackle with fluency but who are missing from this collection of articles. But this remains an important book, asking and offering some answers to the question of what kind of Marxism is emerging in the world we now inhabit and what it can mean to call oneself a communist.

Categories
Journalism

Rosa Luxemburg marxista senza dogmi

Quando nell’agosto del 1893, al Congresso di Zurigo della Seconda Internazionale, dalla presidenza dell’assemblea fu menzionato il suo nome, Rosa Luxemburg si fece spazio senza indugiare tra la platea di delegati e militanti che riempivano la sala stracolma.

Era ancora giovanissima, di corporatura minuta e con una deformazione all’anca che la costringeva a zoppicare sin dall’età di cinque anni. Nei presenti, il suo apparire sembrò destare l’impressione di trovarsi dinanzi a una persona fragile. Stupì tutti, invece, quando, dopo essere salita su una sedia, per farsi ascoltare meglio, riuscì ad attirare l’attenzione dell’intero uditorio, sorpreso dall’abilità della sua dialettica e affascinato dall’originalità delle sue tesi. Per la Luxemburg, infatti, la rivendicazione centrale del movimento operaio polacco non doveva essere la costruzione di una Polonia indipendente, come veniva ripetuto all’unanimità. La Polonia era ancora tripartita tra gli imperi tedesco, austro-ungarico e russo; la sua riunificazione risultava di difficile attuazione, mentre ai lavoratori andavano prospettati obiettivi realistici che avrebbero dovuto generare lotte pratiche nel nome di bisogni concreti. Con un ragionamento che sviluppò negli anni a venire, ammonì quanti enfatizzavano la questione nazionale, convinta che la retorica del patriottismo sarebbe stata pericolosamente utilizzata per relegare in secondo piano la questione sociale. Alle tante oppressioni patite dal proletariato non occorreva aggiungere anche “l’asservimento alla nazionalità polacca”. Per fare fronte a questa insidia, la Luxemburg auspicò la nascita di autogoverni locali e il rafforzamento delle autonomie culturali che, una volta instaurato il modo di produzione socialista, avrebbero fatto da argine al possibile ripresentarsi di rigurgiti sciovinistici e ad altre nuove discriminazioni. Attraverso l’insieme di queste riflessioni, distinse la questione nazionale da quella dello Stato nazione.

L’episodio del Congresso di Zurigo simboleggia l’intera biografia intellettuale di colei che va annoverata tra i più significativi esponenti del socialismo novecentesco. Nata 150 anni fa, il 5 marzo del 1871, a Zamość, nella Polonia sotto occupazione zarista, la Luxemburg trascorse la sua esistenza ai margini, lottando contro numerose avversità e andando sempre controcorrente. Di origini ebraiche, disabile per tutta la vita, all’età di ventisei anni si trasferì in Germania, dove riuscì a ottenere la cittadinanza solo grazie a un matrimonio combinato. Pacifista convinta al tempo della Prima Guerra Mondiale, venne incarcerata più volte per le sue idee. Fu ardente nemica dell’imperialismo nel mezzo di una nuova e violenta stagione coloniale. Soprattutto, fu una donna e visse in mondi abitati così esclusivamente da soli uomini. Fu spesso l’unica presenza femminile sia all’Università di Zurigo, dove conseguì il dottorato nel 1897, che tra i dirigenti del Partito Socialdemocratico Tedesco, nel quale venne nominata prima insegnante donna della scuola centrale di formazione dei quadri.

A queste difficoltà si aggiunsero il suo spirito indipendente e la sua autonomia – una virtù spesso penalizzante anche nei partiti politici di sinistra. La Luxemburg aveva la capacità di elaborare nuove idee e di saperle difendere, senza alcuna timorosa riverenza, al cospetto di figure del calibro di August Bebel o Karl Kautsky che avevano avuto il privilegio di formarsi attraverso il contatto diretto con Engels. Il suo fine non fu quello di ripetere le parole di Marx, ma di interpretarle storicamente.

Riuscì a superare i tanti ostacoli incontrati e, in occasione della svolta riformista di Eduard Bernstein e dell’acceso dibattito che ne seguì, divenne figura nota nella principale organizzazione del movimento operaio europeo. Se, nel celebre testo I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia, Bernstein aveva invitato il partito a recidere i ponti con il passato e a trasformarsi in una mera forza gradualista, nello scritto Riforma sociale o rivoluzione?, la Luxemburg replicò fermamente che, in ogni periodo della storia, “il lavoro di riforma sociale si muove solo nella direzione e per il tempo corrispondenti alla spinta che gli è stata impressa dall’ultima rivoluzione”. Quanti ritenevano che nel “pollaio del parlamentarismo borghese” si potessero ottenere i medesimi cambiamenti possibili mediante la conquista rivoluzionaria del potere politico, non avevano scelto una “via più tranquilla e più sicura verso la stessa meta, ma, piuttosto, un’altra meta”.

Per la Luxemburg, il socialismo avrebbe dovuto espandere la democrazia, non ridurla. Così, nel 1904, fu protagonista di un altro violento contrasto, questa volta con Lenin, sul tema delle forme dell’organizzazione politica. Il leader bolscevico concepì il partito come un nucleo compatto di rivoluzionari di professione, un’avanguardia che doveva guidare le masse. La Luxemburg obiettò che un partito estremamente centralizzato generava una dinamica molto pericolosa: “l’obbedienza cieca dei militanti all’autorità centrale”. Il partito doveva sviluppare la partecipazione sociale, non soffocarla. Marx aveva scritto che “ogni passo del movimento reale era più importante di una dozzina di programmi”. La Luxemburg estese questo postulato e affermò che “i passi falsi che compie un reale movimento operaio sono, sul piano storico, incommensurabilmente più fecondi e più preziosi dell’infallibilità del migliore comitato centrale”. Questa polemica acquisì ancora maggiore rilevanza dopo la rivoluzione sovietica, alla quale offrì appoggio incondizionato. Preoccupata dagli eventi che si susseguivano in Russia (a partire dalle modalità con le quali si procedette a collettivizzare la terra), la Luxemburg fu la prima, nel campo comunista, a osservare che un “regime di prolungato stato d’assedio” avrebbe esercitato “un’influenza degradante sulla società”. Ribadì che la missione storica del “proletariato giunto al potere” era quella di “creare una democrazia socialista al posto della democrazia borghese, non di distruggere ogni forma di democrazia”. Per lei comunismo significava una “più attiva e libera partecipazione delle masse popolari in una democrazia senza limiti”. Un orizzonte politico e sociale veramente diverso sarebbe stato raggiunto soltanto attraverso questo complicato processo e non se l’esercizio della libertà fosse state “riservato solo ai partigiani del governo e ai membri di un partito unico”. Pur praticando opzioni politiche opposte, socialdemocratici e bolscevichi avevano entrambi erroneamente concepito democrazia e rivoluzione come due processi tra loro alternativi. Al contrario, il cuore della teoria politica della Luxemburg era incentrato sulla loro indissolubile unità.

L’altro cardine dei suoi convincimenti e della sua militanza fu il binomio opposizione alla guerra e agitazione antimilitarista. Su questi temi la Luxemburg fu capace di ammodernare il bagaglio teorico della sinistra e di fare approvare chiaroveggenti risoluzioni ai congressi della Seconda Internazionale. La funzione degli eserciti, il costante riarmo e il ripetersi delle guerre non dovevano essere intesi solo mediante le categorie classiche dell’Ottocento. Si trattava, come era stato più volte scritto, di strumenti utili agli interessi delle forze reazionarie e che producevano divisioni nel proletariato, ma essi rispondevano anche a una precisa finalità economica del tempo. Il capitalismo necessitava della guerra, persino in epoca di pace, per accrescere la produzione, così come per conquistare, appena si presentavano le condizioni, nuovi mercati nelle periferie coloniali extra-europee. La battaglia contro questa barbarie poteva essere vinta solo grazie alla lotta consapevole delle masse e, poiché l’opposizione al militarismo richiedeva una forte coscienza politica, la Luxemburg fu tra i più convinti sostenitori dello sciopero generale contro la guerra – un’arma che molti a sinistra, Marx compreso, sottovalutarono. Per la fondatrice della Lega di Spartaco la lotta di classe non si esauriva con l’aumento del salario. La Luxemburg non volle essere una mera epigona e il suo socialismo non fu mai economicista. Immersa nei drammi del suo tempo, cercò di innovare il marxismo senza metterne in questione le fondamenta e il suo tentativo parla, ancora oggi, alle giovani generazioni.

Categories
Past talks

Global Marxism Online Talk

Categories
Reviews

Francisco T. Sobrino, Herramienta. Revista de Debate y Crítica Marxista

Este libro, prologado por Eric Hobsbawm para la edición castellana, contiene una colección de ensayos sobre los manuscritos económicos de Marx durante el periodo 1857-1859, a los que se consideran como los primeros borradores de El capital.

Quienes  publicaron estos manuscritos por primera vez en 1939-1941 los llamaron Grundrisse. Lineamientos fundamentales para la crítica de la economía política 1857-1858. En la época en que Marx los elaboraba, los lectores sólo conocieron lo que sería la parte inicial o preliminar de su ambicioso trabajo, bajo el título de Contribución a la crítica de la economía política, que fue publicado en 1859. Este fragmento de sus estudios sería reelaborado por Marx después, al publicar el primer tomo de El capital.
Esta publicación colabora en la tarea de hacer llegar a los lectores hispano hablantes interesados en las actuales investigaciones del proyecto editorial, científico y crítico de la obra de Marx y Engels, conocido como “MEGA2” (Marx Engels Gesamtausgabe). Este proyecto, compuesto por estudiosos, comentaristas y especialistas, está encarando la edición crítica de toda la obra de Marx y Engels, en base al cuidadoso estudio de todos los manuscritos conservados en los archivos existentes, incluyendo borradores, resúmenes, comentarios y tachaduras, etcétera.
El cuerpo del texto consta de una introducción, a cargo del editor: “La crítica de la economía política en los primeros estudios de Marx”. A continuación, se divide en tres partes. La Parte I contiene interpretaciones críticas de los Grundrisse, e incluye los siguientes ensayos: “Historia, producción y método en la ‘Introducción’ de 1857” por el mismo Musto;  “El concepto de valor en la economía moderna: acerca de la relación entre dinero y capital en los Grundrisse”, por Joachim Bischoff y Christoph Lieber; “La concepción de Marx de la alienación en los Grundrisse”, por Terrell Carver; “El descubrimiento de la categoría de plusvalor”, por  Enrique Dussel; “El materialismo histórico en ´Formas que preceden a la producción capitalista’”, por Ellen Meiksins Wood; “Los Grundrisse de Marx y las contradicciones ecológicas del capitalismo”, por John Bellamy Foster; “Individuos emancipados en una sociedad emancipada: la sociedad post-capitalista esbozada por Marx en los Grundrisse”, por Iring Fetscher; y “Repensando El capital a la luz de los Grundrisse”, por Moshe Postone.
La Parte II: “Marx en la época de los Grundrisse”, se dedica a analizar al contexto histórico y biográfico de Marx cuando los escribía, compuesta por los siguientes artículos: “La vida de Marx en la época de los Grundrisse: notas biográficas de 1857-1858”, por Marcello Musto; “La primera crisis económica mundial: Marx como periodista económico”, por Michael R. Krätke; y “Los ‘libros sobre las crisis’ de Marx de 1857-1858”, también por Michael R. Krätke.
La Parte III registra la difusión y la recepción de los Grundrisse en todo el mundo. Este método, ya utilizado eficazmente por Marcello Musto en su anterior libro Marx for Today(publicado en castellano en Buenos Aires con el título: De regreso a Marx: nuevas lecturas y vigencia en el mundo actual, Octubre, 2015), ayuda a los lectores a conocer su impacto en los diversos contextos nacionales y regionales, informando las principales ediciones, versiones y traducciones, así como a las obras más destacadas de comentaristas en los diferentes idiomas. Colaboran aquí 21 autores de una variedad de países y regiones.
Finalmente, un epílogo: “Después de los Grundrisse”, cierra el libro con el ensayo “La escritura de El capital: Génesis y estructura de la crítica de la economía política de Marx”, a cargo del editor. La presente edición, entonces, ofrece un panorama completo del principal proyecto intelectual de Marx, que era su crítica de la economía política. Como lo señala Hobsbawm, en los Grundrisse se refleja la obra de un “Marx maduro, crítico y creativo”. Bien puede afirmarse que con la recepción  de estos manuscritos de 1857-1858 comenzó el proceso de liberar al marxismo de la camisa de fuerza de la ortodoxia soviética, tanto adentro como afuera de los partidos comunistas, y creando la base para una apertura política e ideológica.
Un ejemplo de lo antedicho es la referencia a la conocida tesis que aparece en el “Prólogo” de la Contribución a la crítica de la economía política, publicada en 1859, o sea dos años después de que Marx escribiese la “Introducción” de los Grundrisse: “El modo de producción de la vida material condiciona el proceso de la vida social, política e intelectual en general”, que Marcello Musto nos alerta que no debería ser interpretada en un sentido determinista, y que debería distinguirse claramente de la lectura estrecha y predecible del marxismo-leninismo, en la que “los fenómenos superestructurales de la sociedad son un mero reflejo de la existencia material de los seres humanos”. Y como prueba de ello nos muestra que cuando Marx citó esa afirmación, en una nota a la edición francesa de El capital de 1872-1875, prefirió utilizar el verbo dominer para traducir el alemán bedingen(traducido más usualmente como déterminer o conditionner). Con eso, Marx quiso evitar el riesgo de plantear una relación mecánica entre los dos aspectos.
Sin embargo, generalmente ha prevalecido la primera lectura, también difundida ampliamente por Stalin en su libro Materialismo dialéctico e histórico: “el mundo material representa la realidad objetiva…y la vida espiritual de la sociedad es un reflejo de dicha realidad objetiva”.
Musto finaliza el epílogo recordando una conversación de Marx con el periodista liberal estadounidense John Swinton, quien estaba “profundamente sorprendido por la vastedad de su conocimiento”, que fue publicada el 6 de septiembre de 1880 en la portada de The Sun. Cuando el periodista le preguntó: “La ley suprema del ser, ¿cuál es?”, luego de unos segundos, Marx “respondió, con un tono profundo y solemne: ¡la lucha!”

Categories
Reviews

Paula Rauhala, Socialism and Democracy

The “late Marx” has recently received increasing attention in research literature.

Marcello Musto reproaches the existing biographies for portraying Marx as a person whose energies had been drained by the 1870s and who was no longer fit for writing during his last years.
The present book challenges this view. Musto draws on Marx’s published and unpublished manuscripts, notes, and letters from 1881–1883, presenting a vital sequel to his earlier work, Another Marx: Early Manuscripts to the International (Bloomsbury, 2018).
Musto insists on the relevance of Marx’s biography to his intellectual development. As in Another Marx, Musto intertwines his account of Marx’s intellectual work with the story of his life, which in this later period revolves around his declining health.
It was not only his extensive readings that shaped Marx as a thinker. Most importantly, Marx learned, in correspondence with activists, from the struggles of working-class movements in various countries. The emphasis on political praxis, and its influence on Marx’s thought is a recurring theme for Musto.
Musto seeks to correct the balance between the young and the old Marx. While Marx’s last years have often been neglected, some scholars have put an “excessive weight” on “Marx’s early writings” (131) – Marx between the years 1818 and 1844 “when he published only two journal articles and had just initiated the study of political economy” (132). Musto shows that even if it is true that Marx did not publish during his last years, he read and took notes on a wide range of disciplines such as agricultural chemistry, physiology, physics, and mathematics, resulting in his Mathematical Manuscripts. He also studied anthropology – and left behind his important Ethnological Notebooks. Finally, he read ancient history, the history of banking, and world history, compiling his Chronological Extracts, “an annotated year-by-year timeline of world events from the first century BC on, summarizing their causes and salient features” (99).
In addition to the fury of taking notes that Maximilien Rubel has called Marx’s “literary bulimia” which, “yielded nearly 3,000 pages of microscopic writing” during his last ten years, Marx acquainted himself with “‘tons’ of statistical material” (132), learned the Russian language, travelled, and very importantly, corresponded with the workers’ organizations of various countries. All this he accomplished while being seriously ill himself and having terminally ill family members around him.
Musto emphasizes that Marx in the 1880s not only continued his studies but also expanded their scope – most importantly to encompass the past and present of such countries as the United States, Russia, Egypt, and Algeria.
The first chapter of The Last Years, “New Research Horizons,” discusses, in addition to Marx’s important anthropological studies, the 101-point questionnaire that he prepared in 1880 for the Federation of Socialist Workers of France, to be published in La Revue socialiste and “distributed in 25,000 copies ‘all over France’” (46). In his introduction to the questionnaire, Marx expressed his conviction that the workers “alone can describe with full knowledge the misfortunes from which they suffer, and that only they, not saviours sent by Providence, can energetically apply the healing remedies for the social ills to which they are a prey” (MECW 24: 636). As in Another Marx, Musto emphasizes that Marx was not only a critic of political economy; he learned from concrete political struggles.
Chapter 2, “Controversy over the Development of Capitalism in Russia,” discusses the famous question that Vera Zasulich (1849–1919) addressed to Marx: should the Russian revolutionaries focus on developing the traditional village commune, the obshchina, or should they concentrate their energies on organizing the – at the time small – industrial proletariat in the cities? Like other scholars before him, Musto shows how seriously Marx took this question. If Marx had had a general historico-philosophical theory of the development of societies – as often assumed – why would he have devoted so much time to studying the economic and social conditions in Russia? The answer is that “Russia seemed more likely to produce a revolution than Britain, …where the workers’ movement, enjoying better living conditions partly based on colonial exploitation, had grown weaker and undergone the negative conditioning of trade union reformism” (49).
Musto underlines Marx’s observation in a draft letter to another Russian populist, Nicholai Mikhailovsky (1842–1904), that “events of striking similarity, taking place in different historical contexts” often lead to totally “disparate results” (MEW 19: 112). As the unfinished manuscripts and study notes published recently in MEGA2 show, Marx “oriented himself to empirical research and historical analysis. In contrast to what many previous interpreters have maintained, these new materials definitively refute the idea that he was mainly driven by a new philosophy of history, or that he had obsessive recourse to the dialectical method” (151).
Moreover, Musto reminds us that although Marx named “[s]team, electricity, and the self-acting mule” as “revolutionists of a rather more dangerous character than even citizens Barbès, Raspail and Blanqui,” he believed that the development of any society was dependent not solely on economic and technical progress, but also on the organizational talent of political groups (MECW 14: 655). As in his other writings (and especially in those dealing with Marx’s activities in the International Workingmen’s Association), Musto highlights how skilled a political organizer Marx was. He was “troubled” by what he called “ultra-revolutionary turns of phrase” which he regarded as “hot air. MECW 14: 655” In 1881, Marx wrote to his daughter Jenny, “Shouting and doing are irreconcilable opposites” (MECW 46: 83).
Musto argues that Marx’s correspondence with the Russian populists helped to widen the scope of his internationalism from the European context to the global scale. The attention Marx paid to non-European societies during his last years led him to a “more pronounced multilinear conception” of political and economic development (76).
The third chapter, “The Travails of ‘Old Nick’,” deals with the early dissemination of Capital in Europe and Marx’s struggle with the initially unsatisfactory translation of Capital into French. Musto asks “why could Marx not complete Capital” and hints that as Marx “deepened his knowledge of economic developments in Russia and the United States” (87), completing the second and the third volumes became even more complicated. In other words, Marx became more and more interested in “the forms in which the capitalist mode of production developed in different contexts and periods” (88).
The fourth and final chapter, “The Moor’s Last Journey,” tells the story of Marx’s visit to Algeria, where, “because of the sun,” he got rid of his “prophet’s beard” and had himself “photographed before offering up” his “hair on the altar of an Algerian barber” (MECW 46: 249). The story of Marx’s stay in Algiers is the story of the beginning of the final deterioration of his health.
Musto’s book presents an overview of Marx’s studies, debates, correspondence, affectionate relationships, diseases, sorrows, and journeys during the last years of his life. Pages cataloguing Marx’s readings are very useful and informative but can be tedious to read because many topics are not discussed substantially but merely mentioned. Such pages are, however, followed by stories of Marx’s family life, correspondence regarding politics, and Marx’s personal relations with his comrades. This rhythm of the prose leads the reader through the pages of this book, which is packed with detailed information as the number and the length of the endnotes indicates.
Readers wishing to deepen their understanding of particular themes of this book may refer to Musto’s original sources in MEGA2, MEW, or MECW – if not the papers in the International Institute of Social History (IISH) in Amsterdam, or the Russian State Archive of Socio-Political History (RGASPI) in Moscow, or the secondary literature found in Musto’s bibliography, consisting of sources in English, French, German, Spanish, Italian, and Portuguese.

Categories
Journalism

Histoire-débat. «Pour Rosa Luxemburg»

Lorsqu’en août 1893, au Congrès de la Deuxième Internationale à Zurich, son nom est mentionné par le président de l’assemblée, Rosa Luxemburg se fraye un chemin sans hésitation à travers le parterre des délégués et des militants qui remplissent la salle comble.

Elle était l’une des rares femmes présentes à la réunion, encore très jeune, avec une petite taille et une déformation de la hanche qui l’obligeait à boiter dès l’âge de cinq ans. Les personnes présentes semblaient avoir l’impression d’avoir affaire à une personne fragile.

La question nationale
Mais elle a surpris tout le monde quand, après être montée sur une chaise pour mieux se faire entendre, elle a réussi à attirer l’attention de tout le public, surpris par l’habileté de sa dialectique et fasciné par l’originalité de ses thèses. Pour Rosa Luxemburg, en effet, la revendication centrale du mouvement ouvrier polonais n’était pas la construction d’une Pologne indépendante, comme cela a été unanimement répété. La Pologne est encore divisée en trois entre les empires allemand, austro-hongrois et russe; sa réunification était difficile à réaliser, tandis qu’il fallait proposer aux travailleurs des objectifs réalistes qui susciteraient des luttes pratiques au nom de besoins concrets.

Dans un raisonnement qu’elle a développé dans les années suivantes, elle a mis en garde ceux qui insistaient sur la question nationale, convaincue que la rhétorique du patriotisme serait dangereusement utilisée pour affaiblir la lutte des classes et reléguer la question sociale au second plan. Aux nombreuses oppressions subies par le prolétariat, il n’est pas nécessaire d’ajouter «l’asservissement à la nationalité polonaise». Pour faire face à ce danger, Rosa Luxemburg espérait la naissance de gouvernements autonomes locaux et le renforcement des autonomies culturelles qui, une fois le mode de production socialiste établi, agiraient comme une barrière à la réapparition possible de régurgitations chauvines et d’autres nouvelles discriminations. Par la combinaison de ces réflexions, elle a distingué la question nationale de celle de l’État-nation.

Une existence à contre-courant
L’épisode du Congrès de Zurich symbolise toute la biographie intellectuelle de l’un(e) des plus importants représentants du socialisme du XXe siècle. Né il y a 150 ans, le 5 mars 1871, à Zamosc [près de Lublin], dans la Pologne occupée par les tsars, Rosa Luxemburg a passé sa vie dans les marges, luttant contre de nombreuses adversités et allant toujours à contre-courant. D’origine juive, handicapée toute sa vie, elle s’installe à vingt-six ans en Allemagne, où elle ne parvient à obtenir la citoyenneté que par un mariage arrangé. Pacifiste convaincue au moment de la Première Guerre mondiale, elle a été emprisonnée à plusieurs reprises pour ses idées. Elle était une ardente ennemie de l’impérialisme pendant une nouvelle et violente période coloniale. Elle s’est battue contre la peine de mort au milieu de la barbarie. Elle était avant tout une femme et vivait dans des mondes habités exclusivement par des hommes. Elle a souvent été la seule présence féminine à l’Université de Zurich, où elle a obtenu son doctorat en 1897 avec une thèse sur le développement industriel de la Pologne, et parmi les dirigeants du Parti social-démocrate allemand. Dans ce parti, comme première femme, elle a été nommée la professeure à l’école centrale de formation des cadres [en remplacement d’Hilferding] – un poste qu’elle a occupé entre 1907 et 1913. Durant cette période elle a développé le projet inachevé d’écrire une Introduction à l’économie politique, dont la première édition allemande sera publiée en 1925 et publiera en 1913 L’accumulation du capital. Contribution à l’explication économique de l’impérialisme. [Dans le cadre du projet de publication des œuvres complètes de Rosa Luxemburg par les Editions Smolny, en collaboration avec les Ed. Agone, une version française de l’Introduction à l’économie politique, accompagnée de divers documents, a été publiée en 2008; de même une nouvelle version française L’accumulation du capital. Contribution à l’explication économique de l’impérialisme suivi du texte Critique des critiques a été publié en novembre 2019.]

Ces difficultés ont été aggravées par son esprit indépendant et son autonomie – une vertu qui est souvent pénalisée même dans les partis politiques de gauche. Avec son intelligence vive, Luxemburg a su élaborer de nouvelles idées et a su les défendre, sans crainte de manquer de révérence et même avec une franchise désarmante, en présence de personnalités du calibre d’August Bebel ou de Karl Kautsky qui avaient eu le privilège de se former au contact direct d’Engels. Son but n’était pas de répéter les termes de Marx, mais de les interpréter historiquement et, si nécessaire, d’élargir son analyse. Exprimer librement son opinion et exercer le droit d’exprimer des positions critiques au sein du parti étaient pour elle des exigences indispensables. Le parti doit être un espace où les différentes positions peuvent coexister, si ceux qui y adhèrent ont en commun ses principes fondamentaux.

Parti, grève, révolution
Elle a réussi à surmonter les nombreux obstacles qu’elle a rencontrés et, à l’occasion du tournant réformiste d’Eduard Bernstein et du débat passionné qui a suivi, elle est devenue une figure bien connue de la principale organisation du mouvement ouvrier européen. Si, dans le célèbre texte [synthèse des trois essais publiés dans la revue Die Neue Zeit dès 1896], Les prémisses du socialisme et les tâches de la social-démocratie (1899), Bernstein avait invité le parti à couper ses liens avec le passé et à se transformer en une simple force gradualiste, Rosa Luxemburg, en 1899, dans la brochure Réforme sociale ou révolution? – [dont la première est la synthèse d’articles publiés dans la Leipziger Volkszeitung du 21 au 28 septembre 1898] – a répondu avec fermeté que, dans toutes les périodes de l’histoire, «le travail légal de réformes ne possède aucune autre forme motrice propre, indépendante de la révolution; il ne s’accomplit dans chaque période historique que dans la direction que lui a donnée l’impulsion de la dernière révolution». Ceux qui pensaient pouvoir réaliser dans «la mare aux grenouilles du parlementarisme bourgeois» les mêmes changements que la conquête révolutionnaire du pouvoir politique aurait rendus possibles n’avaient pas choisi «en réalité une voie plus paisible, plus sûre et plus lente conduisant au même but; mais plus exactement un but différent». Ils avaient accepté le monde bourgeois et son idéologie.

Il ne s’agissait pas d’améliorer l’ordre social existant, mais d’en construire un entièrement différent. Le rôle des syndicats – qui ne pouvaient qu’arracher aux patrons des conditions plus favorables dans le cadre du mode de production capitaliste – et la Révolution russe de 1905 lui ont donné l’occasion d’élaborer sur les thèmes et les actions qui pourraient entraîner une transformation radicale de la société. Dans son ouvrage Grève de masse, parti et syndicats (1906), analysant les principaux événements qui se sont déroulés dans de vastes régions de l’Empire russe, elle souligne l’importance fondamentale des couches plus larges du prolétariat, généralement non organisées. Pour elle, ce sont les masses qui ont été les véritables protagonistes de l’histoire. Elle fait remarquer qu’en Russie, «l’élément de spontanéité» (concept pour lequel on lui reproche d’avoir surestimé la conscience de classe présente dans les masses) a été pertinent et que, par conséquent, le rôle du parti ne doit pas être de préparer la grève, mais de se placer à la «direction politique de tout le mouvement».

Pour Rosa Luxemburg, la grève de masse est «le pouls vivant de la révolution et, en même temps, sa force motrice la plus puissante». C’est la véritable «forme de manifestation de la lutte prolétarienne dans la révolution». Il ne s’agit pas d’une action unique, mais du moment récapitulatif d’une longue période de lutte des classes. On ne pouvait d’ailleurs pas ignorer que «dans la tourmente de la période révolutionnaire, le prolétaire se transforme de père de famille prudent qui exige un subside [«pour chômer un Premier Mai»], en un “révolutionnaire romantique” pour qui même le bien suprême, la vie, à plus forte raison le bien-être matériel, n’a que peu de valeur en comparaison du but idéal de la lutte». Les travailleurs y acquièrent une conscience et une maturité. En témoignent les grèves de masse en Russie, qui sont passées «insensiblement de l’ordre économique à l’ordre politique, en sorte qu’il est impossible de tracer la limite entre eux». (Grève de masses, parti et syndicats, Ed. François Maspero, Bibliothèque socialiste, 1968, p. 50 et 44)

Le communisme est synonyme de liberté et de démocratie
Sur le thème des formes d’organisation politique et, plus précisément, sur le rôle du parti, Rosa Luxemburg était, dans ces années-là, le protagoniste d’un autre débat violent, cette fois-ci avec Lénine. Dans l’ouvrage [de plus de 130 pages] «Un pas en avant, deux pas en arrière» (1904), le dirigeant bolchevique défend les choix faits lors du deuxième congrès du Parti ouvrier social-démocrate russe et conçoit le parti comme un noyau compact de révolutionnaires professionnels, une avant-garde qui doit diriger les masses. Rosa Luxemburg objecte dans Problèmes d’organisation de la social-démocratie russe [article publié dans les numéros 42 et 43 de la Neue Zeit, en 1904 et aussi dans l’Iskra, organe de la social-démocratie russe] qu’un parti extrêmement centralisé génère une dynamique très dangereuse: «l’obéissance aveugle des militants au pouvoir central». Le parti devait développer la participation sociale, et non l’étouffer, «maintenir vivante la juste appréciation des formes de lutte». Marx avait écrit que «chaque étape du mouvement réel était plus importante qu’une douzaine de programmes». Rosa Luxemburg a étendu ce postulat et a affirmé que «les erreurs commises par un mouvement ouvrier vraiment révolutionnaire sont historiquement infiniment plus fécondes et plus précieuses que l’infaillibilité du meilleur “Comité central“». (Marxisme contre dictature, Ed. Spartacus, Paris, 1946, p. 33) [2]

Cette polémique a pris encore plus d’importance après la révolution soviétique de 1917, à laquelle elle a apporté son soutien inconditionnel. Préoccupée par les événements en Russie (à commencer par la manière dont la réforme agraire commençait à être abordée), Rosa Luxemburg a été la première dans le camp communiste à constater qu’un «régime de siège prolongé» exercerait une «influence dégradante sur la société». Dans son ouvrage, publié de manière posthume, La Révolution russe [3] elle a réitéré que la mission historique du «prolétariat arrivé au pouvoir» était de «créer une démocratie socialiste à la place de la démocratie bourgeoise, et non de détruire toutes les formes de démocratie». Pour elle, le communisme signifiait une «participation plus active et plus libre des masses populaires dans une démocratie sans limites» qui n’envisageait pas de dirigeants infaillibles pour les guider. Un horizon politique et social véritablement différent ne serait atteint qu’à travers ce processus compliqué et non pas si l’exercice de la liberté était «réservé aux seuls partisans du gouvernement et aux membres d’un seul parti». [Voir en français, la publication récente, Rosa Luxemburg, Sur la révolution russe et autres textes 1917-1918, Editions L’Escalier, mai 2020]

Elle était fermement convaincue que «le socialisme, de par sa nature, ne peut être accordé par en haut». Il était censé étendre la démocratie, et non la réduire. Elle a affirmé que l’on pouvait «décréter ce qui est négatif, la destruction, mais pas ce qui est positif, la construction». C’était un «terrain vierge» et seule «l’expérience pouvait corriger et ouvrir de nouvelles voies». La Ligue Spartacus – formée en 1914 après la rupture avec le parti social-démocrate allemand, et devenue plus tard le Parti communiste allemand – ne prendra le pouvoir que «par la volonté claire et indubitable de la grande majorité des masses prolétariennes de toute l’Allemagne».

Tout en pratiquant des options politiques opposées, les sociaux-démocrates et les bolcheviks avaient tous deux conçu à tort la démocratie et la révolution comme deux processus alternatifs. Au contraire, le cœur de la théorie politique luxemburgiste est centré sur leur unité indissoluble. Son héritage a été écrasé entre ces deux forces: les sociaux-démocrates, complices de son assassinat brutal à l’âge de 47 ans par des milices paramilitaires, l’ont combattue sans relâche pour les accents révolutionnaires de sa pensée, tandis que les staliniens ont pris soin de ne pas diffuser son héritage en raison du caractère critique et libertaire de sa pensée.

Contre le militarisme, la guerre et l’impérialisme
L’autre pierre angulaire de ses convictions et de son militantisme était la combinaison de l’opposition à la guerre et de l’agitation antimilitariste. Sur ces questions, Rosa Luxemburg a su moderniser le bagage théorique de la gauche et faire adopter lors des congrès de la Deuxième Internationale des résolutions clairvoyantes qui, si elles n’avaient pas été ignorées, auraient contrecarré les plans tracés par les partisans de la Première Guerre mondiale. La fonction des armées, le réarmement constant et la répétition des guerres ne doivent pas être compris uniquement à travers les catégories classiques du XIXe siècle. Elles étaient, comme on l’a affirmé à plusieurs reprises, des forces qui réprimaient les luttes ouvrières, des instruments utiles aux intérêts de la réaction et qui, de plus, produisaient des divisions dans le prolétariat, mais elles répondaient aussi à un objectif économique précis de l’époque. Le capitalisme a besoin de l’impérialisme et de la guerre, même en temps de paix, pour augmenter la production, ainsi que pour conquérir, dès que les conditions se présentent, de nouveaux marchés dans les périphéries coloniales hors d’Europe. Comme elle l’a déclaré dans L’accumulation du capital, «la violence politique n’était que le véhicule du processus économique». Cette déclaration a été suivie par l’une des thèses les plus controversées de son travail, à savoir que le réarmement était indispensable pour faire face à l’expansion productive du capitalisme.

C’était un scénario très différent des représentations optimistes des réformistes et, pour le décrire au mieux, Rosa Luxemburg a utilisé un slogan qui était destiné à avoir un grand succès: «socialisme ou barbarie». Elle explique que cette dernière ne peut être évitée que par la lutte consciente des masses et, comme l’opposition au militarisme nécessite une forte conscience politique, elle fait partie des partisans les plus convaincus de la grève générale contre la guerre – une arme que beaucoup de gens de gauche, dont Marx, sous-estiment. Le thème de la défense nationale devait être utilisé contre les nouveaux scénarios de guerre et le mot d’ordre «guerre contre guerre» devait devenir «le point central de la politique prolétarienne». Comme elle l’écrit dans La crise de la social-démocratie (1916), également connue sous le titre de Juniusbroschüre [La brochure de Junius] la Deuxième Internationale a implosé parce qu’elle n’a pas réussi à «réaliser une tactique et une action communes du prolétariat dans tous les pays». Par conséquent, le prolétariat devait désormais avoir comme «objectif principal», même en temps de paix, de «lutter contre l’impérialisme et de prévenir les guerres». [Voir Œuvres complètes – Tome IV – La brochure de Junius, la guerre et l’Internationale (1907-1916), Ed. Smolny –Ed. Agone, 2014]

Sans perdre de sa tendresse
Cosmopolite, citoyenne de «ce qui est à venir», elle dit se sentir chez elle «partout dans le monde, là où il y a des nuages, des oiseaux et des larmes humaines». Passionnée de botanique et amoureuse des animaux, comme en témoignent ses lettres, c’était une femme d’une sensibilité extraordinaire, qui est restée intacte malgré les expériences amères que la vie lui a réservées. Pour la co-fondatrice de la Ligue Spartacus, la lutte des classes n’était pas épuisée par une augmentation des salaires. Rosa Luxemburg ne voulait pas être une simple épigone et son socialisme n’a jamais été économiciste.

Immergée dans les drames de son temps, elle cherche à innover le marxisme sans en remettre les fondements en question. Sa tentative est un avertissement constant aux forces de gauche de ne pas limiter leur action politique à la réalisation de palliatifs fades et de ne pas abandonner l’idée de changer l’état actuel des choses. Sa façon de vivre, la capacité avec laquelle elle a réussi à mener de front l’élaboration théorique et l’agitation sociale, sont une leçon extraordinaire, inchangée au fil du temps, qui parle à la nouvelle génération de militant·e·s qui a choisi de poursuivre les nombreux combats qu’elle a entrepris. (Texte envoyé par l’auteur à la rédaction de A l’Encontre le 18 février ; traduction de l’italien par la rédaction A l’Encontre)

References
[1] Dans cet article Marcello Musto cite Rosa Luxemburg en utilisant la collection de textes établie par Lelio Basso en 1967: Rosa Luxemburg, Scritti Politici, Ed. Riuniti, 1967. Les références exactes (pages, chapitres, etc.) de la collection faite par Lelio Basso ne sont pas fournies. Nous nous sommes efforcés, pour l’essentiel, dans la traduction de cet article, de fournir les références précises des traductions françaises des contributions de Rosa Luxemburg et d’indiquer l’important travail, récent et en cours, de traduction (enfin) en français, des Œuvres complètes de Rosa Luxemburg par les éditions Smolny et Agone. (Réd. A l’Encontre)

[2] La réponse de Lénine, intitulée de même «Un pas en avant, deux pas en arrière», a été refusée de publication par K. Kautsky dans la Neue Zeit. En outre, il serait univoque de ne pas mentionner, pour faire écho à cette réflexion de Rosa Luxemburg, ce qu’écrivait Lénine à propos de «l’autoritarisme»: «L’histoire en général, et plus particulièrement l’histoire des révolutions, est toujours plus riche de contenu, plus variée, plus “ingénieuse” que ne le pensent les meilleurs partis, les avant-gardes les plus conscientes des classes les plus avancées», in La maladie infantile du communisme, Œuvres, T.31, pp.91-92. (Réd. A l’Encontre)

[3] Pour comprendre le contexte dans lequel Rosa Luxemburg écrit les essais qui seront publiés, en fin 1921, sous le titre La Révolution Russe, il est quasi impératif pour les lecteurs et lectrices de langue française de se rapporter à l’ouvrage de John Peter Nettl, datant de 1966 (Oxford University Press), et dont la traduction française est parue en 1972, en deux volumes – dans la collection Bibliothèque socialiste animée par Georges Haupt – auprès des Editions François Maspero, en 1972, sous le titre: La Vie et l’œuvre de Rosa Luxemburg. Sur la publication de la Révolution russe, J.P. Nettl consacre des dizaines de pages – pp.658-685, volume II – au contexte interconnecté, allemand et russe, et à la «vision» de Rosa Luxemburg à propos de la révolution russe initiée en 1917 et à la conjoncture révolutionnaire en Allemagne en 1918. J.P. Nettl conclut fort bien: «L’essai de Rosa Luxemburg sur la révolution russe est célébré aujourd’hui comme une accusation quasi prophétique contre les bolchéviks. C’est en partie justifié. Mais nous lui rendrons mieux justice encore si nous le lisons comme un exposé de révolution idéale et qui serait rédigé – comme c’est souvent le cas chez Rosa Luxemburg – sous forme de dialogue critique, en l’occurrence avec la révolution bolchévik d’Octobre. Ceux qui recherchent une critique des fondements mêmes de la révolution bolchévik devront s’adresser ailleurs.» (p. 685)

Categories
Journalism

Por Rosa Luxemburgo

Cuando su nombre fue mencionado en agosto de 1893 por la presidencia de la asamblea, en el Congreso de la Segunda Internacional de Zúrich, Rosa Luxemburgo ocupó su sitio sin demora entre la audiencia de delegados y militantes que llenaban el abarrotado salón.

Era una de las pocas mujeres presentes en la asamblea, todavía muy joven, de complexión pequeña y con una deformación en la cadera que la obligaba a cojear desde los cinco años. Su aparición pareció despertar en los presentes la impresión de estar frente a una persona frágil.

La cuestión nacional
Sin embargo, sorprendió a todos cuando, tras subirse a una silla, para hacerse oír mejor, consiguió llamar la atención de todo el público, sorprendido por la maestría de su dialéctica y fascinado por la originalidad de sus tesis. Para Luxemburgo, de hecho, la reivindicación central del movimiento obrero polaco no debía ser la construcción de una Polonia independiente, como se venía repitiendo por unanimidad. Polonia seguía dividida en tres entre los imperios alemán, austro-húngaro y ruso; su reunificación resultaba difícil de conseguir, pero a los trabajadores se les debía presentar objetivos realistas que pudieran generar luchas prácticas en nombre de necesidades concretas.

Con un razonamiento que desarrolló en los años venideros, amonestó a quienes enfatizaban el tema nacional, convencida de que la retórica del patriotismo sería utilizada peligrosamente para debilitar la lucha de clases y relegar la cuestión social a un segundo plano. A las muchas opresiones sufridas por el proletariado, no era necesario agregar “su esclavitud a la nacionalidad polaca”. Para hacer frente a este escollo, Luxemburgo esperaba el nacimiento de autogobiernos locales y el fortalecimiento de la autonomía cultural que, una vez establecido el modo de producción socialista, actuarían como una barrera para el posible resurgimiento de regurgitaciones chovinistas y otras nuevas discriminaciones. Mediante todas estas reflexiones, diferenció la cuestión nacional de la del Estado nacional.

Una existencia a contracorriente
El episodio del Congreso de Zúrich simboliza toda la biografía intelectual de quien fue uno de los exponentes más significativos del socialismo del siglo XX. Nacida hace 150 años, el 5 de marzo de 1871, en Zamość, en la Polonia bajo ocupación zarista, Luxemburgo pasó su vida en los márgenes, luchando contra numerosas adversidades y siempre a contracorriente. De origen judío, con una discapacidad permanente, a los veintiséis años se trasladó a Alemania, donde sólo pudo obtener la ciudadanía mediante un matrimonio concertado. Pacifista convencida en la época de la Primera Guerra Mundial, fue encarcelada varias veces por sus ideas. Fue una enemiga ardiente del imperialismo en una nueva y violenta época colonial. Luchó contra la pena de muerte en medio de la barbarie. Sobre todo, era mujer y vivió en mundos habitados exclusivamente por hombres. A menudo era la única presencia femenina tanto en la Universidad de Zúrich, donde obtuvo su doctorado en 1897 con una tesis sobre el desarrollo industrial de Polonia, como entre los líderes del Partido Socialdemócrata Alemán. Fue la primera profesora mujer de la escuela central para la formación de cuadros del partido, cargo que ocupó entre 1907 y 1914, período en el que elaboró ​​el proyecto inconcluso de escribir una Introducción a la economía política (1925) y publicó La acumulación del capital (1913).

A estas dificultades se sumaba su espíritu independiente y su autonomía, virtud que a menudo penaliza incluso en los partidos políticos de izquierda. Con su viva inteligencia, Luxemburgo tuvo la capacidad de elaborar nuevas ideas y de saber defenderlas, sin reverencias sumisas y, de hecho, con una franqueza desarmante, en presencia de figuras del calibre de August Bebel o Karl Kautsky, que habían tenido el privilegio de formarse en contacto directo con Engels. Su objetivo no era repetir las palabras de Marx, sino interpretarlas históricamente y, cuando fuera necesario, desarrollar su análisis. Expresar libremente su opinión y ejercer el derecho a expresar posiciones críticas dentro del partido eran requisitos indispensables para ella. El partido tenía que ser un espacio donde pudieran convivir diferentes posiciones, siempre que sus afiliados compartieran sus principios fundamentales.

Partido, huelga, revolución
Logró superar los numerosos obstáculos encontrados y, con motivo del giro reformista de Eduard Bernstein y el acalorado debate que siguió, se convirtió en una figura conocida en la principal organización del movimiento obrero europeo. Si, en el famoso texto Los supuestos del socialismo y las tareas de la socialdemocracia (1897-99), Bernstein había invitado al partido a romper los puentes con el pasado y a transformarse en una mera fuerza gradualista, en el escrito Reforma social o ¿Revolución? (1898-99), Luxemburgo respondió con firmeza que, en todos los períodos de la historia, “la obra de reforma social se mueve sólo en la dirección y durante el tiempo que corresponde al empuje que le dio la última revolución”. Quienes creían que podían lograr en el “gallinero del parlamentarismo burgués” los mismos cambios que la conquista revolucionaria del poder político hubiera hecho posibles, no habían elegido “un camino más tranquilo y seguro hacia el mismo objetivo, sino otro distinto”. Habían aceptado el mundo burgués y su ideología.

No se trataba de mejorar el orden social existente, sino de construir uno completamente diferente. El papel de los sindicatos -que solo podía arrancar a los patronos condiciones más favorables dentro del modo de producción capitalista- y la Revolución Rusa de 1905 le dieron la oportunidad de meditar sobre cuáles podrían ser los sujetos y las acciones capaces de producir una transformación radical de la sociedad. En su libro Huelga general, partido y sindicatos (1906), al analizar los principales acontecimientos que tuvieron lugar en vastas áreas del Imperio ruso, enfatizó la importancia fundamental de los estratos más amplios del proletariado, generalmente desorganizados. Para ella, las masas eran las verdaderas protagonistas de la historia. Observó que en Rusia “el elemento de la espontaneidad” (concepto por el que se le acusa de haber sobrestimado la conciencia de clase presente en las masas) había sido relevante y, por tanto, el papel del partido no debía ser preparar la huelga, sino tomar la “dirección política de todo el movimiento”.

Para Luxemburgo, la huelga de masas es “el pulso vivo de la revolución y, al mismo tiempo, es su rueda motriz más potente”. Es la verdadera “forma de manifestación de la lucha proletaria en la revolución”. No es una acción única, sino el momento decisivo de un largo período de lucha de clases. Además, no se podía pasar por alto que “en la agitación del período revolucionario, el proletariado cambia, de modo que incluso el bien más elevado, la vida, sin perjuicio del bienestar material, tiene un valor mínimo en comparación con el ideal por el que se lucha”. Los trabajadores adquirían conciencia y madurez. Así lo atestiguaban las huelgas de masas en Rusia, que “sin darse cuenta pasaron del terreno económico al político, de modo que era casi imposible trazar una línea divisoria entre los dos”.

Comunismo significa libertad y democracia
En el tema de las formas de organización política y, más específicamente, en el papel del partido, en esos años, Luxemburgo fue protagonista de otro conflicto violento, esta vez con Lenin. En el texto Un paso adelante, dos pasos atrás (1904), el líder bolchevique defendió las decisiones tomadas en el segundo congreso del Partido Obrero Socialdemócrata Ruso y concibió al partido como un núcleo compacto de revolucionarios profesionales, una vanguardia que debía liderar a las masas.

Luxemburgo objetó en Problemas organizativos de la social-democracia rusa (1904) que un partido extremadamente centralizado generaba una dinámica muy peligrosa: “la obediencia ciega de los militantes a la autoridad central”. El partido debía desarrollar la participación social, no reprimirla, “mantener viva la apreciación justa de las formas de lucha”. Marx escribió que “cada paso del movimiento real es más importante que una docena de programas”. Luxemburgo amplió este postulado y afirmó que “los pasos en falso del movimiento obrero real son, históricamente, inconmensurablemente más fructíferos y más preciosos que la infalibilidad del mejor comité central”.

Esta controversia adquirió aún mayor importancia después de la revolución soviética de 1917, a la que Luxemburgo dio su apoyo incondicional. Preocupada por los hechos que tenían lugar en Rusia (a partir de la forma como se inició la reforma agraria), Luxemburgo fue la primera, en el campo comunista, en observar que un “régimen de estado de sitio prolongado” había ejercido “una influencia degradante en la sociedad”. En su artículo póstumo La revolución rusa (1918), reiteró que la misión histórica del “proletariado que ha llegado al poder” es “crear una democracia socialista en lugar de la democracia burguesa, no destruir toda forma de democracia”. Para ella, el comunismo significaba “una participación más activa y libre de las masas populares en una democracia sin límites” que no contaba con líderes infalibles que las guiaran. Un horizonte político y social verdaderamente diferente solo se podía alcanzar a través de este complicado proceso y sin que el ejercicio de la libertad estuviera “reservado exclusivamente a los partidarios del gobierno y a los miembros de un partido único”.

Estaba firmemente convencida de que “el socialismo, por su naturaleza, no se puede otorgar desde arriba”. Debía expandir la democracia, no reducirla. Afirmó que se podía “decretar lo negativo, la destrucción, pero no lo positivo, la construcción”. Esta era “tierra virgen” y sólo “a partir de la experiencia se podía corregir y abrir nuevos caminos”. La Liga Espartaco -nacida en 1914, tras la ruptura con el Partido Socialdemócrata Alemán, que luego se convertiría en Partido Comunista Alemán- sólo tomaría el poder “mediante la voluntad clara e incuestionable de la gran mayoría de las masas proletarias de toda Alemania”.

Desde la practica de opciones políticas opuestas, los socialdemócratas y los bolcheviques habían concebido erróneamente la democracia y la revolución como dos procesos mutuamente alternativos. Por el contrario, el corazón de la teoría política de Luxemburgo se centró en su unidad indisoluble. Su legado quedó aplastado precisamente entre estas dos fuerzas: los socialdemócratas, cómplices de su brutal asesinato, ocurrido a los 47 años, a manos de las milicias paramilitares, la combatieron sin piedad por el acento revolucionario de sus reflexiones, mientras que los estalinistas se guardaron de difundir su legado debido al carácter crítico y libertario de su pensamiento.

Contra el militarismo, la guerra y el imperialismo
La otra piedra angular de sus convicciones y su militancia fue la combinación de la oposición a la guerra y la agitación antimilitarista. En estos temas, Luxemburgo pudo modernizar el bagaje teórico de la izquierda y hacer que en los congresos de la Segunda Internacional se aprobaran clarividentes resoluciones que, de no haber sido ignoradas, habrían entorpecido los planes tramados por los partidarios de la Primera Guerra Mundial. La función de los ejércitos, el constante rearme y la repetición de guerras no debían entenderse únicamente mediante las categorías clásicas del siglo XIX. Se trataba, como se había afirmado repetidamente, de fuerzas que reprimían las luchas obreras, herramientas útiles para los intereses de la reacción y que, además, producían divisiones en el proletariado, pero que también respondían a una finalidad económica precisa de la época. El capitalismo necesitaba del imperialismo y la guerra, incluso en tiempos de paz, para aumentar la producción, así como para conquistar, en cuanto las condiciones fueran adecuadas, nuevos mercados en las periferias coloniales fuera de Europa. Como escribió en La acumulación del capital, “la violencia política no es sino el vehículo del proceso económico”. A esta afirmación le siguió una de las tesis más controvertidas de su obra, a saber, que el rearme era fundamental para afrontar la expansión productiva del capitalismo.

Era un escenario muy diferente de las representaciones optimistas de los reformistas y, para describirlo mejor, Luxemburgo utilizó un eslogan destinado a tener mucho éxito: “socialismo o barbarie”. Explicó que esta solo podía evitarse gracias a la lucha consciente de las masas y, dado que la oposición al militarismo requería una fuerte conciencia política, estaba entre los más acérrimos partidarios de la huelga general contra la guerra, un arma que muchos en la izquierda, incluido Marx, habían subestimado. El tema de la defensa nacional debía ser utilizado contra los nuevos escenarios bélicos y el lema “¡guerra contra la guerra!” se convertiría en “el meollo de la política proletaria”. Como escribió en La crisis de la socialdemocracia (1916), también conocido como el Juniusbroschüre, la Segunda Internacional había implosionado por no poder “llevar a cabo una táctica y una acción común del proletariado en todos los países”. Por tanto, a partir de ese momento, el proletariado debía tener como “objetivo principal”, incluso en tiempos de paz, “luchar contra el imperialismo y prevenir las guerras”.

Sin perder la ternura
Cosmopolita, ciudadana de “lo que vendrá”, aseguró sentirse como en casa “en todo el mundo, dondequiera que haya nubes y pájaros y lágrimas humanas”. Apasionada de la botánica y amante de los animales, como se desprende de la lectura de su correspondencia, fue una mujer de extraordinaria sensibilidad, que conservó intacta a pesar de las amargas experiencias que le reservó la vida. Para la cofundadora de la Liga Espartaco, la lucha de clases no terminaba con el aumento de los salarios. Luxemburgo no quiso ser un mero epígono y su socialismo nunca fue economicista.

Inmersa en los dramas de su tiempo, buscó innovar el marxismo sin cuestionar sus fundamentos. Su intento es una advertencia constante a las fuerzas de izquierda para que no limiten su acción política a la consecución de paliativos suaves y no renuncien a la idea de cambiar el estado de cosas existente. La forma en que vivió, la habilidad con la que logró llevar a cabo su elaboración teórica y la agitación social al mismo tiempo, son una lección extraordinaria, inalterada por el tiempo, que habla a la nueva generación de militantes que ha optado por continuar las múltiples batallas que Luxemburgo emprendió.

 

Traducción de Gustavo Buster

Categories
Reviews

Llorenç Saval Devesa, Catarsi

De retorn a Marx

Escriure una ressenya d’un llibre col·lectiu és sempre una tasca exigent.

Tenint en compte l’infern de matisos, desnivells argumentals, idees innovadores i qüestions obertes que hi conviuen en un sol text, vint-i-un textos de vint-i-un autors diferents suposa tot un repte. Això no obstant, l’objectiu d’aquesta ressenya no és aprofundir en cadascun dels escrits; més bé delimitar una panoràmica general de cada text capaç de seduir al possible lector. Com les onze tesis sobre Feuerbach —les quals moren en la capacitat pràctica de la sensibilitat humana—, els articles discorren al voltant d’un mateix nucli comú: rescatar al Marx més actual per tal d’utilitzar-lo com una ferramenta crítica del present.

El llibre està dividit en dues parts precedides d’una introducció que corre de part de Marcello Musto, el coordinador del llibre. Nascut a Nàpols, Musto és professor de sociologia i teoria política a la Universitat de York, autor d’un gran nombre de textos i articles que abasten des de la història del pensament socialista a les teories de l’alienació i les crisis econòmiques, abordant aquesta sèrie de problemàtiques des del marxisme heterodox. La introducció —un text riquíssim que desborda per complet la seua funció introductòria— no sols explica el perquè del llibre col·lectiu, també fa un repàs breu a la història del marxisme als segles XIX i XX, així com la necessitat de tornar a Marx en els moments de crisi del capitalisme —vet aquí part de la pertinent actualitat. Musto aprofita la clarividència i capacitat predictiva del filòsof renà per explicar la inestabilitat intrínseca del capitalisme i les consegüents crisis econòmiques d’un sistema històric que deu ser superat.

La primera part del llibre anomenada La relectura de Marx en 2015 consta de deu articles on s’aborda l’obra de Marx des d’una visió no dogmàtica, situant l’autor en el seu context i limitacions, però fent justícia a l’extensíssima obra —fet que no sempre s’hi dona entre la tradició marxista. En definitiva, s’hi tracta de reafirmar la importància dels textos originals en relació amb les interpretacions hegemòniques que s’hi van fer al segle XX, afavorint en gran manera la comprensió del capitalisme contemporani com un sistema estructuralment intransigent —per molt que en varie l’embolcall formal— del qual encara no hem esbossat tota la seua complexitat. El llibre reprèn l’anàlisi de Marx com una necessitat epistemològica vital per afrontar la lluita política del present. Al mateix temps, s’aporta llum sobre qüestions i polèmiques de l’intel·lecte marxià que constituïren un problema —filosòfic, hermenèutic però sobretot polític— en el passat.

D’aquesta manera podem veure com al primer article Kevin B. Anderson hi escriu sobre la transició de Marx cap a visions més obertes en allò que respecta als països no occidentals, la raça, l’ètnia o el nacionalisme. Resulta d’especial interés observar com trenca Marx amb els seus escrits primerencs de caràcter etapista, unilinial i determinista respecte els països no occidentals —els quals pensava, en un primer moment, que havien de passar per una etapa capitalista que els «civilitzara» a l’europea—. Als textos més tardans rebutja la necessitat d’una fase capitalista per avançar cap al socialisme, accepta certes estructures socials precapitalistes com a elements de resistència al capital i afirma inclús que l’adjectiu «feudal» —de caràcter eurocèntric— no era vàlid per caracteritzar aquests tipus de societats.

Unes pàgines més endavant, hi escriu Paresh Chattopadhyay sobre un tema de gran controvèrsia: l’enorme diferència entre allò que consistia el socialisme per a Marx i el que posteriorment es va assajar en països com l’URSS o la Xina per part de moviments autodenominats «comunistes». L’autor indi critica el caràcter ambigu d’unes revolucions que van incorporar de manera forçada la complexa realitat política dels seus entorns dintre d’una cosmovisió que pretenia anomenar-se marxista, però que en cap cas feien justícia als escrits marxians. Açò, més enllà d’un problema hermenèutic o terminològic, va derivar en una sèrie de problemes polítics que minvaren el caràcter emancipador de les suposades «revolucions socialistes».
El text de Michael Lebowitz conclou també en una mena de crítica als moviments socialistes del segle XX que hi van intentar construir «barreres» per al desenvolupament capitalista en lloc de proposar un sistema radicalment diferent. Al nou sistema, el desenvolupament de les forces productives devia estar supeditat a les exigències de la vida humana, i no al revés tal com va passar en els exemples citats anteriorment.

En un article de caràcter més filosòfic, George Comninel dona algunes claus per entendre la filosofia marxiana de la història i la seua tesi principal: la història de la humanitat és l’evolució del treball alienat en les seues respectives formes històriques i, d’aquesta manera, la història humana és també l’evolució de les formes històriques que ha revestit la propietat privada —la superació d’aquesta última correspon amb l’emancipació humana. Comninel argumenta al voltant d’aquesta afirmació sense tractar-la, com tampoc feia Marx, de veritat universal. Al text hi podem trobar els matisos que fan de la filosofia marxiana una teoria conscient de la dificultat de l’objecte històric, i, en conseqüència, de l’error idealista que suposa aplicar-hi conceptes universals desvinculats de la realitat material.

El següent article, escrit per Víctor Wallis, enfronta una qüestió política antiquíssima en el moviment obrer que perdura fins avui en dia: els posicionaments a favor o en contra del «mal menor» amb relació a la tàctica política. Al text s’aborden els arguments de figures com Marx, Engels i Lenin a l’hora de participar en les institucions i parlaments «burgesos» des de la concepció del «mal menor» o directament des de la creença ferma en la seua utilitat. Wallis utilitza el cas de la política estatunidenca com un exemple paradigmàtic on aquest tipus d’argumentació «malmenorista» domina el debat polític.

Els següents dos articles aborden directament la qüestió de l’alienació des de perspectives molt àmplies, dotant de recorregut històric i actualitat a les formes d’alienació contemporànies que dominen el món del treball al segle XXI. En primer lloc, Marcello Musto traça una genealogia del concepte d’alienació que va dels escrits juvenils de Marx fins als més madurs —on el concepte arrela històricament a les relacions de producció—, contraposant-la amb altres concepcions no marxistes que presenten l’alienació de manera ontològica —no històrica—, així com les teories que distorsionen políticament el concepte a l’individualitzar-lo. En segon lloc, l’article de Ricardo Antunes se centra sobretot en el pas de l’empresa taylorista-fordista a l’empresa de la «flexibilitat liofilitzada» actual, on el procés de treball s’intensifica de diverses maneres, provocant modalitats d’alienació de caràcter aparentment menys despòtic mentre s’interioritzen nous mecanismes de control de la subjectivitat. Antunes recorrerà a la distinció de Lukács entre cosificacions innocents i cosificacions alienades per tal d’aportar llum sobre la realitat dels treballadors en el capitalisme actual.

En un intent d’aportar llum sobre el «matrimoni infeliç» entre marxisme i feminisme, Terrel Carver escriu al seu article la manera en què son tractades algunes de les qüestions centrals dels feminismes d’avui en dia a l’obra de Marx: el sexe, el gènere, les dones o la sexualitat. Tractant d’eludir l’anacronisme, l’autor incideix en buits teòrics tals com la naturalització dels rols sexuals o la funció del treball reproductiu en la societat industrial, reconeixent al mateix temps que les «aproximacions feministes» de Marx, situant-les en el seu context, poden resultar interessants.

Pel que fa a un tema de gran actualitat com ho són les crisis econòmiques, Richard D. Wolf fa un recorregut a les depressions econòmiques dels últims temps partint d’algunes de les tesis i pronòstics marxians, que parlen d’una inestabilitat intrínseca al mode de producció capitalista. Aquesta capacitat de predicció provocà un renovat interés en Marx arran de la crisi de 2007. Wolff compara i presenta la insuficiència dels models econòmics neoclàssic i keynesià que tractaven d’explicar i remeiar la inestabilitat del capitalisme sense impugnar els seus fonaments. D’aquesta manera, presenta una explicació alternativa als fenòmens d’inestabilitat i depressions econòmiques dels últims 125 anys, per afirmar a posteriori una solució en clau marxiana que permeta superar les alternatives proposades fins al moment.

Finalment, l’últim article d’aquesta primera part corre a càrrec d’Ellen Meiksins Wood, que tracta la universalitat actual del capitalisme com un fenomen complex que pot afectar a la validesa d’algunes de les teories del segle XX on el capitalisme encara es trobava en fase d’expansió. D’aquesta manera, Wood exposa les diferents actituds de l’esquerra front l’universalisme capitalista, algunes de les quals denotaven un clar derrotisme. Tanmateix, l’autora planteja un optimisme teòric donada la necessitat cancerígena del capitalisme a estendre’s, podent suposar una feblesa pel que fa a la incessant reproducció de les seues contradiccions internes.

La segona part del llibre, anomenada La recepció global de Marx avui, tracta d’oferir una panoràmica de l’estat en el qual es troba la recepció dels textos de Marx arreu del món. D’aquesta manera, s’aborden les publicacions, seminaris, conferències, l’estat de l’acadèmia i el marc teòric dels partits, en referència a una sèrie de països i indrets geogràfics: Brasil, França, Amèrica Llatina, Xina, el món anglòfon, Rússia, Alemanya, Itàlia, Corea del Sud i el Japó. El recorregut ens serveix per a veure com les qüestions polítiques de cada regió determinen en gran manera la recepció teòrica i intel·lectual, així com l’enorme feina que encara hi queda per fer en allò que respecta a la traducció, difusió i crítica del llegat marxià que, com hem vist als textos anteriors, és vital per entendre bona part del món en el qual vivim.

Categories
Reviews

Eren Kozluca, Socialism and Democracy

Marx’s Capital After 150 Years: Critique and Alternative to Capitalism contains the proceedings of an international conference held at York University in 2017.

It is the latest addition to the series of compilations that encompass the theoretical and political nature, stakes and implications of Karl Marx’s major work. 1 With 17 contributors of diverse political affiliations, theoretical standpoints, and immediate concerns within the contested terrain of Marxism and Marxian scholarship, the relatively peaceful coexistence of these interventions, at the very least, confirms that the breakthroughs realized in the last few decades in the study of Capital proved to be lasting. In other words, we now have a qualitatively new, shared understanding regarding Capital that both distances it from the presuppositions of classical political economy and opposes the interpretative (and editorial) ambitions to present its theorems and conclusions as closed totalities. Cautiously discerning the multiplicity of layers of Capital, an on-going task that is irreducible to the standard notion of interdisciplinary compartmentalization and dialogue, shall serve to mobilize it as an indispensable tool for any kind of initiative to critically recast the social sciences.
In very general terms, then, how is Capital to be approached in the aftermath of the 150th anniversary of the publication of its first volume? As Marcello Musto’s introduction to the composition of Marx’s critique of political economy attests, all three volumes of Capital should be viewed as crucial yet intermediary moments of an ever-moving and immensely self-critical scientific project. This is a project best described as “unfinished” (1): Marx’s critique of political economy displays a sequence of different versions, each with their peculiar internal organization, emphases, and degrees of conceptual rigour. Be it Marx’s constant revision of his categories/concepts in response to obstacles and the need for clarity in light of new material and evidence, his deteriorating health, financial problems, or time-consuming political duties, the critique of political economy was hampered by many interruptions. Its initial plans or ambitions do not match its hectic yet meticulous production. Perhaps, neither do Marx’s own attempts to explicitly formulate the distinguishing aspects of his own work.
The contemporary portrayal of Capital, manifested to differing degrees in this compilation, encourages one to revisit Marx’s work with an eye on its determinate contradictions as well as what Etienne Balibar calls its “bundle of strategic possibilities” (50) or tendencies inherent in the way in which Marx appropriates his object. Embracing the finitude of Marx’s enterprise reinforces a perspective that can acknowledge Marx’s specific theoretical object of investigation in Capital, the capitalist mode of production dominating different social formations. This approach also appreciates the limited character of this object and assesses the functioning of apparently divergent chapters trying to circumscribe its mechanisms and laws. Accordingly, one is allowed to “extend” (as the name of Part 2 of this compilation suggests), reconstruct, elaborate and resituate the levels of analyses that concern capitalism’s historically contingent presuppositions including its articulations with processes that remain at the frontier of Marx’s primary focus. In the following, I will briefly comment on the five contributions that make up the first part of the book as they exemplify some of the most crucial philosophical orientations in further working through the insights of Capital.
Balibar’s paper disentangles three possible readings – permanent revolutionist, biblical, and reformist – of Capital’s paradoxically displaced political conclusion, namely, the expropriation of the expropriators. Whereas the first two lead analysis into blind alleys and teleological closures resulting in an institution-less, amorphous politics exposed to the temptations of redemptive violence, the third reading anticipates a not-yet-construed historical force that shall make use of contemporary financial tools in conjunction with cooperative initiatives. From here, he goes on to define, and rightly so, another, much refined conception of historical tendencies and counter tendencies that ultimately structures Capital’s ‘political viewpoint’. The latter articulates “contradiction(s)” embedded in the self-assertion of capital with the contingent course of “antagonism” within conflicts and balance of forces (47). However – in a characteristically Balibarian move reflecting his extreme caution towards anything reminiscent of his old notion of a “new, [proletarian] practice of politics” 2 – he tends to privilege the radical expansion and deepening of rights, hence the regulated struggle of the working class through State legislations, as the sole feasible revolutionary trajectory that Capital might offer (48). Balibar’s conclusions rest on his argument that Marx’s concept of “real subsumption” of labour under capital, found in Volume 1’s unpublished 6th chapter, introduces a theoretically and politically dangerous possibility that paints a nihilistic/totalitarian picture of society where a “complete incorporation of the labour power in its own reproduction process” (49) takes place. To my mind, this interpretation fails to assess that the concept of “real subsumption” designates a provisional and therefore a contested historical tendency. Thereby, it downplays the analytical possibilities that “real subsumption” opens up in pointing out the revolutionary potentials of dissymmetric political forms, practices and ideologies rooted in the resistance to the prevailing capitalist organization and control of the labour processes. 3
Bob Jessop’s contribution discusses the way in which Marx draws on cell biology to begin Capital’s exposition with the commodity and its value form. That is, the form of generalized exchange, under which labour, operating as the substance of value, assumes an ex post social, and hence, abstract character, one posited by the very exploitation of labour power in the productive process. 4 This is assigned to be and treated as the “economic cell-form” of the capital relation. As such, Jessop proposes his own solution to the tricky question of an adequate starting point in Marx’s methodology. Jessop correctly underlines the possible risks of such borrowings by recalling Marx’s caution against any juxtaposition of his specific object with that of the natural sciences. Overall, Jessop presents the form-determined life of capital relations as inseparable from the conflict-ridden terrain of production. Nevertheless, his failure to specify his exact position regarding the question of Marx’s affinity to Hegel in Capital’s recourse to a dialectical method of presentation is likely to generate confusion. For, Jessop’s defence of the importance of the cell analogy for Capital’s argument could benefit from a more precise take on how Marx takes into account the limits of his own use of Hegelian dialectics.
Leo Panitch’s intervention starts by questioning the premise treating capitalism as a “mere passing stage” that has shaped various theories of crisis in the history of Marxism. He convincingly argues that the counter tendencies preventing capitalism’s much anticipated collapse are far from being accidental and that they cannot be divorced from the singular conditions and forms of class struggle. To Panitch, Marx’s underdeveloped “historical materialist theory of the capitalist State” (89) shall put in perspective the State’s mode of functioning in reproducing and regulating capitalist relations of domination, together with its capacity to display – at certain junctures in history – an “openness to democratic pressures and shifts in the balance of class forces” (87). Insisting on the term “capitalist State” may arguably engender more problems than it solves. However, this does not change the fact that it is a remarkable text for rethinking the necessarily manifold, democratic and strategic direction of a possible Marxian politics.
Moishe Postone insists on Marx’s continuing relevance in making sense of the historically new and specifically impersonal form of domination that the logic of valorisation entails. For Postone, the hold of socially necessary (abstract) time of labour traps productive activity into a “treadmill dynamic” (101) where no increase in the rate of productivity suffices to produce and extract the surplus value required to run the system. As he puts it, “the historical dynamic of capitalism, then, increasingly points beyond the necessity of proletarian labour while reconstituting that very necessity” (104). The problem remains, however, of incorporating into this framework the problem of democracy/political control of the process of production so as to give the emancipatory possibility of another social organization beyond value, and thus, the “self-abolition” (103) of the proletariat a satisfactory content.
Richard Wolff’s paper seems to be a good antidote to the shortcomings of Postone’s reading on this last point. Wolff claims the novelty of Capital’s understanding of class in terms of “class qua surplus” – rather than the widely used conceptions of “class qua property” and “class qua power” – which is primarily based on the relations of organization of the production, appropriation and distribution of the surplus output. Thanks to this relatively sound and accessible formulation, Wolff is able to offer multiple possibilities of tackling concrete class analyses of conjunctures with clear and explicit reference to class.
Above all, Marx’s way of specifying and explaining the dynamics of capitalism via the critique of political economy required him to proceed “from the critical use of the political economy to its categorical criticism”. 5 This highly significant but often misinterpreted turn: (1) displaces the meaning of what is classically understood as (political) economy by putting political domination and politics back at its centre; (2) builds a positive macroeconomic analysis of the laws of the development of its object from this new basis; and (3) accounts for the real causes of the mystifying forms of appearance of economic phenomena under capitalism responsible for the cognitive blockages of previous theorists. Notably, Jessop tends to operate with a clear understanding of Marx’s move into categorical criticism, when he claims that:
… the value form of the commodity as the economic cell-form of the capital relation is historically specific and its laws and tendencies are doubly tendential, in the sense that, they exist only to the extent that the contradiction-rife and crisis-prone capital relation is reproduced in and through social practices that are historically contingent and contested. (74–5)
To emphasize, I believe that the usefulness of further insights into the text of Capital in studying the current modifications of capitalism depend on our ability to articulate these three dimensions with each other. Notwithstanding the uneven distribution of emphasis on certain issues, almost inevitable in such broad compilations, the wide range of pressing topics covered by key authors makes this compilation a very valuable read.
Notes
1 Another example is Judith Dellheim and Frieder Otto Wolf, eds., The Unfinished System of Karl Marx: Critically Reading Capital as a Challenge for Our Times, 1st edition (New York, NY: Springer Berlin Heidelberg, 2018).
2 Balibar, Etienne. Cinq Études Du Matérialisme Historique. Paris: F. Maspero, 1974.
3 Jean Robelin, “Marx: Le Communisme et L’Analyse de La Classe Ouvrière,” in Étudier Marx, ed. Georges Labica (Paris: C.N.R.S. Editions, 1985), 101–38.

Categories
Journalism

Makan dari Rongsokan Logam: Refleksi tentang Wajah Lain Amerika

SEORANG pemuda tengah berjalan seorang diri di ruas jalan penghubung bandara dam pusat keramaian. Ia mengenakan baju olahraga—jenis yang biasanya bertuliskan nama tim basket atau berlambangkan bendera AS. Namun, baju yang satu ini menunjukkan satu kata dengan lima huruf: Black.

Saya menghampirinya untuk bercakap-cakap dan menanyakan di mana posisi saya tepatnya. Ia mengaku telah tinggal di sana sejak lahir. Pemandangan yang melatari percakapan kami tampak tidak biasa: saya belum pernah melihat yang seperti itu. Saya terus melihat ke sekeliling dan menyadari betapa semua yang telah saya baca tentang tempat ini sesuai kenyataan. Bangunan-bangunan kosong merentang panjang tanpa ujung. Pabrik-pabrik tua ditinggalkan lama selama puluhan tahun, dengan puing-puing raksasa yang tergerus oleh waktu. Bangunan-bangunan yang musnah, pecahan kaca, mesin-mesin yang diselimuti es dan salju. Tanah pembuangan yang hanya dihuni anjing liar, pecandu narkoba, tuna wisma, dan orang-orang pinggiran. Saya sedang berada di Detroit: kota hantu, salah satu contoh paling mengejutkan dari Amerika yang lain, yang tidak pernah ditayangkan dalam serial-serial televisi yang lokasi syutingnya berada di Manhattan atau film-film 3-D yang diproduksi di Hollywood.

Mereka Menyebutnya Motor City
Jika arkeologi industri menjadi bidang studi, Detroit jelas akan menjadi spesimen pertama yang akan dipelajari. Namun sejarahnya di masa lalu identik dengan pertumbuhan dan gemerlap kelimpahan. Baptised Motor City—yang juga jadi latar belakang nama Motown, perusahaan rekaman lagu-lagu soul-rhythm-blues—selama puluhan tahun merupakan pusat mobil di dunia. Pada 1902, kota ini menyambut kelahiran Cadillac, dan setahun berikutnya Henry Ford membuka pabrik yang pada 1908 akan melahirkan Model T, kendaraan pertama yang menjadi produk lini perakitan. Tak lama kemudian, General Motors didirikan pada tahun yang sama, diikuti Chrysler pada 1925. Pendeknya, segala serba-serbi industri mobil di AS berawal dari Detroit.

Kemajuan mengepakkan sayapnya lebar-lebar, demikian pula kota ini. Pada dekade kedua abad ke-20, populasi Detroit bertambah lebih dari dua kali lipat dan menjadikannya pusat penduduk terpadat nomor empat di AS. Proporsi terbesar pendatang berasal dari negara-negara bagian di Selatan – bagian dari rombongan Afro-Amerika (120.000 di Detroit saja) yang pergerakannya di kemudian hari dikenal sebagai ‘migrasi besar pertama’.

Ekspansi ini tidak hanya memengaruhi dunia roda-empat. Keterlibatan Amerika dalam Perang Dunia II mentransformasikan kota utama Michigan ini menjadi ‘gudang senjata demokrasi’, mengutip slogan Franklin Roosevelt. Sejumlah besar pekerja, baik laki-laki maupun perempuan, pindah ke Detroit yang saat itu tengah mengembangkan sektor persenjataan dan berkontribusi lebih dari kota-kota di AS lainnya bagi kerja-kerja dalam perang. Pertumbuhan ini berlanjut setelah 1945. Pada 1956 populasi Detroit mencapai puncak di angka 1.865.000. Para profesor ternama dan wartawan terhormat pada masa itu memuja-mujanya sebagai simbol akhir perjuangan kelas di Amerika, mengacu pada semakin banyak pekerja yang terangkat status ekonominya menjadi kelas menengah dan mulai menikmati kesenangan-kesenangan yang mengikutinya.

Berapa banyak air yang telah mengalir di kolong jembatan sejak itu! Kemerosotan dimulai pada 1960-an dan dipercepat setelah krisis minyak 1973 dan 1979. Hari ini Detroit berpenduduk kurang dari 700.000, angka terendah dalam kurun seratus tahun—dan kelihatannya akan terus turun. Dalam dekade pertama abad ke-21, kota ini kehilangan seperempat dari populasi totalnya. Setiap dua puluh menit ada keluarga yang mengumpulkan seluruh barang miliknya, mengirimkannya ke wilayah tujuan baru, dan mengucapkan selamat tinggal kepada Detroit.

Seratus Ribu Lahan Kosong
Selagi saya berjalan kaki di jalan-jalan kota tersebut, kesan tentang kota berhantu ini semakin kuat. Lebih dari seratus ribu lahan kosong dan rumah dicampakkan, mayoritasnya tinggal puing atau bangunan reyot yang tak aman. Sepuluh ribu di antaranya harus dirobohkan dalam empat tahun ke depan, namun dana operasinya tidak mencukupi. Ada kesan tentang kehancuran yang riil, karena seringkali hanya tersisa satu rumah berpenghuni dalam satu blok. Situasi yang sebelumnya sudah eksplosif menjadi makin dramatis berkat pandemi. Pengelola kota tengah mencoba untuk mengelompokkan penduduk di area-area tertentu dan mengubah sejumlah area lainnya menjadi lahan pertanian komersil. Namun, krisis yang sedang terjadi membuat gambarannya menjadi lebih muram daripada sebelumnya. Demi mengatasi kebangkrutan yang melilit, Detroit belakangan memotong layanan publik terakhirnya, termasuk bus (satu-satunya sarana transportasi bagi kelompok tak berpunya) dan penerangan malam hari di area-area terpencil.

Situasi sosial Detroit juga tidak kalah suram dari lingkungan sekitar. Di Detroit, satu dari tiga penduduknya hidup dalam kemiskinan, demikian pula lebih dari separuh kanak-kanak. Taraf segregasi rasial masih sangat tinggi: lebih dari 80 persen populasi adalah warga kulit hitam dan tinggal di pusat kota, sementara kelas pekerja ‘kulit putih’, atau sisa penduduk yang tidak bermigrasi, telah pindah ke pinggiran atau daerah sekitar pertokoan-pertokoan besar. Ini menunjukkan bahwa meskipun zaman telah berubah, rasisme yang menjadikan Detroit zona perang pada Juli 1967—ketika  Lyndon Johnson mengirimkan mobil-mobil berlapis baja yang menyebabkan 43 orang tewas, 7.200 manusia ditangkap, dan 2.000 bangunan dilumat habis—belum sepenuhnya dihapuskan. Tingkat kejahatan Detroit adalah salah satu yang tertinggi di seantero negeri. Ironisnya, ongkos asuransi kendaraan di tempat lahirnya industri mobil ini adalah yang paling mahal. Angka pengangguran mencapai 50 persen dan uang yang diinvestasikan di kasino raksasa di jalan utama hanya menghasilkan satu perubahan: jiwa-jiwa yang putus asa dan pahit, yang setiap malam antre untuk menghabiskan helai-helai terakhir dolar mereka, dan harapan terakhir mereka, di dahapan deretan panjang mesin judi.

Rongsokan Logam untuk Cina
Pada 2009, menindaklanjuti krisis, General Motors dan Chrysler mengajukan petisi kebangkrutan. Ford juga babak-belur terkena dampak krisis. Bantuan yang diterima oleh ketiga perusahaan besar pada akhir dekade lalu, baik dari pemerintahan Bush maupun Obama, mencapai 80 milyar dolar. ‘Restrukturisasi’ paralelnya—yang meliputi pemecatan, pemotongan gaji, dan kontrak kerja yang lebih rentan—mengikuti model yang direpresentasikan oleh American Axle & Manufacturing, yang didirikan pada 1994 untuk menyuplai komponen-komponen mobil yang lebih murah ke General Motors dan Chrysler. Faktanya, banyak karyawan perusahaan yang sejak awal sudah bekerja dengan kontrak per jam telah dipecat pada 2008, meski profit yang didulangnya sangat berlimpah. Dan mengikuti aksi mogok melawan pemotongan gaji dari 28 ke 14 dolar per jam, pabrik lain di Detroit memecat semua pekerjanya dan menutup pintu. Dengan nada filantrofis, salah satu bos pabrik menjelaskan bahwa, sama seperti pabrik-pabrik Axle & Manufacturing dibuka beberapa tahun sebelumnya di Meksiko, Brazil, dan Polandia, ‘prioritas utama kita adalah membangun Asia’. Bab berikutnya akan ditulis di Cina, dan benar bahwa perusahaan tersebut telah beroperasi di sana sejak 2009 dengan dua pabrik baru.

Bagaimanapun juga, Detroit tak hanya berbicara tentang abad keduapuluh; ia juga bersaksi tentang perubahan-perubahan yang terjadi hari ini dan menanti di masa depan. Ia menggarisbawahi sejauh mana kemiskinan dan pengangguran adalah hasil dari hubungan-hubungan ekonomi yang mencegah perkembangan teknologi dari pemanfaatannya untuk kemaslahatan orang banyak. Detroit menunjukkan bahwa pabrik-pabrik kosong melompong bukan karena tidak ada lagi kerja, tetapi karena produksi telah dialihkan ke tempat-tempat yang upah buruhnya lebih murah dan perjuangan untuk hak-hak sosialnya masih lemah.

Langit lekas gelap di Detroit pada musim dingin. Beberapa orang mengemis di dekat jalur keluar jalan tol. Dari kejauhan, tampak nyala api di lokasi yang dulunya adalah jantung kawasan industri. Sekelompok anak muda menyalakan api di reruntuhan pabrik, sembari berharap menemukan potongan logam yang akan dikirim ke Timur melalui laut. Potongan-potongan logam yang bernilai dua setengah dolar per ons ini adalah satu-satunya barang berharga yang tersisa untuk bertahan hidup. Potongan-potongan logam ini adalah salah satu barang ekspor utama AS ke Cina. Detroit memilikinya dalam jumlah terbesar dibanding seluruh kota lain di dunia. Di tempat lain, logam-logam rongsokan itu digunakan untuk membangun apa yang dulunya pernah ada di sini, untuk menciptakan infrastruktur yang memungkinkan para bos meraup laba yang lebih tinggi. Dalam kosakata dari masa yang lain: ‘Eksploitasi yang dihasilkan melalui tingkatan nilai-lebih yang lebih tinggi’

Tapi jangan salah: pelbagai konflik dan harapan baru akan muncul seiring munculnya pabrik-pabrik baru.

Categories
Journalism

Engels: contribucions i límits del «segon violí»

Friedrich Engels va comprendre fins i tot abans que Karl Marx la centralitat de la crítica de l’economia política. Quan tots dos es van conèixer, ell havia publicat molts més articles —encara que era el seu amic el que estava destinat a ser mundialment famós en aquest camp.

Nascut a Alemanya fa 200 anys, el 28 de novembre de 1820, a Barmen (avui suburbi de Wuppertal), era un jove molt prometedor, el pare del qual, un industrial tèxtil, li havia negat l’oportunitat d’estudiar en la universitat i dirigia la seva pròpia empresa. Engels s’havia ensenyat a si mateix, amb un voraç apetit pel coneixement, i va signar les seves peces amb un pseudònim per a evitar conflictes amb la seva família conservadora i fortament religiosa. Es va convertir en ateu, i els dos anys que va passar a Anglaterra— on va ser enviat a l’edat de vint-i-dos anys a treballar a Manchester, en les oficines de la fàbrica de cotó Ermen & Engels —van ser decisius per a la maduració de les seves conviccions polítiques. Va ser llavors quan va observar personalment els efectes de l’explotació capitalista del proletariat, la propietat privada i la competència entre els individus. Es va posar en contacte amb el moviment cartista i es va enamorar d’una treballadora irlandesa, Mary Burns, que va exercir un paper clau en el seu desenvolupament. Brillant periodista, va publicar a Alemanya relats de les lluites socials angleses i va escriure per a la premsa anglosaxona sobre els avanços socials en curs en el continent. L’article «Esbossos d’una crítica de l’economia política», publicat en els anuaris francoalemanys el 1844, va despertar un gran interès en Marx, que en aquest moment havia decidit dedicar totes les seves energies al mateix tema. Els dos van iniciar llavors una col·laboració teòrica i política que duraria la resta de les seves vides.

El 1845 Engels va publicar en alemany el seu primer llibre, The Condition of the Working Class in England. El subtítol subratllava que es basava «en l’observació directa i en fonts genuïnes», i va escriure en el prefaci que el coneixement real de les condicions de treball i de vida del proletariat era «absolutament necessari per a poder proporcionar una base sòlida a les teories socialistes». Tindria una seqüela en molts estudis posteriors. Una dedicatòria introductòria, «A la classe obrera d’Anglaterra», assenyalava a més que el seu treball «en el camp» li havia donat un «coneixement directe, no abstracte, de la vida real dels treballadors». Mai havia estat discriminat o «tractat per ells com un estranger», i estava feliç de veure que estaven lliures de la «terrible maledicció de l’estretor i l’arrogància nacional».

Aquest mateix any, quan el govern francès va expulsar a Marx per les seves activitats comunistes, Engels el va seguir a Brussel·les. Van publicar La Sagrada Família, o la Crítica de la Crítica: Contra Bruno Bauer i Companyia (el seu primer llibre conjunt amb Marx) i tots dos van produir també un voluminós manuscrit inèdit —La Ideologia Alemanya— que va ser deixat a la «crítica mordaç dels ratolins». En aquest període, Engels va ser a Anglaterra amb el seu amic i va poder mostrar-li el que havia vist i entès allí sobre la manera de producció capitalista. Marx finalment va abandonar la crítica de la filosofia post-hegeliana i va començar el llarg viatge que el va portar, vint anys després, al primer volum del Capital. Després els dos amics van escriure el Manifest del Partit Comunista (1848) i van participar en les revolucions de 1848.

El 1849, després de la derrota de la revolució, Marx es va veure obligat a traslladar-se a Anglaterra, i Engels va creuar el canal després d’ell aviat. Marx es va allotjar a Londres, mentre que el seu amic es va anar a dirigir el negoci familiar a Manchester, a uns tres-cents quilòmetres de distància. Es va convertir en el «segon violí», com ell deia, i per a mantenir-se i ajudar al seu amic (que sovint no tenia ingressos) va acceptar dirigir la fàbrica del seu pare a Manchester, fins el 1870. Durant aquestes dues dècades, quan Engels es va retirar del negoci i va poder finalment reunir-se amb el seu amic en la capital anglesa, els dos homes van viure el període més intens de les seves vides, comparant notes diverses vegades a la setmana sobre els principals esdeveniments polítics i econòmics de l’època. La majoria de les 2.500 cartes que van intercanviar daten d’aquests dos decennis, durant els quals també van enviar unes 1.500 peces de correspondència a activistes i intel·lectuals de gairebé vint països. A aquest imponent total cal afegir unes 10.000 cartes de tercers a Engels i Marx, i altres 6.000 que, encara que ja no es poden rastrejar, se sap amb certesa que van existir. Es tracta d’un tresor inestimable, que conté idees que, en alguns casos, no van aconseguir desenvolupar plenament en els seus escrits.

Poques correspondències del segle XIX poden presumir de referències tan erudites com les que van brollar de les plomes dels dos revolucionaris comunistes. Marx llegia nou idiomes i Engels dominava fins a dotze. Les seves lletres destaquen pel seu constant canvi entre diferents idiomes i pel nombre de cites erudites, fins i tot en llatí i grec antics. Els dos humanistes també eren grans amants de la literatura. Marx se sabia de memòria passatges de Shakespeare i no es cansava de fullejar els seus volums d’Èsquil, Dante i Balzac. Engels va ser durant molt de temps president de l’Institut Schiller de Manchester i adorava a Aristòtil, Goethe i Lessing. Juntament amb la constant discussió d’esdeveniments internacionals i possibilitats revolucionàries, molts dels seus intercanvis es referien als grans avanços contemporanis en tecnologia, geologia, química, física, matemàtiques i antropologia. Marx sempre va considerar a Engels com un interlocutor indispensable, consultant la seva veu crítica cada vegada que havia de prendre una posició sobre un assumpte controvertit.

La relació entre els dos homes era encara més extraordinària en termes humans que a nivell intel·lectual. Marx va confiar totes les seves dificultats personals a Engels, començant per les seves terribles dificultats materials i els nombrosos problemes de salut que el van turmentar durant dècades. Engels va mostrar una total abnegació a ajudar a Marx i a la seva família, fent sempre tot el possible per a assegurar-los una existència digna i facilitar la realització de El Capital. Marx sempre va estar agraït per aquesta ajuda financera, com podem veure en el que va escriure una nit d’agost de 1867, uns minuts després d’haver acabat de corregir les proves del Volum Un: «Només a tu et dec que això hagi estat possible».

Tanmateix, fins i tot durant aquests vint anys, mai va deixar d’escriure. El 1850 va publicar La Guerra Pagesa a Alemanya, una història de les revoltes de 1524-25, que tractava de mostrar com de similar era el comportament de la classe mitjana de llavors al de la petita burgesia durant la revolució de 1848-49, i el responsable que havia estat de les derrotes sofertes. Perquè el seu amic pogués dedicar més temps a la realització dels seus estudis econòmics, entre 1851 i 1862 va escriure també gairebé la meitat dels cinc-cents articles que Marx va aportar al New-York Tribune (el periòdic de major circulació als Estats Units). Va informar el públic estatunidenc sobre el curs i els possibles resultats de les nombroses guerres que van tenir lloc a Europa. No poques vegades va ser capaç de preveure els esdeveniments i anticipar les estratègies militars utilitzades en diversos fronts, guanyant-se per a si mateix el sobrenom pel qual era conegut per tots els seus camarades: «el General». La seva activitat periodística va continuar durant molt de temps i el 1870-71 va publicar les seves Notes sobre la Guerra Franco-Prussiana, una sèrie de seixanta articles per al diari anglès Pall Mall Gazette que analitzaven els esdeveniments militars que van precedir a la Comuna de París. Aquests articles van ser molt benvolguts i van donar testimoniatge de la seva perspicàcia en aquests assumptes.

Durant els quinze anys següents, Engels va fer les seves principals contribucions teòriques en una sèrie d’escrits ocasionals que s’oposaven a les posicions dels oponents polítics en el moviment obrer i tractaven d’aclarir qüestions controvertides. Entre 1872 i 1873 va escriure una sèrie de tres articles per al Volksstaat que també es van publicar, en forma de pamflet, amb el títol The Housing Question. La intenció d’Engels era oposar-se a la difusió de les idees de Pierre-Joseph Proudhon a Alemanya i deixar clar als treballadors que la política de reformes no podia substituir a una revolució proletària.

L’Anti-Dühring, publicat en 1878, que va descriure com «una exposició més o menys connectada del mètode dialèctic i la visió del món comunista», es va convertir en una referència crucial per a la formació de la doctrina marxista. Encara que cal distingir entre les obres de divulgació d’Engels, en oberta polèmica contra les dreceres simplistes de l’època, i la vulgarització realitzada per l’última generació de la socialdemocràcia alemanya, el seu recurs a les ciències naturals va obrir el camí a una concepció evolutiva dels fenòmens socials que va disminuir les anàlisis més matisades de Marx. El socialisme: Utòpic i Científic (1880), una reelaboració de tres capítols de l’Anti-Dühring amb finalitats educatives, va tenir un impacte encara major que el text original. Però, malgrat els seus mèrits i que va circular gairebé tan àmpliament com el Manifest del Partit Comunista, les definicions de Engels de «ciència» i «socialisme científic» poden considerar-se com un exemple d’autoritarisme epistemològic, utilitzat posteriorment per la vulgata marxista-leninista per a excloure qualsevol discussió crítica de les tesis dels «fundadors del comunisme».

La Dialèctica de la Naturalesa, fragments d’un projecte en el qual Engels va treballar amb moltes interrupcions entre 1873 i 1883, ha estat objecte d’una enorme controvèrsia. Per a alguns va ser la pedra angular del marxisme, per a uns altres el principal culpable del naixement del dogmatisme soviètic. Avui dia ha de ser llegit com una obra incompleta, que mostra les limitacions de Engels, però també el potencial contingut en la seva crítica ecològica. Si bé el seu ús de la dialèctica va reduir certament la complexitat teòrica i metodològica del pensament de Marx, no és correcte —com alguns han fet de manera mesquina i superficial en el passat— responsabilitzar-lo de tot el que no els agrada dels escrits de Marx i culpar només a Engels dels errors teòrics o fins i tot de les derrotes pràctiques.

El 1884 Engels va publicar L’Origen de la família, la propietat privada i l’Estat, una anàlisi dels estudis antropològics realitzats per l’estatunidenc Lewis Morgan, qui havia descobert que les relacions matriarcals precedien històricament a les relacions patriarcals. Per Engels, aquesta va ser una revelació tan important sobre els orígens de la humanitat com «la teoria de Darwin [era] per a la biologia i la teoria de Marx sobre el plusvalor per a l’economia política». La família ja contenia els antagonismes que més tard es desenvoluparien en la societat i l’estat. La primera opressió de classe que va aparèixer en la història de la humanitat «va coincidir amb l’opressió del sexe femení pel masculí». Pel que fa a la igualtat de gènere, així com a les lluites anticolonials, mai va dubtar a defensar —i exposar amb convicció— la causa de l’emancipació. Finalment, el 1886, també va treure a la llum una obra polèmica que apuntava al ressorgiment de l’idealisme en els cercles acadèmics alemanys, Ludwig Feuerbach i la Fi de la Filosofia Clàssica Alemanya (1886).

Durant els dotze anys en què Engels va sobreviure a Marx, es va dedicar al llegat literari del seu amic i a la direcció del moviment obrer internacional. Diversos articles periodístics per als principals periòdics socialistes de l’època, entre ells Die Neue Zeit, Le Socialiste i Critica Sociale, les salutacions als congressos dels partits, així com els centenars de cartes que va escriure en aquest període permeten apreciar més profundament la contribució que va fer al creixement dels partits obrers a Alemanya, França i Gran Bretanya, en una sèrie de qüestions teòriques i organitzatives. Alguns dels temes en qüestió es refereixen al naixement i als nombrosos debats en curs en la Segona Internacional, el congrés fundacional de la qual va tenir lloc el 14 de juliol de 1889. Més important encara, va dedicar les seves millors energies a la difusió del marxisme.

En primer lloc, es va ocupar de la dificilíssima tasca de preparar per a la seva publicació l’esborrany dels volums dos i tres del Capital que Marx no havia aconseguit completar. També va supervisar les noves edicions de les obres publicades anteriorment, diverses traduccions, i va escriure prefacis i epílegs de diverses reimpressions d’obres de Marx i d’ell mateix. En una d’elles, una nova introducció a les lluites de classe de Marx a França (1850), composta uns mesos abans de la seva mort, Engels va elaborar una teoria de la revolució que intentava adaptar-se a la nova escena política d’Europa. El proletariat s’havia convertit en la majoria, argumentava, i la perspectiva de la presa del poder per mitjans electorals, a través del sufragi universal, va permetre defensar la revolució i la legalitat al mateix temps. Tanmateix, això no significava —com els socialdemòcrates alemanys van suggerir manipulant el seu text en un sentit legalista i reformista— que la «lluita al carrer» ja no tingués cap funció. Significava que la revolució no podia ser concebuda sense la participació activa de les masses i que això requeria «un treball llarg i pacient». La lectura d’Engels avui, amb el lliscament del capitalisme contemporani davant els nostres ulls, alimenta el desig de tornar a emprendre el camí.

Categories
Reviews

Francisco Sobrino, Herramienta. Revista de Debate y Crítica Marxista

Marcello Musto es profesor asociado de Teoría Sociológica de la Universidad de York, Canadá.

Ha escrito y compilado varios libros sobre Marx. Entre ellos está Karl Marx´s Grundrisse, Marx for Today (versión castellana: De regreso a Marx, Editorial Octubre), Workers Unite!, y Another Marx. Para este autor, hay un hecho determinante en las últimas décadas, que está coadyuvando a una reinterpretación global de la obra de Marx: se trata de la publicación, que se retomó en 1998, de la Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA2). O sea, la edición histórica y crítica de las obras completas de ambos autores. Hasta el año 2019 se han publicado 26 nuevos tomos, que se sumaron a los que  habían salido entre 1975 y 1989, y se está trabajando en otros más. Por lo cual cabe esperar que nuevos elementos se sumen a la mencionada reinterpretación, de la que está surgiendo la imagen de un Marx muy diferente del que se había representado en todo el mundo, durante largo tiempo, tanto a través de sus críticos como de sus presuntos seguidores. Y se puede afirmar que en el terreno del pensamiento político y filosófico, en los últimos años su perfil ha cambiado aún más. Pues a partir de la implosión de la Unión Soviética se ha liberado su imagen, que dejó de ser, como dice el autor, “el baluarte del aparato estatal conferido a los bolcheviques rusos”.  El rechazo al denominado “marxismo-leninismo” lo ha liberado del vínculo con una ideología que estaba muy lejos de ser la concepción de la sociedad del filósofo revolucionario de Tréveris.
Hay una producción intelectual en nuestros días, con interpretaciones relevantes y novedosas, a partir del descubrimiento de muchos de sus manuscritos y borradores hasta ahora desconocidos, que muestran muchas contradicciones de la sociedad capitalista que van más allá del clásico conflicto entre el capital y el trabajo, como por ejemplo las que surgen de muchos cuadernos donde Marx escribía los borradores de sus estudios sobre las sociedades no europeas, el papel destructivo del colonialismo en las periferias del mundo, y reflexiones históricas que van más allá del papel adjudicado al mero desarrollo de las fuerzas productivas, sus estudios y reflexiones sobre las cuestiones ecológicas, los problemas de género,  las posibilidades emancipatorias de la tecnología, la crítica a los diversos  nacionalismos, el estudio de las formas de propiedad colectivas no controladas por el Estado, la centralidad de la libertad en el terreno económico y político. Todas estas cuestiones son fundamentales en la actualidad.
Para Musto, entonces, las actuales crisis económicas y políticas de la sociedad (tengamos en cuenta que escribió su libro originalmente en inglés, antes del estallido de la pandemia), y el progreso en la investigación de los estudios marxianos, permiten presagiar que la renovación de la interpretación de la obra de Marx continuará. Y que es muy probable que una parte importante de esa investigación se vincule al último período de su elaboración teórica, el llamado período del “último Marx”. En este libro, entonces, se suman una suerte de biografía intelectual y una profunda investigación teórica.
Estos manuscritos de sus últimos años, desmienten la leyenda según la cual, en esa época se habría agotado la curiosidad intelectual de Marx, y que éste habría dejado de trabajar en sus textos y estudios. Por el contrario, no sólo continuó sus investigaciones, sino que sus estudios se extendieron a nuevas disciplinas. En el bienio 1881-1882 estudió los más recientes descubrimientos de entonces sobre la propiedad común en la sociedad precapitalista, los cambios ocurridos en la Rusia de los zares después de la abolición de la servidumbre, y sobre el nacimiento del Estado moderno. Además, seguía observando atentamente los principales acontecimientos de la política internacional y en su correspondencia apoyaba la liberación de Irlanda, y se oponía a la opresión colonial de la India, Egipto y Argelia. Su investigación sobre los nuevos conflictos políticos, temáticos y geográficos, y su permanente crítica al sistema capitalista, le permitían también madurar una concepción más abierta y considerar un abordaje al socialismo diferente al que había prefigurado años antes.
Marx también siguió redactando decenas de cuadernos extractando una gran cantidad de libros de matemática, fisiología, geología, mineralogía, agronomía, química y física. Entre diciembre de 1880 y junio de 1881, una nueva disciplina comenzó a absorber su interés: la antropología. Las obras sobre la sociedad antigua, del antropólogo estadounidense Lewis Morgan, del etnógrafo ruso Maksim Kovalevski y de otros autores, lo alentaron a redactar un compendio de más de cien páginas, que son la parte principal de los llamados Cuadernos antropológicos.
Se dedicó a ese estudio en la misma época en que trataba de completar el segundo tomo de El capital. Probablemente, su intención era reconstruir sobre la base de un profundo conocimiento histórico, la secuencia con la cual se habían sucedido en el tiempo los diferentes modos de producción. Lo que también le serviría para fundamentar históricamente con una mayor solidez la posible transformación de tipo comunista de la sociedad. Musto sugiere que las recientes observaciones de Pierre Dardot y Christian Laval, en su libro Marx, prenom: Karl, (2012), apuntan en ese sentido. En ese contexto, en los Cuadernos antropológicos, hay extensos resúmenes y anotaciones sobre la prehistoria, el desarrollo de los lazos familiares, las condiciones de las mujeres, el origen de las relaciones de propiedad, las prácticas comunitarias en las sociedades precapitalistas, la formación y la naturaleza del Estado, y el papel del individuo, así como también las connotaciones racistas de algunos antropólogos y los efectos del colonialismo..
El autor de este libro destaca que Engels, en su libro El origen de la familia, de la propiedad y el Estado (1884), que según él era “la ejecución de un testamento” y “un modesto sustituto” de lo que su amigo no había podido terminar, completó el análisis realizado por Marx en los Cuadernos antropológicos, afirmando que la monogamia representaba “el esclavizamiento de un sexo por el otro”, y el análisis del conflicto entre los sexos, desconocido hasta entonces en la prehistoria. Engels agregaba que “en un viejo manuscrito inédito, redactado en 1848 por Marx y por mí, encuentro esta frase: ‘La primera división del trabajo es la que se hizo entre el hombre y la mujer para la procreación de los hijos’. Y hoy puedo añadir: el primer antagonismo de clases que apareció en la historia coincide con el desarrollo del antagonismo entre el hombre y la mujer en la monogamia; y la primera opresión de clases apareció con la del sexo femenino por parte del masculino. La monogamia […] es la forma celular de la sociedad civilizada, en la cual podemos estudiar ya la naturaleza de las contradicciones y de los antagonismos que alcanzan su pleno desarrollo en esta sociedad”[1]
En este libro se describe cómo Marx estudiaba en esa época  las transformaciones sociales en los EE. UU., mantenía su esperanza en el fin de la opresión colonial en la India,  apoyaba a la causa independentista en Irlanda, analizaba el desarrollo de la crisis económica en  Inglaterra y las elecciones en Francia. También seguía con atención a través de los diarios la situación mundial, no sola en la prensa británica, sino también la francesa, alemana y de otras lenguas. Asimismo mantenía contacto con muchos militantes y dirigentes obreros, así como con personalidades científicas. Solía decir: “soy ciudadano del mundo (…) y allí donde me encuentro, allí actúo”.
El autor dedica un capítulo a plantear la importancia de la controversia que mantuvo Marx sobre el desarrollo del capitalismo en Rusia. Desde sus primeros pasos en la lucha política, en sus artículos y en su correspondencia Marx consideraba al régimen despótico zarista como la vanguardia de la contrarrevolución europea. Pero en sus últimos años comenzó a prestar una diferente mirada a Rusia, pues consideraba que  habían comenzado  a surgir cambios sociales y políticos que podrían desembocar en transformaciones de gran alcance. Desde fines de la década de 1860, Marx  había seguido con interés los levantamientos campesinos en Rusia que obligaron a la reforma para la abolición de la servidumbre. Desde entonces había aprendido el idioma ruso y se mantenía al tanto sobre la evolución de los sucesos en el imperio, manteniendo correspondencia con destacados estudiosos de ese país. En 1881 Marx recibió una carta de parte de Vera Zasúlich, militante populista rusa, refugiada en Ginebra. Recordemos que la primera traducción que se hizo del primer tomo de  El capital fue en el idioma ruso, y era un libro muy estudiado por los intelectuales y los políticos del imperio. Zasúlich solicitaba a Marx, a quien respetaba profundamente, su opinión sobre las dos diferentes posiciones que discutían en esos años  los  revolucionarios rusos, sobre las comunas rurales de su país. Una de las posiciones era que éstas podían liberarse de sus explotadores terratenientes, organizando paulatinamente su producción y distribución sobre bases colectivistas, y por lo tanto los socialistas debían dedicarse a ese fin. La otra posición planteaba que por el contrario, las comunas estaban destinadas a perecer y por lo tanto los socialistas deberían esperar durante décadas a que gracias al desarrollo capitalista, los trabajadores, descendientes de los antiguos campesinos que emigrarían a las ciudades, se levantaran en una revolución que al triunfar, se convertiría en socialista. Zasúlich afirmaba  que quienes  sostenían  esta última posición, se autoconsideraban “discípulos de Marx”; y que lo que ellos apoyaban era “lo que dice Marx”. Por esta razón, la militante rusa le solicitaba su opinión al respecto. Para Musto, la cuestión planteada por la revolucionaria rusa llegó en el momento adecuado, pues Marx se encontraba entonces totalmente sumergido en las investigaciones sobre las relaciones comunitarias en la época precapitalista.
Esa carta lo obligaba a analizar en concreto un caso histórico de gran actualidad, relacionado justamente con lo que él estaba estudiando. Además, ello lo obligaba a replantearse las convicciones que atravesaban toda su obra: el capitalismo, ¿era la premisa necesaria de la sociedad comunista? El autor del libro que estamos reseñando dedica no pocas páginas a repasar estas convicciones, tal como se manifestaron a lo largo de toda la vida de Marx, en sus distintas obras, artículos y correspondencia. En estas páginas se hallan las contribuciones más importantes de Marcello Musto a su objetivo, mencionado al comienzo de su libro. Marx  se vio obligado a cuestionar la tesis, erróneamente atribuida a él, de “la fatalidad histórica del modo de producción burgués”. Y la controversia desatada sobre el caso del capitalismo en Rusia era un claro testigo de ello.
Musto señala que Marx “recordó que, en el capítulo titulado ‘la llamada acumulación originaria’ de El capital, había querido ‘señalar simplemente el camino por el que en la Europa occidental nació el régimen capitalista del seno del régimen económico feudal,’ refiriéndose sólo y exclusivamente ‘a Europa occidental’. No se refería al mundo entero, sino sólo al Viejo continente”. Siguiendo la exposición de su razonamiento, Marx había recordado, además, haber resumido la tendencia histórica de la producción capitalista como un proceso en el cual esta última, después de haber creado los elementos para un nuevo régimen económico, “al imprimir al mismo tiempo a las fuerzas productivas del trabajo social y al desarrollo de todo productor individual genera un impulso tal que se presenta ya, en realidad, como una especie de producción colectiva, de modo que sólo puede transformarse en propiedad social” (79). Este relevante párrafo, que agregó Marx durante la traducción francesa del primer tomo de El capital, a cargo de Joseph Roy, sin embargo, no fue incluido en la cuarta edición alemana (del mismo primer tomo) de 1890, que se convertiría luego en la versión estándar de las traducciones de la obra marxiana.

El mayor enojo de Marx se debió a que el intento de su crítica de convertir su esbozo histórico sobre los orígenes del capitalismo en la Europa occidental en “una teoría filosófico-histórica sobre la trayectoria general a que se hallan sometidos fatalmente todos los pueblos, cualesquiera que sean las circunstancias históricas que en ellos concurran”.
Su interpretación no sería nunca posible mediante “la clave universal de una teoría general de filosofía de la historia, cuya mayor ventaja reside precisamente en el hecho de ser una teoría suprahistórica” (80).
Para el autor del libro, los participantes “marxistas ortodoxos” rusos de esa polémica sobre las perspectivas revolucionaria en el Imperio Ruso parecían anticipar “uno de los puntos fundamentales que caracterizaría al marxismo del siglo XX y que, en ese tiempo, ya serpenteaba entre sus seguidores, tanto en Rusia como en otros lugares. La crítica de Marx a esta concepción fue tanto más importante, porque se dirigió no sólo al presente, sino al futuro” (80).
Los estudios y análisis que acompañaron su participación en la polémica sobre la sociedad rusa de su tiempo, determinaron sus ideas sobre la obshina o sea la comuna rural rusa, que ya no se basaban más “en relaciones de consanguineidad entre sus miembros”, según citaba Musto sus escritos, sino que potencialmente representaban “la primera agrupación social de hombres libres, no afianzada por los vínculos de la sangre” (86). Para Musto, en el curso de esta polémica sobre la posibilidad de otra evolución social que no fuera la de los países europeos occidentales, Marx no había cambiado su juicio crítico general sobre las comunas rurales en Rusia y seguía manteniendo su opinión sobre la importancia del desarrollo del individuo y de la producción social. De esa manera, esto contradice a las interpretaciones de Shanin, en su Late Marx and the Russian Road, sobre un “cambio significativo” respecto de El Capital de 1867, o de Enrique Dussel, en su El último Marx (1863-1882) y la liberación latinoamericana, así como de otros que proponen una lectura “tercermundista” de los escritos del último Marx, con el presunto cambio del sujeto revolucionario desde los obreros fabriles hacia las masas campesinas y de la periferia (87). Lo novedoso en sus posiciones anteriores, más bien mostraban una apertura teórica, con la que consideró otras vías posibles para pasar al socialismo, que antes no había tenido en cuenta.
En este aspecto, el autor subraya lo que afirmó Marian Sawer en su Marxism and the Question of the Asian Mode of Production, que Marx no había cambiado su opinión sobre el carácter de las comunas de las aldeas, ni que ellas habrían podido transformarse en la base del socialismo, sino que comenzó a considerar la posibilidad de que las comunas pudiesen ser revolucionadas, no por el capitalismo, sino por el socialismo. Sawer agregaba que en 1882 a Marx todavía le parecía que era una verdadera alternativa a la desintegración total de la obshina bajo el capitalismo. Marx, entonces había llegado a la conclusión de que la alternativa vislumbrada por los populistas rusos era realizable y en uno de sus borradores de la respuesta a Zasúlich, escribió que “teóricamente”, la comuna rural rusa “podía conservar su tierra desarrollando su base, la propiedad común de la tierra y eliminando de ella el principio de la propiedad privada que también implica; puede convertirse en punto de partida directo del sistema económico al que tiende la sociedad moderna; puede cambiar de existencia sin necesidad de suicidarse; puede apoderarse de los frutos con que la producción capitalista ha enriquecido a la humanidad sin pasar por el régimen capitalista” . Pero que esa hipótesis, para realizarse, debía “descender de la teoría pura a la realidad rusa”. Al año siguiente, en 1882, en el prefacio a una nueva edición rusa del Manifiesto Comunista, redactado junto a Engels, agregaron: “¿Podría la comunidad rural rusa (…) pasar directamente a la forma  superior (…), a la forma comunista, o,  deberá pasar primero por el mismo proceso de disolución que constituye el desarrollo histórico de Occidente? La única respuesta es la siguiente: si la revolución rusa da la señal para una revolución proletaria en Occidente, de modo que ambas se completen, la actual propiedad común de la tierra en Rusia podrá servir de punto de partida para el desarrollo comunista” (90).
Y finalmente, concluyó su razonamiento en la respuesta a Zasúlich, afirmando que en El capital no daba razones, en pro ni en contra de la vitalidad de la comuna rural, pero que su estudio posterior lo había convencido de que esa comuna era el punto de apoyo de la regeneración social en Rusia, pero que para ello debería eliminar previamente las “influencias deletéreas que la acosan por todas partes” y luego asegurarle las condiciones normales para un desarrollo espontáneo.
Para Musto, Marx asumió así una posición dialéctica, pues no excluía que el desarrollo de un nuevo sistema económico, basado en la asociación de los productores podría realizarse, no sólo a través de ciertas etapas determinadas y obligatorias. Negaba así la “necesidad histórica del desarrollo del modo de producción capitalista en todo el mundo”. El biógrafo coincide en este libro también con Álvaro García Linera, de quien cita su libro  Forma valor y forma comunidad: “uno de los trágicos errores del marxismo del siglo XX ha sido la propensión a querer convertir la historia real y los acontecimientos vivos en abnegados sirvientes de la filosofía de la historia” (92).
Las citas que hemos mencionado, además de otras más, sobre el futuro de la obshina de diferenciaban notablemente de la equiparación entre el socialismo y las fuerzas productivas, que se afirmaba, “con acentos nacionalistas y simpatías hacia el colonialismo”, tanto en el seno de la Segunda Internacional y los partidos socialdemócratas, como posteriormente por parte del movimiento comunista internacional, presuntamente con el “método científico” del análisis social, que para Musto, también aceptaba en cierta medida Engels en algunos de sus escritos, intervenciones o cartas (92).
Al mismo tiempo, acompañando sus estudios y discusiones, la vida de la familia Marx iba pasando días problemáticos. Tanto en la salud como en sus finanzas.
El biógrafo considera que en esta etapa, de los últimos años de su vida,  la concepción multilineal a la que llegó Marx en su plena maduración intelectual, lo indujo a dedicar más atención a la especificidad histórica y el desarrollo desigual de las condiciones políticas y económicas entre distintos países y contextos sociales. Esto contribuyó a aumentar las dificultades que tenía para completar los tomos restantes de El capital (95). Pero no cambió la imagen de la sociedad comunista que había delineado desde que elaboraba los Grundrisse. Aunque siempre con dudas, y con hostilidad hacia “los esquematismos del pasado y los nuevos dogmatismos que estaban naciendo en su nombre”, pensaba que era posible que estallaran revoluciones en condiciones y formas que hasta entonces no había considerado (95). Aunque seguía pensando que el futuro dependía de la clase trabajadora y en su capacidad de luchar por profundos cambios sociales, a través de sus propias organizaciones. El primer tomo de su obra magna circulaba en Alemania, habiendo sido reimpreso en 1873, en Rusia, traducido el año anterior, y en Francia, en fascículos de 1872 a 1875. Pero sus ideas aún debían competir, frecuentemente como minoría con las demás agrupaciones socialistas y anarquistas. Aunque en Inglaterra seguía siendo muy poco conocido.
A mediados de 1881, su esposa, Jenny von Westphalen estaba en grave estado de salud, y los médicos aconsejaban que se alejaran del clima de Londres. Marx tampoco gozaba de buena salud, por lo que pensaban que al “moro” (así llamaban a Marx sus familiares y compañeros de militancia) también lo beneficiaría. Posteriormente viajaron a Francia, para poder abrazar a la familia y a sus nietos. Las últimas páginas del libro son dedicadas a las vicisitudes y enfermedades que sufrían Marx y su esposa, quien falleció en diciembre de 1881.
No obstante la sucesión de dramas familiares y enfermedades, Marx seguía estudiando y escribiendo cuadernos. Ya para el año 1881, El capital había comenzado a ser leído y comentado en Inglaterra. Pero para Marx, “consideraba a la revolución inglesa no inevitable, pero dados los antecedentes históricos, posible. (…) La evolución de la cuestión social es inevitable, pero si se transformará en revolución, eso dependerá no sólo de las clases dominantes, sino también de la clase obrera (…) La clase obrera no sabe como ejercitar su propia fuerza, ni como ejercitar su propia libertad, dos cosas que posee legalmente” (106). Comparando esa situación con lo que sucedía en Alemania, “la clase obrera ha sido plenamente consciente, desde el inicio de su movimiento, que solo sería posible liberarse del despotismo militar con una revolución. Pero ha comprendido que esta revolución, incluso en caso de un éxito inicial, al final se le habría vuelto en contra, en ausencia de una organización ya existente (…) por eso ésta se ha movido dentro de los límites estrictamente legales” (107). Para Musto, esto confirmaba que también para Marx, no era una mera y rápida alteración del sistema, sino un proceso largo y complejo (107).
Continuando con lo sucedido en los años setenta, la difusión de su pensamiento proseguía en la década siguiente. Sus ideas ya no circulaban como en el pasado, en un reducido círculo de militantes y seguidores. En esa etapa final de su vida, destinaba gran parte de sus energías intelectuales a los estudios históricos. Según su biógrafo, “procuraba, así, seguir confrontando los fundamentos de sus concepciones con los con los hechos reales que habían configurado la suerte de la humanidad”. De regreso en Londres, debido a su precaria salud, agravada por una bronquitis crónica, sus médicos le aconsejaban una estadía en un lugar cálido. Engels lo convenció de dirigirse a Argel.
En febrero de 1882, partió hacia ese lugar, donde se estableció, con la esperanza de poder terminar el segundo tomo de El capital, durante 72 días, “el único período de su vida alejado de Europa”.
Pero la progresiva presión de sus enfermedades, y las condiciones climáticas que azotaba al norte de África, impidieron a Marx descansar como pretendía, y aprovechar para comprender a fondo la realidad argelina No le fue posible estudiar las características sociales de esa región, como por ejemplo la propiedad agraria común entre los árabes, y el ataque a la misma bajo el dominio francés. Sobre ese tema ya se había interesado desde 1879, en el curso de sus estudios sobre la propiedad agraria y de las sociedades precapitalistas y la cuestión de la tierra en Argelia colonizada.
De vuelta a Marsella y finalmente a Londres, Marx continuó sufriendo diversas enfermedades.  Musto reconstruye sus  últimas semanas con riqueza de detalles, apoyándose en los testimonios que dejaron los miembros de su familia, y  principalmente por la correspondencia de Engels. No obstante a la sucesión de los dramas familiares y de las enfermedades, entre el otoño de 1881 y el invierno de 1882 destinó gran parte de sus esfuerzos intelectuales a los estudios históricos. Llegó a preparar una cronología razonada, haciendo una lista, año por año de los principales eventos políticos sociales y económicos de la historia mundial, desde el siglo I a.C., resumiendo las causas y características sobresalientes. Usó el mismo método que había usado para la redacción de las Notas sobre la historia India (664-1858). Según su biógrafo, trataba así confrontar los fundamentos de sus concepciones con los eventos reales que habían configurado la suerte de la humanidad. No se centraba solamente en las transformaciones en el campo de la producción, pues renunciaba a cualquier determinismo económico, sino que se concentraba muy especialmente sobre la cuestión decisiva del desarrollo del Estado moderno (119). Musto cita a Michael Krätke, quien afirma que “Marx comprendía este proceso como el ‘desarrollo, en su conjunto, del comercio, la agricultura, la industria minera, del sistema fiscal y de la infraestructura (,,,) para proveer al movimiento socialista de sólidas bases socio-científicas, más que para crear una filosofía política” (119). Alternaba los períodos en que podía trabajar, estudiando, sobre todo temas de antropología y de historia, con las recaídas en sus enfermedades. Luego de meses de sufrimiento, el 14 de marzo de 1883 falleció el revolucionario.
Francisco Sobrino

Categories
Interviews

Di Farmasi Marx: Wawancara dengan Marcello Musto

Ada ungkapan yang sering dilontarkan selama pandemi COVID-19: “Semuanya tidak akan pernah sama lagi seperti dulu”.

Kemudian muncul kesadaran bahwa sementara perubahan-perubahan yang sedang berlangsung terbilang banyak dan besar, hal-hal yang berjalan seperti biasanya juga tidak sedikit. Hari ini orang cenderung mengatakan bahwa pandemi menunjukkan—bahkan—mempercepat, proses-proses yang telah berlangsung sebelumnya. Salah satunya adalah tumbuhnya ketimpangan-ketimpangan sosial. Apakah Marx tetap diperlukan untuk memahami faktor-faktor di balik ketimpangan, bentuk-bentuk dan kemungkinan melawannya? Kami membahas soal-soal ini dengan Marcello Musto, seorang profesor sosiologi di York University, Toronto dan sosok otoritatif dari kebangkitan studi Marxis belakangan ini. Kontribusinya mencakup serangkaian monograf brilian dan sukses, yaitu Another Marx: Early Manuscripts to the International (Bloomsbury, 2018) dan The Last Years of Karl Marx: An Intellectual Biography (Stanford, 2020). Ia juga menyunting berbagai bunga rampai, termasuk Marx’s Capital after 150 Years: Critique and Alternative to Capitalism (Routledge, 2019), The Marx’s Revival: Key Concepts and New Interpretations (Cambridge University Press, 2020). Tulisan-tulisannya bisa dilihat di www.marcellomusto.org.

 

Giulio Azzolini: Profesor Musto, apa yang dapat kita pelajari dari Marx untuk krisis pandemi ini?

Marcello Musto: Setelah bertahun-tahun dicekoki mantra-mantra neoliberal, saya pikir pertama-tama adalah bahwa dimensi kooperatif dari manusia tak tergantikan perannya bagi kelangsungan hidup individu, tak kalah pentingnya dari kebebasan individu bagi keberlangsungan masyarakat. Kooperasi dan kemerdekaan harus dianggap sebagai dua unsur hakiki dalam “farmasi Marx”. Saya juga menambahkan tiga anjuran dalam penawar yang ia resepkan bagi penyakit-penyakit masyarakat modern: transfer kekuasaan dalam pengambilan keputusan dari ranah ekonomi ke ranah politik; pendayagunaan sains dan teknologi demi kesejahteraan semua orang alih-alih profit segelintir elit; dan peran sentral pendidikan, termasuk dukungan besar dari sumber daya negara.

 

Pandemi ini telah memanaskan konflik antara Amerika Serikat dan Cina, dan dalam Uni Eropa di antara berbagai negara anggotanya. Apakah ini merupakan konflik antar kapitalisme?

Ini merupakan kecenderungan yang kelihatannya akan berlanjut. Bukan kebetulan juga jika dua negara yang paling terdampak oleh COVID-19, Amerika Serikat dan Inggris, adalah negara-negara yang telah mendorong privatisasi. Model kapitalisme mereka menghambat perkembangan negara sosial atau malahan mereka secara aktif telah menghancurkannya. Namun, di balik fenomena permukaan ini, ada konflik yang bahkan lebih penting soal redistribusi kekayaan yang telah dimenangkan kapital beberapa dekade terakhir ini.

Marx tidak memprediksi pemiskinan kaum proletar, melainkan peningkatan ketimpangan antara kelas-kelas yang ada. Mengenai hal ini, sejarah kelihatannya telah membuktikan bahwa dia benar.

Ya – dan akan semakin jelas ketika kita memikirkan jurang besar yang memisahkan penduduk dunia, bukan hanya secara ekonomi. Marx memahami bahwa kolonialisme Inggris di India melibatkan perampokan sumber daya alam dan bentuk-bentuk baru perbudakan, ketimbang kemajuan stabil sebagaimana dikisahkan oleh para pembelanya. Di sisi lain, ia keliru mengenai peran revolusioner kelas pekerja Eropa. Ia mulai menyadari hal ini dalam tahun-tahun terakhir kehidupannya, ketika ia menulis dalam kekecewaan bahwa kelas pekerja Inggris memilih untuk “mengekor di belakang tuan-tuan mereka.”

 

Dampak ekonomi pandemi ini cukup beragam. Banyak perusahaan telah mengalami kemerosotan. Namun, tidak demikian halnya dengan bisnis-bisnis raksasa. Mereka yang tidak memiliki pekerjaan terjamin kini menganggur, tetapi tidak demikian dengan mereka yang posisinya aman. Beberapa toko kecil tutup, tetapi ada juga yang tidak. Dapatkan Marx menolong kita menafsirkan kenyataan yang menjadi semakin kompleks dan kacau?

Analisis Marx tentang kelas-kelas sosial perlu diperbarui dan teorinya tentang krisis (yang memang belum ia tuntaskan) adalah produk dari zaman yang berbeda. Marx tidak dapat memberikan jawaban pada banyak problem kekinian, tetapi ia mengarahkan telunjuknya pada pertanyaan-pertanyaan yang esensial. Bagi saya, inilah yang menjadi kontribusi utama Marx hari ini: ia membantu kita untuk mengajukan pertanyaan yang tepat, mengidentifikasi kontradiksi-kontradiksi pokok. Bukan kontribusi yang kecil, menurut saya.

 

Krisis yang ada sekarang telah membuka kembali pertanyaan tentang ketidaksetaraan gender. Apakah ada pemikiran Marx mengenai hal ini yang dapat menjadi pelajaran bagi kita?

Saya pikir Marx akan mencoba untuk lebih banyak mempelajarinya hari ini, khususnya dari gerakan feminis baru di Amerika Latin, yang telah memainkan peranan penting dalam mobilisasi sosial berskala besar. Dalam beberapa studi yang ia kerjakan sebelum kematiannya, ia berkutat persis mengenai pentingnya kesetaraan gender, dan materi yang ia ajukan untuk program-program politik menekankan lebih dari sekali bahwa emansipasi kelas pekerja adalah bagi “semua manusia, tanpa pandang jenis kelamin dan etnis mereka”. Ia telah belajar dari para perempuan-perempuan muda, dari buku-buku kaum sosialis Prancis awal, bahwa level umum emansipasi dalam suatu masyarakat bergantung pada tingkat emansipasi perempuan.

 

Di tengah krisis kesehatan, pertarungan untuk kesetaraan etnis juga telah meledak di Amerika Serikat. Apakah ini hanya suatu kebetulan?

Ya, tetapi kebetulan yang menyumbangkan informasi penting, karena menunjukkan luka yang mendalam di negeri tersebut. Black Lives Matter bukanlah fenomena sambil lalu, melainkan sebuah gerakan yang akan tetap bertarung melawan rasisme dan kekerasan di institusi-institusi Amerika.

 

Mari kita sekarang beralih pada hubungan antara perjuangan kelas dan perjuangan lingkungan. Apakah keduanya merupakan isu yang berbeda atau bersifat komplementer? Apakah mereka terstruktur dalam sebuah hierarki?

Dua-duanya saling melengkapi; masing-masing membutuhkan yang lainnya. Kritik atas eksploitasi pekerja dan kritik atas penghancuran lingkungan saat ini tidak bisa dipisahkan satu sama lain. Perjuangan apapun yang mengabaikan salah satu dari kedua isu ini tidak akan lengkap atau menjadi kurang efektif. Saya membayangkan posisi produktivis dari gerakan buruh dari abad ke-19 dan gerakan-gerakan ekologis yang seringkali mengabaikan persoalan “corak produksi”. Isu-isu yang mengemuka, bagaimana mereka muncul dan untuk siapa, adalah pertanyaan-pertanyaan yang terkait erat dengan kepemilikan sarana-sarana produksi.

 

Marx adalah filsufnya revolusi komunis, namun ia juga merupakan politisi yang mewariskan sebuah organisasi internasional bagi gerakan buruh. Apakah ini merupakan pelajaran juga untuk masa kini?

Tanpa gagasan ini gerakan buruh akan menuju kekalahan, khususnya dalam periode kebangkitan nasionalisme. Bagi Marx, yang melihat perpecahan-perpecahan di antara kelas pekerja sebagai sesuatu yang penting bagi kekuasaan kaum borjuis, internasionalisme juga berarti solidaritas antara kaum pekerja lokal dan imigran. Internasionalisme harus kembali menjadi salah satu batu penjuru gerakan Kiri jika ia hendak memasuki pertarungan ide dalam jangka panjang alih-alih merespons situasi mendesak semata.

 

Pada tahun 2018, Cina merayakan dua abad kelahiran Marx. Di Barat, apakah sang filsuf ditakdirkan untuk bertahan sebagai objek studi, atau apakah ia masih dapat menggerakkan massa?

Cina menggunakan wajah Marx, sembari mengabaikan peringatan-peringatannya yang paling penting. Stalin juga melakukan hal yang sama. Ketika pada masa-masa Gulag, ia sendiri berfoto dengan wajah penuh keyakinan di bawah potret Marx. Di Barat, Marx telah tampil kembali di aula-aula universitas, tetapi tidak akan meraih kembali pengaruh politik yang pernah ia miliki pada era partai-partai “Marxis”. Namun demikian, siapapun yang hendak mencoba untuk memikirkan kembali sebuah masyarakat alternatif tidak akan dapat mengabaikan teori-teorinya.

 

Apakah kelompok Kiri Italia kini merugi karena membela Marxisme setelah dianggap kedaluwarsa, ataukah karena ia meninggalkan Marxisme?

Kaum kiri Italia tengah membayar harga dari kedua kesalahan tersebut. Pertama, mereka sangat terlambat mengidentifikasi pelbagai perubahan yang diperlukan untuk berkonfrontasi dengan metamorfosis-metamorfosis kapitalisme dan untuk merespons tuntutan-tuntutan gerakan-gerakan sosial yang baru. Mereka juga  berpikir pendek ketika meninggalkan Marxisme alih-alih secara kritis meninjau kembali dan memodernisasi teori yang masih valid untuk memahami masyarakat hari ini. Lihat saja bagaimana Gramsci disimpan rapi di loteng justru ketika secara global orang kembali giat menggali pemikirannya. Memang untuk sekian lama kontradiksi-kontradiksi yang diciptakan oleh kapitalisme tidak sedramatis dan sejelas hari ini. Sejarah gerakan Kiri masih belum berakhir.